Rapporto del Consiglio federale sulla Carta sociale europea riveduta in adempimento del postulato 10.3004 della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati «Compatibilità della Carta sociale europea riveduta con l'ordinamento giuridico svizzero» del 12 gennaio 2010 del 2 luglio 2014

Onorevoli presidenti e consiglieri, il 12 gennaio 2010 la Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE-CS) ha depositato un postulato che incarica il Consiglio federale di presentare un rapporto sulla compatibilità della Carta sociale europea riveduta con l'ordinamento giuridico svizzero e sull'opportunità di firmarla e ratificarla al più presto. Il postulato è stato accolto dal Consiglio degli Stati l'8 marzo 2010 e trasmesso al Consiglio federale.

Vi sottoponiamo il presente rapporto affinché ne prendiate atto. Gradite, onorevoli presidente e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

2 luglio 2014

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Didier Burkhalter La cancelliera della Confederazione, Corina Casanova

2014-0775

4855

Compendio Il presente rapporto adempie il postulato 10.3004, che incarica il Consiglio federale di presentare un rapporto sulla compatibilità della Carta sociale europea (CSE) riveduta con l'ordinamento giuridico svizzero e sull'opportunità di firmarla e ratificarla al più presto. Il rapporto deve mostrare concretamente gli impegni che possono essere assunti e le riserve da formulare per far sì che una ratifica sia conforme al diritto svizzero.

Oggi la CSE, adottata nel 1961 e riveduta nel 1996, costituisce lo strumento di riferimento europeo in materia di diritti economici, sociali e culturali. È una delle convenzioni più importanti del Consiglio d'Europa, assieme alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che tutela i diritti civili e politici.

La Svizzera figura tra i quattro Stati dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, che non hanno ratificato la CSE (accanto al Liechtenstein, a Monaco e a San Marino). Per aderirvi, dovrebbe poter accettare almeno sei dei nove articoli del nocciolo duro della Carta. Nel complesso, l'ordinamento giuridico svizzero permette di soddisfare questo requisito. Per chiarire i punti rimasti in sospeso, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e gli uffici federali direttamente interessati hanno avviato un dialogo costruttivo con il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) allo scopo di ottenere informazioni supplementari sulla sua prassi nonché sul margine di flessibilità con cui potrebbe valutare la situazione della Svizzera in caso di ratifica. Si trattava anche di informare il CEDS sui sistemi e sulla legislazione svizzeri, in particolare su quelli unici nel loro genere, come il sistema di formazione professionale di base duale. Tali discussioni hanno permesso di constatare che, per quanto riguarda gli articoli della CSE che la Svizzera potrebbe accettare, non sussiste alcuna incompatibilità, da un lato per via della tendenza a un allentamento della prassi del CEDS e, dall'altro, per il nuovo approccio adottato dal CEDS, che consiste nel considerare le situazioni nazionali nel loro complesso e nel lasciare agli Stati Parte un importante margine di discrezionalità nell'attuazione del trattato, in particolare quando i loro sistemi sociali sono efficienti. Quanto al dubbio relativo alla compatibilità del sistema di formazione professionale
di base duale con la CSE, è stato possibile eliminarlo. È infatti stato trovato un accordo con il CEDS, il quale, riconoscendo che il sistema di formazione professionale di base duale è parte integrante del sistema educativo svizzero, ha constatato che in realtà esso non rientra nel campo d'applicazione dell'articolo 7 (diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela), bensì in quello dell'articolo 10 (diritto alla formazione professionale), con il quale non pone alcun problema.

Ratificando la CSE, la Svizzera non comprometterebbe né la propria sovranità né le sue competenze in materia di politica economica, sociale e culturale. Poiché la CSE ha un carattere essenzialmente programmatico, la Svizzera manterrebbe il suo potere decisionale sulle modalità di attuazione delle disposizioni accettate.

Il sistema di controllo della CSE si distingue da quello della CEDU per il fatto che non prevede il ricorso individuale a un tribunale autorizzato a emanare decisioni vincolanti. Questo sistema si basa unicamente su rapporti periodici degli Stati Parte

4856

e su un dialogo pragmatico con il CEDS, l'organo di controllo della CSE composto da esperti. Se il CEDS constata una non conformità alle disposizioni della CSE e lo Stato in questione non ne tiene conto, l'estremo rimedio di cui dispone il Consiglio d'Europa è una raccomandazione di natura politica e giuridicamente non vincolante del Comitato dei ministri nei confronti di tale Stato. Il dialogo istituzionalizzato con il CEDS è paragonabile a quello che gli Stati, Svizzera compresa, mantengono con gli organi di controllo dei trattati delle Nazioni Unite in materia di diritti dell'uomo.

La CSE si distingue dalla CEDU anche per il sistema di ratifica «à la carte». Per poter ratificare la CSE, uno Stato non è costretto ad accettare tutte le disposizioni, ma può limitarsi ad accettare integralmente almeno sei dei nove articoli del suo nocciolo duro, a scelta. È inoltre richiesta l'accettazione, a scelta, di un certo numero supplementare di disposizioni non appartenenti al nocciolo duro.

L'esame della compatibilità della CSE con l'ordinamento giuridico svizzero ha mostrato che la Svizzera non è in grado di accettare gli articoli 12 (diritto alla sicurezza sociale), 13 (diritto all'assistenza sociale e medica) e 19 (diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione e all'assistenza); pertanto, il riconoscimento di questi articoli non entra in discussione. Gli articoli 1, 5, 6, 7, 16 e 20 sono invece accettabili per la Svizzera senza alcun bisogno di modifiche legislative.

Di conseguenza, dal punto di vista giuridico, al momento attuale è possibile accettare sei dei nove articoli del nocciolo duro. Il Consiglio federale si pronuncerà sul principio di una ratifica della CSE in un secondo tempo, dopo che il Parlamento avrà preso atto del presente rapporto.

4857

Indice Compendio

4856

1

Mandato: il postulato 10.3004

4859

2

Rassegna degli interventi parlamentari a favore della ratifica della Carta sociale europea

4859

3

Significato politico della Carta sociale europea

4860

4

I diritti garantiti dalla Carta sociale europea

4862

5

Natura giuridica dei diritti garantiti dalla Carta sociale europea

4863

6

Modalità di ratifica della Carta sociale europea

4863

7

Sistema di controllo e ripercussioni della Carta sociale europea sul diritto interno 7.1 Il Comitato europeo dei diritti sociali 7.2 Il Comitato governativo e il Comitato dei ministri 7.3 L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa 7.4 Conclusione

4864 4864 4865 4866 4866

8

9

Analisi di conformità tra il diritto svizzero e la Carta sociale europea riveduta 8.1 Gli articoli del nocciolo duro 8.1.1 Il dialogo con il Comitato europeo dei diritti sociali 8.1.2 Commento alle disposizioni 8.1.3 Panoramica delle disposizioni del nocciolo duro che la Svizzera può impegnarsi ad accettare 8.2 Sintesi della conformità dell'ordinamento giuridico svizzero con le disposizioni supplementari della CSE Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale

4867 4867 4867 4868 4900 4900 4901

10 Ripercussioni per i Cantoni e i Comuni 10.1 Risultati della consultazione tecnica dei Cantoni 10.2 Ripercussioni per l'economia

4902 4902 4904

11 Costituzionalità

4904

12 Conclusione finale

4905

Allegati: I Schema del sistema di controllo II Testo degli articoli del nocciolo duro della CSE riveduta

4906 4907

4858

Rapporto 1

Mandato: il postulato 10.3004

Il 12 gennaio 2010 la Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE-CS) ha accolto il postulato 10.3004, che incarica il Consiglio federale di presentare un rapporto sulla compatibilità della Carta sociale europea (CSE) riveduta con l'ordinamento giuridico svizzero e sull'opportunità di firmarla e ratificarla al più presto. Il rapporto deve mostrare concretamente gli impegni che possono essere assunti e le riserve che devono essere formulate per far sì che una ratifica sia conforme al diritto svizzero. Il 24 febbraio 2010, il Consiglio federale ha proposto di accettare il postulato e il Consiglio degli Stati lo ha accolto l'8 marzo dello stesso anno.

In base al postulato, idealmente il rapporto avrebbe dovuto essere presentato entro la fine della presidenza svizzera del Consiglio d'Europa, e comunque al più tardi entro la fine del 2010. D'intesa con gli altri dipartimenti interessati, il DFAE aveva già elaborato una proposta di rapporto alla fine di novembre 2010, ma visto che vari ambiti contemplati nella CSE rientravano nella sfera di competenza dei Cantoni, era inevitabile consultare anche questi ultimi. Dal dicembre 2010 al 31 marzo 2011 è stata quindi svolta una consultazione tecnica presso i Cantoni. Dalla versione del rapporto modificata in base alla posizione dei Cantoni è emersa la necessità di ulteriori precisazioni ed elementi per chiarire i punti in sospeso. A tal fine, nel settembre 2011 il DFAE ha informato il Consiglio federale della sua intenzione di integrare il rapporto con aspetti economici e di chiarire con il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) i punti ancora in sospeso relativi alla compatibilità della CSE con l'ordinamento giuridico svizzero. Questo scambio di opinioni, che ha permesso di raggiungere un accordo, si è rivelato proficuo, tuttavia ha richiesto parecchio tempo.

2

Rassegna degli interventi parlamentari a favore della ratifica della Carta sociale europea

Il progetto di adesione della Svizzera alla CSE ha avuto inizio nel 1976 con la firma da parte del Consiglio federale della CSE originale, è proseguito nel 1983, quando il Consiglio federale ha sottoposto alle Camere il suo messaggio concernente la ratifica1, e si è poi interrotto in seguito al rifiuto di tale ratifica da parte del Parlamento (1984 e 1987).

Nel 1991, il processo è stato rilanciato da un'iniziativa parlamentare del gruppo socialista2, che ha comportato lunghi lavori e dibatti parlamentari a partire dal 1996, terminati con lo stralcio dell'iniziativa il 17 dicembre 2004. La trattazione dell'iniziativa parlamentare si è tradotta in due rapporti e un rapporto complementare dell'Amministrazione federale, adottati dalla Commissione della sicurezza sociale e della sanità del Consiglio nazionale (1996; 2002­2004, con consultazione dei Cantoni). In questi rapporti si giungeva alla conclusione che non era possibile ratificare 1 2

FF 1983 II 1209 91.419; Ratifica della Carta sociale europea.

4859

la CSE del 1961 e la CSE riveduta del 1996. Gli scogli principali erano costituiti dall'incompatibilità del diritto svizzero con l'articolo 12 (diritto alla sicurezza sociale), l'articolo 13 (diritto all'assistenza sociale e medica) e l'articolo 19 (diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione ed all'assistenza). La consultazione dei Cantoni non aveva inoltre fatto emergere un atteggiamento politico favorevole.

Nel decimo rapporto del Consiglio federale sulla posizione della Svizzera rispetto alle convenzioni del Consiglio d'Europa, del 27 febbraio 2013, la CSE riveduta, divenuta ormai lo strumento di riferimento rispetto alla Carta originale del 1961, è stata classificata tra le convenzioni non ratificate, ma interessanti per la Svizzera. In mancanza di una classificazione più calzante, è stata inserita nella categoria «C», quella delle convenzioni «che presentano un interesse per la Svizzera, ma la cui prossima ratifica solleverebbe problemi giuridici, politici o pratici»3.

3

Significato politico della Carta sociale europea

Il Consiglio d'Europa, istituito dopo la Seconda guerra mondiale, cerca di combinare tre valori fondamentali: la democrazia, la preminenza del diritto e i diritti umani.

Qualche mese dopo l'adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nel dicembre 1948, il Consiglio d'Europa ha cercato di elaborare un trattato vincolante che garantisse l'insieme dei diritti contenuti nella Dichiarazione universale. Gli Stati membri hanno rapidamente raggiunto un accordo sui diritti civili e politici, che sono stati inseriti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (CEDU)4. Non sono invece riusciti a mettersi d'accordo sui diritti economici e sociali. Nel 1961 è stata infine adottata la CSE, che è tuttavia rimasta poco nota ed è passata in sordina rispetto alla CEDU, non prevedendo il diritto di ricorso individuale davanti a un'autorità giurisdizionale.

Dal momento dell'allargamento del Consiglio d'Europa all'insieme del continente europeo, ossia da quando il primo Stato dell'Europa centrale, l'Ungheria, ha aderito a questa organizzazione nel 1990, si è deciso di rilanciare la CSE. Questo processo di riforma ha riguardato innanzitutto i meccanismi di controllo della sua applicazione e, successivamente, i diritti sostanziali che proclama. Il risultato di tale riforma è la CSE riveduta del 1996.

In occasione della prima Conferenza del Consiglio d'Europa dei ministri responsabili della coesione sociale (Mosca, febbraio 2009), a cui ha partecipato anche la Svizzera, è stata adottata una conclusione sulla promozione dei diritti sociali, intitolata «Investire nella coesione sociale ­ investire nella stabilità e il benessere della società». Il Consiglio d'Europa intendeva così perseguire la ratifica della CSE da parte di tutti gli Stati membri.

La seconda Conferenza ministeriale di questo tipo (Istanbul, ottobre 2012) ha reiterato il sostegno agli strumenti giuridici del Consiglio d'Europa relativi ai diritti sociali, in particolare la CSE, e i ministri si sono impegnati a prendere in considerazione la sua ratifica.

3 4

FF 2013 1841 RS 0.101

4860

Assieme alla CEDU, oggi la CSE è uno degli strumenti più importanti del Consiglio d'Europa in materia di diritti dell'uomo. L'impegno a ratificare questi due strumenti figura ormai tra i requisiti preliminari dell'appartenenza al Consiglio d'Europa. I 47 Stati membri del Consiglio d'Europa hanno firmato la CSE in una e/o nell'altra versione: 45 di essi hanno firmato la versione riveduta del 1996, mentre la Svizzera e il Liechtenstein hanno firmato unicamente il testo del 1961. La CSE è stata ratificata da 43 Stati: 31 di essi hanno ratificato la versione del 1996, mentre altri 12 hanno ratificato unicamente la versione del 1961. Solo la Svizzera, Monaco, San Marino e il Liechtenstein non hanno ratificato la CSE né nella versione del 1961 né in quella del 1996.

In Svizzera, un Comitato di sostegno «Pro Carta sociale» e i sindacati sono intervenuti presso il Consiglio federale a favore di una ratifica della CSE. Il Comitato «Pro Carta sociale» ha intensificato gli sforzi da quando la Svizzera ha assunto la presidenza del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa (novembre 2009­maggio 2010). A più riprese la Svizzera è stata interpellata dalle autorità del Consiglio d'Europa in merito alla CSE, non avendo aderito a tale strumento, ad esempio quando ha assunto la presidenza del Comitato dei ministri nel 2009­2010, in occasione del 50° anniversario della CSE nel 2011 e nel corso degli eventi e delle visite legati ai 50 anni dall'adesione della Svizzera al Consiglio d'Europa nel 2013.

La CSE mira a garantire i diritti economici, sociali e culturali. Comprende uno spettro di tematiche molto ampio e riconosce agli individui diritti nei settori dell'abitazione, della salute, dell'istruzione, dell'occupazione, della protezione sociale e della non discriminazione.

La CSE non mira a un'armonizzazione o a un coordinamento delle politiche sociali dei vari Stati. La politica sociale resta di competenza degli Stati Parte della CSE, che la attuano con i mezzi che auspicano (per legge o mediante trattative collettive, in modo decentrato o attraverso autorità federali). La CSE enuncia i principi e i valori che è opportuno rispettare, mentre le modalità della loro attuazione sono definite dai singoli Stati.

La CSE riveduta del 1996 tiene conto dell'evoluzione delle società europee nel corso degli ultimi 40 anni
e, in particolare, dell'evoluzione del diritto internazionale, indipendentemente dal fatto che si tratti del diritto dell'Unione europea (UE) o del diritto delle Nazioni Unite. Essa costituisce ormai lo strumento di riferimento europeo in materia di diritti economici, sociali e culturali. Di conseguenza, oggi quando si parla di «Carta sociale» ci si riferisce alla CSE riveduta del 1996. È anche la terminologia utilizzata nel presente rapporto, che illustra la conformità del diritto svizzero alla CSE riveduta. Nel seguito del presente rapporto, la precisazione «riveduta» è menzionata unicamente quando il secondo trattato presenta differenze rispetto al primo.

Quanto al contenuto, per alcuni aspetti la CSE corrisponde al Patto internazionale del 16 dicembre 19665 relativo ai diritti economici, sociali e culturali (Patto I dell'ONU, ratificato dalla Svizzera). Contiene anche disposizioni che coincidono con quelle della Convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 19896 sui diritti del fanciullo, anch'essa ratificata dalla Svizzera. Si sovrappone inoltre ad alcuni impegni che la Svizzera ha già assunto in virtù delle convenzioni n. 87, 98, 100 5 6

RS 0.103.1 RS 0.107

4861

e 111 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Va infine riservata una menzione speciale alla CEDU: mediante la ratifica di questo trattato, la Svizzera si è già impegnata ad attuare alcuni aspetti che figurano anche nella CSE, come il diritto di fondare sindacati e di aderirvi.

4

I diritti garantiti dalla Carta sociale europea

La ratifica della CSE è condizionata dall'accettazione integrale di sei dei nove articoli del nocciolo duro (cfr. allegato II). Essa presuppone inoltre che lo Stato in questione si consideri vincolato da un numero supplementare di articoli o paragrafi, a scelta, a condizione che il numero totale degli articoli e dei paragrafi accettati non sia inferiore a 16 articoli o 63 paragrafi (cfr. n. 6).

Il rapporto si concentra principalmente sulla conformità del diritto svizzero con gli articoli del nocciolo duro della CSE, che rappresenta l'elemento determinante per valutare la possibilità di ratificare lo strumento. Alla fine del rapporto è presentata una panoramica degli altri articoli della CSE (cfr. n. 8.2), dalla quale si evince che il requisito di accettare un numero supplementare di disposizioni è soddisfatto.

I nove articoli del nocciolo duro sono i seguenti: ­

articolo 1

diritto al lavoro;

­

articolo 5

diritti sindacali;

­

articolo 6

diritto di negoziazione collettiva (incluso le sciopero);

­

articolo 7

diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela;

­

articolo 12 diritto alla sicurezza sociale;

­

articolo 13 diritto all'assistenza sociale e medica

­

articolo 16 diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica;

­

articolo 19 diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione ed all'assistenza;

­

articolo 20 diritto alla parità di opportunità e di trattamento in materia di lavoro e di professione senza discriminazioni fondate sul sesso.

Nelle sue disposizioni addizionali (art. 24­31), la CSE riveduta sancisce nuovi diritti, ossia: il diritto alla tutela in caso di licenziamento (qui di seguito «disdetta»); il diritto dei lavoratori alla tutela dei loro crediti in caso d'insolvenza del datore di lavoro; il diritto alla dignità sul lavoro; il diritto dei lavoratori aventi responsabilità familiari alla parità di opportunità e di trattamento; il diritto dei rappresentanti dei lavoratori ad una tutela nell'ambito nell'impresa ed agevolazioni da concedere loro; il diritto all'informazione ed alla consultazione nelle procedure di licenziamenti collettivi; il diritto alla protezione dalla povertà e dall'emarginazione sociale; il diritto all'abitazione.

4862

5

Natura giuridica dei diritti garantiti dalla Carta sociale europea

Lo Stato ratificante s'impegna a considerare la Parte I della CSE come una dichiarazione che formula gli obiettivi che perseguirà con ogni mezzo.

Questi obiettivi generali sono precisati e concretizzati nella Parte II che definisce gli obblighi risultanti per gli Stati contraenti dalla ratifica della CSE. Tali disposizioni sono le uniche ad avere un contenuto normativo che determina la portata giuridica degli impegni sottoscritti. Pertanto, la natura giuridica della CSE e la sua applicabilità diretta dev'essere analizzata per mezzo di queste disposizioni.

