10.111 Rapporto sulla politica estera 2010 del 10 dicembre 2010

Onorevoli presidenti e consiglieri, vi sottoponiamo, per conoscenza, il rapporto sulla politica estera 2010.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

10 dicembre 2010

In nome del Consiglio federale svizzero: La presidente della Confederazione, Doris Leuthard La cancelliera della Confederazione, Corina Casanova

2010-1525

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Compendio Il rapporto sulla politica estera 2010 fornisce una panoramica generale sulla politica estera svizzera. L'impegno internazionale è un mezzo per la Svizzera per tutelare i propri interessi nei confronti dell'estero e cercare soluzioni per affrontare le sfide attuali a livello regionale e globale. Il presente rapporto mostra come la Svizzera può esercitare la sua influenza in un contesto internazionale fortemente interconnesso e di quali strumenti dispone. Inoltre, esso riferisce sulle principali attività di politica estera tra la metà del 2009 e la metà del 2010.

Conformemente al postulato della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (06.3417), che chiedeva un compendio di tutti i rapporti concernenti la politica estera pubblicati periodicamente, il presente rapporto contiene un allegato sulle attività della Svizzera nel Consiglio d'Europa e un allegato sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo.

Sfide e tendenze di sviluppo (numero 1) Le tendenze e le sfide globali, menzionate dal Consiglio federale nel rapporto sulla politica estera dello scorso anno, si sono riconfermate e costituiscono pertanto la trama dell'azione di politica estera anche nell'anno in rassegna: ­

sono proseguiti sia il mutamento degli equilibri di potere economico e politico in direzione dell'Asia che gli sforzi d'integrazione regionale in Europa e in altri continenti;

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sono aumentate ulteriormente la complessità e le interdipendenze reciproche delle crisi globali, non solo di natura economica e finanziaria, bensì anche in settori come il clima, l'energia, la sanità e l'istruzione, come pure le diatribe alla ricerca di soluzioni in questo contesto;

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i cambiamenti ambientali globali influiscono sulle basi vitali naturali di buona parte dell'umanità e aggravano la povertà in molte regioni del mondo. La soluzione di problemi così grandi richiede normative efficaci e organizzazioni internazionali in grado di agire;

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economie nazionali in rapida crescita come quelle cinese, brasiliana o indiana svolgono un ruolo chiave per lo sviluppo nella loro regione.

Di fronte a queste sfide cambiano anche le forme di lavoro e comunicazione della politica estera. Siccome sempre più temi sono discussi in consessi multilaterali, le linee di separazione tra diplomazia bilaterale e multilaterale si attenuano.

Per alcuni aspetti, la Svizzera ha reagito brillantemente a queste tendenze. Ha assunto un ruolo da protagonista nella comunità internazionale e ha consolidato ulteriormente la sua rete di relazioni. In diverse regioni del mondo la Svizzera ha lavorato per risolvere le sfide già esistenti e consolidato ancora di più il suo impegno in materia di politica estera, basato su una politica di tutela degli interessi e di influenza a livello bilaterale e multilaterale di ampio respiro.

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Priorità geografiche della politica estera svizzera (numero 2) La Svizzera attua una politica di universalità nelle sue relazioni diplomatiche, cercando di mantenere strette relazioni con tutti gli Stati. Questo approccio, adottato da decenni, permette alla Svizzera, che non ha aderito né all'Unione europea né ad alcuna alleanza militare, di difendere i suoi interessi nel mondo intero e in tutti i settori.

Universalità non significa tuttavia che la Svizzera non definisca delle priorità. Essa attribuisce infatti particolare importanza ai suoi partner strategici come pure agli Stati limitrofi. La Svizzera tiene anche conto dell'attuale mutamento di rapporti nel mondo, segnatamente dell'avanzata dei Paesi emergenti, adattando di conseguenza la sua politica estera e l'allocazione delle risorse umane e finanziarie.

Europa In quanto Paese situato geograficamente al centro del continente europeo, la Svizzera è direttamente coinvolta negli sviluppi in Europa.

La risposta principale dell'Unione europea (UE) al mutamento dei rapporti di forza mondiali è il rafforzamento dell'integrazione europea. A tal fine, negli ultimi anni l'UE ha potenziato continuamente le sue capacità nei settori della politica estera, della sicurezza e della difesa. È inoltre sempre più evidente che l'UE mira a stabilire standard riconosciuti a livello internazionale attraverso lo sviluppo di norme giuridiche comunemente accettate.

Visti i legami estremamente stretti con l'UE è fondamentale che la Svizzera segua da vicino la dinamica della sua politica d'integrazione e si posizioni di conseguenza. Al tempo stesso deve sfruttare gli strumenti di politica estera supplementari di cui dispone. A tale scopo può far capo a organizzazioni come il Consiglio d'Europa, l'OSCE o l'AELS, di cui è membro e alle relazioni bilaterali buone e consolidate con i Paesi europei.

Altre regioni del mondo Nel contesto della ridefinizione dei rapporti di forza a livello globale e della maggiore consapevolezza acquisita dai Paesi emergenti, le relazioni bilaterali della Svizzera con i Paesi extraeuropei acquisiranno un'importanza sempre crescente.

Sulla base delle linee guida varate nel 2005 dal Consiglio federale, le relazioni con importanti Paesi partner extraeuropei sono state intensificate anche nell'anno in rassegna. In primo piano è in particolare
la cooperazione con gli Stati Uniti e il Brasile sul continente americano, con la Cina, l'India e il Giappone in Asia e con il Sudafrica.

È quindi nell'interesse della Svizzera curare anche in futuro relazioni bilaterali intense con il maggior numero possibile di partner. Un importante strumento a questo scopo è costituito dalla rete di rappresentanze di cui dispone la politica estera svizzera. Essa va commisurata alle diverse esigenze poste dagli ambiti politici importanti per il Paese e deve essere sufficientemente flessibile per poter essere adeguata all'evoluzione del panorama internazionale.

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Organizzazioni e consessi globali e regionali (numero 3) Sulla scia della globalizzazione le organizzazioni multilaterali si sono sviluppate sempre di più in consessi nei quali vengono formulati e discussi approcci di soluzione alle sfide globali. Per le questioni politiche l'ONU ha solitamente la sovranità sulle tematiche trattate, mentre per gli aspetti economici gli impulsi globali provengono in prevalenza dal G20.

In questo ambito le organizzazioni multilaterali sono strumenti sempre più importanti della politica estera svizzera. Consentono infatti di discutere aspetti di interesse globale e regionale in un contesto strutturato e di cercare soluzioni che possano essere condivise dal maggior numero possibile di Paesi.

L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale rivela l'importanza di organismi internazionali, che si occupano della regolamentazione del quadro economico mondiale. In questo settore la Svizzera è interessata in modo particolare a essere coinvolta e a influenzare gli sviluppi e le decisioni. Altrettanto importante è il suo ruolo nelle organizzazioni dell'ONU, dove vengono adottate decisioni che riguardano in modo determinante la Svizzera e i suoi interessi di politica estera. È inoltre necessario, in virtù della partecipazione attiva nelle organizzazioni con un orientamento regionale e tematico, far valere le esigenze specifiche della Svizzera e allargare la rete di contatti di politica estera.

In questo senso è importante che la Svizzera partecipi ancora di più al dialogo multilaterale, soprattutto nei consessi che servono alla formazione delle opinioni a livello internazionale. Può così ottenere nuove possibilità di esercitare la propria influenza in ambiti importanti per la propria politica estera.

Temi importanti della politica estera svizzera (numero 4) L'internazionalizzazione e l'interconnessione crescenti delle politiche tematiche rendono necessario armonizzare in termini di politica estera le numerose politiche settoriali. La maggior parte delle questioni di politica estera che si pongono nel mondo odierno vanno oltre le capacità dei singoli Stati e devono dunque essere affrontate insieme ad altri Stati e con la collaborazione della comunità internazionale. Il presente rapporto illustra le sfide poste nei diversi settori tematici e le soluzioni proposte dalla
politica estera svizzera.

Politica finanziaria ed economica internazionale I decisi interventi di politica economica nei due scorsi anni hanno permesso di arginare con successo la crisi finanziaria ed economica globale nel corso del 2009.

La Svizzera ha superato la crisi relativamente bene. Nel settore della gestione patrimoniale internazionale si sono invece resi necessari adeguamenti e la pressione internazionale in questo ambito non è probabilmente destinata a diminuire. Il capitolo illustra l'impegno internazionale della Svizzera per superare la crisi e gli strumenti da essa impiegati per contrastare lo sfruttamento abusivo della sua piazza finanziaria.

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Sicurezza umana e migrazione Dagli anni Novanta del secolo scorso si è imposta a livello internazionale un'accezione più ampia della nozione di «sicurezza umana», che si concentra sull'individuo e sul suo bisogno di vivere al riparo dalla paura. La Svizzera si impegna in questo ambito tra l'altro attraverso i buoni uffici, la mediazione e la prevenzione dei conflitti, la lotta contro diversi tipi di armi e il rafforzamento dei diritti umani. Negli anni più recenti, le sfide in questi campi si sono moltiplicate, assumendo dimensioni globali. Ciò vale anche per il tema della migrazione, che è oggi tra le questioni chiave a livello mondiale sul piano politico e sociale. Per questo motivo il presente rapporto contiene un capitolo dedicato alla migrazione (n. 4.3).