Per la loro formulazione, («Le Parti s'impegnano a...»), gli articoli della CSE non sono indirizzati ai privati affinché possano invocarli davanti ai tribunali, bensì al legislatore, da cui ci si aspetta che adotti le disposizioni necessarie. Inoltre, la CSE riconosce per principio diritti che, per la loro struttura, non sono applicabili direttamente e che per diventare effettivi devono essere oggetto di una regolamentazione dettagliata. La CSE si limita a fissare gli scopi e a indicare mezzi per raggiungerli: fintanto che gli Stati non prendono le misure di cui la CSE chiede l'adozione, le sue disposizioni non possono quindi servire da base per azioni giudiziarie. Il tenore di due disposizioni della CSE riveduta deroga tuttavia alla norma: ai sensi dell'articolo 6 paragrafo 4 le Parti contraenti riconoscono il diritto d'intraprendere azioni collettive, compreso il diritto di sciopero, e ai sensi dell'articolo 18 paragrafo 4 riconoscono ai propri cittadini il diritto di uscire dal Paese per esercitare attività a fini di lucro sul territorio delle altre Parti.

La CSE prevede un controllo basato su rapporti periodici delle Parti contraenti, concepito sotto forma di dialogo pragmatico volto ad aiutarle ad applicare le disposizioni che hanno accettato. Contrariamente al sistema istituito dalla CEDU, la CSE non istituisce alcun organo giurisdizionale sopranazionale abilitato a emanare decisioni vincolanti e presso cui i privati possano sporgere denuncia in caso di violazione dei diritti sanciti.

I vari elementi menzionati depongono a favore della non applicabilità diretta della CSE. Ciò costituisce una differenza importante con la CEDU e i suoi Protocolli addizionali, i cui diritti garantiti possono essere invocati dai privati davanti ai tribunali.

6

Modalità di ratifica della Carta sociale europea

Conformemente alla prassi in vigore in seno al Consiglio d'Europa, uno Stato che s'impegna a essere vincolato da un trattato deve dapprima firmarlo e poi ratificarlo.

In genere, la ratifica richiede una decisione del Parlamento, come avviene in Svizzera.

La firma può intervenire prima dell'inizio del processo di ratifica o alla fine, ossia contemporaneamente al deposito dello strumento di ratifica.

La CSE permette una ratifica «à la carte». Contrariamente alla CEDU, di cui devono essere accettati tutti gli articoli, quando uno Stato ratifica la CSE deve indicare le disposizioni a cui si considererà vincolato. Per garantire agli Stati una certa flessibilità e per tenere conto delle situazioni nazionali, la CSE autorizza lo Stato che la ratifica a procedere a una selezione delle disposizioni che intende accettare. È quindi 4863

importante esaminare la conformità del diritto interno per decidere quali disposizioni possono essere accettate. Per la CSE riveduta devono tuttavia essere soddisfatte le seguenti condizioni: ­

devono essere accettati sei articoli tra gli articoli 1, 5, 6, 7, 12, 13, 16, 19 e 20 che formano il nocciolo duro. Per essere inclusi nel calcolo, questi articoli devono essere adottati integralmente e senza riserve;

­

inoltre, lo Stato ratificante deve accettare integralmente 16 articoli (dei 31 articoli della Parte II della CSE riveduta, compresi i sei articoli minimi del nocciolo duro) oppure 63 paragrafi numerati (dei 98 paragrafi della Parte II della CSE riveduta).

È possibile accettare più disposizioni. Per queste disposizioni supplementari, lo Stato può scegliere singoli paragrafi e anche, se del caso, formulare riserve su punti precisi. In pratica si tratta dell'unico caso in cui è possibile avanzare riserve.

L'obiettivo ideale è che gli Stati accettino la totalità delle disposizioni della CSE. Il Consiglio d'Europa è in contatto con gli Stati Parte per lavorare assieme a loro in vista dell'accettazione di disposizioni supplementari. Finora, solo due Stati che hanno ratificato la CSE hanno accettato la totalità delle disposizioni della Parte II: la Francia e il Portogallo. Gli altri Stati Parte hanno tutti proceduto a una selezione più o meno ambiziosa, ma sempre rispettando le condizioni minime stabilite dal trattato.

7

Sistema di controllo e ripercussioni della Carta sociale europea sul diritto interno

Cfr. lo schema del sistema di controllo della CSE nell'allegato I.

7.1

Il Comitato europeo dei diritti sociali

Composto da 15 esperti, indipendenti e imparziali, eletti dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa per una durata di sei anni rinnovabile una sola volta, il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) non è un tribunale, contrariamente alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Dispone tuttavia della competenza di stabilire se le situazioni degli Stati siano conformi o meno alla CSE dal punto di vista giuridico.

Il CEDS opera in due modi distinti: ­

mediante il sistema di rapporti nazionali sottoposti ogni anno dagli Stati sull'attuazione di una parte delle disposizioni della CSE, per gruppi tematici di sette­nove articoli. Da notare che le organizzazioni nazionali affiliate alle organizzazioni internazionali di datori di lavoro e lavoratori che beneficiano dello statuto di osservatore presso il Comitato governativo (cfr. n. 7.2) sono consultate su tali rapporti e possono trasmettere eventuali osservazioni. In tal caso, le Parti contraenti interessate possono replicare e presentare osservazioni;

­

mediante la procedura di reclami collettivi (parte IV, articolo D della CSE riveduta), che permette alle organizzazioni internazionali di datori di lavoro e lavoratori, alle altre organizzazioni internazionali non governative che beneficiano dello statuto consultivo presso il Consiglio d'Europa e alle orga-

4864

nizzazioni nazionali rappresentative di datori di lavoro e lavoratori di rivolgersi al CEDS se ritengono che la CSE non sia rispettata. Questa seconda procedura, prevista dal Protocollo addizionale del 1995, è facoltativa e, finora, solo 15 Stati l'hanno accettata. L'approvazione di tale procedura espone tuttavia al rischio di azioni popolari, estranee al nostro ordinamento giuridico. Proponiamo quindi, nel caso di una ratifica della CSE riveduta, di rinunciare a notificare l'accettazione, da parte della Svizzera, di un controllo del rispetto dei propri obblighi secondo il Protocollo addizionale che pre-vede il sistema dei reclami collettivi.

In entrambi i casi, il CEDS è competente per valutare se il diritto è stato rispettato e le sue conclusioni o decisioni vengono rese pubbliche. Se il CEDS ritiene che una situazione sia contraria alla CSE, lo Stato Parte interessato è tenuto a regolarizzare la situazione in modo adeguato. Nell'ambito della procedura di rapporti nazionali, le conclusioni del CEDS sono emesse al termine di un dialogo pragmatico che può essere concretizzato, su richiesta degli Stati Parte o del CEDS, mediante scambi di opinioni durante i quali si discute in merito alle situazioni e alle possibilità nazionali nonché agli argomenti giuridici. Il CEDS si assicura costantemente che l'applicazione delle disposizioni della CSE non rischi di insidiare tradizioni nazionali collaudate, in particolare quando in generale uno Stato dispone di un sistema sociale efficiente. Solo in casi eccezionali al CEDS sembra impossibile conciliare le tradizioni nazionali e le disposizioni della CSE.

Questo aspetto di discussione distingue la procedura davanti al CEDS da quella che ha luogo davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale, essendo un tribunale, decide dopo l'esame in contraddittorio della causa.

Il dialogo che la Svizzera avvierebbe con il CEDS dopo la ratifica, se del caso, si avvicinerebbe piuttosto a quello costruttivo che conduce con gli organi di controllo dei trattati delle Nazioni Unite relativi ai diritti dell'uomo che ha già ratificato. Il CEDS attribuisce un'importanza fondamentale al principio di sussidiarietà e alle tradizioni nazionali. Partendo dal presupposto che gli Stati sono i soggetti nella posizione migliore per attuare i diritti economici e sociali, il CEDS interviene con una conclusione di non conformità soltanto se tale attuazione è lacunosa in misura inaccettabile rispetto agli standard previsti.

7.2

Il Comitato governativo e il Comitato dei ministri

Il Comitato governativo della Carta sociale europea e del Codice europeo di sicurezza sociale del 16 aprile 19647, che interviene in seguito al CEDS, ha il mandato di preparare le susseguenti decisioni del Comitato dei ministri. È composto da rappresentanti degli Stati Parte della CSE.

Il Comitato governativo si riunisce due volte l'anno. Esso seleziona, in base a considerazioni di politica sociale ed economica, le situazioni di non conformità che a suo avviso dovrebbero essere oggetto di raccomandazioni del Comitato dei ministri. Il Comitato governativo non può né tornare sulla valutazione giuridica del CEDS in merito al rispetto degli obblighi che scaturiscono dalla CSE né fornire una propria interpretazione della portata della CSE. È tuttavia prevista una discussione con gli 7

RS 0.831.104

4865

Stati interessati, i quali, in occasione delle due riunioni annuali, possono spiegare i motivi della non conformità del loro diritto o della loro prassi dal punto di vista sociale, politico o economico. Se necessario, magari perché nelle sue conclusioni negative di non conformità il CEDS ha interpretato male una legislazione nazionale, gli Stati possono anche apportare chiarimenti giuridici che, all'occorrenza, saranno presi in considerazione dal Comitato governativo e trasmessi al CEDS in vista delle prossime conclusioni. Gli Stati Parte forniscono infine informazioni sulle misure che intendono adottare o che hanno già adottato per rimediare alle situazioni di non conformità. Se queste misure sono considerate insufficienti, il Comitato governativo può emanare un avviso prima di decidere di trasmettere il fascicolo al Comitato dei ministri per raccomandazione.

In tal caso, in base al rapporto del Comitato governativo e dopo aver sentito gli Stati interessati sui motivi per i quali l'esecuzione non è (ancora) stata possibile, il Comitato dei ministri può adottare, a maggioranza dei due terzi, raccomandazioni che invitano tali Stati a tenere conto delle conclusioni negative del CEDS e a fornire informazioni sulle misure che intendono adottare per conformarsi alla CSE. Le raccomandazioni del Comitato dei ministri nell'ambito della procedura di rapporti nazionali sono molto rare. Ve ne sono state tre tra il 2000 e il 2010 e nessuna tra il 2010 e il 2013.

Pur avendo una valenza politica, le raccomandazioni del Comitato dei ministri non sono giuridicamente vincolanti. Per quanto riguarda la messa in conformità, gli Stati dispongono di un ampio margine discrezionale e di una libertà quasi totale nella scelta delle modalità.

Il sistema della CSE si distingue quindi da quello della CEDU anche a livello dell'esecuzione. Lo Stato convenuto riconosciuto colpevole di una violazione della CEDU è giuridicamente tenuto a conformarsi alla decisione della Corte: i Delegati dei ministri, che vigilano sull'esecuzione delle decisioni della Corte, dispongono di un intero arsenale di misure per indurlo a farlo.

7.3

L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa

L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa organizza dibattiti periodici su temi di politica sociale selezionati in base alle conclusioni del CEDS, al rapporto del Comitato governativo e alle risoluzioni del Comitato dei ministri.

7.4

Conclusione

Conformemente al principio di sussidiarietà, spetta agli Stati Parte attuare le disposizioni della CSE che hanno accettato. Essi sono pertanto invitati ad agire a monte per tenere conto della CSE nell'ambito dell'elaborazione o dell'attuazione della legislazione nazionale o nel quadro del loro sistema giurisdizionale.

Gli Stati hanno la responsabilità di tenere conto delle conclusioni del CEDS e di adottare misure adeguate alla loro situazione nazionale nonché corrispondenti alle loro possibilità per rimediare alle carenze identificate dal CEDS. Se non lo fanno o

4866

se tardano a farlo, l'estremo rimedio di cui dispone il Consiglio d'Europa è la raccomandazione politica e non giuridicamente vincolante del Comitato dei ministri, uno strumento utilizzato solo in circostanze eccezionali.

8

Analisi di conformità tra il diritto svizzero e la Carta sociale europea riveduta

8.1

Gli articoli del nocciolo duro

8.1.1

Il dialogo con il Comitato europeo dei diritti sociali

Il Dipartimento federale degli affari esteri, rappresentato dalla Direzione del diritto internazionale pubblico (DDIP), e gli Uffici federali direttamente interessati ­ Ufficio federale di giustizia (UFG), Segreteria di Stato dell'economia (SECO), Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS), Segreteria di Stato della formazione, della ricerca e dell'innovazione (SEFRI) ­ hanno avviato un dialogo preliminare con il CEDS per chiarire i punti in sospeso relativi agli articoli del nocciolo duro che la Svizzera potrebbe accettare. L'obiettivo era duplice: da un lato, informare il CEDS sui sistemi e sulla legislazione svizzeri, in particolare su quelli specifici ed efficaci come il sistema di formazione professionale di base duale; dall'altro, discutere e valutare il margine di flessibilità con cui il CEDS potrebbe valutare certe situazioni svizzere in caso di ratifica. Per quanto riguarda il sistema svizzero di formazione professionale di base duale, questo scambio di opinioni è sfociato in un accordo sulla sua valutazione da parte del CEDS in relazione alla CSE (cfr. n. 8.1.2, ad art. 7 par. 4 e 5). I rapporti di questi incontri bilaterali sono pubblicati sul sito Internet del Consiglio d'Europa8.

In generale, il CEDS ha spiegato che, negli ultimi anni, mediante cosiddette «osservazioni interpretative» ha allentato la sua prassi e modificato gli standard seguiti in precedenza, in particolare eliminando la «mannaia delle cifre» in modo da tenere conto delle realtà e dei vincoli economici nei Paesi esaminati. Il CEDS mira ora a una valutazione nazionale complessiva, che tenga conto di tutti gli elementi in presenza.

Nel 2011 è stata formulata un'osservazione interpretativa in merito al limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva. L'approccio del CEDS in proposito è mutato e ora tiene conto, caso per caso, delle situazioni nazionali nel loro complesso. Questa prassi più flessibile ha permesso al CEDS di giudicare favorevolmente la situazione svizzera nella sua valutazione preliminare nell'ambito dello scambio bilaterale di opinioni (per maggiori dettagli cfr. n. 8.1.2).

8

www.coe.int > Diritti umani > Carta sociale europea > (soltanto in francese) Activités > Séminaires/Evènements > 2013 > 9 septembre 2013; Berne, Suisse; Rapport issu de la rencontre bilatérale

4867

8.1.2 Art. 1

Commento alle disposizioni Diritto al lavoro

Analisi di conformità Il «diritto al lavoro» non costituisce un diritto individuale su cui basare una garanzia d'impiego da parte dello Stato. Significa unicamente che ogni persona deve avere la possibilità di guadagnarsi la vita e di vivere dignitosamente grazie ai frutti del proprio lavoro.

Tra gli scopi sociali che la Confederazione e i Cantoni s'impegnano a perseguire, l'articolo 41 capoverso 1 lettera d della Costituzione federale (Cost.)9 menziona il fatto che «le persone abili al lavoro possano provvedere al proprio sostentamento con un lavoro a condizioni adeguate». Il diritto al lavoro figura anche nell'articolo 6 del Patto I dell'ONU.

Art. 1 par. 1 Ai sensi del paragrafo 1, gli Stati riconoscono, tra i loro principali obiettivi e responsabilità, la realizzazione e il mantenimento del livello più elevato e più stabile possibile dell'impiego in vista della realizzazione del pieno impiego. Si tratta piuttosto dell'obbligo di impiegare ogni mezzo utile più che dell'obbligo di conseguire un obiettivo. Gli individui non possono far valere, nei confronti dello Stato, un diritto soggettivo all'ottenimento di un posto di lavoro. Sono rari i casi in cui il CEDS ha ritenuto che una situazione statale non fosse conforme alla CSE su questo punto.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 1 par. 2 Il paragrafo 2 obbliga gli Stati a tutelare in modo efficace il diritto del lavoratore di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente intrapreso.

L'articolo 1 paragrafo 2 tratta della questione del lavoro forzato o obbligatorio, che è vietato in tutte la sue forme. La definizione del lavoro forzato o obbligatorio si ispira all'articolo 4 CEDU e alla Convenzione n. 29 concernente il lavoro forzato o obbligatorio dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

Il divieto di lavoro forzato o obbligatorio può essere violato per esempio se l'accettazione di un impiego rappresenta la condizione per mantenere le indennità di disoccupazione, e nei casi gravi, l'obbligo di accettare l'offerta d'impiego è molto forte. Secondo il CEDS il diritto a un lavoro svolto liberamente implica che, durante un ragionevole periodo iniziale, chi presenta una domanda d'impiego possa rifiutare offerte che non corrispondono alle sue qualifiche e alla sua esperienza senza il rischio di una soppressione delle prestazioni di disoccupazione (Conclusioni 2004, Cipro, pag. 99­100)10.

9 10

RS 101 Si noti che la tecnica di sicurezza sociale e le condizioni di versamento delle prestazioni di disoccupazione sono valutate dal CEDS nel contesto dell'articolo 12 CSE (par. 1 per il diritto esistente o par. 3 se si tratta di una nuova legislazione) qualora e nella misura in cui lo Stato in causa abbia accettato integralmente o in parte questa disposizione.

4868

Questo problema non si pone nel diritto svizzero. L'articolo 16 della legge del 25 giugno 198211 sull'assicurazione contro la disoccupazione (LADI) stabilisce infatti che il disoccupato può rifiutare un lavoro che non corrisponde alla sua professione e alle sue qualifiche senza perdere il diritto alle prestazioni di disoccupazione.

Bisogna altresì rilevare che la Svizzera ha ratificato la Convenzione n. 29 dell'OIL.

Dal paragrafo 2 dell'articolo 1 e dal divieto di lavoro forzato o obbligatorio, il CEDS desume anche che un servizio civile sostitutivo può avere una durata di 1,5 volte superiore a quella del servizio militare (Conclusioni XVI-1, tomo 2, Polonia), mentre una durata di 24 mesi, pari al doppio di quella del servizio militare, è considerata una restrizione sproporzionata del diritto del lavoratore di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente intrapreso (Conclusioni 2002, Romania). In base all'interpretazione del CEDS, il diritto svizzero vigente è conforme a questo requisito dell'articolo 1 paragrafo 2.

Inoltre il CEDS interpreta l'articolo 1 paragrafo 2 CSE (in combinato disposto con l'articolo E Parte V CSE riveduta: «non discriminazione») come richiesta agli Stati di vietare in diritto qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, sul lavoro. Le disposizioni e gli atti discriminatori vietati sono quelli che possono intervenire al momento dell'assunzione e a livello di condizioni di lavoro in generale (principalmente: retribuzione, formazione, promozione, mutazione, disdetta e altre azioni pregiudizievoli). Il CEDS ritiene che, per essere in conformità con l'articolo 1 paragrafo 2, gli Stati debbano adottare misure di carattere giuridico atte a garantire l'efficacia del divieto di discriminazione. Queste misure devono prevedere almeno che:

11

­

ogni disposizione contraria al principio di non discriminazione che figura nei contratti collettivi di lavoro, nei contratti individuali di lavoro e nei regolamenti interni delle imprese possa essere dichiarata nulla o sia eliminata, ritirata, abrogata o modificata;

­

siano previste procedure di ricorso adeguate ed efficaci in caso di asserita discriminazione;

­

sia organizzata una protezione dalla disdetta del rapporto di lavoro o da altre misure di rappresaglia da parte del datore di lavoro contro i lavoratori che presentano una denuncia o intentano un'azione giudiziaria;

­

in caso di violazione del divieto di discriminazione siano previste sanzioni sufficientemente dissuasive per il datore di lavoro come pure una riparazione sufficiente e proporzionata al danno subito dalla vittima (Conclusioni XVI-1, tomo 2, Lussemburgo). Se il diritto nazionale non contempla la reintegrazione della vittima licenziata, la compensazione da sola deve permettere di riparare in modo sufficiente e proporzionato al danno subito (Conclusioni XVI-1, tomo 1, Belgio). Fino al 2011, il CEDS valutava con riserva l'imposizione di un limite massimo prestabilito per la relativa indennità, ritenendo che ciò potesse talvolta tradursi in indennità non proporzionate al danno subito e non abbastanza dissuasive per il datore di lavoro (Conclusioni XVII-2, tomo 1, Belgio; Conclusioni 2008, tomo 1, Finlandia). In un'osservazione interpretativa formulata nel 2011, il CEDS ha mitigato la sua posizione relativa al limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva, ritenendo che, in presenza di una tale limitazione delle indennità per RS 837.0

4869

i danni materiali, la vittima deve anche poter reclamare un risarcimento del danno morale attraverso altre vie giuridiche (Introduzione generale alle conclusioni 2011, gennaio 2012, osservazione interpretativa n. 17, pag. 10). In base ai chiarimenti forniti dal CEDS nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere, la presenza di un limite massimo non comporta più, di per sé, una conclusione di non conformità. La situazione deve essere considerata nel complesso, caso per caso, in base alle peculiarità nazionali. Il CEDS prende in considerazione, oltre al limite massimo, le vie complementari per ottenere una compensazione del danno, ad esempio la possibilità di ottenere un risarcimento complementare per discriminazione o la possibilità di avviare parallelamente una procedura penale12.

Questo allentamento della prassi è stato adottato all'unanimità dai membri del CEDS, il che rappresenta una garanzia di stabilità per il futuro.

Il diritto svizzero dovrebbe in linea di principio soddisfare le prime tre condizioni enumerate sopra.

La recente prassi del CEDS esige un adeguamento dell'onere della prova, in quanto quest'ultimo non dovrebbe essere unicamente a carico di chi fa valere un diritto (Conclusioni 2012, Bosnia e Erzegovina, pag. 6; Conclusioni 2012 Azerbaigian, pag. 6). Nel diritto svizzero la prova della lesione della personalità deve essere fornita dal lavoratore. Questa regola è tuttavia soggetta a diversi adeguamenti.

Innanzitutto, in materia di protezione della personalità, l'attore deve unicamente provare una lesione della sua personalità. Poiché questa lesione è ritenuta illecita, è la parte avversa che deve provare che la lesione è giustificata. Inoltre, in materia di licenziamento discriminatorio, la giurisprudenza tiene conto della difficoltà di provare il motivo e il suo carattere causale, che sono elementi soggettivi. Non esige per contro di stabilire la certezza, ma è sufficiente un'elevata verosimiglianza. Il lavoratore può anche, per mezzo di indizi, dimostrare che il motivo addotto dal datore di lavoro non è reale, il che è sufficiente per presumere il carattere discriminatorio e abusivo del licenziamento. Da ultimo, le controversie derivanti dal diritto del lavoro fino a 30 000 franchi soggiacciono a una procedura semplificata retta dalla massima inquisitoria sociale (art. 247
cpv. 2 lett. b n. 2 del Codice di procedura civile, CPC13). Il tribunale deve aiutare la parte debole a presentare i suoi argomenti e a produrre i mezzi di prova, in modo che gli effetti dell'onere della prova siano attenuati. Nella procedura semplificata, i fatti e i mezzi di prova nuovi sono inoltre ammessi durante tutta la procedura (art. 229 cpv. 3 CPC). Ci sono dunque buone ragioni per pensare che il regime dell'onere della prova così come è previsto nel diritto svizzero dovrebbe soddisfare le esigenze della prassi del CEDS.

Per quanto riguarda il divieto nella legislazione della discriminazione sul lavoro, il diritto svizzero per principio non dovrebbe porre problemi di conformità con l'articolo 1 paragrafo 2 CSE neppure in questo settore. Nel diritto svizzero del lavoro la parità di trattamento è garantita sulla base della protezione della personalità 12

13

In merito all'interpretazione del CEDS, cfr. il «rapporto dettagliato dell'incontro tra una delegazione della Svizzera e il Comitato europeo dei diritti sociali, Strasburgo martedì 22 maggio 2012», n. 2, pag. 7, pubblicato sul sito Internet del Consiglio d'Europa quale allegato al rapporto dell'incontro bilaterale del 9 settembre 2013, sotto www.coe.int > Diritti umani > Carta sociale europea > (soltanto in francese) Activités > Séminaires/Evènements > 2013 > 9 septembre 2013; Berne, Suisse; Rapport issu de la rencontre bilatérale.

RS 272

4870

quando singoli lavoratori sono esclusi da vantaggi che vengono invece concessi alla maggioranza. Una discriminazione fondata sulla razza, sulla religione o su altre caratteristiche personali non è espressamente vietata nella legge, ma può costituire una lesione della personalità e dar luogo a un indennizzo. Questa regola non si limita a priori a una discriminazione diretta e potrebbe coprire anche casi di discriminazione indiretta come richiesto dal CEDS.

La quarta condizione era uno dei punti in sospeso discussi nell'ambito del dialogo tra le autorità svizzere e il CEDS. La situazione attuale del diritto svizzero si presenta come segue: il diritto svizzero non prevede, in generale, la reintegrazione in caso di disdetta abusiva. Ad eccezione di alcune legislazioni particolari, come la legge del 24 marzo 200014 sul personale federale (LPers) riveduta (entrata in vigore delle nuove disposizioni 1° gennaio 2014), la quale stabilisce nell'articolo 34c (reintegrazione dell'impiegato) che il datore di lavoro deve consentire all'impiegato di riprendere il lavoro svolto in precedenza se l'autorità di ricorso ha accolto il ricorso contro una decisione concernente la disdetta del rapporto di lavoro, ad esempio perché la disdetta era abusiva in virtù dell'articolo 336 del Codice della obbligazioni15 (CO), che include il licenziamento discriminatorio (art. 336 cpv. 1 lett. a CO), o era motivata dal fatto che l'impiegato, in buona fede, aveva denunciato un'infrazione (whistleblowing).

In virtù dell'articolo 336a CO, l'indennità in caso di disdetta abusiva del contratto di lavoro non può superare l'equivalente di sei mesi di salario; il risarcimento del danno morale è incluso in questa indennità, salvo in situazioni eccezionali in cui l'indennità di sei mesi al massimo non basta per risarcire il danno morale; può tuttavia essere concesso un risarcimento complementare per altri elementi oltre alla disdetta abusiva, ad esempio in caso di lesione della personalità risultante da comportamenti degradanti o umilianti o da informazioni false e disonoranti: «Sono salvi i diritti al risarcimento del danno per altri titoli giuridici» (art. 336a cpv. 2 CO).

Nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere, il CEDS, a cui è stata esposta la situazione del diritto svizzero vigente, ha concluso che, in base ai criteri
della sua nuova prassi, è sufficiente non chiudere le porte a un risarcimento complementare per torto morale.

Nell'ambito del suo nuovo approccio, con cui valuta la situazione nazionale nel complesso tenendo conto di tutti gli elementi esistenti, il CEDS non può inoltre ignorare che, nel confronto internazionale, le condizioni di lavoro in Svizzera sono molto favorevoli16.

Art. 1 par. 3 Il paragrafo 3 mira a istituire o a mantenere servizi gratuiti in materia di occupazione per tutti i lavoratori. Secondo il CEDS, questi servizi devono essere gratuiti anche per i datori di lavoro.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

14 15 16

RS 172.220.1 RS 220 Cfr. in proposito lo studio «Human Capital Report» del World Economic Forum (WEF) pubblicato all'inizio di ottobre 2013, che esamina 122 Paesi in base a circa 50 indicatori giungendo alla conclusione che la Svizzera offre le migliori condizioni di lavoro al mondo.

4871

Art. 1 par. 4 In virtù del paragrafo 4, gli Stati assicurano o favoriscono un orientamento, una formazione e un riadattamento professionale adeguati.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Conclusione Il diritto svizzero vigente è conforme ai paragrafi 1, 3 e 4 dell'articolo 1.

Il diritto svizzero vigente dovrebbe essere conforme anche al paragrafo 2 dell'articolo 1. La valutazione preliminare della situazione svizzera da parte del CEDS circa il limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva è positiva. Grazie al recente allentamento della prassi del CEDS, per quanto riguarda il limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva, per principio l'ordinamento giuridico svizzero è conforme alla CSE. Vi sono inoltre buoni motivi per ritenere che il regime svizzero sia conforme per quanto concerne l'adeguamento dell'onere della prova. Il divieto di discriminare sembra corrispondere alle altre condizioni poste dal CEDS.

Art. 5 Art. 6

Diritti sindacali Diritto di negoziazione collettiva

Analisi di conformità Gli articoli 5 e 6 sono trattati congiuntamente poiché formano un'entità indissociabile.

La maggioranza della dottrina riconosce che la libertà d'associazione e la libertà sindacale sancite negli articoli 23 e 28 Cost. soddisfano i requisiti della CSE.

L'articolo 28 capoverso 3 Cost. riconosce la «liceità» dello sciopero. La libertà d'associazione è inoltre garantita dall'articolo 11 CEDU, dalla Convenzione n. 87 del 9 luglio 194817 concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale nonché dall'articolo 8 del Patto I dell'ONU e dall'articolo 22 del Patto internazionale del 16 dicembre 196618 relativo ai diritti civili e politici (Patto II dell'ONU), tutti ratificati dalla Svizzera.

Le garanzie degli articoli 23 e 28 Cost. possono essere limitate dalla legge nel rispetto del principio di proporzionalità (art. 36 Cost.). In particolare, la legge può vietare lo sciopero a determinate categorie di persone (art. 28 cpv. 4 Cost.). Una limitazione o un'esclusione dello sciopero deve tuttavia basarsi su un interesse pubblico preponderante, come quello di assicurare l'approvvigionamento di beni o servizi indispensabili. Una restrizione non deve inoltre compromettere l'essenza dei diritti fondamentali (art. 36 cpv. 4 Cost.).

Art. 5 In virtù dell'articolo 5, gli Stati Parte s'impegnano affinché la loro legislazione non pregiudichi né sia applicata in modo da pregiudicare la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni per la protezione dei loro interessi eco17 18

RS 0.822.719.7 RS 0.103.2

4872

nomici e sociali e di aderire a queste organizzazioni. Come rilevato sopra, il diritto svizzero garantisce questa libertà.

In alcune conclusioni isolate della prassi precedente il CEDS ha ritenuto che, in virtù dell'articolo 5, in caso di violazione della protezione contro la disdetta discriminatoria del rapporto di lavoro il diritto nazionale doveva prevedere una sanzione sufficientemente dissuasiva per il datore di lavoro e riparatrice per il lavoratore, il che non era compatibile con un limite massimo prestabilito per le indennità (Conclusioni XVIII-I 2006, tomo I, Belgio).

Come rilevato sopra in relazione all'articolo 1 paragrafo 2, alla fine del 2011 il CEDS ha mitigato la sua posizione relativa al limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva. La nuova prassi è applicabile anche alle indennità in caso di disdetta discriminatoria nel quadro dell'articolo 5. Nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere, il CEDS, a cui è stata esposta la situazione del diritto svizzero vigente, ha concluso che, in base ai criteri della sua nuova prassi, è sufficiente non chiudere le porte a un risarcimento complementare per torto morale. A queste condizioni si può pertanto concludere che, su questo punto, il diritto svizzero vigente dovrebbe per principio essere conforme all'articolo 5.

Art. 6 par. 1 Il paragrafo 1 stabilisce che, per garantire l'effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, gli Stati Parte s'impegnano a favorire consultazioni paritetiche tra lavoratori e datori di lavoro. Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 6 par. 2 Il paragrafo 2 riguarda le procedure di negoziazione volontaria tra i datori di lavoro e le organizzazioni di datori di lavoro da un lato e le organizzazioni di lavoratori d'altro lato, per disciplinare le condizioni di lavoro mediante convenzioni collettive.

Gli Stati s'impegnano a promuovere tali procedure di negoziazione qualora ciò sia necessario e utile. Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 6 par. 3 Il paragrafo 3 invita gli Stati Parte a favorire l'istituzione e l'utilizzazione di procedure di conciliazione e di arbitrato volontario per la soluzione delle vertenze di lavoro. Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto
svizzero.

Art. 6 par. 4 Il paragrafo 4 ha suscitato difficoltà in passato ed è quello che ha occupato maggiormente le discussioni parlamentari dal 1983, quando il Consiglio federale aveva sottoposto alle Camere il messaggio concernente la ratifica della CSE. Nel frattempo sono tuttavia intervenute evoluzioni importanti, che modificano notevolmente l'analisi di conformità del paragrafo 4, in particolare l'iscrizione del diritto di sciopero nell'articolo 28 Cost.

4873

In virtù del paragrafo 4, gli Stati riconoscono il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro di intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d'interesse, compreso il diritto di sciopero. Tale diritto è riconosciuto anche ai funzionari (cfr. p. es. Conclusioni XV-1, tomo 1, Danimarca, pag. 164).

Come rilevato sopra, la Costituzione federale riconosce la liceità dello sciopero se sono adempiute le condizioni richieste. Anche tutti i Cantoni e i Comuni la riconoscono, ad eccezione di due Cantoni, che vietano lo sciopero per il personale della funzione pubblica (cfr. n. 10.1). La Costituzione federale permette di vietare lo sciopero solo a tre condizioni. Il divieto deve innanzitutto figurare nella legge. Deve poi essere giustificato da un motivo di ordine pubblico (e non solo d'interesse pubblico). Deve infine rispettare il principio della proporzionalità, e cioè deve essere adatto per raggiungere lo scopo di ordine pubblico perseguito e non devono sussistere altre misure alternative. Alla luce della Costituzione federale, il legislatore cantonale non può quindi vietare lo sciopero in generale per la totalità degli agenti dello Stato.

In merito ai contratti collettivi di lavoro, essi possono prevedere la pace assoluta del lavoro senza tuttavia contravvenire all'articolo 6 paragrafo 4 della Carta. Con questa disposizione, infatti, vengono fatti espressamente salvi gli obblighi che potrebbero risultare da contratti collettivi in vigore per quanto riguarda il diritto di intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d'interesse.

Per quanto riguarda il principio del diritto di sciopero, sembra quindi che nel complesso il diritto svizzero sia ormai conforme ai requisiti della CSE. Il fatto che due regolamentazioni cantonali non siano ancora conformi ai requisiti della Costituzione federale e vietino in generale lo sciopero ai loro funzionari non costituisce un motivo per rinunciare alla ratifica della CSE. Queste regolamentazioni cantonali dovranno essere adeguate, indipendentemente dalla questione della ratifica della CSE.

Secondo le conclusioni del CEDS relative all'articolo 6 paragrafo 4, lo sciopero deve inoltre avere un effetto sospensivo sul contratto di lavoro e la disdetta del rapporto di lavoro a causa dello sciopero deve essere vietata in modo sufficientemente dissuasivo
(Conclusioni XVIII-1, tomo 1, Belgio). I lavoratori scioperanti licenziati illegalmente devono poter essere reintegrati o, se ciò non è possibile, ricevere un'indennità. Questa indennità deve essere sufficientemente riparatrice per il lavoratore e dissuasiva per il datore di lavoro (Conclusioni 2006, tomo 2, Slovenia).

Nel diritto svizzero, la giurisprudenza del Tribunale federale riconosce che gli obblighi principali del contratto di lavoro sono sospesi durante gli scioperi (DTF 125 III 277 consid. 3c). I lavoratori che si avvalgono del diritto di sciopero (art. 28 cpv. 3 Cost.) sono protetti contro la disdetta del rapporto di lavoro (art. 336 segg. CO). Una disdetta di questo tipo è infatti considerata abusiva (art. 336 cpv. 1 lett. b o 336 cpv. 2 lett. a CO per i membri di un sindacato). Le disdette abusive sono sanzionate con un'indennità stabilita dal giudice che, secondo il diritto vigente, non può superare il limite di sei mesi di salario fissato dalla legge.

Come rilevato sopra a proposito dell'articolo 1 paragrafo 2, alla fine del 2011 il CEDS ha mitigato la sua posizione relativa al limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva. La nuova prassi si estende anche alle indennità in caso di disdetta del rapporto di lavoro per sciopero in applicazione dell'articolo 6 paragrafo 4. Nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere, il CEDS, a cui è stata esposta la situazione del diritto svizzero vigente, ha concluso che in base ai criteri della sua 4874

nuova prassi è sufficiente non chiudere le porte a un risarcimento complementare per torto morale. A queste condizioni si può pertanto concludere che, su questo punto, il diritto svizzero vigente dovrebbe per principio essere conforme ai requisiti derivanti dall'articolo 6.

Conclusione La valutazione preliminare della situazione svizzera da parte del CEDS per quanto riguarda il limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva è positiva. Si può pertanto concludere che, per principio, il diritto svizzero vigente è conforme ai requisiti derivanti dall'interpretazione degli articoli 5 e 6.

Quanto al divieto generale di sciopero per i funzionari previsto dalle legislazioni di due Cantoni, esso non costituisce un ostacolo alla ratifica della CSE da parte della Svizzera. Infatti, siccome non soddisfano i requisiti della Costituzione federale, queste legislazioni cantonali non possono più essere applicate, indipendentemente da un'eventuale ratifica della CSE.

In conclusione, complessivamente il diritto svizzero vigente è per principio conforme agli articoli 5 e 6 CSE.

Art. 7

Diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela

L'articolo 7 riguarda la tutela dei bambini e degli adolescenti sul lavoro durante l'età scolastica. I paragrafi 1­9 disciplinano la tutela dei bambini e degli adolescenti contro i pericoli della vita professionale. Il paragrafo 10 esige garanzie di protezione contro pericoli non necessariamente legati al lavoro.

Analisi di conformità Art. 7 par. 1 Età minima di ammissione al lavoro in generale Conformemente al paragrafo 1, l'età minima di ammissione al lavoro (un lavoro regolare permanente) dovrebbe essere fissata a 15 anni. Lo scopo principale di questa disposizione, che va letta in combinato disposto con il paragrafo 3, è di tutelare il diritto all'istruzione dei bambini ancora in età d'istruzione obbligatoria.

Secondo la prassi del CEDS, l'età minima vale per tutti i settori economici, compresa l'agricoltura, e tutti i tipi d'impresa, comprese le imprese familiari e le economie domestiche private.

Il paragrafo 1 dell'articolo 7 ammette tuttavia una deroga: permette ai minori di 15 anni di svolgere lavori leggeri, che non mettono a repentaglio la loro salute, la loro moralità e la loro istruzione. Il CEDS esige che i tipi di compiti che costituiscono lavori cosiddetti leggeri siano precisati dal legislatore (Conclusioni 2006, tomo 1, Cipro).

L'ordinamento giuridico e la prassi della Svizzera sono in linea con questi requisiti.

L'articolo 30 della legge del 13 marzo 196419 sul lavoro (LL) vieta di occupare giovani che non hanno ancora compiuto i 15 anni. I giovani di oltre 13 anni possono essere incaricati di eseguire lavori leggeri alle condizioni stabilite dall'ordinanza del 19

RS 822.11

4875

28 settembre 200720 sulla protezione dei giovani lavoratori (OLL 5; cfr. art. 30 cpv. 2 lett. a LL e 8 OLL 5).

Situazione nelle imprese familiari Vi era un punto in sospeso riguardante i giovani che lavorano in imprese esclusivamente familiari che non occupano contemporaneamente altri lavoratori. Questi giovani non sono infatti protetti dalla legge sul lavoro né, di conseguenza, dalla prescrizione sull'età minima (art. 3 cpv. 2 OLL 5). L'ipotesi di giovani di età inferiore ai 15 anni occupati in modo regolare e permanente dall'impresa di famiglia è tuttavia essenzialmente teorica. Con il sistema scolastico svizzero attuale, in generale i giovani terminano la scuola dell'obbligo tra i 15 e i 16 anni. In base al Concordato HarmoS, entrato in vigore nel 2009 e ratificato finora da 15 Cantoni, la durata della scuola dell'obbligo è infatti di 11 anni e i bambini sono scolarizzati tra i quattro e i cinque anni.

Benché possano presentarsi situazioni in cui giovani di età inferiore ai 15 anni siano prosciolti dall'obbligo scolastico, l'autorizzazione individuale di occupazione che può accordare l'autorità cantonale può riguardare unicamente la formazione professionale di base duale o un programma di promozione delle attività giovanili extrascolastiche (art. 9 OLL 5), che non rientrano nel campo d'applicazione dell'articolo 7 e dei suoi requisiti, conformemente all'accordo raggiunto tra il CEDS e le autorità svizzere nell'ambito del loro dialogo (cfr. ad art. 7 par. 4 e 5).

Situazione nelle aziende agricole familiari Per quanto riguarda le aziende agricole familiari, la questione dell'occupazione regolare e permanente non si pone. Da un lato, l'età minima di ammissione al lavoro è ormai applicabile anche all'agricoltura. Su mandato della SECO, la Fondazione «agriss» è incaricata di controllare il lavoro abusivo di minori e le disposizioni sull'età minima tra i bambini e gli adolescenti che lavorano nell'agricoltura e nell'orticoltura in base alla legge sul lavoro. Dall'altro, i lavori che i giovani di età inferiore ai 15 anni prestano anche regolarmente per aiutare la famiglia rientrano nella categoria dei lavori leggeri ammessi dal CEDS in applicazione dell'articolo 7 paragrafo 1.