Cooperazione allo sviluppo Per effetto della globalizzazione, lo sviluppo economico mondiale è caratterizzato da numerose disparità sia tra le società che all'interno di esse. I Paesi industrializzati cercano di mantenere la propria posizione di forza nell'economia mondiale, mentre i Paesi emergenti in rapida crescita sono interessati soprattutto a recuperare rapidamente il loro ritardo nello sviluppo. La crisi finanziaria internazionale e le sue immediate ripercussioni sui bilanci pubblici di molti Paesi industrializzati avranno anche conseguenze durature sui Paesi in sviluppo. Per diminuire la dipendenza dai mercati internazionali dei capitali questi Paesi dovranno tenere sotto controllo il debito interno e il debito estero e sviluppare i mercati finanziari locali.

Il messaggio sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo, adottato dal Parlamento nel dicembre 2008, definisce per la prima volta una strategia unitaria per la politica dello sviluppo, che si applicherà a tutti i servizi federali coinvolti. Fondandosi su questo nuovo orientamento, il rapporto sulla politica estera 2010 illustra il contributo della Svizzera alla soluzione dei problemi globali inerenti alla politica di sviluppo. Il presente rapporto affronta dunque anche il dibattito sulla ridistribuzione dei diritti di voto a favore dei Paesi in sviluppo e in transizione nell'ambito delle Istituzioni di Bretton Woods.

Altri temi importanti Il presente rapporto si occupa inoltre di una serie di altri temi importanti per
la politica estera della Svizzera e la cui dimensione internazionale è di crescente interesse. Tra questi temi rientrano la politica del disarmo e di non proliferazione e l'impegno della Svizzera a livello di politica estera nei settori dell'ambiente, dell'energia e della sanità, nonché della formazione, della ricerca e dell'innovazione. Una sezione sulla politica di neutralità della Svizzera completa il capitolo.

Mansioni consolari (numero 5) Il volume complessivo dei servizi consolari forniti dalle rappresentanze svizzere all'estero è in continuo aumento. Se l'attuazione dell'accordo di Schengen ha portato a una diminuzione delle richieste di visti, le procedure sono divenute più complesse. Nel settore della protezione consolare, ossia l'aiuto ai cittadini svizzeri che si trovano in situazione di bisogno all'estero, il numero delle prestazioni fornite

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dalle rappresentanze all'estero si è mantenuto costantemente elevato nell'anno in rassegna. In questo campo la sfida è rappresentata dalla necessità di garantire aiuto in tutto il mondo e in ogni momento. A questo aspetto dovrà essere dedicata una maggiore considerazione e il DFAE sta valutando la possibilità di istituire un servizio per i cittadini, operativo 24 ore su 24. Infine, va notato che negli ultimi anni il DFAE ha modernizzato e ha professionalizzato il suo dispositivo di gestione delle crisi. È stata istituita una cellula di crisi che è dotata di una squadra d'intervento per rafforzare provvisoriamente le rappresentanze all'estero in caso di bisogno.

Politica estera e opinione pubblica (numero 6) Nella società dell'informazione globale la comunicazione all'estero ricopre un ruolo di crescente importanza ai fini della tutela degli interessi di un Paese. Per questo motivo nel presente rapporto viene dedicato un intero capitolo alle questioni di comunicazione legate alla politica estera. Nell'anno in rassegna, la comunicazione è stata sollecitata in particolare da temi quali l'accordo di assistenza amministrativa nel caso UBS, la votazione sull'iniziativa contro l'edificazione di minareti e i problemi bilaterali con la Libia. In generale, la Svizzera gode a livello internazionale di una buona immagine che complessivamente non è stata pregiudicata dalle questioni menzionate. Questo risultato è dovuto non da ultimo al lavoro mediatico che ha comunicato temi connotati positivamente, come l'impegno della Svizzera in favore di un avvicinamento tra l'Armenia e la Turchia o il contributo svizzero all'allargamento a Est dell'UE.

Conduzione della politica estera (numero 7) Le implicazioni economiche e politiche della globalizzazione modificano le condizioni quadro della politica estera. Le sfide da affrontare sul piano internazionale sono sempre più complesse e interdipendenti. È dunque essenziale che nell'impiego delle sue risorse la Svizzera applichi strategie coerenti per ottenere i migliori risultati possibili. Il DFAE si adopera dunque per utilizzare con efficienza le risorse finanziarie e di personale disponibili e per adeguare regolarmente le strutture al mutare delle situazioni. Ha intrapreso dunque una riorganizzazione del Dipartimento, volta a ottenere una conduzione dell'amministrazione
maggiormente incentrata sull'efficienza. Oltre agli adeguamenti in seno alla DSC, alla Direzione delle risorse e alla Segreteria generale, il DFAE esamina l'istituzione di una Direzione consolare per rispondere alla domanda crescente di servizi consolari.

Conclusione:esercitare la propria influenza per tutelare gli interessi nazionali (numero 8) Il rapporto sulla politica estera 2010 illustra le possibilità di cui la Svizzera dispone per esercitare la propria influenza nel contesto internazionale e come esse sono state messe a profitto nell'anno in rassegna. Una delle principali sfide in questo ambito consiste nell'armonizzare l'autonomia della Svizzera con le esigenze della cooperazione internazionale. Sovranità nazionale e influenza internazionale non devono essere in contraddizione. Cooperazione internazionale non significa anzitutto dipendenza e perdita di sovranità. È al contrario un'opportunità di agire responsabilmente a salvaguardia dei propri interessi. Le istituzioni e le convenzioni

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internazionali nate nel contesto della globalizzazione hanno moltiplicato le opzioni di codeterminazione delle scelte e offrono un ampio ventaglio di possibilità per un esercizio condiviso o comune della sovranità.

In tale contesto è importante che la Svizzera cerchi di esercitare la maggiore influenza possibile nell'ambito delle sue attività internazionali. E può farlo creando valore aggiunto attraverso azioni comuni, ad esempio prendendo iniziative e formulando richieste presso gli organismi internazionali, impegnandosi per soluzioni sostenibili o proponendo progetti di riforma fondati. Per avere successo in questo campo, la Svizzera deve far conoscere i propri interessi, concentrarli e farli confluire nei processi decisionali internazionali. Infine, l'esercizio della propria influenza richiede anche una gestione attiva della comunicazione. Sarà necessario moltiplicare i nostri sforzi in questo campo, per godere in futuro di buona considerazione nell'arena mediatica internazionale.

Infine, per fare in modo che i suoi interessi siano adeguatamente tenuti in considerazione nel mondo globalizzato di oggi, la Svizzera deve continuare a perseguire approcci diversificati a livello geografico, istituzionale e tematico. Inoltre, è importante attribuire la giusta attenzione alla coerenza delle attività di politica estera. Gli strumenti di tale politica devono quindi essere concepiti in modo abbastanza flessibile da potersi adattare facilmente a un contesto internazionale in costante evoluzione.

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Indice Compendio

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Elenco delle abbreviazioni

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1 Introduzione: sfide e tendenze di sviluppo

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2 Priorità geografiche della politica estera svizzera 2.1 Osservazioni preliminari 2.2 Politica europea 2.2.1 Unione europea 2.2.2 Consiglio d'Europa 2.2.3 OSCE 2.2.4 AELS 2.2.5 Relazioni con Stati europei selezionati 2.3 Politica nei confronti del continente americano 2.4 Politica nei confronti dell'Asia e dell'Oceania 2.5 Politica nei confronti del Vicino Oriente, del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale 2.6 Politica nei confronti dell'Africa subsahariana

944 944 945 946 955 959 961 962 973 981

3 Organizzazioni e consessi globali e regionali 3.1 Multilateralismo di carattere politico, legale e relativo alla sicurezza 3.1.1 ONU 3.1.2 Consiglio di partenariato euro atlantico e Partenariato per la pace 3.1.3 Francofonia 3.1.4 Forme associative regionali extraeuropee 3.1.5 Organizzazione della Conferenza islamica (OCI) 3.1.6 Organi internazionali di giustizia penale 3.2 Multilateralismo di carattere economico 3.2.1 G20 3.2.2 Financial Stability Board 3.2.3 OCSE 3.2.4 Organizzazione mondiale del commercio (OMC) 3.3 Multilateralismo di carattere culturale e scientifico 3.3.1 Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) 3.3.2 Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) 3.3.3 Agenzia spaziale europea (ESA) 3.3.4 Commissione delle Nazioni Unite per l'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UN COPUOS) 4 Temi importanti della politica estera svizzera 4.1 Politica finanziaria ed economica internazionale 4.1.1 Superamento della crisi finanziaria ed economica 4.1.2 La piazza finanziaria svizzera

934

989 994 1000 1000 1000 1017 1019 1020 1022 1023 1025 1025 1028 1028 1030 1030 1030 1031 1032 1033 1034 1034 1034 1037