Il CEDS, con cui la questione dell'età minima di ammissione al lavoro è stata discussa nell'ambito del dialogo con le
autorità svizzere, ha confermato che non vi è alcun problema nel fatto che un giovane di 14 anni «dia una mano» all'impresa di famiglia durante le vacanze e il tempo libero, a condizione che la sua istruzione obbligatoria non ne risenta21.

La prassi del CEDS va d'altronde verso un allentamento in merito ai lavori leggeri svolti dai giovani durante le vacanze. In un'osservazione interpretativa del dicembre 2011 concernente il periodo di riposo obbligatorio durante le vacanze scolastiche, il CEDS ha infatti rilevato che, ai fini di questo calcolo, bisogna tenere conto di tutti i periodi di vacanza e non solo di quelli estivi (Introduzione generale alle Conclusioni 20 21

RS 822.115 A tale proposito cfr. il «rapporto dettagliato dell'incontro tra una delegazione della Svizzera e il Comitato europeo dei diritti sociali, Strasburgo martedì 22 maggio 2012», n. 2, pag. 7­8, pubblicato sul sito Internet del Consiglio d'Europa quale allegato al rapporto dell'incontro bilaterale del 9 settembre 2013, sotto www.coe.int > Diritti umani > Carta sociale europea > (soltanto in francese) Activités > Séminaires/Evènements > 2013 > 9 septembre 2013; Berne, Suisse; Rapport issu de la rencontre bilatérale.

4876

2011, gennaio 2012, osservazione interpretativa n. 7, pag. 5). Il CEDS ha così voluto adottare «un approccio più concreto, che permetterà di valutare in modo giusto ed equilibrato le situazioni e le tradizioni nazionali, che divergono ampiamente».

Più in generale, in merito alla questione dell'età minima di ammissione al lavoro, per il CEDS è stato determinante il fatto che la Svizzera non presenta alcuna difficoltà nell'applicare la Convenzione n. 138 del 26 giugno 197322 concernente l'età minima di ammissione all'impiego, che ha ratificato.

In conclusione, l'articolo 7 paragrafo 1 non solleva alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 7 par. 2 Per alcune occupazioni considerate come pericolose o insalubri, la CSE fissa a 18 anni l'età minima di ammissione al lavoro. Sono possibili deroghe se i lavori pericolosi o insalubri sono essenziali per la formazione professionale del giovane interessato, a condizione tuttavia che sia previsto un inquadramento rigoroso e competente e unicamente per la durata necessaria alla formazione.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero vigente. Anche l'articolo 4 capoverso 1 OLL 5 vieta anche in generale di occupare giovani di età inferiore ai 18 anni per lavori pericolosi. D'intesa con la SECO, la SEFRI può tuttavia prevedere, con ordinanze in materia di formazione, deroghe per i giovani di età superiore ai 15 anni se questi lavori sono indispensabili per raggiungere gli obiettivi della formazione professionale di base (art. 4 cpv. 4 OLL 5). Questa età minima è stata abbassata da 16 a 15 anni con decisione del Consiglio federale del 25 giugno 2014. L'OLL 5 riveduta, che entrerà in vigore il 1° agosto 2014, prevede che le organizzazioni del mondo del lavoro, per le professioni che implicano lo svolgimento di lavori pericolosi, introducano nei piani di formazione misure di accompagnamento concernenti la sicurezza sul lavoro e la protezione della salute.

Queste misure devono essere elaborate dalle organizzazioni del mondo del lavoro e approvate dalla SEFRI entro tre anni dall'entrata in vigore della modifica della OLL 5. I Cantoni verificano e completano le autorizzazioni di formare apprendisti nei due anni successivi. L'età minima di 16 anni attualmente in vigore si applica sino a quando tutte le misure sono
state attuate. Se, alla scadenza dei termini, le misure non sono attuate, gli apprendisti di età inferiore ai 18 anni non potranno più effettuare lavori pericolosi nella formazione professionale di base. La SECO può inoltre accordare deroghe eccezionali individuali se l'esecuzione di lavori pericolosi è indispensabile per raggiungere gli obiettivi della formazione professionale di base (art. 4 cpv. 6 OLL 5). Anche questo è conforme alla prassi del CEDS in materia.

In conclusione, l'articolo 7 paragrafo 2 non solleva alcun problema di conformità con il diritto svizzero. Considerando l'attuale tendenza del CEDS a tenere conto di tutti gli elementi presenti, le misure in materia di salute e di sicurezza degli apprendisti che accompagnano l'abbassamento dell'età di deroga per i lavori pericolosi dovrebbero offrire le necessarie garanzie compatibili con la prassi del CEDS in materia.

22

RS 0.822.723.8

4877

Art. 7 par. 3 Il paragrafo 3 vieta che i bambini ancora in età d'istruzione obbligatoria siano utilizzati per lavori (leggeri) che li privano del pieno beneficio di tale istruzione. Il CEDS ritiene che, nel periodo scolastico, il tempo durante il quale i bambini possono lavorare deve essere limitato in modo tale da non compromettere la frequenza della scuola, la ricettività del bambino e il suo lavoro personale. Autorizzare bambini di età inferiore ai 15 anni, ancora sottoposti all'obbligo scolastico, a distribuire giornali a partire dalle 6 del mattino per due ore al giorno, ad esempio, è contrario alla CSE (Conclusioni 2011, tomo 1, Estonia). Il CEDS ammette lavori di otto ore al giorno durante un periodo che non superi la metà delle vacanze estive. Gli Stati Parte devono prevedere un periodo di riposo ininterrotto obbligatorio durante la totalità delle vacanze scolastiche non inferiore a due settimane23.

Le disposizioni dell'OLL 5 concernenti la durata del lavoro e la durata delle pause dei giovani sottoposti all'obbligo scolastico vanno nella stessa direzione della prassi del CEDS e sembrano sufficientemente restrittive per essere considerate conformi, soprattutto vista l'attuale tendenza del CEDS a tenere conto delle tradizioni nazionali. L'articolo 7 paragrafo 3 non pone quindi alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 7 par. 4 e 5 Questi due paragrafi sono trattati congiuntamente poiché costituivano uno dei punti in sospeso imprescindibili sottoposti alla valutazione preliminare CEDS nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere.

Il paragrafo 4 limita la durata dell'attività lavorativa dei lavoratori di età inferiore ai 18 anni in modo che corrisponda alle loro esigenze di sviluppo e in particolare ai fabbisogni della loro formazione professionale.

Il paragrafo 5 riconosce ai giovani lavoratori e apprendisti il diritto «ad un'equa retribuzione o ad un adeguata indennità». La riduzione della retribuzione dei giovani lavoratori per facilitare l'assunzione può essere ammessa dal CEDS, a condizione che la retribuzione resti accettabile.

La questione della compatibilità di alcuni aspetti del sistema svizzero di formazione professionale di base duale («apprendistato») si è posta in relazione agli standard elaborati dal CEDS in applicazione dei paragrafi 4 e soprattutto 5.
Le differenze tra la situazione in Svizzera e la prassi del CEDS si spiegano con le peculiarità del sistema svizzero di formazione professionale di base duale, che è parte integrante del sistema educativo. L'apprendista si trova in un rapporto di formazione e non in un rapporto di produzione rispetto all'impresa che lo occupa. Il suo salario non è quindi la controprestazione del suo lavoro.

Le autorità svizzere hanno sollevato questi aspetti, ponendoli al centro del dialogo con il CEDS.

Questi scambi di opinioni sono sfociati in un incontro a Berna il 9 settembre 2013 tra una delegazione del CEDS e rappresentanti degli Uffici federali direttamente interessati: la DDIP, la SECO, la SEFRI, l'UFAS e l'UFG. L'obiettivo era di trovare 23

Cfr. ad art. 7 par. 1, Situazione nelle aziende agricole familiari, Introduzione generale alle Conclusioni 2011, gennaio 2012, osservazione interpretativa n. 7, pag. 5.

4878

una procedura per formalizzare e adottare definitivamente l'accordo che si era delineato durante le discussioni precedenti in merito alla valutazione del sistema svizzero di formazione professionale di base duale e della sua compatibilità con la CSE.

La delegazione del CEDS ha riconosciuto espressamente il valore aggiunto del sistema svizzero di formazione professionale di base duale e le sue peculiarità, segnatamente il fatto che privilegia la formazione piuttosto che il lavoro e ha ammesso che è parte integrante del sistema educativo ed è pertanto paragonabile agli altri tipi di formazione scolastica o universitaria. La delegazione del CEDS ha pure ricordato che gli Stati dispongono di un margine di discrezionalità per quanto riguarda le modalità pratiche di attuazione della CSE se i loro sistemi sociali sono efficienti, come in questo caso.

La delegazione del CEDS ha concluso che, pur essendo talvolta denominato «apprendistato», in realtà il sistema svizzero rientra nella categoria della formazione professionale e di conseguenza riguarda l'articolo 10 della CSE (diritto alla formazione professionale) e non l'articolo 7.

Concretamente ciò significa che i punti in sospeso in relazione al sistema di formazione professionale di base duale sono risolti. In caso di ratifica della CSE da parte della Svizzera, questo sistema sarebbe esaminato sotto il profilo dell'articolo 10 paragrafo 2, che non fa parte del nocciolo duro, bensì delle disposizioni supplementari che la Svizzera può accettare (cfr. n. 8.2). Per formalizzare e adottare definitivamente la sua posizione, la delegazione del CEDS l'ha espressa in un rapporto dell'incontro, sottoposto alla sessione plenaria del CEDS tenutasi alla fine di ottobre 2013 a Strasburgo. In plenaria, il CEDS ha avallato il rapporto dell'incontro, confermando che la valutazione del sistema svizzero di formazione professionale di base duale ivi contenuta corrisponde alla sua posizione e sarà valida a lungo termine.

La formalizzazione di questo accordo tra le due parti è stata completata con la pubblicazione del rapporto dell'incontro bilaterale del 9 settembre 2013 sul sito Internet del Consiglio d'Europa24.

Quanto ai giovani lavoratori di età inferiore ai 18 anni che non seguono un apprendistato, la loro situazione non presenta alcun problema dal punto di vista
dell'articolo 7 paragrafi 4 e 5. Come rilevato sopra (cfr. ad par. 1) è raro che un giovane arrivi sul mercato del lavoro al di fuori della formazione professionale di base duale o di un programma occupazionale prima dei 16 anni. La durata media della settimana lavorativa, pari a 41,6 ore, rispettivamente a 40 ore nelle imprese industriali di una certa grandezza nonché nell'ambito dei rapporti di lavoro disciplinati da un contratto collettivo (40,4 ore nei Paesi dell'Unione europea), si avvicina molto allo standard del CEDS (40 ore alla settimana per i giovani di 16 e 17 anni) o è addirittura identica. Nel suo nuovo approccio, che consiste nel considerare tutti gli elementi pertinenti e nel concedere un ampio margine di discrezionalità nell'attuazione della CSE agli Stati con sistemi sociali efficienti, il CEDS terrebbe conto degli standard favorevoli di cui beneficiano i giovani lavoratori in Svizzera in materia di sicurezza sul lavoro e del fatto che il diritto svizzero accorda ai giovani lavoratori di età inferiore ai 18 anni vacanze annuali pagate di durata superiore al minimo prescritto dalla prassi del CEDS (cfr. ad par. 7). Quanto al salario dei giovani lavoratori 24

www.coe.int > Diritti umani > Carta sociale europea > (da qui soltanto in francese) Activités > Séminaires/Evènements > 2013 > 9 septembre 2013; Berne, Suisse; Rapport issu de la rencontre bilatérale.

4879

in Svizzera, esso corrisponde ai requisiti della prassi del CEDS, che, per i giovani di età compresa tra i 16 e i 18 anni, ammette riduzioni fino al 20 per cento rispetto al salario di un lavoratore adulto all'inizio della carriera.

Art. 7 par. 6 Il paragrafo 6 prevede che le ore che gli adolescenti dedicano alla formazione professionale durante il normale orario di lavoro, con l'autorizzazione del datore di lavoro, siano considerate incluse nella giornata lavorativa.

Di per sé, questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero. Come rilevato sopra, la formazione professionale di base duale non sarebbe comunque valutata sotto il profilo dell'articolo 7.

Art. 7 par. 7 Ai sensi del paragrafo 7, gli Stati Parte s'impegnano a fissare in un minimo di quattro settimane la durata delle ferie annuali retribuite dei lavoratori di età inferiore a 18 anni.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero, che supera addirittura i requisiti della CSE, poiché stabilisce un minimo di cinque settimane di vacanza.

Art. 7 par. 8 Il paragrafo 8 esige che sia vietato l'impiego di lavoratori di età inferiore a 18 anni in lavori notturni. È prevista una deroga per alcuni lavori stabiliti dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 7 par. 9 Ai sensi del paragrafo 9, i lavoratori di età inferiore a 18 anni occupati in taluni lavori stabiliti dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale devono essere sottoposti ad un regolare controllo medico.

Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 7 par. 10 Al paragrafo 10, gli Stati Parte s'impegnano ad assicurare una speciale protezione contro i pericoli fisici e morali cui i bambini e gli adolescenti sono esposti, segnatamente contro quelli che risultano in maniera diretta o indiretta dal loro lavoro. Questa disposizione garantisce un diritto alla protezione contro qualsiasi forma di sfruttamento, compreso lo sfruttamento sessuale. Riguarda per esempio la prostituzione, la pornografia, la tratta di esseri umani, l'accattonaggio, lo scippo, l'asservimento, il prelievo di organi o lo sfruttamento domestico. Gli Stati devono non solo vietare qualsiasi forma di sfruttamento,
ma anche prendere le necessarie misure di prevenzione e assistenza ai bambini e agli adolescenti colpiti.

Secondo questo paragrafo, il CEDS chiede che gli Stati Parte adottino un piano di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini.

4880

Nel settembre 2006, la Svizzera ha ratificato il Protocollo facoltativo del 25 maggio 200025 alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo concernente la vendita di fanciulli, la prostituzione infantile e la pedopornografia. Nello stesso anno è stata ampliata e modificata la fattispecie penale della tratta di esseri umani (art. 182 del Codice penale, CP26) e incrementata la pena per la tratta di fanciulli.

Il rapporto del Consiglio federale dal titolo «Strategia per una politica svizzera dell'infanzia e della gioventù», adottato il 27 agosto 2008, ha posto le basi per la futura politica svizzera in materia. Sulla base della Costituzione federale e della Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo, in tale rapporto il Governo svizzero ha definito la politica dell'infanzia e della gioventù come una politica di protezione, promozione e partecipazione. Questa strategia affronta tra l'altro il tema della protezione dei minori dallo sfruttamento sessuale e dagli altri pericoli e violenze di natura fisica, morale e psicologica. Sul piano legislativo, l'ordinanza dell'11 giugno 201027 sui provvedimenti per la protezione dei fanciulli e dei giovani e il rafforzamento dei diritti del fanciullo è in vigore dal 2010. Queste misure devono contribuire a proteggere i fanciulli da ogni forma di violenza e di maltrattamento, comprese le violenze sessuali, oltre che da pericoli legati ai nuovi media. Inoltre, secondo la legge del 30 settembre 201128 sulla promozione delle attività giovanili extrascolastiche (LPAG), entrata in vigore nel 2013, la Confederazione e i Cantoni devono collaborare e informarsi a vicenda sulle attività e gli sviluppi in corso in questi campi. A sostegno di questo scambio di informazioni, l'ordinanza di applicazione della legge prevede la realizzazione di una piattaforma elettronica (operativa dal 2015) che fornisce un elenco sistematico delle misure e degli strumenti, compresi quelli giuridici, esistenti nell'ambito dell'infanzia e della gioventù sul piano cantonale e federale.

Dal 2011 la Svizzera attua il programma nazionale di prevenzione «Giovani e violenza». Questo programma di prevenzione della violenza nella famiglia, nella scuola e nello spazio sociale è sostenuto congiuntamente dalla Confederazione, dai Cantoni, dalle Città e dai Comuni. Un secondo programma
(«Programma nazionale per la protezione dell'infanzia e della gioventù dai rischi dei media e la promozione delle competenze mediali», anch'esso avviato nel 2011, si prefigge innanzitutto di aiutare i fanciulli e gli adolescenti a utilizzare i media in modo sicuro, responsabile e adatto alla loro età. I pericoli legati a Internet, la pornografia, la prostituzione, il grooming, lo stalking e la violenza sono al centro del programma.

La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali (Convenzione di Lanzarote), firmata dalla Svizzera nel giugno 2010, dovrebbe entrare in vigore dopo la sua ratifica il 1° luglio 2014, contemporaneamente alle necessarie modifiche del Codice penale svizzero. Una di queste modifiche permetterà di perseguire penalmente ogni persona che ricorra alle prestazioni sessuali di minori tra i 16 e i 18 anni in cambio di una rimunerazione.

Questa nuova disposizione mira a evitare che bambini o adolescenti si ritrovino invischiati nella prostituzione. Sarà inoltre passibile di pena chiunque istighi un minore alla prostituzione. È prevista una pena detentiva sino a dieci anni per i protettori e i gestori di postriboli o di agenzie di escort che agevolano o incoraggiano la prostituzione per trarne vantaggi patrimoniali.

25 26 27 28

RS 0.107.2 RS 311.0 RS 311.039.1 RS 446.1

4881

Conclusione Il diritto e la prassi svizzeri sono conformi ai paragrafi 1, 3, 6, 7, 8, 9 e 10 dell'articolo 7.

Anche il paragrafo 2 dell'articolo 7 non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero vigente.

I punti in sospeso in applicazione dei paragrafi 4 e 5 dell'articolo 7 relativi al sistema svizzero di formazione professionale di base duale sono stati risolti. In caso di ratifica della CSE da parte della Svizzera, tale sistema sarebbe in effetti esaminato sotto il profilo dell'articolo 10 paragrafo 2. Quanto ai giovani lavoratori di età inferiore ai 18 anni che non seguono un apprendistato, la loro situazione non presenta problemi dal punto di vista dell'articolo 7 paragrafi 4 e 5. Di conseguenza, i paragrafi 4 e 5 non pongono alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 12

Diritto alla sicurezza sociale

Analisi di conformità Art. 12 par. 1 Per essere conforme all'articolo 12 paragrafo 1, il regime di sicurezza sociale deve coprire i rischi tradizionali, essere finanziato collettivamente e proteggere una percentuale significativa della popolazione a livello di cura della salute e prestazioni familiari e una percentuale significativa della popolazione attiva a livello di indennità per malattia, prestazioni di maternità e disoccupazione, pensioni e prestazioni in caso d'infortunio o malattia professionale. Le prestazioni offerte in ogni settore devono inoltre essere di un importo adeguato. Le prestazioni versate in sostituzione del reddito non possono quindi essere inferiori alla soglia di povertà, fissata al 50 per cento del reddito mediano corretto e calcolato in base alla soglia del rischio di povertà di Eurostat.

Per quanto riguarda il regime svizzero, il CEDS potrebbe ritenere che l'assenza di un'assicurazione sociale obbligatoria d'indennità giornaliera in caso di malattia non sia conforme all'articolo 12 paragrafo 1.

Art. 12 par. 2 Per gli Stati che hanno ratificato il Codice europeo di sicurezza sociale, tra i quali figura la Svizzera29, il CEDS esamina la conformità con questo paragrafo tenendo conto delle risoluzioni del Comitato dei ministri relative al Codice. Ai sensi dell'ultima risoluzione sull'applicazione del Codice in Svizzera, il Comitato dei ministri ha constatato che la legislazione e la prassi della Svizzera continuano a rispettare pienamente le parti accettate del Codice.

Art. 12 par. 3 Questo paragrafo obbliga gli Stati a migliorare il loro sistema di sicurezza sociale, ad esempio coprendo nuovi rischi o adeguando il livello delle prestazioni.

Un'evoluzione limitata del regime di sicurezza sociale non è tuttavia automatica29

RS 0.831.104

4882

mente contraria all'articolo 12 paragrafo 3. Dal 1996, il CEDS esamina infatti sistematicamente le riforme dei sistemi di sicurezza sociale per valutare se, malgrado le restrizioni che comportano nella maggior parte dei casi, la loro finalità resta quella di tutelare il sistema di sicurezza sociale. A tale fine tiene conto segnatamente dei seguenti elementi: tenore e motivi delle modifiche, politica sociale ed economica in cui si inscrivono, necessità e adeguatezza della riforma e risultati ottenuti. Le riforme degli ultimi anni e quelle in corso delle nostre leggi sulle assicurazioni sociali sembrano soddisfare questi criteri.