4.1.3 Lotta alla corruzione 4.1.4 Problematica degli averi illegali di potentati 4.2 Sicurezza umana 4.2.1 Sfide 4.2.2 Promozione della pace 4.2.3 Politica dei diritti dell'uomo 4.2.4 Politica umanitaria 4.2.5 Consolidamento del diritto internazionale umanitario 4.3 Politica estera in materia di migrazione 4.3.1 Interessi di politica estera in materia di migrazione 4.3.2 Sfide attuali 4.3.3 L'approccio svizzero 4.3.4 Prospettive 4.4 Riduzione della povertà e aiuto umanitario 4.4.1 Crisi economica e politica dello sviluppo 4.4.2 Evoluzione della situazione mondiale e politica dello sviluppo 4.4.3 Contributo della Svizzera alla riduzione della povertà 4.4.4 Istituzioni di Bretton Woods e riduzione della povertà 4.4.5 Banche regionali di sviluppo e riduzione della povertà 4.4.6 Aiuto umanitario 4.5 Politica del disarmo e di non proliferazione 4.5.1 Sfide 4.5.2 Politica e attività della Svizzera 4.5.3 Verso una politica più attiva in materia di controllo degli armamenti, di disarmo e di non proliferazione 4.6 Politica estera ambientale 4.6.1 Biodiversità 4.6.2 Politica estera in materia di clima 4.7 Politica estera in materia energetica 4.8 Politica estera in materia sanitaria 4.9 Politica estera nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione 4.10 Neutralità

1040 1044 1047 1047 1054 1063 1068 1069 1071 1071 1072 1074 1076 1078 1078 1081 1084 1093 1097 1098 1101 1101 1102 1109 1110 1110 1111 1113 1118 1122 1125

5 Servizio pubblico 5.1 Mansioni consolari 5.2 Protezione consolare 5.3 Prevenzione e gestione delle crisi 5.4 Svizzeri all'estero

1127 1127 1130 1131 1132

6 Politica estera e opinione pubblica 6.1 Relazioni con i media 6.2 Comunicazione strategica dell'immagine nazionale 6.3 Sfide e prospettive

1134 1134 1136 1139

935

7 Conduzione della politica estera 7.1 Sfide 7.2 Riorganizzazione del DFAE

1140 1140 1141

8 Conclusione: esercitare la propria influenza per tutelare gli interessi nazionali

1145

Allegati 1 Informazioni complementari concernenti il Consiglio d'Europa (2009­maggio 2010) 2 Rapporto sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo (2007­2011)

936

1154 1176

Elenco delle abbreviazioni 3G

Gruppo Global Governance

ACNUR

Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

AELS

Associazione europea di libero scambio

AIE

Agenzia internazionale per l'energia

AIEA

Agenzia internazionale per l'energia atomica

ALCP

Accordo sulla libera circolazione delle persone

APEC

Cooperazione economica Asia-Pacifico (Asia-Pacific Economic Cooperation)

ASEAN

Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale (Association of Southeast Asian Nations)

ASEM

Incontri Asia-Europa (Asia-Europe Meeting)

BERS

Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo

BIRS

Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo

BNS

Banca nazionale svizzera

BRIC

Gruppo dei principali Paesi emergenti: Brasile, Russia, India e Cina

BWI

Istituzioni di Bretton Woods

CAS

Comitato di aiuto allo sviluppo (OCSE)

CCM

Convenzione sulle munizioni a grappolo (Convention on Cluster Munitions)

CDM

Meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism)

CE

Trattato che istituisce la Comunità europea

CEDU

Convenzione europea dei diritti dell'uomo

CERN

Organizzazione europea per la ricerca nucleare

CFE

Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Treaty on Conventional Armed Forces in Europe)

CFM

Commissione federale della migrazione

CFT

Lotta contro il finanziamento del terrorismo (Combating Financing Terrorism)

CGCE

Corte di giustizia delle Comunità europee

CGIAR

Gruppo consultivo per la ricerca agraria internazionale (Consultative Group on International Agricultural Research)

CGSP

Centro ginevrino per la politica di sicurezza (Geneva Centre for Security Policy)

CICR

Comitato internazionale della Croce Rossa

937

CIG

Corte internazionale di giustizia

COMCO

Commissione della concorrenza

COPUOS

Comitato per l'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (Committee on the Peaceful Uses of Outer Space)

Corte

Corte europea dei diritti dell'uomo

CPI

Corte penale internazionale

CPE

Commissioni della politica estera

CPT

Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Committee for the Prevention of Torture)

CSA

Corpo svizzero di aiuto umanitario

CSCE

Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa

CSI

Comunità degli Stati indipendenti

CTBT

Trattato sul divieto degli esperimenti nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty)

DCAF

Centro per il controllo democratico delle forze armate, Ginevra (Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces)

DDPS

Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport

DFAE

Dipartimento federale degli affari esteri

DFE

Dipartimento federale dell'economia

DFF

Dipartimento federale delle finanze

DFGP

Dipartimento federale di giustizia e polizia

DFI

Dipartimento federale dell'interno

DSC

Direzione dello sviluppo e della cooperazione

EAPC

Consiglio di partenariato euroatlantico (Euro-Atlantic Partnership Council)

ECOSOC

Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Economic and Social Council)

ECOWAS

Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Economic Community of West African States)

ESA

Agenzia spaziale europea (European Space Agency)

EU3+3

Gruppo dei tre europei (Germania, Francia e Regno Unito) + Gruppo dei tre (Cina, Russia, Stati Uniti)

EUFOR

Forza multilaterale dell'Unione europea (European Union Force)

EULEX

Missione di giustizia e polizia dell'UE in Kosovo (European Union Rule of Law Mission in Kosovo)

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FAO

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Food and Agriculture Programme)

FIPOI

Fondazione per gli immobili delle organizzazioni internazionali

FMCT

Trattato sul divieto di produzione di materiale fissile per le armi nucleari (Fissile Material Cut-Off Treaty)

FMI

Fondo monetario internazionale

FSB

Financial Stability Board

G8

Gruppo degli otto (Stati Uniti, Germania, Giappone, Regno Unito, Canada, Francia e Italia [G 7] più la Russia)

G20

Gruppo dei venti (composto da Paesi industrializzati ed emergenti)

G24

Gruppo dei ventiquattro (composto da Paesi emergenti e in via di sviluppo)

GATT

Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade)

GEF

Fondo globale per l'ambiente (Global Environment Fund)

GRECO

Gruppo di Stati contro la corruzione (Groupe d'États contre la corruption)

HCHR

Alto Commissariato per i diritti dell'uomo (High Commissioner for Human Rights)

HRC

Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite (Human Rights Council)

IDA

Associazione internazionale per lo sviluppo (International Development Association)

IEF

Forum internazionale dell'energia (International Energy Forum)

IFC

Società finanziaria internazionale (International Finance Corporation)

ISAF

Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (International Security Assistance Force)

KFOR

Forza multinazionale per il mantenimento della pace in Kosovo

MERCOSUR Mercato comune dell'America meridionale MoU

Memorandum d'intesa (Memorandum of Understanding)

NAFTA

Accordo di libero scambio dell'America del Nord (North American Free Trade Agreement)

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NATO

Organizzazione del trattato Nord Atlantico (North Atlantic Treaty Organisation)

NSG

Gruppo dei fornitori nucleari (Nuclear Suppliers Group)

OAS

Organizzazione degli Stati americani (Organisation of American States)

OCHA

Ufficio di coordinamento degli affari umanitari (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs)

OCI

Organizzazione della conferenza islamica

OCSE

Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico

OIF

Organizzazione internazionale della Francofonia

OIL

Organizzazione internazionale del lavoro

OMC

Organizzazione mondiale del commercio

OMM

Organizzazione meteorologica mondiale

OMS

Organizzazione mondiale della sanità

ONG

Organizzazione non governativa

ONU

Organizzazione delle Nazioni Unite

OSCE

Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa

OSE

Organizzazione degli Svizzeri all'estero

OSM

Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals)

PAM

Programma alimentare mondiale

PESD

Politica europea di sicurezza e difesa comune

PfP

Partenariato per la pace (Partnership for Peace)

PNUA

Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente

PNUS

Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo

SADC

Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale

SCO

Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organisation)

SECO

Segreteria di Stato dell'economia

SEE

Spazio economico europeo

Swisscoy

Swiss Company (Unità dell'Esercito svizzero che partecipa alla missione di pace in Kosovo)

TAF

Tribunale amministrativo federale

TAP

Gasdotto transadriatico (Trans-Adriatic Pipeline)

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TIPH

Missione internazionale di osservazione a Hebron (Temporary International Presence in the City of Hebron)

TNP

Trattato di non proliferazione delle armi nucleari

TPIJ

Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia

TPIR

Tribunale penale internazionale per il Ruanda

UA

Unione africana

UE

Unione europea

UFAG

Ufficio federale dell'agricoltura

UFCOM

Ufficio federale delle comunicazioni

UFM

Ufficio federale della migrazione

UNASUR

Unione delle Nazioni sudamericane

UNCAC

Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (United Nations Convention against Corruption)

UNESCO

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization)

UNFCCC

Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change)

UNFPA

Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (United Nations Population Fund)

UNICEF

Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (United Nations Children's Fund)

UNIOGBIS

Ufficio integrato delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace in Guinea-Bissau (United Nations Integrated Peacebuilding Office in Guinea-Bissau)

UNMIL

Missione delle Nazioni Unite in Liberia (United Nations Mission in Liberia)

UNODC

Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (United Nations Office on Drugs and Crime)

UNRWA

Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)

UPR

Procedura di revisione periodica universale (Universal Periodic Review)

941

Rapporto 1

Introduzione: sfide e tendenze di sviluppo

La percezione degli eventi di politica estera dello scorso anno da parte dell'opinione pubblica svizzera è stata fortemente influenzata da tre avvenimenti, che hanno dominato l'agenda politica del Paese: le relazioni con la Libia, le discussioni internazionali sulla piazza finanziaria, sul segreto bancario e sulla politica fiscale nonché le reazioni suscitate all'estero dal risultato della votazione sui minareti. Questo ha potuto suscitare l'impressione che la Svizzera fosse isolata dalla comunità internazionale e sottoposta a una pressione esterna che la costringeva ad agire contro i suoi interessi nazionali.

Da un'osservazione più attenta risulta tuttavia che la Svizzera ha padroneggiato tutte e tre queste sfide tutelando al meglio i suoi interessi e spesso anche con un vigoroso sostegno internazionale. Questi esempi mostrano chiaramente come sia difficile conciliare la prospettiva della politica interna e quella della politica estera. Il caso della Libia è sintomatico: dal punto di vista della politica interna è percepito come un capitolo dolente della nostra politica estera. Dal punto di vista della politica estera ha invece mostrato come l'impegno internazionale possa essere utilizzato per difendere gli interessi nazionali: l'adesione della Svizzera a Schengen e la corrispondente possibilità di adottare restrizioni in materia di visti per l'intera area Schengen hanno reso possibile un sostegno diretto da parte dei partner europei, segnatamente della Germania e della Spagna, a quel momento alla presidenza dell'UE, che ha fornito un contributo essenziale alla soluzione della crisi.

Anche nell'ambito delle discussioni con gli Stati Uniti sulla problematica fiscale è emerso lo scollamento tra i punti di vista interno ed esterno. Mentre nel dibattito politico interno si è ben presto parlato di «diktat», sul piano internazionale la Svizzera è riuscita a far valere il suo ordinamento giuridico e a trovare la miglior soluzione possibile a un problema complesso con l'accordo internazionale di intesa extragiudiziale nella procedura contro UBS, in merito alla quale il Tribunale federale non si è ancora pronunciato.

Quanto alle reazioni internazionali all'iniziativa antiminareti, la Svizzera ha reagito con una strategia di dialogo costruttivo. Attraverso una comunicazione mirata, in particolare con
gli Stati musulmani, nonché attraverso l'intensificazione degli scambi con la comunità musulmana in Svizzera e la volontà manifesta di attuare una politica estera improntata al dialogo critico tra le civiltà, è stato possibile far meglio comprendere il risultato della votazione popolare a livello internazionale .

Oltre a sottolineare le evidenti differenze di percezione tra le sensibilità politiche interne e l'opinione pubblica internazionale, questi esempi di sfide di politica estera mostrano che l'intermediazione tra gli eventi di politica interna ed estera è diventata sempre più complessa e che, come ogni Paese, la Svizzera è esposta a influssi esterni ai quali, da sola, può difficilmente opporsi. Per poter tutelare i suoi interessi deve pertanto affrontare i problemi di politica estera facendo leva sulla collaborazione e sull'intesa con partner internazionali.

942

Oltre a questi temi improntati all'attualità si sono riconfermate le tendenze e le sfide globali menzionate dal Consiglio federale nel rapporto sulla politica estera dello scorso anno, che continuano pertanto a orientare la politica estera anche nell'anno in rassegna: ­

sono proseguiti sia il mutamento degli equilibri di potere economico e politico in direzione dell'Asia che gli sforzi d'integrazione regionale in Europa e su altri continenti;

­

sono aumentate ulteriormente la complessità e le interdipendenze reciproche delle crisi globali, non solo di natura economica e finanziaria, bensì anche in settori come il clima, l'energia, la sanità e l'istruzione, come pure le controversie su possibili soluzioni in questo contesto. Sulla scia della crisi finanziaria, le interdipendenze mondiali si sono accentuate e hanno mostrato chiaramente che la creazione di spazi finanziari ed economici isolati è ormai sostanzialmente un'illusione. Il rallentamento dell'economia mondiale va di pari passo con tensioni sociali, una maggior pressione migratoria e conflitti politici. La disponibilità dei vettori energetici è diventata un importante fulcro della politica mondiale e comporta il rischio di conflitti per la loro ripartizione;

­

i cambiamenti ambientali a livello globale influenzano le basi vitali naturali di buona parte dell'umanità e in molte regioni del mondo aggravano la povertà. Le loro conseguenze colpiscono in particolare i Paesi in sviluppo.

Date le interdipendenze globali, la cooperazione allo sviluppo è uno strumento importante nell'ambito della ricerca di soluzioni per una globalizzazione stabile ed equa. Siccome la povertà, il degrado degli Stati e delle società e i fondamentalismi religiosi s'influenzano vicendevolmente, l'impegno per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio fissati a livello internazionale costituisce una premessa importante per assicurare il futuro del mondo;

­

le grandi sfide come la lotta contro la povertà e l'utilizzazione sostenibile delle risorse richiedono normative efficaci e organizzazioni internazionali in grado di agire. Queste sfide aumentano la pressione sugli organismi nazionali e multilaterali e rafforzano la necessità di riforme istituzionali. A ciò si accompagna il bisogno di chiarire le modalità di governance internazionale;

­

i Paesi con una crescita economica rapida come la Cina, il Brasile o l'India svolgono un ruolo chiave per lo sviluppo della loro regione. Data la loro dimensione, assumono particolare rilievo per la soluzione di problemi globali. Per attuare strategie di sviluppo sostenibile è quindi indispensabile collaborare con questi Paesi.

Sotto l'influsso di queste sfide cambiano anche le forme di lavoro e di comunicazione della politica estera. Siccome sempre più temi sono discussi in consessi multilaterali, le linee di separazione tra diplomazia bilaterale e multilaterale si attenuano.

Benché i contatti bilaterali tradizionali conservino la loro importanza, sempre più spesso le questioni bilaterali sono discusse anche a margine di eventi multilaterali, attraverso contatti telefonici o videoconferenze oppure mediante scambi nell'ambito di alleanze tematiche.

943

Per alcuni aspetti, la Svizzera ha reagito con successo a queste evoluzioni. Ha assunto un ruolo da protagonista nella comunità internazionale, anche nei consessi multilaterali, e ha consolidato ulteriormente la sua rete di relazioni. I tradizionali mandati di rappresentanza degli interessi, che svolge per vari Stati, segnatamente gli Stati Uniti e la Russia, le procurano contatti privilegiati con i governi coinvolti. Altri impegni importanti sono stati l'attività d'intermediazione nel processo di ravvicinamento tra l'Armenia e la Turchia nonché il contributo al mantenimento dei canali di comunicazione tra le varie parti nel conflitto in Vicino Oriente.

La Svizzera ha partecipato agli sforzi di stabilizzazione in vari Paesi e regioni, ad esempio nei Balcani occidentali, nel Caucaso, in Asia centrale, nella regione africana dei Grandi Laghi, in Nepal o in Colombia. Con il suo aiuto umanitario flessibile ed efficiente, nel gennaio 2010 ha anche contribuito ad alleviare le necessità della popolazione colpita dal terremoto ad Haiti. Con la cooperazione allo sviluppo, la Svizzera contribuisce alla lotta contro la povertà e al miglioramento delle prospettive di vita dei gruppi di popolazione più poveri. Partecipa inoltre alla risposta a problemi globali come i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare, la penuria di acqua e i flussi migratori. L'impegno multilaterale della Svizzera è stato messo in risalto sia in Europa, attraverso la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, sia in seno all'ONU, dove la Svizzera ha presieduto per la prima volta una commissione principale e nel 2010­2011 ha assunto la presidenza dell'Assemblea generale con l'ex consigliere federale Deiss.

Il molteplice impegno della Svizzera in materia di politica estera si basa su una politica di tutela degli interessi e influenza bilaterale e multilaterale di ampio respiro, che si esprime in contributi attivi e innovativi alla ricerca di soluzioni a problemi globali, nella partecipazione al finanziamento di tali soluzioni, nella cooperazione pragmatica con Paesi che condividono le stesse posizioni, in scambi particolarmente intensi con i partner europei e nell'impiego costruttivo degli strumenti multilaterali disponibili. Il rapporto sulla politica estera 2010 traccia una panoramica di questo impegno nelle sue molteplici sfaccettature.

2

Priorità geografiche della politica estera svizzera

2.1

Osservazioni preliminari

La Svizzera attua una politica di universalità nelle sue relazioni diplomatiche: cerca di mantenere strette relazioni con tutti gli Stati e tutte le organizzazioni internazionali, indipendentemente dalle posizioni e dagli orientamenti politici. Questo approccio, adottato da decenni, permette alla Svizzera, che non ha aderito né all'Unione europea né ad alcuna alleanza militare, di difendere i suoi interessi nel mondo intero e in tutti i settori.

Universalità non significa tuttavia assenza di priorità. La Svizzera attribuisce infatti particolare importanza ai suoi partner strategici come pure agli Stati limitrofi. Tiene conto anche dell'attuale mutamento dei rapporti nel mondo, segnatamente dell'avanzata dei Paesi emergenti e della creazione di un nuovo ordine mondiale, adattando di conseguenza l'allocazione delle risorse umane e finanziarie.