Art. 12 par. 4 La lettera a) prevede la parità di trattamento tra i cittadini di ciascuna delle Parti e i cittadini delle altre Parti per quanto concerne i diritti alla sicurezza sociale. In altri termini, in Svizzera le condizioni di ottenimento delle prestazioni dovrebbero essere le stesse e le prestazioni a cui possono fare ricorso gli Svizzeri fuori dalla Svizzera dovrebbero essere versate anche ai cittadini di Stati Parte della CSE residenti sul territorio di uno Stato Parte della CSE.

La lettera b) prevede che i diritti acquisiti in un regime di sicurezza sociale siano mantenuti in caso di passaggio a un altro regime di sicurezza sociale, se necessario facendo appello alla totalizzazione dei periodi di contribuzione o di lavoro.

La prassi del CEDS concernente il paragrafo 4 è diventata più severa. In passato, il fatto che due Stati Parte alla CSE fossero legati da una convenzione di sicurezza sociale bastava per assicurare la conformità con questa disposizione. Oggi il CEDS esamina il contenuto delle convenzioni, che, per essere conforme al paragrafo 4, deve raggiungere il livello del diritto di coordinamento dell'UE30. In assenza di una convenzione bilaterale o multilaterale sulla sicurezza sociale, lo Stato Parte deve prendere misure unilaterali, legislative o amministrative. Inoltre, l'applicazione del paragrafo 4 non si basa sulla nozione di reciprocità: il CEDS impone agli Stati che hanno accettato questa disposizione di rispettarne i principi anche nei confronti dei cittadini degli Stati che non hanno accettato questo paragrafo.

Alcune delle leggi svizzere sulla sicurezza sociale prevedono divergenze di trattamento tra cittadini svizzeri e stranieri, che non
si applicano tuttavia ai cittadini dei Paesi dell'UE/AELS. Per quanto riguarda gli Stati non appartenenti all'UE/AELS con cui la Svizzera ha concluso convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, queste ultime non accordano diritti equivalenti al diritto di coordinamento dell'UE. Restano infine gli Stati Parte della CSE con i quali la Svizzera non ha concluso una convenzione di sicurezza sociale (Albania, Andorra, Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Russia e Ucraina) e ai cui cittadini la Svizzera dovrebbe accordare i diritti previsti dall'articolo 12 paragrafo 4 se accettasse tale disposizione. Poiché non sono ipotizzabili misure unilaterali individuali per i cittadini di questi Stati, la Svizzera sarebbe sottoposta a una certa pressione per concludere nuove convenzioni. La conclusione di nuove convenzioni presuppone tuttavia un interesse reale dei due Stati. Dipende dal numero di persone interessate, dall'importanza dei flussi migratori, dalle relazioni economiche tra i due Stati e dall'impatto finanziario sui rami 30

Il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale in seno all'UE è retto dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e dai suoi regolamenti di applicazione. La Svizzera partecipa a questo sistema di coordinamento tramite l'Accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l'UE.

4883

assicurativi. Per la maggior parte degli Stati menzionati sopra, attualmente l'esame di questi criteri non porterebbe alla stipula di convenzioni di sicurezza sociale.

Inoltre, sebbene il termine di attesa imposto agli stranieri nel regime delle prestazioni complementari all'AVS/AI non sia di per sé incompatibile con il paragrafo 4 (l'Annesso alla CSE riveduta ammette che uno Stato possa esigere il completamento di un periodo di residenza prima di concedere prestazioni non contributive ai cittadini delle altre Parti), il CEDS valuta la proporzionalità della durata di residenza imposta rispetto all'obiettivo perseguito. Nelle sue Conclusioni 2004 concernenti la Lituania, il CEDS ha ritenuto troppo lunga una durata di cinque anni. Nel regime svizzero delle prestazioni complementari all'AVS/AI, tale durata è di 10 anni.

Conclusione Malgrado alcuni sviluppi favorevoli, come l'introduzione di un congedo maternità pagato a livello federale, il diritto svizzero attuale non corrisponde a tutti i requisiti dell'articolo 12 in base all'interpretazione del CEDS relativa ai paragrafi 1 e 4.

Poiché le disposizioni del nocciolo duro devono poter essere accettate integralmente, l'accettazione dell'articolo 12 non entra pertanto in discussione.

Art. 13

Diritto all'assistenza sociale e medica

Analisi di conformità Art. 13 par. 1 Secondo la prassi del CEDS, il diritto all'assistenza sociale e medica deve essere riconosciuto a tutta la popolazione. Deve essere un vero e proprio diritto individuale stabilito dalla legge e combinato con un diritto di ricorso e deve essere garantita un'assistenza giudiziaria. L'assistenza deve essere «adeguata», ossia deve permettere di condurre una vita dignitosa e di coprire i bisogni essenziali dell'individuo. Il CEDS considera adeguata l'assistenza quando l'importo delle prestazioni di assistenza non è manifestamente inferiore alla soglia di povertà, fissata al 50 per cento del reddito mediano aggiustato e calcolata in base alla soglia di rischio di povertà di Eurostat.

I cittadini degli Stati Parte della CSE che risiedono legalmente o lavorano regolarmente sul territorio di un altro Stato Parte devono beneficiare del diritto a un'assistenza adeguata su un piano di uguaglianza con i cittadini nazionali, indipendentemente da qualsiasi reciprocità. Spetta al diritto nazionale stabilire chi ha il diritto di residenza, ma la durata di soggiorno prima del riconoscimento dello statuto di residente deve rispettare il principio della proporzionalità: una durata di cinque anni di soggiorno per beneficiare dello statuto di residente è stata considerata eccessiva (Conclusioni XVIII-1, tomo 2, Lussemburgo).

In seguito a un'osservazione interpretativa resa con le proprie Conclusioni 2013, il CEDS ha modificato la sua prassi relativa ai migranti in situazione irregolare ed esaminerà d'ora in poi gli obblighi degli Stati Parte nei confronti di questi ultimi nel quadro dell'articolo 13 paragrafo 1 e non più in base al paragrafo 4, che prevede un trattamento egualitario tra i cittadini nazionali e quelli di altri Stati Parte (Introduzione generale alle Conclusioni 2013, gennaio 2014, osservazione interpretativa n. 8, pag. 7). Il CEDS ha ricordato che, in virtù dell'articolo 13 paragrafo 1, è un obbligo degli Stati Parte fare in modo che i migranti stranieri in situazione irregolare sul loro 4884

territorio beneficino di un'assistenza medica d'urgenza e dell'assistenza sociale di base loro necessaria per far fronte a una necessità immediata (ricovero, alimentazione, cure mediche d'urgenza e abbigliamento). Queste condizioni sarebbero adempiute nel diritto svizzero (art. 12 Cost.).

Secondo il CEDS, dall'articolo 13 paragrafo 1 scaturisce che i cittadini degli Stati Parte della CSE che risiedono legalmente sul territorio di un altro Stato Parte non possono essere espulsi per il semplice motivo che hanno bisogno di assistenza. Nel diritto svizzero, conformemente all'articolo 62 capoverso 1 lettera e della legge federale del 16 dicembre 200531 sugli stranieri (LStr), un permesso, eccetto quello di domicilio, può essere revocato se lo straniero o una persona a suo carico dipende dall'aiuto sociale. L'articolo 63 paragrafo 1 lettera c LStr disciplina la revoca del permesso di domicilio in caso di dipendenza dall'aiuto sociale: il permesso di domicilio di uno straniero che soggiorna regolarmente e ininterrottamente da meno di 15 anni in Svizzera può essere revocato se lo straniero o una persona a suo carico dipende dall'aiuto sociale in maniera durevole e considerevole. Sembra che queste disposizioni giuridiche siano incompatibili con l'articolo 13 paragrafo 1 in base all'interpretazione del CEDS.

L'importo delle prestazioni di aiuto sociale accordate in Svizzera ai richiedenti l'asilo e alle persone ammesse provvisoriamente costituirebbe inoltre un altro punto problematico. Il livello di aiuto è inferiore del 20 per cento circa a quello di cui beneficiano abitualmente i cittadini svizzeri (cfr. l'analisi della consultazione tecnica dei Cantoni, n. 10.1). Il CEDS non indica espressamente che i richiedenti l'asilo fanno parte del gruppo di persone di cui all'articolo 13 paragrafo 1, ma ritiene che le persone ammesse provvisoriamente sul territorio di uno Stato Parte siano comprese in tale gruppo. Di conseguenza, per queste persone la differenza nel livello delle prestazioni di aiuto sociale non sarebbe compatibile con l'articolo 13 paragrafo 1.

Per i motivi esposti, il diritto svizzero vigente non è compatibile con l'interpretazione dell'articolo 13 paragrafo 1 da parte del CEDS.

Art. 13 par. 2 Questo paragrafo garantisce il diritto delle persone che beneficiano dell'assistenza di non subire,
per questo motivo, una diminuzione dei loro diritti politici o sociali.

La Svizzera ha ratificato i Patti I e II dell'ONU e si è quindi impegnata a garantire i diritti ivi sanciti a tutti gli individui che si trovano sul suo territorio e rientrano nella sua competenza senza alcuna distinzione, segnatamente basata sul patrimonio. I diritti politici sono garantiti in Svizzera quali diritti fondamentali (art. 34 cpv. 1 Cost.) e non possono essere limitati a causa di una situazione d'indigenza (cfr. art. 8 cpv. 2 e 136 cpv. 1 Cost.).

Il diritto svizzero non dovrebbe quindi porre alcun problema di conformità con il paragrafo 2 dell'articolo 13.

Art. 13 par. 3 L'articolo 13 paragrafo 3 garantisce il diritto a servizi di carattere specifico, pubblici o privati, destinati all'aiuto e alla consulenza a favore delle persone che non dispon31

RS 142.20

4885

gono o rischiano di non disporre di risorse sufficienti. I servizi devono avere una funzione preventiva, curativa e di accompagnamento. L'accesso deve essere gratuito.

La rete dei servizi sociali dei Cantoni e dei Comuni sembra sufficiente dal punto di vista di questa disposizione. La prassi svizzera non pone quindi alcun problema di conformità con il paragrafo 3 dell'articolo 13.

Art. 13 par. 4 L'articolo 13 paragrafo 4 impone agli Stati che lo accettano di applicare, a parità con i loro concittadini, le disposizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 dell'articolo stesso ai cittadini degli altri Stati Parte che si trovano legalmente sul loro territorio. Come precisato dal CEDS nella propria osservazione interpretativa resa con la sue Conclusioni 2013, gli stranieri che non possono essere considerati come legalmente presenti sul territorio dello Stato in questione, vale a dire migranti in situazione irregolare, non sono generalmente inclusi nella disposizioni dell'articolo 13 paragrafo 4. I migranti in situazione irregolare rientrano invece nel campo di applicazione dell'articolo 13 paragrafo 1, in modo limitato e a titolo eccezionale (Introduzione generale alle Conclusioni 2013, gennaio 2014, osservazione interpretativa n. 8, pag. 7).

Secondo il CEDS, l'articolo 13 paragrafo 4 concede ai cittadini stranieri che soggiornano temporaneamente il diritto all'assistenza sociale e medica d'urgenza. Gli Stati sono tenuti a proporre un'assistenza adeguata a breve termine per ovviare a un bisogno immediato (alloggio, alimentazione, cure mediche d'urgenza e abbigliamento). Questo diritto all'assistenza sociale e medica d'urgenza è concesso ai cittadini stranieri presenti legalmente sul territorio di un determinato Stato, pur non risiedendovi (Conclusioni 2009, tomo 1, Andorra). Queste condizioni sarebbero soddisfatte dal diritto svizzero (art. 12 Cost.).

Per quanto riguarda le condizioni di rimpatrio degli stranieri, l'articolo 13 paragrafo 4 CSE rimanda alla Convenzione europea di assistenza sociale e medica del 1953, che la Svizzera non ha ratificato (cfr. Annesso alla CSE riveduta). Secondo la prassi del CEDS, anche gli Stati non Parte alla Convenzione del 1953 sono tenuti, in virtù dell'articolo 13 paragrafo 4 CSE, ad accordare un trattamento conforme alle disposizioni della Convenzione del 1953 (Conclusioni
2006-1, Finlandia). Ne scaturisce in particolare che uno Stato non può rimpatriare una persona straniera che risiede legalmente da almeno cinque anni sul suo territorio per il semplice motivo che questa persona ha bisogno dell'aiuto sociale (art. 7 lett. a della Convenzione europea del 1953). Secondo il CEDS, questa prescrizione non dovrebbe avere pressoché alcun effetto pratico, poiché la situazione delle persone che risiedono legalmente da più di cinque anni in uno Stato è considerata disciplinata dall'articolo 13 paragrafo 1 CSE. Poiché, tuttavia, per la Svizzera l'articolo 13 paragrafo 1 non è accettabile (cfr. ad par. 1), l'articolo 13 paragrafo 4 potrebbe porre problemi in casi eccezionali, considerando il termine di residenza di cinque anni. Pertanto, il diritto svizzero non è del tutto conforme all'articolo 13 paragrafo 4.

Conclusione Solo i paragrafi 2 e 3 dell'articolo 13 non pongono alcuna difficoltà rispetto al diritto e alla prassi svizzeri. Considerando la regolamentazione svizzera in materia di revoca dei permessi di dimora e di domicilio per le persone che dipendono dall'aiuto 4886

sociale nonché la differenza del 20 per cento per l'aiuto sociale accordato alle persone ammesse provvisoriamente, il diritto svizzero non è conforme ai paragrafi 1 e 4 dell'articolo 13.

Inoltre, è lecito dubitare della conformità con la prassi del CEDS dell'articolo 121 capoverso 3 lettera b della Costituzione federale, accolto in votazione popolare il 28 novembre 2010 (prima iniziativa sull'espulsione dei criminali stranieri), che prevede la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione in caso di abuso di prestazioni sociali o dell'aiuto sociale32.

Poiché le disposizioni del nocciolo duro devono poter essere accettate integralmente, l'accettazione dell'articolo 13 non viene proposta.

Art. 16

Diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica

Analisi di conformità Per attestare la conformità con questo articolo, il CEDS esige le seguenti misure: ­

protezione sociale: accesso a un'offerta sufficiente di alloggi, strutture di custodia dei bambini a prezzi abbordabili e di qualità, servizi di consulenza alle famiglie e partecipazione delle associazioni che rappresentano le famiglie all'elaborazione delle politiche familiari;

­

protezione giuridica: parità tra i coniugi in materia di diritti e responsabilità nella coppia e nei confronti dei figli, servizi di mediazione familiare, misure per lottare contro la violenza domestica nei confronti delle donne;

­

protezione economica: prestazioni familiari di un importo sufficiente, agevolazioni fiscali.

In applicazione di questo articolo, il CEDS si preoccupa in particolare della protezione accordata alle famiglie vulnerabili, tra cui figurano le famiglie rom e nomadi nonché le famiglie monoparentali.

In generale, gli sviluppi recenti nel diritto svizzero nei settori rientranti nell'articolo 16 sono positivi.

Protezione sociale Nel 2003 è stato istituito a livello federale per una durata iniziale di otto anni, poi prolungato fino al 2015, un programma d'incentivazione per la creazione di posti supplementari per la custodia diurna dei bambini. Il credito totale a disposizione del programma ammonta a 440 milioni di franchi.

Per quanto riguarda la partecipazione delle associazioni che rappresentano le famiglie all'elaborazione delle politiche familiari, si può menzionare la Commissione federale di coordinamento per le questioni familiari (COFF), organo consultivo del Dipartimento federale dell'interno (DFI), il cui mandato è di: informare e sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni competenti sulle condizioni di vita delle famiglie in Svizzera (informazione); favorire lo scambio di informazioni tra l'amministrazione e le organizzazioni private come pure tra le differenti istituzioni attive nel campo della politica familiare (coordinamento); promuovere, esaminare e 32

Nell'ambito dell'attuazione di questa disposizione, il legislatore dovrà ancora stabilire i fatti costitutivi che permettono la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione.

4887

valutare lavori di ricerca; su tale base elaborare scenari di politica familiare e proporre provvedimenti (ricerca); promuovere idee innovative, raccomandare misure di politica familiare e prendere posizione riguardo a progetti e disegni di legge in quest'ambito (realizzazione).

L'articolo 16 esige che gli Stati compiano sforzi in termini economici per incentivare al costruzione di abitazioni per le famiglie e disporre di un numero sufficiente di abitazioni sociali. Devono inoltre facilitare l'accesso all'abitazione. L'articolo 1 capoverso 1 della legge del 21 marzo 200333 sulla promozione dell'alloggio (LPrA), entrata in vigore il 1° ottobre 2003, si prefigge di promuovere gli alloggi destinati alle economie domestiche a basso reddito. Secondo il capoverso 2, essa intende tenere conto in particolare degli interessi delle famiglie, dei nuclei monoparentali, dei disabili, degli anziani bisognosi e delle persone in formazione. Aiuti diretti e indiretti sono previsti per l'incoraggiamento, ma i prestiti diretti della Confederazione sono sospesi dal programma di sgravio. Esiste quindi l'incoraggiamento della costruzione di abitazioni adattate ai bisogni delle famiglie, pur essendo limitato. La politica dell'alloggio è attualmente oggetto di un dialogo tra la Confederazione, i Cantoni e le grandi città con un mercato dell'abitazione teso. Sarà proposto al Consiglio federale un catalogo di misure.

In materia di abitazioni bisogna menzionare anche la legge federale del 4 ottobre 197434 che promuove la costruzione d'abitazioni e l'accesso alla loro proprietà (LCAP), la quale prevede tra l'altro la riduzione degli affitti mediante anticipi annuali a fondo perso della Confederazione. Occorre inoltre citare le disposizioni della legge federale del 25 giugno 198235 sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità (LPP) concernenti la promozione della proprietà d'abitazioni, che prevedono che i fondi provenienti dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità (secondo pilastro) possano essere messi a disposizione di un assicurato purché li destini all'acquisto di un'abitazione o all'ammortamento di un'ipoteca gravante su un'abitazione che serva ai suoi bisogni personali o a quelli della sua famiglia, a condizione che si tratti della sua residenza principale.
Secondo la prassi del CEDS, anche i Rom e i nomadi beneficiano del diritto delle famiglie a un'offerta sufficiente di abitazioni adattate ai loro bisogni, temporanei o permanenti. Le aree di soggiorno e di transito per i nomadi che hanno conservato uno stile di vita itinerante sono considerate abitazioni ai sensi dell'articolo 16, segnatamente se sono occupate da famiglie. Nelle Conclusioni 2011 concernenti la Francia (pag. 20), il CEDS è giunto alla conclusione che la situazione di questo Stato non era conforme all'articolo 16 a causa del livello insufficiente delle condizioni di alloggio delle famiglie di nomadi.

In Svizzera, durante l'ultimo decennio la situazione delle aree di soggiorno e di transito per i nomadi non è migliorata. Secondo una perizia pubblicata nel dicembre 2010 dalla Fondazione «Un futuro per i nomadi svizzeri»36, il numero di aree di soggiorno è sufficiente solo per il 50 per cento dei nomadi svizzeri che hanno conservato uno stile di vita itinerante e vi soggiornano durante i mesi invernali. Quanto

33 34 35 36

RS 842 RS 843 RS 831.40 «Les gens du voyage et l'aménagement du territoire. La situation en 2010» (in francese e in tedesco).

4888

alle aree di transito, in cui i nomadi risiedono ed esercitano le loro attività commerciali durante i mesi estivi, esse permettono di accogliere solo sei persone su dieci.

Gli sforzi della Confederazione volti a incentivare la realizzazione di aree per i nomadi consistono nel proporre ai Cantoni l'utilizzo di una parte del proprio parco immobiliare disponibile, in particolare di vecchi terreni militari. La Confederazione è disposta ad accettare prezzi che tengano conto delle restrizioni d'uso di un'area di soggiorno o di transito, a condizione che i Cantoni rispettino la destinazione prevista. In merito a tali questioni legate al cambiamento di destinazione di terreni militari, il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) è stato incaricato dal Consiglio federale di collaborare con un gruppo di lavoro della Fondazione «Un futuro per i nomadi svizzeri». La Confederazione ha potuto proporre ai Cantoni 50 siti idonei per essere trasformati in aree di soggiorno o di transito per i nomadi. Finora un solo terreno è stato accettato (Cantone di San Gallo), a causa della difficoltà di ridestinare questi siti a scopi di abitazione e dei criteri posti dai Cantoni. Ciononostante le discussioni proseguono, segnatamente con il Cantone del Giura. Nel novembre 2013, la Confederazione, attraverso l'Ufficio federale delle strade (USTRA), ha annunciato una nuova misura innovativa a favore dei nomadi: in seguito a una convenzione stipulata con il Cantone di Friburgo, la Confederazione commissionerà la realizzazione di un'area multifunzionale sull'autostrada A 12 che potrà accogliere 40 carovane di nomadi.