Nelle pagine seguenti non sono necessariamente menzionati tutti gli Stati e tutte le organizzazioni internazionali. Ciò non sminuisce tuttavia la loro importanza per la Svizzera e alcuni di essi potranno diventare prioritari a seconda delle sfide e delle 944

circostanze. Analogamente, i diversi Paesi e regioni non sono necessariamente trattati in misura proporzionale all'intensità delle loro relazioni con la Svizzera. Le considerazioni di seguito riguardano piuttosto i punti essenziali che hanno contraddistinto la politica estera svizzera nell'anno in rassegna.

2.2

Politica europea

La risposta principale del continente europeo al mutamento dei rapporti di forza mondiali è rappresentata da un consolidamento dei legami tra gli Stati europei. È così proseguito il rafforzamento dell'integrazione europea in seno all'Unione europea (UE), segnatamente attraverso l'adozione, seppur non senza contrasti, del Trattato di Lisbona. Nonostante la relativa perdita d'influenza dell'Europa rispetto ad altre regioni del mondo, l'UE con i suoi Stati membri rimane la prima potenza economica mondiale e al tempo stesso la potenza continentale dominante, che sempre più spesso assume il ruolo di portavoce del vecchio continente nel mondo.

A tal fine, l'UE ha rafforzato continuamente le sue capacità e i suoi mezzi nei settori della politica estera, della sicurezza e della difesa. A ciò si aggiunge la crescente ambizione manifestata dall'UE di fungere da riferimento internazionale, iniziando dal continente europeo, in termini di elaborazione di norme giuridiche comunemente accettate. Questo si traduce in un fenomeno d'influsso crescente dell'UE, in quanto tale o attraverso i suoi Stati membri che operano in modo coordinato, su altre organizzazioni internazionali, in particolare quelle a vocazione europea, come l'OSCE o il Consiglio d'Europa.

La Svizzera, situata geograficamente al centro del continente, ma istituzionalmente al di fuori della sua organizzazione principale, deve prestare particolare attenzione a due evoluzioni in apparenza contraddittorie: da un lato la relativa perdita d'influenza del continente europeo nel mondo e dall'altro l'affermarsi dell'UE quale potenza dominante e portatrice di armonizzazione normativa sul continente europeo. Visti i legami estremamente stretti con l'UE è fondamentale che la Svizzera segua da vicino la dinamica della politica d'integrazione dell'UE e si posizioni di conseguenza. Al tempo stesso deve sfruttare gli strumenti di politica estera supplementari di cui dispone appoggiandosi in particolare su organizzazioni come il Consiglio d'Europa, l'OSCE o l'AELS, di cui è membro, e sulle relazioni bilaterali buone e consolidate che intrattiene con i Paesi europei.

945

2.2.1

Unione europea

Partendo dal corrispondente capitolo del rapporto sulla politica estera 2009 (FF 2009 5463), qui di seguito sono esaminate le principali evoluzioni dal punto di vista svizzero e valutate in base alla loro importanza per la Svizzera e la sua politica europea. Il presente capitolo è dedicato anche agli sviluppi intervenuti nelle relazioni tra la Svizzera e l'UE. Sono infine ricordati gli orientamenti di politica europea decisi dal Consiglio federale il 18 agosto 2010 (FF 2010 6395) in base al rapporto sulla valutazione della politica europea svizzera (in risposta al postulato Markwalder [09.3560]).

Ripercussioni per la Svizzera delle evoluzioni in seno all'UE Nel corso degli ultimi mesi, al termine di un processo lungo e difficile, l'UE ha realizzato il suo obiettivo di dotarsi di un quadro istituzionale che le permetta di stabilizzare il suo funzionamento migliorando al tempo stesso la sua legittimità democratica e le sue capacità di azione nel mondo. Paradossalmente, si è anche trovata di fronte a una crisi estremamente grave, legata alla situazione di bilancio della Grecia e di altri Paesi della zona euro, le cui conseguenze potrebbero segnare durevolmente il futuro della moneta unica e della stessa Unione.

Entrata in vigore del Trattato di Lisbona: per dotare l'UE allargata degli strumenti necessari per il suo buon funzionamento, il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo hanno firmato il Trattato di Lisbona, dopo che il precedente progetto di una Costituzione europea era stato affossato in votazione popolare in Francia e nei Paesi Bassi. Neanche due anni dopo, il 1° dicembre 2009, è entrato in vigore il trattato che 946

stabilisce le future sfere di competenza dell'Unione e le regole del suo funzionamento.

Di seguito le principali innovazioni: ­

l'UE assume una personalità giuridica propria;

­

la Comunità europea è sostituita dall'Unione europea;

­

è abolito il modello dei tre pilastri;

­

è istituita la nuova funzione del presidente del Consiglio europeo, che presiede i vertici europei ed è nominato dal Consiglio europeo per un mandato di due anni e mezzo (rinnovabile una volta). L'obiettivo è di garantire una maggior continuità e stabilità al lavoro del Consiglio europeo;

­

è istituita la nuova funzione di Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune cui è associata alla funzione di vicepresidente della Commissione europea, affiancata da un servizio diplomatico specifico (Servizio europeo per l'azione esterna, SEAE) operativo a partire dal 1° dicembre 2010;

­

per quanto riguarda la procedura di votazione in seno al Consiglio dell'Unione europea, nella maggior parte dei casi la maggioranza qualificata sostituisce il principio dell'unanimità (ad es. nella cooperazione in materia di giustizia e polizia, nell'agricoltura o nella pesca). Il principio dell'unanimità è tuttavia mantenuto per la fiscalità, la politica estera, la difesa e la sicurezza sociale e anche nell'ambito di Schengen, vincolante per la Svizzera (cfr.

art. 87 cpv. 3 TFUE);

­

a partire dal 2014, la maggioranza qualificata sarà sostituita dalla doppia maggioranza; essa sarà calcolata in base agli Stati membri e alla popolazione e richiederà l'approvazione del 55 per cento degli Stati membri, comprendente almeno 15 Stati membri che complessivamente rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione europea. Per una minoranza di blocco saranno necessari almeno quattro membri del Consiglio dell'UE;

­

il Parlamento europeo è rafforzato. Sono infatti ampliate le sue competenze in relazione alla legislazione, al bilancio e agli accordi internazionali. Inoltre in ampi settori la procedura di codecisione ­ che di fatto equipara il Parlamento europeo al Consiglio dell'UE ­ diventa lo strumento decisionale abituale della legislazione europea. Restano esclusi dalla procedura di codecisione la sicurezza sociale, il diritto della famiglia, la politica di sicurezza e difesa, le prescrizioni di natura fiscale o il traffico di capitali con Paesi terzi.

In futuro, per gli accordi internazionali sarà quindi necessaria anche l'approvazione del Parlamento europeo.

Il 9 febbraio 2010, il Parlamento europeo ha confermato i 26 commissari designati dal presidente della Commissione Barroso. Il loro mandato scadrà il 31 ottobre 2014.

La collaborazione tra i vari attori, in parte nuovi, in seno all'UE deve ancora essere organizzata; per il momento le sue modalità restano incerte. È presumibile che i vari organi giungeranno a una cooperazione istituzionale rafforzata. L'UE dovrebbe diventare un partner contrattuale e negoziale più prevedibile per la Svizzera, ma il margine d'azione della Svizzera potrebbe restringersi.

947

Il fatto che il Trattato di Lisbona conferisca personalità giuridica all'UE dovrebbe permettere di semplificare le procedure di negoziazione e stipulazione di accordi. In futuro, tuttavia, gli accordi internazionali dovranno essere approvati dal Parlamento europeo ­ come già indicato. Ciò potrebbe far sì che la conclusione di accordi richieda nettamente più tempo e in determinati casi diventi addirittura impossibile.

Queste innovazioni assumono rilievo anche per la relazione tra la Svizzera e l'UE, senza tuttavia rivoluzionarla. In particolare, già da qualche tempo l'UE si mostra meno flessibile sulla questione del recepimento dell'acquis comunitario e insiste maggiormente sul parallelismo. Per la Svizzera, il ruolo rafforzato del Parlamento europeo significa tuttavia che in certi settori dovrà seguire più spesso e più da vicino i lavori nelle commissioni del Parlamento europeo. Sarà molto importante svolgere anche un lobbying mirato presso certi parlamentari dell'UE non solo a livello di legislazione, bensì anche nell'ambito della negoziazione di nuovi accordi, dal momento che, come spiegato sopra, attraverso la procedura di codecisione al Parlamento sono attribuite competenze più ampie. Per assicurare questi compiti di osservazione e di lobbying le risorse di personale sono state per quanto possibile rafforzate, tuttavia rimangono modeste rispetto a Stati paragonabili alla Svizzera.

Prospettive dell'UE in materia di sicurezza collettiva sul continente: l'UE vuole essere un attore con responsabilità su scala mondiale anche nell'ambito della politica di sicurezza,come indica espressamente la Strategia europea in materia di sicurezza adottata nel 2003. Il principale strumento dell'UE per attuare le sue ambizioni di «global player» in materia di politica di sicurezza è la politica comune di sicurezza e difesa (PESD). Dall'avvio operativo della PESD, sempre nel 2003, l'UE ha già svolto oltre 20 missioni civili e militari di promozione della pace, superando rapidamente l'iniziale limitazione all'Europa (Balcani occidentali). L'UE è convinta che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona rafforzi non solo la PESD, bensì anche la coerenza e di conseguenza la capacità di attuare la sua politica estera. S'iscrive in questo contesto ad esempio la nomina di un'Alta Rappresentante per la politica estera
e di sicurezza comune, che è nel contempo vicepresidente della Commissione europea. È inoltre stato istituito un Servizio europeo per l'azione esterna, ossia un servizio diplomatico europeo.

Il rafforzamento delle strutture di politica estera ­ senza tuttavia comunitarizzare e sottoporre al principio della maggioranza questo ambito politico ­ è assolutamente necessario per l'UE se vuole tener testa agli Stati che considera partner naturali (segnatamente gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e l'India) e godere di maggiore attenzione e influenza a livello internazionale. Nonostante il Trattato di Lisbona, nel campo della politica estera e di sicurezza continuano a entrare in scena vari attori (oltre all'Alta Rappresentante anche il nuovo presidente permanente del Consiglio europeo e gli Stati membri, questi ultimi spesso con posizioni divergenti su singoli aspetti della politica estera e di sicurezza); questo potrebbe ostacolare anche in futuro l'UE nella sua volontà di affermarsi rispetto ad altri grandi attori internazionali. Anche l'efficienza della nuova funzione dell'Alta Rappresentante e vicepresidente, che deve rendere conto sia agli Stati membri che alla Commissione, è ancora tutta da dimostrare nella pratica.

Nell'ambito della politica di sicurezza, l'UE dispone di un vantaggio particolare potendo mobilitare competenze e capacità sia civili che militari da impiegare per la promozione internazionale della pace. Grazie al Trattato di Lisbona, la cooperazione e il coordinamento tra i settori civile e militare sono rafforzati e raggruppati nell'ambito del Servizio europeo per l'azione esterna. Assieme agli sforzi volti ad 948

aumentare le capacità militari, questo dovrebbe ampliare il margine d'azione e l'efficacia degli sforzi dell'UE in risposta alle crisi. A ciò si aggiungono altri elementi del Trattato di Lisbona intesi a rafforzare l'impatto della politica di sicurezza e di difesa dell'UE: la possibilità di introdurre una cooperazione strutturata permanente tra gli Stati membri dell'UE che intendono andare più in là nei settori della sicurezza e della difesa; l'introduzione di un obbligo di reciproca assistenza in caso di attacchi a uno Stato membro dell'UE, anche se questa clausola tiene conto degli impegni particolari degli Stati membri (appartenenza alla NATO; fuori da ogni alleanza); l'introduzione di una clausola di solidarietà nel caso in cui uno Stato membro dell'UE sia colpito da un attacco terroristico o da una catastrofe di origine naturale o umana.

Prospettive in materia di allargamento e di politica di vicinato: la posizione chiave dell'Unione europea non solo sul continente europeo, bensì anche sulla scena internazionale, rilevata dal rapporto sulla politica estera 2009, rimane invariata. Resta intatta anche la forza di attrazione dell'UE su Stati terzi in Europa: dall'ultimo rapporto sulla politica estera, la Serbia ha presentato una domanda di adesione e la Bosnia ed Erzegovina si prefigge di compiere tale passo entro la fine del 2010.

Attualmente sono quindi più di dieci gli Stati che vogliono aderire all'UE. I Paesi dei Balcani occidentali godono di una prospettiva di adesione ufficiale, confermata a più riprese. Per il momento tuttavia solo con la Croazia sono in corso negoziati, che dovrebbero essere in dirittura di arrivo. Avanzano invece a rilento i negoziati con la Turchia. Nel caso dell'Islanda, fortemente colpita dalla crisi finanziaria ed economica mondiale, la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio dell'UE l'avvio di negoziati di adesione. Quest'ultimo ha dato seguito a tale raccomandazione nel giugno 2010: i negoziati hanno preso il via il 27 luglio. Altri Paesi, come ad esempio l'Ucraina o la Moldavia, hanno dichiarato che l'adesione all'UE rappresenta un obiettivo a lungo termine della loro politica estera ed europea.

Nonostante l'adeguamento delle strutture istituzionali con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il numero elevato di nuovi membri sicuri, probabili
e potenziali rappresenta una grande sfida per l'UE dato che le condizioni politiche ed economiche dei Paesi candidati sono in parte molto diverse.. Alla luce delle esperienze fatte con le tornate di allargamento del 2004 e del 2007, l'UE vuole quindi prestare un'attenzione più sistematica all'adempimento dei criteri di adesione da parte degli Stati candidati prima della loro adesione. A ciò si aggiunge il fatto che i 27 Stati membri attuali hanno opinioni in parte divergenti in merito a nuovi allargamenti. Se per i Paesi dei Balcani occidentali la prospettiva di un'adesione non è contestata all'interno dell'UE, in relazione alla Turchia tale consenso manca: vari Stati membri ­ segnatamente la Francia, la Germania e l'Austria ­ si schierano più o meno apertamente contro una piena adesione della Turchia. Anche la questione tuttora irrisolta di Cipro frena i negoziati con Ankara.

L'UE è consapevole che il processo di allargamento non potrà andare avanti all'infinito. Ma all'interno dei suoi confini nessuno sa dire dove sono i limiti ­ non da ultimo geografici ­ dell'allargamento dell'UE. In questo contesto uno degli interrogativi più importanti riguarda la futura relazione dell'UE con la Russia.

Bisognerà inoltre attendere le eventuali ripercussioni sul processo di allargamento delle misure prese per superare la crisi di bilancio della Grecia.

Consapevole che l'UE allargata non può creare nuove divisioni in Europa, l'Unione sostiene i suoi nuovi vicini alle frontiere a Est e a Sud mediante varie politiche, che in parte riguardano gli stessi Paesi e si sovrappongono: la Politica europea di vici949

nato (PEV), il Partenariato orientale (PO) e l'Unione per il Mediterraneo (UpM).

Tutte queste politiche offrono ai Paesi interessati un'ampia cooperazione a livello politico ed economico, ma al di sotto della soglia dell'adesione all'UE. All'UpM partecipano anche quattro Paesi che stanno già negoziando l'adesione all'UE (Croazia, Turchia) o hanno ottenuto dall'UE nel 2003 una prospettiva di adesione (Bosnia ed Erzegovina, Montenegro).

Ma le politiche menzionate nei confronti di Paesi terzi riusciranno a rispondere a lungo termine alle aspettative dei Paesi partner? È lecito avere dei dubbi, dal momento che parecchi di questi Paesi hanno già manifestato chiaramente la volontà di aderire all'UE in futuro (ad es. l'Ucraina). Resta quindi da vedere se con il passare del tempo la PEV, il PO e l'UpM sapranno offrire incentivi sufficienti per indurre i Paesi interessati ad attuare riforme politiche, statali ed economiche sostenibili.

Per far fronte al rischio di nuove tensioni sul continente europeo, prima o poi l'UE dovrà occuparsi dei fattori enumerati in precedenza ­ limiti geografici del processo di allargamento, divergenze interne sul futuro del processo di allargamento, attrattiva a lungo termine delle attuali politiche dell'UE nei confronti dei Paesi terzi. L'UE dovrà quindi chiedersi se non possano o se non debbano essere realizzate nuove forme di cooperazione con Paesi terzi europei che restino al di sotto dell'adesione, ma comportino un'integrazione più stretta segnatamente sul mercato interno dell'UE rispetto alla PEV, al PO e all'UpM. In altre parole, forme di cooperazione paragonabili allo Spazio economico europeo (SEE) o una sorta di adesione all'UE differenziata. In fondo queste considerazioni non sarebbero una novità all'interno dell'UE, dal momento che già alla fine degli anni Novanta si parlava di un modello dei cerchi concentrici o di un modello di adesione a tappe (adesione con deroghe permanenti).

Queste forme di cooperazione potrebbero essere sia nell'interesse dell'UE che in quello di Stati europei terzi. L'UE potrebbe continuare a contribuire alla promozione della pace, della stabilità e del benessere sull'intero continente, evitando però una pressione eccessiva sulle sue strutture e istituzioni. Gli Stati terzi interessati disporrebbero di canali di cooperazione con l'UE
attrattivi, che offrono una valore aggiunto rispetto alle attuali politiche.

Se dovessero effettivamente diventare una realtà, questi nuovi modelli di cooperazione differenziata con l'UE potrebbero essere interessanti anche per la Svizzera. Il nostro Paese deve quindi continuare a seguire con attenzione la politica nei confronti degli Stati terzi e la politica di allargamento dell'UE.

Crisi dell'euro: dalla primavera del 2010, la moneta unica dei 16 Stati membri dell'UE che costituiscono la zona euro è sprofondata in una crisi che, undici anni dopo la sua introduzione, solleva numerosi interrogativi sul suo futuro.

Le turbolenze della crisi finanziaria mondiale del 2007 e del 2008 hanno acutizzato la consapevolezza dei rischi dei mercati dei capitali e l'attenzione rivolta alle zone di tensione all'interno dell'unione monetaria, a cui è assegnato il compito non facile di attuare una politica monetaria improntata alla stabilità per economie nazionali che restano eterogenee. Le divergenze per quanto riguarda la competitività, i tassi d'interesse reali e la disciplina di bilancio hanno infatti prodotto squilibri delle bilance dei pagamenti e un forte indebitamento nella zona euro. Dopo che la fiducia dei mercati dei capitali nella solvibilità di alcuni Stati membri si è affievolita, l'UE ha confezionato pacchetti di salvataggio senza precedenti per colmare temporaneamente o rilanciare, assieme all'FMI, la carente liquidità dei mercati.