Anche vari Cantoni hanno concretizzato la volontà di allestire aree di soggiorno e di transito e hanno sviluppato modelli ripresi da altri Cantoni. È il caso segnatamente dei Cantoni di San Gallo e di Argovia. In vari Cantoni proseguono inoltre gli sforzi volti a realizzare nuove aree o a risanare le aree esistenti. Tra le iniziative e i progetti più recenti figurano una nuova area di soggiorno con 46 posti inaugurata dal Cantone di Ginevra nel settembre 2012 e un'area di transito con 15 posti aperta nel giugno 2013 a Winterthur, nel Cantone di Zurigo. Nel Cantone di Vaud, nell'aprile 2013 il Parlamento cantonale ha approvato all'unanimità una petizione depositata
da famiglie della comunità jenisch vodese, con la quale tali famiglie chiedevano di poter disporre di un'area di soggiorno attrezzata. Il Cantone di Soletta prevede di allestire una o due nuove aree di soggiorno, mentre il Cantone di Argovia ha avviato i lavori di risanamento di quattro aree di transito.

Nel suo Terzo Parere sulla Svizzera, adottato nel 2013, il Comitato consultivo della Convenzione-quadro del 1° febbraio 199537 per la protezione delle minoranze nazionali raccomandava alle autorità svizzere di intensificare gli sforzi per ovviare al più presto alla mancanza di aree di soggiorno e di transito per i nomadi.

Non è da escludere che l'attuale penuria di aree di soggiorno e di transito per i nomadi possa creare difficoltà dal punto di vista dell'articolo 16 CSE. I notevoli sforzi in corso in vari Cantoni e l'ultima misura innovativa della Confederazione volta a trasformare un'area autostradale in area di transito dovrebbero tuttavia essere presi in considerazione dal CEDS, che valuta la situazione nel complesso tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti. In ogni caso, questo non dovrebbe costituire un ostacolo all'accettazione dell'articolo 16 CSE nella misura in cui una conclusione negativa del CEDS non andrebbe al di là della raccomandazione di intensificare gli sforzi già formulata dal Comitato consultivo della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, sforzi che le autorità svizzere stanno compiendo.

37

RS 0.441.1

4889

Protezione giuridica Nel corso degli ultimi anni sono state prese misure importanti a vari livelli per lottare contro la violenza nelle relazioni di coppia. Si possono citare le misure giuridiche adottate dalla Confederazione (reati di violenza domestica perseguibili d'ufficio, norma civile di protezione contro la violenza nonché revisioni delle leggi sugli stranieri e sull'aiuto alle vittime) e dai Cantoni (possibilità d'intervento della polizia per proteggere le vittime, misure di allontanamento degli autori). Sono inoltre stati rafforzati a livello federale e locale il collegamento in rete, la cooperazione e il coordinamento. Si è inoltre proceduto all'intensificazione della formazione iniziale e del perfezionamento delle forze di polizia nonché all'estensione delle offerte per le vittime e gli autori delle violenze. Dal 2010, i casi di violenza domestica registrati dalla polizia sono integrati nella nuova statistica criminale di polizia (SCP) pubblicata annualmente. La norma civile di protezione contro la violenza (art. 28b CC38) e l'articolo del Codice penale che prevede la possibilità di sospendere un procedimento legato ad atti di violenza nella coppia (art. 55a CP) sono oggetto di una valutazione da parte dell'Ufficio federale di giustizia.

Bisogna inoltre segnalare che l'11 settembre 2013 la Svizzera ha firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) è stato incaricato di elaborare un messaggio concernente la ratifica da sottoporre alle Camere federali. A priori, l'ordinamento giuridico svizzero sembra soddisfare ampiamente i requisiti di diritto materiale posti dalla Convenzione. Anche i Cantoni dovrebbero, in linea di principio, disporre degli strumenti di prevenzione e di protezione delle vittime di loro competenza.

Protezione economica Il 1° gennaio 2009 è entrata in vigore la legge del 24 marzo 200639 sugli assegni familiari (LAFam), che armonizza a livello nazionale un certo numero di disposizioni. Essa stabilisce per tutta la Svizzera un livello minimo per gli assegni familiari: almeno 200 franchi al mese per i figli da 0 a 16 anni e almeno 250 franchi al mese per i figli da 16 a 25 anni che sono in
formazione o studiano. I Cantoni possono prevedere assegni di un importo più elevato. La LAFam si applica a tutti i lavoratori dipendenti e deve essere versato un assegno intero indipendentemente dal grado di occupazione del genitore. La LAFam prevede anche il versamento di assegni familiari alle persone senza attività lucrativa le cui risorse non superano un certo importo. Dal 1° gennaio 2013, la LAFam copre anche tutti i lavoratori indipendenti.

In Svizzera, la fiscalità tiene conto in modo particolare delle famiglie (coppie con o senza figli, famiglie monoparentali) come previsto dall'articolo 16 CSE. Per tenere conto della situazione economica personale dei contribuenti, la legislazione fiscale, sia federale che cantonale, prevede deduzioni e tariffe particolari accordate ai contribuenti in base allo statuto sociale o familiare (situazione familiare, numero di figli, costi di mantenimento, età ecc.). Agevolazioni supplementari previste dalla legge federale del 25 settembre 200940 sullo sgravio fiscale delle famiglie con figli sono entrate in vigore il 1° gennaio 2011. Da un lato, la nuova tariffa per i genitori 38 39 40

RS 210 RS 836.2 RU 2010 455; FF 2009 5807

4890

dell'imposta federale diretta migliora l'equità fiscale tra le persone con e senza figli; dall'altro, con l'introduzione di una deduzione per la custodia dei figli complementare alla famiglia i genitori che esercitano un'attività lucrativa e affidano i figli a terzi e le economie domestiche in cui uno dei genitori si occupa della custodia dei figli saranno tassate dalla Confederazione e dai Cantoni allo stesso modo, in funzione della capacità economica.

Conclusione Nel periodo successivo al rapporto dell'Amministrazione federale del 2002­2004, che in conclusione respingeva l'accettazione dell'articolo 16 CSE, la situazione ha fatto registrare un'evoluzione positiva. Il diritto e la prassi svizzeri vigenti sono compatibili con le richieste di questo articolo. Grazie agli sforzi compiuti a vari livelli, con il passare del tempo la penuria di aree di soggiorno e di transito per i nomadi dovrebbe attenuarsi. Questa situazione particolare in via di miglioramento, seguita con attenzione dalle autorità svizzere, non dovrebbe costituire un ostacolo all'accettazione dell'articolo 16.

La Svizzera potrebbe quindi accettare l'articolo 16.

Art. 19

Diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione ed all'assistenza

Analisi di conformità Art. 19 par. 1­3 Questi paragrafi non pongono alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 19 par. 4 lett. a Secondo l'articolo 19 paragrafo 4 lettera a, gli Stati Parte devono garantire ai lavoratori che si trovano legalmente sul loro territorio un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai loro connazionali per quanto riguarda la retribuzione e altre condizioni d'impiego e di lavoro.

Secondo la prassi del CEDS, l'articolo 19 paragrafo 4 lettera a è applicabile sia in materia di condizioni di retribuzione e di lavoro che in materia di mobilità geografica e professionale.

In Svizzera, per quanto riguarda le condizioni di retribuzione e di lavoro dei cittadini di Stati non membri dell'UE o dell'AELS, la parità di trattamento è garantita dall'articolo 22 LStr, il quale stabilisce che uno straniero può essere ammesso in Svizzera per esercitare un'attività lucrativa unicamente se sono osservate le condizioni di lavoro e di salario usuali nella località, nella professione e nel settore.

Per contro in Svizzera, ai sensi della LStr e dell'ordinanza del 24 ottobre 200741 sull'ammissione, il soggiorno e l'attività lucrativa (OASA), il diritto alla mobilità geografica e professionale non è garantito a tutti gli stranieri. I titolari di un permesso di soggiorno di breve durata, i frontalieri, i richiedenti l'asilo, le persone ammesse provvisoriamente, le persone bisognose di protezione e i rifugiati che esercitano un'attività lucrativa non hanno il diritto di cambiare posto di lavoro, professione e 41

RS 142.201

4891

Cantone senza un'autorizzazione preliminare dell'autorità cantonale competente42.

Anche ai titolari di un permesso di soggiorno possono applicarsi restrizioni in materia di mobilità geografica e professionale.

Di conseguenza, da questo punto di vista il diritto positivo svizzero non è del tutto conforme all'articolo 19 paragrafo 4 lettera a.

Art. 19 par. 4 lett. b Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 19 par. 4 lett. c Secondo l'articolo 19 paragrafo 4 lettera c, gli Stati Parte devono garantire ai lavoratori che si trovano legalmente sul loro territorio un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai loro connazionali per quanto riguarda l'abitazione.

Dalla prassi del CEDS emerge che se uno Stato subordina l'attribuzione di un permesso a uno straniero al possesso di un'abitazione, deve fare in modo che gli stranieri possano accedere facilmente alle abitazioni, segnatamente quando queste abitazioni sono gestite da enti pubblici, e che tale accesso non sia ostacolato.

L'ordinanza del 6 ottobre 1986 che limita l'effettivo degli stranieri e che il rapporto del 2002 della Commissione della sicurezza sociale e della sanità vedeva come un problema in relazione alla ratifica della CSE è stata abrogata dall'OASA. Va tuttavia rilevato che anche l'articolo 24 della LStr stabilisce che uno straniero può essere ammesso in Svizzera per esercitare un'attività lucrativa unicamente se dispone di un'abitazione conforme ai suoi bisogni. La nuova legislazione sugli stranieri non ha quindi modificato questa situazione.

Quanto all'articolo 1 LPrA, esso si prefigge di promuovere gli alloggi destinati alle economie domestiche a basso reddito. Secondo l'articolo 5 LPrA, la promozione si basa, tra l'altro, sul principio di una ripartizione equilibrata tra le differenti categorie sociali. Queste disposizioni possono favorire l'accesso degli stranieri alle abitazioni, anche nel caso in cui queste ultime non siano gestite da enti pubblici. I locatari stranieri beneficiano esattamente degli stessi diritti dei locatari svizzeri, in applicazione del principio fondamentale della mescolanza sociale e intergenerazionale degli alloggi sovvenzionati. Nella pratica non possono essere escluse discriminazioni nei confronti degli stranieri nella misura in cui i locatori restano,
in generale, liberi di affittare l'abitazione alle persone di loro scelta. Non sembra tuttavia esistere alcuna disparità in diritto (cfr. l'analisi della consultazione tecnica dei Cantoni, ad n. 10.1).

Sembra quindi che, in linea di principio, i cittadini svizzeri e gli stranieri godano di una parità di trattamento in materia di accesso all'abitazione e che il diritto svizzero sia conforme alla prassi del CEDS sull'applicazione dell'articolo 19 paragrafo 4 lettera c.

42

Questo aspetto è anche uno degli ostacoli all'adesione della Svizzera al Protocollo n. 4 alla CEDU del 1963.

4892

Art. 19 par. 5 Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 19 par. 6 Secondo l'articolo 19 paragrafo 6, gli Stati Parte devono agevolare per quanto possibile il ricongiungimento familiare del lavoratore migrante autorizzato a stabilirsi sul territorio.

In materia di ricongiungimento familiare il diritto svizzero esige, nel rispetto della vita privata e della famiglia garantiti dalla Costituzione federale e dalla CEDU (art. 13 cpv 1 Cost. e 8 CEDU), che le autorità tengano conto in modo circostanziato dei differenti interessi in campo43.

La CSE riveduta propone una nuova definizione dei membri della famiglia. L'età limite dei figli che possono essere ammessi in virtù del ricongiungimento familiare è ormai quella della maggiore età vigente nel Paese di accoglienza e non più l'età di 21 anni. In Svizzera, la maggiore età è fissata a 18 anni, come nella maggior parte degli altri Paesi europei. Si tratta quindi di uno scoglio che era ancora presente nella CSE del 1961 e che ora scompare. Dall'entrata in vigore della nuova LStr, al coniuge e ai figli stranieri del titolare di un permesso di breve durata può essere consentito il ricongiungimento familiare (art. 45 LStr). Benché in questo caso non si tratti di un diritto, si può partire dal presupposto che la nuova disposizione soddisfa i requisiti posti dall'articolo 19 paragrafo 6. Per quanto concerne il ricongiungimento familiare occorre tuttavia tenere conto di altri ostacoli giuridici che l'entrata in vigore della LStr non ha permesso di eliminare o che si sono aggiunti.

Secondo la prassi del CEDS, il diritto al ricongiungimento familiare non può essere rifiutato segnatamente adducendo quale motivo il fatto che il lavoratore migrante dipende dall'aiuto sociale. Inoltre, i membri della famiglia di un lavoratore migrante che sono stati ammessi in virtù del ricongiungimento familiare e lo hanno raggiunto sul territorio di uno Stato beneficiano di un diritto proprio a soggiornare su tale territorio. Queste due condizioni non sono chiaramente previste dalla LStr.

La LStr contiene altre due disposizioni che non soddisfano i requisiti posti dall'articolo 19 paragrafo 6. Si tratta innanzitutto del termine per il ricongiungimento familiare. Secondo l'articolo 47 LStr, il diritto al ricongiungimento familiare deve
essere fatto valere entro cinque anni. Per i figli con più di 12 anni il termine si riduce a 12 mesi. Il secondo ostacolo giuridico è rappresentato dal requisito posto dal diritto svizzero al coniuge e ai figli di coabitare con la persona che li ha fatti arrivare in virtù del ricongiungimento familiare (art. 42, 44 e 45 LStr). È probabile che, in base alla sua prassi, il CEDS consideri queste due disposizioni della LStr non conformi all'articolo 19 paragrafo 6.

Di conseguenza, per vari aspetti il diritto svizzero vigente non è conforme all'articolo 19 paragrafo 6.

43

Cfr. p. es. le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo nelle cause Gezginci contro Svizzera (sentenza del 9 dicembre 2010, richiesta n. 16327/05) e Hasnbasic contro Svizzera (sentenza dell'11 giugno 2013, richiesta n. 52166/09).

4893

Art. 19 par. 7 Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 19 par. 8 Secondo l'articolo 19 paragrafo 8, gli Stati Parte s'impegnano a garantire ai lavoratori che risiedono regolarmente sul loro territorio che potranno essere espulsi solo se minacciano la sicurezza dello Stato o contravvengono all'ordine pubblico o al buoncostume.

Il CEDS interpreta in modo restrittivo tali motivi di espulsione. Il fatto che un lavoratore migrante o la sua famiglia dipendano dall'aiuto sociale non può costituire un motivo di espulsione.

L'articolo 68 LStr (espulsione) non menziona più il fatto di essere dipendente dall'aiuto sociale come motivo di espulsione. Esiste tuttavia la possibilità, prevista dall'articolo 62 lettera e LStr (permesso di soggiorno, permesso di breve durata) e dall'articolo 63 lettera c LStr (permesso di domicilio), di revocare un permesso se la persona dipende dall'aiuto sociale. Esiste quindi la possibilità che cittadini stranieri vengano espulsi dalla Svizzera per tale motivo (cfr. ad art. 13 par. 1). Inoltre, in caso di percezione abusiva di prestazioni sociali o dell'aiuto sociale, il nuovo articolo 121 della Costituzione federale prevede la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione44 (cfr. anche la conclusione ad art. 13). Manifestamente, queste disposizioni non sarebbero compatibili con la prassi del CEDS.

Di conseguenza, il diritto svizzero vigente non è conforme all'articolo 19 paragrafo 8.

Art. 19 par. 9 Questo paragrafo non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Art. 19 par. 10 Secondo il paragrafo 10, gli Stati Parte s'impegnano a estendere la protezione e l'assistenza previste dall'articolo 19 ai lavoratori migranti che lavorano in proprio.

Secondo l'articolo 19 LStr, i lavoratori migranti possono essere autorizzati a esercitare un'attività lucrativa indipendente. In generale, ottengono dapprima un permesso di soggiorno di breve durata. I titolari di questo tipo di permesso non hanno tuttavia il diritto di cambiare posto di lavoro, professione e Cantone senza l'autorizzazione preliminare dell'autorità cantonale competente. Restrizioni in materia geografica e professionale possono applicarsi anche ai titolari di un permesso di soggiorno.

Sembra quindi che la protezione prevista dall'articolo 19 paragrafo 4
lettera a CSE, e più esattamente la mobilità geografica e professionale, non sia garantita in Svizzera ai lavoratori migranti che lavorano in proprio. Il diritto positivo svizzero non è quindi del tutto conforme all'articolo 19 paragrafo 10.

44

In seguito all'accettazione dell'iniziativa sull'espulsione dei criminali stranieri, nell'ambito dell'attuazione di questa disposizione il legislatore dovrà ancora stabilire i fatti costitutivi che permettono la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione.

4894

Art. 19 par. 11 Secondo il paragrafo 11, gli Stati Parte s'impegnano a favorire e a facilitare l'insegnamento della loro lingua nazionale o di una delle loro lingue nazionali ai lavoratori migranti e ai loro familiari.

Il settore della pubblica istruzione obbligatoria è di competenza dei Cantoni.

L'insegnamento delle lingue nazionali è disciplinato dal Concordato HarmoS e dall'articolo 15 della legge del 5 ottobre 200745 sulle lingue (LLing), entrata in vigore nel gennaio 2010.

Nelle sue Raccomandazioni concernenti la scolarizzazione dei bambini di lingua straniera, la Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) ha riaffermato il principio secondo cui è importante integrare tutti i bambini di lingua straniera che vivono in Svizzera nelle scuole pubbliche, evitando qualsiasi discriminazione. La CDPE raccomanda così ai Cantoni di proporre l'insegnamento gratuito della lingua locale corrente sin dall'età prescolare e di sostenere gli sforzi intrapresi per promuovere la lingua d'origine nonché di facilitare l'ammissione diretta dei nuovi allievi arrivati nelle scuole e nelle classi della scuola pubblica corrispondenti al loro livello di formazione e alla loro età, organizzando al contempo speciali corsi di sostegno e di lingua gratuiti. Raccomanda inoltre di tenere conto adeguatamente dell'allofonia e delle conoscenze supplementari nella lingua e nella cultura del Paese di origine nell'ambito della valutazione degli allievi in occasione delle decisioni riguardanti la promozione e la selezione. È importante soprattutto evitare che gli allievi di lingua straniera siano inseriti in classi d'insegnamento speciale o debbano ripetere l'anno scolastico a causa di lacune nella lingua d'insegnamento.

In virtù degli articoli 16 LLing e 10 dell'ordinanza del 4 giugno 201046 sulle lingue (OLing), la Confederazione può promuovere l'acquisizione della lingua nazionale locale da parte degli allofoni in età prescolare, attraverso il sostegno a progetti innovativi dei Cantoni.

Le competenze linguistiche dei migranti adulti sono incoraggiate dall'Ufficio federale della migrazione (UFM). Gli obiettivi della politica svizzera in materia d'integrazione si inscrivono nella LStr e nell'ordinanza del 24 ottobre 200747 sull'integrazione degli stranieri (OIntS) riveduta. Per attuare questa politica,
il DFGP, d'intesa con i Cantoni e i Comuni, ha elaborato una strategia per la promozione dell'integrazione attraverso Programmi cantonali d'integrazione (PIC). Il secondo punto saliente di tali programmi riguarda la formazione e il lavoro, tra cui figura anche la promozione delle lingue nazionali. Ai sensi dell'articolo 53 capoverso 3 LStr, la Confederazione, i Cantoni e i Comuni incoraggiano segnatamente l'apprendimento di una lingua nazionale e sostengono gli sforzi volti a favorire la comprensione reciproca tra la popolazione svizzera e quella straniera e a facilitare la loro convivenza.

L'esperienza ha mostrato che i corsi di lingua offerti dalle strutture ordinarie (scuola, formazione professionale, misure relative al mercato del lavoro ecc.) non sono alla portata di tutti i migranti. Ciò significa che le probabilità di migliorare la comprensione reciproca e, di conseguenza, la convivenza vengono rimesse in discussione.

45 46 47

RS 441.1 RS 441.11 RS 142.205

4895

Per questo motivo, l'ambito della promozione della lingua persegue i seguenti obiettivi primari: ­

esistono offerte adeguate per l'apprendimento di una lingua nazionale, di cui i migranti usufruiscono. Concretamente, i migranti sono sostenuti in modo tale da poter accedere, nei limiti del possibile, alle offerte ordinarie esistenti.

Le lacune sono colmate grazie a offerte mirate;

­

l'integrazione sociale dei migranti è facilitata mediante attività volte, da un lato, a favorire la comunicazione e la comprensione nella vita quotidiana tra popolazione autoctona e migranti nonché tra migranti di lingua diversa e, dall'altro, a motivare i migranti ad apprendere una lingua nazionale (p es.

nel contesto abitativo, nei contatti con la scuola e l'amministrazione, in occasione di visite mediche ecc.).

Sembra quindi che il diritto e la prassi svizzeri siano conformi all'articolo 19 paragrafo 11.

Art. 19 par. 12 Secondo il paragrafo 12, gli Stati Parte s'impegnano a favorire e a facilitare, per quanto possibile, l'insegnamento della lingua materna del lavoratore migrante ai suoi figli.

Il paragrafo 12 è attuato in Svizzera attraverso la realizzazione e la messa a disposizione di corsi di lingua e cultura del Paese di origine (LCO). L'articolo 4 capoverso 4 del Concordato HarmoS prevede che «per quanto riguarda gli allievi immigrati i Cantoni assicurino il loro sostegno, per gli aspetti organizzativi, ai corsi di lingua e di cultura dei Paesi d'origine (LCO) predisposti, nel rispetto della neutralità religiosa e politica, dai paesi di provenienza e dalle diverse comunità linguistiche».

Nell'ambito della LLing (art. 16 lett. c) e della sua ordinanza di applicazione (art.

11), la Confederazione ha la possibilità di promuovere l'acquisizione della prima lingua da parte degli allofoni attraverso il sostegno a progetti innovativi dei Cantoni per la promozione di formule d'insegnamento integrato in lingua e cultura d'origine, la formazione continua degli insegnanti nonché l'elaborazione di materiale didattico.

Se lo desiderano, in numerose località gli allievi la cui prima lingua è differente dalla lingua d'insegnamento locale (tedesco, francese, italiano o romancio) possono quindi seguire corsi nella lingua della loro regione di origine. Questi corsi sono perlopiù organizzati dalla comunità immigrata (attraverso l'ambasciata, il consolato, un'associazione o anche privati). In alcuni casi, sono i Cantoni, i Comuni o le organizzazioni umanitarie a occuparsene. I corsi sono destinati ai bambini che parlano la lingua di origine in questione in famiglia o la cui nazionalità è quella del loro Paese d'origine. Questi corsi sono un sostegno alla costruzione dell'identità dei bambini e all'acquisizione della prima lingua, che parlano unicamente nella sfera familiare. Lo sviluppo precoce del plurilinguismo e delle competenze interculturali è un fattore importante per la riuscita dell'integrazione. Per i migranti e gli allofoni, il fatto di possedere buone conoscenze della prima lingua facilita l'acquisizione della lingua nazionale locale.

Anche in questo caso sembra quindi che il diritto e la prassi svizzeri siano conformi all'articolo 19 paragrafo 12.

4896

Conclusione Il diritto e la prassi svizzeri attuali pongono problemi di conformità, in parte importanti, con il paragrafo 4 lettera a e i paragrafi 6, 8 e 10 dell'articolo 19.

Poiché le disposizioni del nocciolo duro devono poter essere accettate integralmente, l'accettazione dell'articolo 19 non viene dunque proposta.

Art. 20

Diritto alla parità di opportunità e di trattamento in materia di lavoro e di professione senza discriminazioni basate sul sesso

Analisi di conformità Il rapporto dell'Amministrazione federale del 2002­2004 proponeva già di accettare l'articolo 20.

Garanzia della parità di trattamento nella legge e nei fatti L'articolo 20 garantisce il diritto alla parità di trattamento in tutte le tappe della vita professionale. Si riferisce all'accesso al lavoro, alla tutela in caso di disdetta del rapporto di lavoro, all'orientamento e alla formazione professionale, alle condizioni d'impiego e di lavoro e alla progressione della carriera. Qualsiasi discriminazione secondo il sesso, diretta o indiretta, deve essere vietata. La parità deve essere rispettata nei confronti di tutti i lavoratori, del settore privato e del settore pubblico.

Secondo il CEDS, il diritto delle donne e degli uomini alla parità professionale deve essere garantito mediante un testo legislativo. Gli Stati devono garantire la parità di trattamento in tutti i suoi aspetti. L'iscrizione del principio nella Costituzione non è sufficiente.

Il diritto svizzero vigente è conforme a questo requisito. La legge federale del 24 marzo 199548 sulla parità dei sessi (LPar) ha lo scopo di promuovere l'uguaglianza effettiva fra donna e uomo.

Diritto di ricorso Il CEDS precisa che il diritto nazionale deve prevedere procedure di ricorso adeguate ed efficaci nel caso di allegata discriminazione. Ogni lavoratore che ritiene di essere vittima di una discriminazione salariale deve poter adire un'istanza indipendente.

Ciò non pone alcun problema di conformità con il diritto svizzero.

Onere della prova Secondo il CEDS, nelle controversie riguardanti un'allegata discriminazione nelle materie che rientrano nella CSE, l'onere della prova non deve spettare unicamente all'attore, ma deve seguire un iter adeguato. In linea di principio, esso consiste nell'assicurarsi che, dal momento in cui una persona ritiene di aver subito un danno a causa del mancato rispetto del principio della parità di trattamento e presenta dei fatti che permettono di presumere l'esistenza di una discriminazione, spetti alla parte convenuta dimostrare che non vi è stata alcuna violazione di tale principio (Conclusioni 2008, tomo 1, Andorra).

48

RS 151.1

4897

In Svizzera, l'articolo 6 LPar prevede un alleviamento dell'onere della prova nel senso che si presume l'esistenza di una discriminazione per quanto la persona interessata la renda verosimile. Questo alleggerimento dell'onere della prova si applica alle discriminazioni nell'attribuzione dei compiti, nella definizione delle condizioni di lavoro, nella retribuzione, nella formazione e nel perfezionamento professionali, nella promozione e nella disdetta del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda invece le discriminazioni al momento dell'assunzione e le molestie sessuali, la ripartizione dell'onere della prova è disciplinata dalla regola generale dell'articolo 8 CC: chi vuol dedurre il suo diritto da una circostanza di fatto da lui asserita deve fornirne la prova; il giudice stabilisce tuttavia i fatti d'ufficio e valuta liberamente le prove (massima inquisitoria). In caso di denuncia di discriminazione al momento dell'assunzione, la persona che ritiene di essere stata lesa può esigere che il datore di lavoro motivi la sua decisione per scritto, il che contribuisce ad attenuare le difficoltà legate alla prova. Quanto alle molestie sessuali o psicologiche, possono essere ammesse sulla base di un insieme di indizi convergenti (cfr. p. es. le sentenze del Tribunale federale 1C_418/2008 del 27 maggio 2009 consid. 2.2 e 4P. 214/2006 del 19 dicembre 2006 consid. 2.2.).

Di conseguenza, la regolamentazione dell'onere della prova prevista dal diritto svizzero dovrebbe essere sufficiente per soddisfare i requisiti della prassi del CEDS e non dovrebbe quindi porre alcun problema di conformità con l'articolo 20 CSE.

Riparazione in caso di discriminazione Per garantire l'attuazione effettiva della parità, il diritto nazionale deve inoltre prevedere sanzioni sufficientemente dissuasive per il datore di lavoro e una riparazione sufficiente e proporzionata al danno subito dalla vittima (Conclusioni 2006, tomo 2, Moldavia). Una riparazione sufficiente significa: ­

la reintegrazione o il mantenimento del posto di lavoro in caso di disdetta illegale o abusiva nonché il versamento di un'indennità che compensi il danno economico subito;

­

un'indennità proporzionata al danno subito, ossia che copra il danno economico e morale se il lavoratore non vuole essere reintegrato o se il proseguimento del rapporto di lavoro è impossibile;

­

in tutti gli altri casi, la cessazione della discriminazione e il versamento di un'indennità proporzionata al danno materiale e morale subìto.

In base alla vecchia prassi, il CEDS riteneva inoltre che non si potesse prevedere un limite massimo per l'indennità, poiché ciò avrebbe potuto impedire che quest'ultima fosse proporzionata al danno subito e, di conseguenza, sufficiente (Conclusioni 2008, tomo 1, Georgia). Come già rilevato in generale a proposito dell'articolo 1 paragrafo 2, tuttavia, alla fine del 2011, il CEDS ha mitigato la sua posizione relativa al limite massimo per le indennità in caso di disdetta abusiva. La nuova prassi è applicabile anche alle indennità in caso di disdetta discriminatoria nell'ambito dell'articolo 20.

Nel diritto svizzero, la situazione è la seguente: eccezionalmente, in diritto privato l'articolo 10 LPar prevede che la disdetta del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro sia impugnabile se, senza motivo giustificato, è data in seguito a un reclamo sollevato all'interno dell'azienda per presunta discriminazione o in seguito all'introduzione di una procedura di conciliazione o giudiziaria. Il lavoratore è protetto contro un licenziamento per motivi di ritorsione durante la procedura interna 4898

o giudiziaria nonché nei sei mesi successivi (art. 10 cpv. 2 LPar). Se il lavoratore lo desidera, può chiedere al tribunale di ordinare la sua riassunzione provvisoria fino al termine della procedura per annullamento del licenziamento (art. 10 cpv. 3 LPar).

Negli altri casi di disdetta discriminatoria di rapporti di lavoro disciplinati dal CO la persona lesa può pretendere soltanto un'indennità da parte del datore di lavoro (art. 5 cpv. 2 LPar). Questa indennità è stabilita tenendo conto di tutte le circostanze; per principio, non supera l'equivalente di sei mesi di salario. Lo stesso vale per l'indennità in caso di molestie sessuali. Nei casi di rifiuto di assunzione, invece, l'indennità prevista non può superare l'equivalente di tre mesi di salario. Inoltre, la somma totale delle indennità versate non deve eccedere tale importo qualora parecchie persone pretendano il versamento di un'indennità per rifiuto di assunzione allo stesso posto di lavoro (art. 5 cpv. 4 LPar).

Da notare che queste indennità possono tuttavia essere completate con pretese di risarcimento del danno e di riparazione morale, nonché pretese contrattuali più estese (art. 5 cpv. 5 LPar). Queste pretese di risarcimento del danno e di riparazione morale non sono limitate da un importo massimo e permettono quindi di assicurare la funzione riparatrice auspicata dal CEDS.

Nell'ambito del dialogo con le autorità svizzere, il CEDS, a cui è stata esposta la situazione del diritto svizzero vigente in merito al limite massimo per le indennità, ha concluso che, in base ai criteri della sua nuova prassi, è sufficiente non chiudere le porte a un risarcimento complementare. Poiché ciò è contemplato dall'articolo 5 capoverso 5 LPar, si può concludere che, su questo punto, il diritto svizzero vigente è conforme all'articolo 20.

Parità salariale Conformemente alla prassi del CEDS, la CSE garantisce il diritto di uomini e donne a pari retribuzione per un lavoro di pari valore. La parità salariale deve riguardare tutti gli aspetti della retribuzione, ossia il salario, il salario di base o minimo e tutti i vantaggi diretti o indiretti, in contanti o in natura, concessi dal datore di lavoro al lavoratore per il lavoro prestato da quest'ultimo.

La nozione di parità salariale in base all'interpretazione del CEDS non pone alcun problema di conformità
con il diritto svizzero (art. 8 cpv. 3 Cost. e 3 LPar). Occorre inoltre rilevare che le associazioni mantello dei datori di lavoro e dei lavoratori e i servizi federali interessati si adoperano dal 2009 per incitare le imprese ad analizzare spontaneamente le loro griglie salariali e a eliminare al più presto eventuali discriminazioni tra i sessi.

Conclusione Complessivamente, il diritto svizzero vigente è per principio conforme a tutte le esigenze derivanti dall'articolo 20 CSE.

La valutazione preliminare della situazione svizzera da parte del CEDS è favorevole.

Grazie al recente allentamento della prassi del CEDS, per quanto concerne il limite massimo per le indennità in caso di discriminazione, l'ordinamento giuridico svizzero è conforme alla CSE.

Quanto ai requisiti del CEDS in materia di onere della prova, per principio essi non dovrebbero porre problemi di conformità con il diritto svizzero.

4899

8.1.3

Panoramica delle disposizioni del nocciolo duro che la Svizzera può impegnarsi ad accettare

Articolo

Numeri dei paragrafi interamente conformi al diritto svizzero vigente

Numeri dei paragrafi non interamente conformi al diritto svizzero

Articoli che la Svizzera potrebbe accettare

1 5 6 7 12 13 16 19 20

1, 2, 3, 4 Tutto l'art. (1 par.)

1, 2, 3, 4 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 2, 3 2, 3 Tutto l'art. (1 par.)

1, 2, 3, 5, 7, 9, 11, 12 Tutto l'art. (1 par.)

­ ­ ­ ­ 1, 4 1, 4 4, 6, 8, 10 ­

sì sì sì sì no no sì no sì

Totale

33

8

6

8.2

Sintesi della conformità dell'ordinamento giuridico svizzero con le disposizioni supplementari della CSE

Occorre ricordare che, oltre a sei articoli completi del nocciolo duro, lo Stato che ratifica la CSE riveduta deve poter accettare un certo numero di «disposizioni supplementari», in modo da accettare complessivamente 16 articoli nella loro integralità o 63 paragrafi numerati , compresi gli articoli (e i paragrafi) minimi del nocciolo duro.

L'esame delle disposizioni supplementari si basa sul rapporto dell'Amministrazione federale del 2002­2004. Per ragioni di ordine economico-amministrativo, l'analisi della conformità dell'ordinamento giuridico svizzero con le disposizioni supplementari non è ancora stata aggiornata per il presente rapporto. Da un lato, quest'ultimo verte sostanzialmente sulla conformità del diritto svizzero con il nocciolo duro della CSE, trattandosi di un elemento essenziale per valutare l'opportunità di ratificare la CSE riveduta. Dall'altro, come si evince dalla seguente tabella, elaborata conformemente al rapporto dell'Amministrazione federale del 2002­2004 e completata con i risultati dell'analisi del presente rapporto, il numero totale di articoli e il numero totale di paragrafi sono ampiamente raggiunti (20 articoli su 16 e 76 paragrafi su 63). La seguente tabella è quindi presentata a titolo indicativo, fatto salvo un esame più dettagliato dell'evoluzione del diritto svizzero e della prassi del CEDS dal 2004.

4900

Articolo

Numero di paragrafi numerati

Numeri dei paragrafi conformi all'ordinamento giuridico svizzero

Numero di paragrafi conformi all'ordinamento giuridico svizzero

Numero di articoli integralmente conformi all'ordinamento giuridico svizzero

Riporto nocciolo duro 2 3 4 8 9 10 11 14 15 17 18 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31

­ 7 4 5 5 1 5 3 2 3 2 4 1 1 1 1 1 2 3 1 1 1 3

­ 1, 2, 3, 5, 7 1 3, 4, 5 1, 2, 3, 4, 5 1 1, 2, 3, 4 1, 2, 3 1, 2 1, 2, (3) 1, 2 2, 4 1 1 1 ­ ­ 1, 2 3 1 1 1 1, 2, 3

33 5 1 3 5 1 4 3 2 2 (3) 2 2 1 1 1 0 0 2 1 1 1 1 3

6 no no no sì sì no sì sì no (sì)49 sì no sì sì sì no no sì no sì sì sì sì

43

14

76

20

Subtotale Totale

9

98

Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale

Per gli Stati Parte, l'attuazione della CSE riveduta comporta l'elaborazione di rapporti annuali su una parte delle disposizioni, raggruppate per tema, che sono state accettate. Il dialogo con il CEDS che precede l'adozione delle conclusioni può in seguito essere concretizzato mediante incontri puntuali (cfr. n. 7.1).

49

Questa disposizione sembra ormai integralmente conforme. Tra le evoluzioni pertinenti a partire dal 2004, possono essere menzionate la legge del 13 dicembre 2002 sui disabili (LDis; RS 151.3) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dalla Svizzera il 15 aprile 2014.

4901

Inoltre, gli esperti governativi degli Stati Parte partecipano due volte l'anno (durante almeno tre giorni ogni volta) alle riunioni del Comitato governativo (cfr. n. 7.2). In linea di principio, ogni Stato Parte delega un solo esperto governativo, specializzato nei settori esaminati, le cui spese di viaggio e di soggiorno sono assunte dal Consiglio d'Europa. Il lavoro di preparazione delle riunioni del Comitato governativo da parte delle amministrazioni nazionali dipende dal numero di situazioni di non conformità e dalle conclusioni negative concernenti il proprio Paese.

L'elaborazione dei rapporti annuali soltanto su una parte delle disposizioni accettate della CSE, le discussioni con il CEDS, la partecipazione alle due riunioni annuali del Comitato governativo e la loro preparazione implicherebbero nuove spese amministrative, che resterebbero comunque contenute.

Nel settembre del 2011 il DFAE aveva informato il Consiglio federale della sua intenzione di completare il rapporto sulla Carta sociale riveduta con un capitolo economico. Nel contesto di allora, si sarebbe trattato di esaminare gli effetti economici di eventuali modifiche della legislazione o della prassi svizzere. Questa analisi economica, affidata alla SECO, è stata effettuata e poi inserita nel progetto di rapporto. In seguito, il contesto è completamente cambiato, visti i risultati del dialogo con il Comitato europeo dei diritti sociali, e in particolare l'accordo trovato sulla questione del sistema svizzero di formazione professionale di base duale (in merito, cfr. i commenti ad art. 7 par. 4 e 5). Ne è scaturito che le disposizioni della CSE in questione erano accettabili per la Svizzera senza che fossero necessarie modifiche legislative, motivo per cui il capitolo economico che era stato inizialmente previsto è divenuto superfluo e, di conseguenza, non è stato inserito nel presente rapporto.

10

Ripercussioni per i Cantoni e i Comuni

10.1

Risultati della consultazione tecnica dei Cantoni

La ratifica della CSE riveduta avrebbe varie ripercussioni sulle competenze dei Cantoni e toccherebbe i loro interessi essenziali. In virtù degli articoli 45 e 54 capoverso 3 Cost. nonché della legge federale del 22 dicembre 199950 concernente la partecipazione dei Cantoni alla politica estera della Confederazione (LFPC), la Confederazione deve informare (art. 3 LFPC) e consultare i Cantoni sulle tappe principali concernenti la CSE (art. 4 LFPC).

In vista dell'adozione del presente rapporto, tra dicembre 2010 e marzo 2011 è stata condotta presso i Cantoni un'indagine di carattere puramente tecnico, che escludeva le questioni relative all'applicazione della legislazione. Nell'ambito di questa indagine, tutti i Cantoni e le conferenze dei direttori cantonali sono stati invitati a trasmettere commenti generali sul progetto di rapporto. Sono state inoltre sottoposte loro domande specifiche allo scopo, da un lato, di identificare gli articoli del nocciolo duro più facilmente accettabili e, dall'altro, di completare il rapporto su punti tecnici che rientrano nella sfera di competenza dei Cantoni (diritto di sciopero, diritto all'aiuto sociale e parità tra i lavoratori migranti in materia di abitazione).