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Contemporaneamente, l'UE ha avviato una discussione sulle riforme a lungo termine, che vadano oltre le misure di salvataggio decise con urgenza. Le proposte di riforma in discussione attualmente mirano soprattutto ad applicare una disciplina di bilancio più severa, ma anche a un maggior coordinamento in materia di politica fiscale e a una convergenza delle politiche economiche degli Stati membri dell'unione monetaria. Per il momento non si sa in che misura queste idee comporteranno modifiche concrete per la zona euro ed eventualmente per tutta l'UE. Sembrano tuttavia evolvere verso una maggior integrazione. La moneta unica è una delle finalità dell'Ue sancite da un trattato. Nella peggiore delle ipotesi, un fallimento della stabilizzazione dell'euro o addirittura dell'unione monetaria potrebbe far vacillare le fondamenta del progetto di unificazione europea, finora portato avanti con successo.

I pericoli corsi dall'unione monetaria sono un problema interno dell'UE che la Svizzera non può influenzare direttamente. La nostra economia di esportazione è tuttavia confrontata a incertezze supplementari, che riguardano soprattutto il tasso di cambio del franco svizzero rispetto all'euro e il dinamismo economico di uno dei suoi principali mercati di sbocco. Il compito a cui deve far fronte l'UE assorbirà probabilmente parte del suo impegno politico verso l'interno. Non sono escluse disarmonie tra gli Stati membri, anche se le discussioni interne alla fine potrebbero portare a una collaborazione ancora più stretta in seno all'Unione. Tutte queste incognite potrebbero lanciare nuove sfide alla Svizzera nella sua stretta relazione con l'UE.

L'intensità degli scambi economici e commerciali tra la Svizzera e l'UE rende infatti la nostra economia ancora più dipendente dalle fluttuazioni del dinamismo economico del suo partner principale, comprese le fluttuazioni del tasso di cambio tra franco svizzero ed euro. Proprio per lottare contro la persistente pressione al rialzo del franco svizzero la BNS ha effettuato ingenti acquisti di euro. L'importanza di tali riserve in euro, a sua volta, rende ancora più evidente l'interesse della Svizzera alla stabilità della moneta unica europea.

La via bilaterale di fronte a nuove sfide In occasione della sua seduta di clausura del 18 agosto 2010, il Consiglio federale ha
confermato la propria volontà di proseguire la via bilaterale1. Uno dei vantaggi della via bilaterale sta nel fatto che riguarda cooperazioni settoriali in ambiti delimitati chiaramente, consentendo al tempo stesso, nei settori in cui non esiste alcuna relazione contrattuale con l'UE, margini di manovra per condurre politiche autonome, non necessariamente allineate al diritto europeo. In seno all'UE si constatano però evoluzioni che tendono a limitare questi margini di manovra2. È quindi importante approfittare il più possibile di questi spazi di autonomia ­ segnatamente nell'ambito della politica fiscale, economica e commerciale ­ valutando al tempo stesso con lucidità i limiti3.

1

2 3

Rapporto del Consiglio federale sulla valutazione della politica europea svizzera (in risposta al postulato Markwalder [09.3560] «Politica europea: valutazione, priorità, provvedimenti urgenti e passi futuri verso l'integrazione») del 17 settembre 2010, FF 2010 6395 segg.

Rapporto sulla politica estera 2009 del 2 settembre 2009, FF 2009, 5503 segg.

Rapporto sulla politica estera 2009 del 2 settembre 2009, FF 2009 5505.

951

In questo senso occorre anche esaminare la questione dell'influenza della Svizzera sulle decisioni che la interessano direttamente o indirettamente. Non bisogna infatti dimenticare che, pur potendo offrire vantaggi segnatamente nelle relazioni con Stati terzi, la conservazione di spazi di autonomia rispetto al diritto dell'UE che permette la via bilaterale e settoriale nasconde un potenziale di discriminazione crescente, segnatamente per quanto riguarda l'accesso al mercato interno del nostro partner economico e commerciale principale4. Indipendentemente dal grado concreto di compatibilità tra l'acquis comunitario e il diritto svizzero in singoli settori, in generale bisogna tener presente che il diritto dell'UE ­ in continua evoluzione ­ rappresenta un parametro fondamentale per la legislazione svizzera, soprattutto per mantenere e rafforzare la competitività dell'economia svizzera sul mercato europeo. Se la Svizzera vuole inoltre concludere accordi bilaterali in nuovi settori, il quadro di riferimento è costituito dall'acquis comunitario nel settore corrispondente. In futuro, anche se istituzionalmente la Svizzera proseguirà lungo la via bilaterale, la sua integrazione nello spazio giuridico dell'UE dovrebbe quindi rafforzarsi ulteriormente. Inoltre, sul piano politico questi stessi margini di manovra devono essere analizzati parallelamente alle possibilità di azione autonoma in materia di politica estera, segnatamente in materia di mediazione e di buoni uffici5, da un lato e alla solidarietà tra gli Stati membri dell'UE, dall'altro. L'attualità recente mostra che quest'ultima può rivelarsi utile, se non determinante, in situazioni di crisi. Ma finora la Svizzera vi ha ampiamente rinunciato di propria volontà. La crescente disciplina di cui fanno prova gli Stati membri dell'UE nel sostenere candidature di loro cittadini a cariche importanti in seno alle organizzazioni internazionali, a scapito delle candidature svizzere, è un esempio che illustra questo fenomeno.

In questo contesto può anche essere menzionato il coinvolgimento dei partner dell'UE negli sforzi dispiegati dalla Svizzera per ottenere la liberazione dei suoi cittadini trattenuti arbitrariamente in Libia. È infatti segnatamente grazie alla sua partecipazione alle regole in materia di entrata e di soggiorno sul territorio della zona
Schengen se la Svizzera ha potuto beneficiare dell'impegno dei partner Schengen e in particolare della presidenza spagnola e della Repubblica federale tedesca in qualità di mediatori. Il sostegno di questi importanti partner europei, che si sono impegnati ad alto livello durante numerosi negoziati a Madrid e a Berlino, ha fornito un prezioso contributo alla liberazione dei due Svizzeri tenuti in ostaggio in Libia.

Più che mai, per la Svizzera si tratta quindi di valutare i vantaggi e gli inconvenienti legati a un'integrazione europea certo molto sviluppata, ma settoriale, in un contesto contraddistinto da rivendicazioni crescenti dell'UE quanto al mantenimento e allo sviluppo della via bilaterale nonché da un crescente potenziale di difficoltà di accesso al mercato interno per gli operatori economici svizzeri.

4 5

952

Rapporto del Consiglio federale del 17 settembre 2010 sulla valutazione della politica europea svizzera, n.2.2, FF 2010 6432.

L. Goetschel, D. Michel «Der aussenpolitische Handlungsspielraum der Schweiz als Nichtmitglied des Europäischen Union: ein Blick auf einige Aspekte der Friedensförderung», Basler Schriften zur europäischen Integration, n. 89, 2009.

Prospettive Per quanto riguarda l'evoluzione futura delle relazioni tra la Svizzera e l'UE, bisogna tener presente quanto segue: ­

La politica europea è uno strumento al servizio degli obiettivi costituzionali: la difficoltà della politica europea non sta infatti nella fissazione dei suoi obiettivi, ma piuttosto nella determinazione del modo migliore per raggiungere tali obiettivi. In altre parole, la questione non è sapere se sia opportuno o meno aderire all'UE, ma piuttosto stabilire l'approccio più efficace nei suoi confronti.

­

Un bilancio positivo in materia di prosperità, sicurezza e sviluppo sostenibile: su questo piano e fino a questo momento, la via bilaterale ha permesso di realizzare ampiamente gli obiettivi svizzeri. Per di più, essa beneficia di un grande sostegno da parte della popolazione, confermato in varie votazioni popolari relativamente recenti.

­

Un bilancio mitigato in materia di indipendenza e sovranità: in un numero crescente di settori, la Svizzera è costretta a recepire il diritto dell'UE senza aver partecipato alla sua elaborazione6. In qualità di Stato non membro dell'UE, la Svizzera è sempre più esposta a un alto rischio di discriminazione politica ed economica. Inoltre, l'UE vorrebbe estendere il diritto europeo a Paesi terzi come la Svizzera: per questo motivo, auspica che in futuro la conclusione di accordi sia associata a un impegno supplementare della Svizzera nell'ambito del recepimento delle evoluzioni del corrispondente acquis comunitario. Da parte svizzera, è chiaro che i nostri accordi devono essere adeguati all'evoluzione dei bisogni, ma l'adozione automatica del diritto europeo è esclusa. Vale la pena di osservare queste evoluzioni con un occhio particolarmente critico, tanto più che comportano una riduzione di fatto della nostra sovranità e autonomia.