Molti Cantoni hanno sottolineato il carattere tecnico della consultazione e si sono riservati di esprimere commenti e prese di posizioni più ampi in occasione di un'eventuale ulteriore vera e propria procedura di consultazione. Tra i Cantoni che si 50

RS 138.1

4902

sono espressi in generale sull'opportunità di ratificare la CSE, il numero delle opinioni favorevoli è pressoché identico a quello dei pareri contrari. I Cantoni favorevoli rimandano alla responsabilità della Svizzera in quanto membro influente del Consiglio d'Europa, all'effetto positivo sulla coesione sociale nonché all'integrazione degli stranieri, alla prevenzione del razzismo e a una migliore protezione dei bambini e degli adolescenti. I Cantoni contrari alla CSE evidenziano invece gli ostacoli politici che si contrapporrebbero alla ratifica, l'interpretazione evolutiva del CEDS, il carattere non prioritario di una ratifica, il fatto che il sistema sociale svizzero funziona già bene nonché il timore di conseguenze sfavorevoli per il sistema formativo e l'economia. In linea di principio, i pareri concordano invece sul fatto che un riconoscimento degli articoli 13 e 19 CSE non entra in discussione, visti gli adeguamenti giuridici necessari. La maggior parte dei Cantoni precisa inoltre che la questione dell'opportunità o meno di ratificare la CSE può essere chiarita solo attraverso i consueti processi politici.

Alla domanda in merito al sesto articolo del nocciolo duro più facilmente accettabile (oltre agli art. 1, 5, 6, 16 e 20) ha risposto oltre la metà dei Cantoni. La grande maggioranza di coloro che si sono espressi ha optato per l'articolo 7. Questa scelta è motivata, da un lato, con gli effetti favorevoli per la protezione dei bambini e degli adolescenti e, dall'altro, con il fatto che il diritto e la prassi svizzeri sono già ampiamente compatibili con la CSE.

Per quanto riguarda il diritto di sciopero (cfr. art. 6 par. 4 CSE), è emerso che i Cantoni e i Comuni lo ammettono di fatto. Circa la metà di essi si attiene strettamente alle norme dell'articolo 28 capoverso 3 Cost., mentre i restanti Cantoni hanno recepito le disposizioni costituzionali e adottato una base giuridica che limita legalmente il diritto di sciopero. Fanno eccezione solo due Cantoni, che vietano il diritto di sciopero ai dipendenti pubblici, agendo così in modo contrario alla Costituzione federale, alla CEDU, al Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e alla CSE (cfr. il commento ad art. 6 par. 4).

Le legislazioni cantonali concernenti l'aiuto sociale risultano conformi all'articolo 13
CSE nella misura in cui è fornita un'assistenza «adeguata» che permetta di condurre una vita dignitosa e di soddisfare i bisogni essenziali dell'individuo (cfr. il commento ad art. 13 par. 1). I metodi di calcolo utilizzati dal CEDS sono tuttavia differenti da quelli di cui si avvalgono i Cantoni. Il CEDS ritiene che l'assistenza sia adeguata quando l'importo delle prestazioni di assistenza non è manifestamente inferiore alla soglia di povertà, fissata al 50 per cento del reddito mediano corretto in base alla soglia del rischio di povertà di Eurostat. I Cantoni si basano invece preferibilmente sul criterio del bisogno. Spesso operano in base alle norme di accesso all'aiuto sociale definite dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell'azione sociale, considerate dai Cantoni conformi alla CSE.

La consultazione tecnica ha confermato che, in generale, gli stranieri beneficiano della parità di trattamento con i cittadini svizzeri in materia di aiuto sociale (cfr. il commento ad art. 13 par. 4). In una decina di Cantoni, alcuni gruppi di stranieri, tra cui quelli ammessi provvisoriamente, ricevono tuttavia prestazioni inferiori.

Soltanto 18 Cantoni hanno risposto alla domanda concernente la revoca dei permessi di dimora e di domicilio per le persone che dipendono dall'aiuto sociale (cfr. il commento ad art. 13 par. 1). Sei di essi hanno indicato di non praticare l'espulsione basata esclusivamente sul fatto che lo straniero abbia bisogno di assistenza, salvo in

4903

casi estremamente rari. La maggioranza degli altri Cantoni che si sono espressi sembra attenersi alla LStr.

Sembra che il diritto e la prassi svizzeri siano conformi all'articolo 19 paragrafo 4 lettera c CSE (cfr. il commento ad art. 19 par. 4 lett. c). I Cantoni hanno confermato che trattano allo stesso modo i cittadini svizzeri e stranieri e che l'accesso all'abitazione non dipende dalla nazionalità. A tale proposito un Cantone ha rilevato che, nonostante la legislazione preveda un'attribuzione equa delle abitazioni, potrebbe sussistere una disparità di fatto, nella misura in cui bisogna aver risieduto nel Cantone per due anni per aver diritto all'aiuto. Altri Cantoni sottolineano inoltre come, in linea di principio, non possa essere esclusa la possibilità che gli stranieri siano di fatto svantaggiati nell'accesso all'abitazione.

10.2

Ripercussioni per l'economia

Una ratifica della CSE riveduta richiederebbe alcune risorse da parte dei Cantoni.

Vari campi oggetto della Carta sono infatti di competenza cantonale e alcuni Cantoni potrebbero pertanto essere chiamati a collaborare con l'Amministrazione federale per la raccolta dei dati destinati ai rapporti annuali degli Stati (cfr. in merito n.

7.1 e 9). Le spese aggiuntive che ne risulterebbero per i Cantoni resterebbero tuttavia contenute, vista la prassi del CEDS di esaminare, per quanto concerne gli Stati Parte, non l'adempimento dell'insieme dei loro impegni ma l'attuazione di un numero limitato di disposizioni della CSE.

11

Costituzionalità

In virtù dell'articolo 54 capoverso 1 Cost., la conclusione di trattati internazionali come la CSE riveduta rientra nella competenza della Confederazione in materia di politica estera. La firma e la ratifica competono al Consiglio federale (art. 184 cpv. 2 prima frase). I trattati sono sottoposti all'approvazione dell'Assemblea federale, salvo che la loro conclusione non sia di competenza esclusiva del Consiglio federale (art. 166 cpv. 2 e 184 cpv. 2 seconda frase Cost.; art. 24 cpv. 2 della legge del 13 dicembre 200251 sul Parlamento). La CSE non costituisce un'eccezione in tal senso e deve quindi essere approvata dal Parlamento.

In virtù dell'articolo 141 capoverso 1 lettera d numero 3 Cost., i trattati internazionali comprendenti disposizioni importanti che contengono norme di diritto o per l'attuazione dei quali è necessaria l'emanazione di leggi federali sono sottoposti a referendum facoltativo.

La CSE riveduta contiene disposizioni comprendenti norme di diritto che, se fossero recepite nel diritto nazionale, sarebbero considerate importanti conformemente all'articolo 164 capoverso 1 Cost.52.

51 52

RS 171.10 Cfr. la mozione 04.3203 «Referendum facoltativo in materia di trattati internazionali.

Parallelismo tra la legislazione nazionale e quella internazionale», depositata dalla Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale.

4904

Conformemente all'articolo 141 capoverso 1 lettera d numero 3 Cost., un eventuale decreto federale di approvazione della CSE riveduta dovrebbe quindi essere sottoposto al referendum facoltativo applicabile ai trattati internazionali.

12

Conclusione finale

Per essere in grado di ratificare la CSE riveduta, uno Stato deve poter accettare integralmente almeno sei dei nove articoli del nocciolo duro. Nell'ambito dell'esame giuridico della possibilità di ratifica, l'elemento essenziale è pertanto la conformità del diritto nazionale con le disposizioni del nocciolo duro.

Per quanto riguarda la Svizzera, l'analisi di conformità ha rivelato che il diritto vigente non consente di accettare gli articoli 12 «diritto alla sicurezza sociale», 13 «diritto all'assistenza sociale e medica» e 19 «diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione e all'assistenza». Queste disposizioni non possono quindi essere prese in considerazione.

Gli articoli 1, 5, 6 e 20 del nocciolo duro sono invece accettabili per la Svizzera, segnatamente in seguito all'allentamento della prassi del CEDS.

Quanto all'articolo 7 del nocciolo duro, anch'esso può essere accettato grazie all'accordo raggiunto con il CEDS in merito al sistema svizzero di formazione professionale di base duale. In caso di ratifica, il CEDS esaminerebbe infatti la formazione professionale di base duale come un vero e proprio sistema educativo, quindi sotto il profilo dell'articolo 10 relativo alla formazione professionale e non dal punto di vista dell'articolo 7. Di conseguenza, l'articolo 7 CSE non solleva più alcun problema di conformità con il diritto e la prassi svizzeri vigenti.

La sesta disposizione del nocciolo duro che potrebbe essere accettata in vista di una ratifica è costituita dall'articolo 16. Il diritto svizzero vigente e gli sforzi in atto nei vari campi d'applicazione dell'articolo 16 sono conformi ai requisiti del CEDS.

Di conseguenza, dal punto di vista giuridico, oggi la Svizzera sarebbe in grado di accettare i sei articoli indispensabili del nocciolo duro e pertanto di ratificare la CSE riveduta. Inoltre, la Svizzera potrebbe accettare il numero richiesto di disposizioni supplementari.

Il Consiglio federale si pronuncerà sul principio di una ratifica della CSE in un secondo tempo, dopo che il Parlamento avrà preso atto del presente rapporto.

4905

Allegato I

Schema del sistema di controllo Stati che hanno ratificato la CSE

Rapporti annuali sull'attuazione di una parte delle disposizioni della CSE

Organizzazioni di datori di lavoro/lavoratori

Osservazioni sui rapporti annuali degli Stati

Reclami collettivi (meccanismo facoltativo)

Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) ­ È composto da 15 esperti indipendenti, eletti dal Comitato dei ministri.

­ Conduce un dialogo pragmatico con gli Stati.

­ Valuta la conformità del diritto e della prassi degli Stati con la CSE in base ai rapporti annuali («conclusioni») e, se del caso, in seguito a un reclamo collettivo («decisioni»).

Comitato governativo ­ È composto dai rappresentanti degli Stati Parte della CSE.

­ Esamina le conclusioni di non conformità del CEDS tenendo conto delle spiegazioni degli Stati e delle loro informazioni concernenti le misure prese o previste.

­ Può proporre al Comitato dei ministri di indirizzare raccomandazioni a uno Stato.

Comitato dei ministri ­ È composto dai ministri degli affari esteri degli Stati Parte della CSE.

­ A maggioranza dei due terzi, può indirizzare a uno Stato raccomandazioni non giuridicamente vincolanti.

Assemblea parlamentare Dibattiti periodici su questioni di politica sociale ­ A maggioranza dei due terzi, può indirizzare a uno Stato raccomandazioni non giuridicamente vincolanti.

4906

Allegato II

Testo degli articoli del nocciolo duro della CSE riveduta53 Art. 1

Diritto al lavoro

Per garantire l'effettivo esercizio del diritto al lavoro, le Parti s'impegnano: 1.

a riconoscere, tra i loro principali obiettivi e responsabilità, la realizzazione ed il mantenimento del livello più elevato e più stabile possibile dell'impiego in vista della realizzazione del pieno impiego;

2.

a tutelare in modo efficace il diritto del lavoratore di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente intrapreso;

3.

a istituire o a mantenere servizi gratuiti in materia di occupazione per tutti i lavoratori;

4.

ad assicurare o a favorire un orientamento, una formazione ed un riadattamento professionale adeguati.

(...)

Art. 5

Diritti sindacali

Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s'impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell'applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sono applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale.

Art. 6

Diritto di negoziazione collettiva

Per garantire l'effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, le Parti s'impegnano:

53

1.

a favorire consultazioni paritetiche tra lavoratori e datori di lavoro;

2.

a promuovere, qualora ciò sia necessario ed utile, le procedure di negoziazione volontaria tra i datori di lavoro e le organizzazioni di datori di lavoro da un lato e le organizzazioni di lavoratori d'altro lato, per disciplinare con convenzioni collettive le condizioni di lavoro;

3.

a favorire l'istituzione e l'utilizzazione di adeguate procedure di conciliazione e di arbitrato volontario per la soluzione delle vertenze di lavoro;

Traduzione non ufficiale del Consiglio d'Europa. Fonte: www.conventions.coe.int > Trattati del Consiglio d'Europa > Lista completa > n. 163.

4907

e riconoscono: 4.

Art. 7

il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro d'intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d'interesse, compreso il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi eventualmente derivanti dalle convenzioni collettive in vigore.

Diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela

Per garantire l'effettivo esercizio del diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela, le Parti s'impegnano: 1.

a fissare a 15 anni l'età minima di ammissione al lavoro; sono tuttavia ammesse deroghe per i bambini impiegati in determinati lavori leggeri che non mettono a repentaglio la loro salute, moralità o istruzione;

2.

a fissare a 18 anni l'età minima di ammissione al lavoro per alcune occupazioni considerate come pericolose o insalubri;

3.

a vietare che i bambini ancora in età d'istruzione obbligatoria siano utilizzati per lavori che li privano del pieno beneficio di tale istruzione;

4.

a limitare la durata dell'attività lavorativa dei lavoratori di età inferiore a 18 anni in modo che corrisponda alle loro esigenze di sviluppo ed in particolare ai fabbisogni della loro formazione professionale;

5.

a riconoscere il diritto dei giovani lavoratori e degli apprendisti ad un'equa retribuzione o ad un'adeguata indennità;

6.

a prevedere che le ore che gli adolescenti destinano alla formazione professionale durante il normale orario di lavoro, con l'autorizzazione del datore di lavoro, siano considerate incluse nella giornata lavorativa;

7.

a fissare in un minimo di quattro settimane la durata delle ferie annuali retribuite dei lavoratori di età inferiore a 18 anni;

8.

a vietare l'impiego di lavoratori di età inferiore a 18 anni in lavori notturni, salvo per alcuni lavori stabiliti dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale;

9.

a prevedere che i lavoratori di età inferiore a 18 anni occupati in taluni lavori stabiliti dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale siano sottoposti ad un regolare controllo medico;

10. ad assicurare una speciale protezione contro i pericoli fisici e morali cui i bambini e gli adolescenti sono esposti ed in particolare contro quelli che risultano direttamente o indirettamente dal loro lavoro.

(...)

Art. 12

Diritto alla sicurezza sociale

Per garantire l'effettivo esercizio del diritto alla sicurezza sociale, le Parti s'impegnano: 1.

a stabilire o a mantenere un regime di sicurezza sociale;

2.

a mantenere il regime di sicurezza sociale ad un livello soddisfacente almeno uguale a quello richiesto per la ratifica del Codice europeo di sicurezza sociale;

4908

3.

ad adoperarsi per elevare progressivamente il livello del regime di sicurezza sociale;

4.

a prendere provvedimenti, mediante la conclusione di adeguati accordi bilaterali o multilaterali o con altri mezzi, fatte salve le condizioni stabilite in tali accordi, per garantire: a. la parità di trattamento tra i cittadini di ciascuna delle Parti ed i cittadini delle altre Parti per quanto concerne i diritti alla sicurezza sociale, ivi compresa la conservazione dei vantaggi concessi dalle legislazioni di sicurezza sociale, a prescindere dagli spostamenti che le persone tutelate potrebbero effettuare tra i territori delle Parti; b. l'erogazione, il mantenimento ed il ripristino dei diritti alla sicurezza sociale con mezzi quali la totalizzazione dei periodi di contribuzione o di lavoro compiuti secondo la legislazione di ciascuna delle Parti.

Art. 13

Diritto all'assistenza sociale e medica

Per garantire l'effettivo esercizio del diritto all'assistenza sociale e medica, le Parti s'impegnano: 1.

ad accertarsi che ogni persona che non dispone di risorse sufficienti o che non è in grado di procurarsi tali risorse con i propri mezzi o di riceverli da un'altra fonte, in particolare con prestazioni derivanti da un regime di sicurezza sociale, possa ottenere un'assistenza adeguata e, in caso di malattia, le cure di cui necessita in considerazione delle sue condizioni;

2.

ad accertarsi che le persone che beneficiano di tale assistenza non subiscano in ragione di ciò, una diminuzione dei loro diritti politici o sociali;

3.

a prevedere che ciascuno possa ottenere mediante servizi pertinenti di carattere pubblico o privato, ogni tipo di consulenza e di aiuto personale necessario per prevenire, eliminare o alleviare lo stato di bisogno personale e familiare;

4.

ad applicare, a parità con i loro concittadini, le disposizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 del presente articolo ai cittadini delle altre Parti che si trovano legalmente sul loro territorio in conformità con gli obblighi assunti ai sensi della Convenzione europea di assistenza sociale e medica firmata a Parigi l'11 dicembre 1953.

(...)

Art. 16

Diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica

Per realizzare le condizioni di vita, indispensabili al pieno sviluppo della famiglia, cellula fondamentale della società, le Parti s'impegnano a promuovere la tutela economica, giuridica e sociale della vita di famiglia, in particolare per mezzo di prestazioni sociali e familiari, di disposizioni fiscali e d'incentivazione alla costruzione di abitazioni adattate ai fabbisogni delle famiglie, di aiuto alle coppie di giovani sposi, o di ogni altra misura appropriata.

(...)

4909

Art. 19

Diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione ed all'assistenza

Per assicurare il concreto esercizio del diritto dei lavoratori migranti e delle loro famiglie alla protezione ed all'assistenza sul territorio di ogni altra Parte, le Parti s'impegnano: 1.

a mantenere o ad accertarsi dell'esistenza di adeguati servizi gratuiti incaricati di assistere tali lavoratori ed in particolare di fornire loro informazioni esatte e di adottare ogni misura utile a condizione che la legislazione e la regolamentazione nazionale lo consentano, contro ogni propaganda ingannevole sull'emigrazione e l'immigrazione;

2.

a prendere, nei limiti della loro giurisdizione, adeguati provvedimenti per agevolare la partenza, il viaggio e l'accoglienza di questi lavoratori e delle loro famiglie e garantire loro, nei limiti della giurisdizione, i servizi sanitari e medici necessari durante il viaggio, nonché buone condizioni d'igiene;

3.

a promuovere la collaborazione tra i servizi sociali, pubblici o privati a seconda dei casi dei Paesi di emigrazione e d'immigrazione;

4.

a garantire ai lavoratori di cui sopra che si trovano legalmente sul loro territorio, a condizione che tali materie siano disciplinate dalla legislazione o dalla regolamentazione o sottoposte al controllo delle autorità amministrative, un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai loro connazionali per le seguenti materie: a. retribuzione e altre condizioni d'impiego e di lavoro; b. affiliazione alle organizzazioni sindacali e godimento dei vantaggi offerti dalle convenzioni collettive; c. abitazione;

5.

a garantire ai lavoratori che si trovano legalmente sul loro territorio un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai loro cittadini per quanto riguarda le tasse, le imposte ed i contributi inerenti al lavoro percepiti a titolo del lavoratore;

6.

ad agevolare per quanto possibile il ricongiungimento familiare del lavoratore migrante autorizzato a stabilirsi sul territorio;

7.

a garantire ai lavoratori che si trovano legalmente sul loro territorio un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai loro cittadini per le azioni legali vertenti su questioni contemplate dal presente articolo;

8.

a garantire ai lavoratori che risiedono regolarmente sul loro territorio che potranno essere espulsi solo se minacciano la sicurezza dello Stato o contravvengono all'ordine pubblico o al buoncostume;

9.

ad autorizzare, entro i limiti stabiliti dalla legislazione, il trasferimento di qualsiasi parte dei guadagni e dei risparmi dei lavoratori migranti che questi ultimi desiderano trasferire;

10. ad estendere la protezione e l'assistenza previste dal presente articolo ai lavoratori migranti che lavorano in proprio, a condizione che le misure in oggetto siano applicabili a tale categoria;

4910

11. a favorire ed a facilitare l'insegnamento della lingua nazionale dello Stato di accoglienza oppure se vi sono diverse lingue, di una di esse, ai lavoratori migranti ed ai loro familiari; 12. a favorire ed a facilitare per quanto possibile, l'insegnamento della lingua materna del lavoratore migrante ai suoi figli.

(...)

Art. 20

Diritto alla parità di opportunità e di trattamento in materia di lavoro e di professione senza discriminazioni basate sul sesso

Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto alla parità di opportunità e di trattamento in materia di lavoro e di professione, senza discriminazioni basate sul sesso, le Parti s'impegnano a riconoscere questo diritto e a prendere adeguate misure per assicurare o promuoverne l'applicazione nei seguenti settori: a.

accesso al lavoro, tutela in caso di disdetta del rapporto di lavoro e reinserimento professionale;

b.

orientamento e formazione professionale, riciclaggio, riadattamento professionale;

c.

condizioni d'impiego e di lavoro, ivi compresa la retribuzione;

d.

progressione di carriera, ivi compresa la promozione.

4911

4912