La principale sfida della politica europea consiste nel mantenere le condizioni della nostra prosperità, conservando al tempo stesso, nei limiti del possibile, la nostra libertà di azione e decisione. La difficoltà di conciliare l'esercizio della sovranità nazionale e la necessità della cooperazione internazionale si fa sentire in modo più acuto nelle relazioni tra la Svizzera e l'UE che in qualsiasi altro settore. Si tratta di una sfida particolarmente importante anche perché l'influenza dell'UE sulle capacità decisionali nazionali è in continuo aumento, su tutta una serie di temi. Detto ciò, si constata altresì che la dinamica dell'integrazione ha migliorato la capacità d'imporsi degli Stati membri dell'UE. Al di fuori dell'Unione europea, le prese di posizione nazionali tendono così ad avere più risonanza che peso. Se con l'adesione all'UE gli Stati membri trasferiscono canali decisionali dalle istituzioni nazionali a quelle dell'Unione, guadagnano in influenza grazie alla messa in comune dei loro interessi e delle loro prese di posizione, il che permette loro di esercitare la loro sovranità con maggior vigore di fronte al resto del mondo.

6

Secondo vari studi (ad es. Emilie Kohler 2009, Influences du droit européen sur la législation suisse: analyse des années 2004 à 2007; Ali Arbia 2006, The Road not Taken ­ Europeanisation of Laws in Austria and Switzerland 1996­2005), il tasso di adeguamento (almeno parziale) della legislazione federale recente al diritto europeo è compreso tra il 40 % e il 60 %.

953

In realtà, la questione della perdita d'indipendenza e della rinuncia alla sovranità è spesso legata a una maggior cooperazione internazionale, in particolare nella politica europea, e merita un vero dibattito, che supera i concetti manichei poco adatti alla situazione attuale. Si tratta di misurare in termini di costi e benefici la partecipazione o la non partecipazione a istituzioni e organismi internazionali. Farne parte, partecipare alla governance europea, aumenterebbe la nostra capacità di influire sul corso degli eventi, ma non risolverebbe le tensioni tra l'esercizio della sovranità nazionale e l'impatto internazionale. D'altro canto, agire isolatamente comporta anche il rischio di reazioni ostili o misure di ritorsione e ha talvolta un prezzo che può rivelarsi superiore a quello della cooperazione. In proposito, sarebbe sbagliato credere che un Paese ricco come la Svizzera possa offrirsi il lusso di rifiutare il proprio contributo alla risoluzione dei problemi sul continente. Oggi, il prezzo di un atteggiamento del genere è infatti sempre più alto. Per questo motivo, il Consiglio federale è convinto che la soluzione dell'isolamento e della chiusura vada scartata, particolarmente nella politica europea7.

Conciliare il mantenimento della nostra sovranità e della nostra autonomia con il nostro interesse a influire sulle decisioni che ci riguardano direttamente o indirettamente: è questa la posta in gioco delle discussioni in corso con l'UE per cercare un modo per adeguare le nostre relazioni ai nuovi bisogni. Si tratta segnatamente di fare in modo che ogni recepimento dell'evoluzione del diritto dell'UE negli accordi bilaterali sia associato a un'adeguata partecipazione all'elaborazione di tali norme.

In conclusione, il Consiglio federale intende portare avanti e approfondire la via bilaterale ma ritiene che a tal fine debbano essere rivedute le condizioni istituzionali in modo tale da conciliare in modo ottimale l'accesso al mercato e il mantenimento della nostra autonomia decisionale. È in quest'ottica che bisognerà valutare i risultati del gruppo di lavoro incaricato di discutere delle questioni istituzionali con l'UE. A più lungo termine bisognerà proseguire la riflessione allo scopo di stabilire se l'esercizio effettivo della nostra sovranità e i vantaggi materiali offerti dagli accordi bilaterali continueranno a compensare i deficit in termini di partecipazione ai processi decisionali inerenti alla via bilaterale.

7

954

Rapporto del Consiglio federale del 17 settembre 2010 sulla valutazione della politica europea svizzera, n. 3.2.1, FF 2010 6440.

2.2.2

Consiglio d'Europa

In generale Il Consiglio d'Europa è l'unica organizzazione internazionale paneuropea che riunisce quasi tutti gli Stati del continente8. Siccome i Paesi dell'Europa dell'Est ­ a cominciare dalla Russia e dall'Ucraina ­ nonché la Turchia non riusciranno ad aderire all'UE in un futuro prossimo, il Consiglio d'Europa resterà a lungo termine un'importante piattaforma di cooperazione europea. Il Consiglio d'Europa è garante dei valori di base essenziali del nostro continente, in cui si riconoscono tutti gli Stati membri indipendentemente dai loro interessi particolari. Al tempo stesso i vari organi del Consiglio d'Europa offrono preziosi canali per una stretta cooperazione tra i decisori nazionali a vari livelli.9 Assume rilievo anche il carattere giuridicamente vincolante delle norme sancite dalle convenzioni internazionali, completate in parte da meccanismi di controllo corrispondenti,10 che distinguono il Consiglio d'Europa ad esempio dall'OSCE (cfr. n. 2.2.3).

Per la Svizzera, il Consiglio d'Europa riveste un duplice significato: da un lato le priorità dei diritti dell'uomo, dello Stato di diritto e della democrazia difese dal Con8

9

10

Per ora, la Bielorussia, il Kosovo e la Santa Sede non appartengono al Consiglio d'Europa. Sono però membri dell'OSCE ­ ad eccezione del Kosovo ­ (cfr. n. 2.2.3), che comprende anche Stati Uniti, Canada, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

Il Comitato dei Ministri a livello dei governi, l'Assemblea parlamentare per i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, il Congresso dei Comuni e delle Regioni d'Europa per i rappresentanti locali e regionali, varie commissioni di esperti nazionali governativi e non governativi.

Oltre alla Corte europea dei diritti dell'uomo, tra questi figurano il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) e il Gruppo di esperti sulla tratta degli esseri umani (GRETA) nonché la Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI). Questi meccanismo contribuiscono non solo a un'attuazione nazionale efficace delle convenzioni corrispondenti, bensì anche all'istituzione di uno spazio giuridico unico in Europa. Svolge un ruolo importante anche il Commissario per i diritti umani, che nei suoi rapporti denuncia i problemi legati ai diritti dell'uomo e dispone di una grande autorità.

955

siglio d'Europa rispecchiano ampiamente i principi sanciti nella Costituzione federale, contribuendo così alla loro diffusione nell'ambiente che circonda strategicamente la Svizzera. Dall'altro, per la Svizzera si aprono nuove possibilità di partecipazione alla definizione della politica europea nei settori in cui opera il Consiglio d'Europa.

Dal punto di vista della Svizzera, il Consiglio d'Europa si presta quindi quale piattaforma di dialogo europeo sulla e per la ricerca di soluzioni a una serie di sfide internazionali, tenendo conto del pieno rispetto dei diritti dell'uomo, dell'applicazione dello Stato di diritto nonché della promozione della democrazia. In questi settori, grazie al suo sistema politico, alla sua struttura federalista e alla sua cultura politica la Svizzera vanta preziose esperienze, che può mettere a disposizione del Consiglio d'Europa.

La Svizzera alla presidenza del Comitato dei Ministri Dal 18 novembre 2009 all'11 maggio 2010, la Svizzera ha assunto la presidenza di turno del Comitato dei Ministri. Questa carica ha comportato un incremento delle attività diplomatiche nonché numerosi eventi supplementari, in parte anche destinati a un pubblico più ampio. La presidenza svizzera ha colto l'occasione per dare impulsi mirati al Consiglio d'Europa. L'obiettivo principale era l'avvio di un processo di riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, afflitta da sovraccarico cronico: attualmente essa è infatti confrontata con circa 120 000 ricorsi pendenti ed è quindi molto limitata nella sua capacità di agire. Per questo motivo, durante la sua presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa la Svizzera si è adoperata per portare avanti energicamente la riforma della Corte. Un primo successo è stato ottenuto in occasione della conferenza ministeriale sul futuro della Corte europea dei diritti dell'uomo organizzata dalla Svizzera a Interlaken dal 18 al 19 febbraio 2010, durante la quale la Russia ha ratificato il quattordicesimo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) aprendo la strada a importanti misure a favore della Corte di Strasburgo.

A tal fine, la presidenza svizzera ha presentato agli Stati membri un progetto di dichiarazione con un piano d'azione. Nella dichiarazione, approvata in occasione della conferenza
ad alto livello convocata il 19 febbraio 2010 a Interlaken, gli Stati membri ribadiscono il loro impegno politico a favore della Corte e fissano i capisaldi nonché un calendario per il seguito del processo di riforma. La «Dichiarazione di Interlaken» e il «Processo di Interlaken» scaturito da essa influenzeranno notevolmente la discussione sulla riforma nei prossimi anni. È così stato possibile anche consolidare durevolmente la fama della Svizzera quale Paese molto impegnato a favore dei diritti dell'uomo e del loro rispetto concreto.

In qualità di presidente del Comitato dei Ministri la responsabile del DFAE si è impegnata personalmente a realizzare progressi su varie questioni politiche che occupano regolarmente il Comitato dei Ministri. Nel gennaio 2010 si è così recata in Georgia e nell'aprile 2010 in Bosnia ed Erzegovina per informarsi sull'attuazione delle riforme e sostenere l'operato del Consiglio d'Europa in questi Paesi. In Georgia si è adoperata tra l'altro a favore del lavoro del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa e in particolare per un miglior accesso delle organizzazioni internazionali alle popolazioni sofferenti nelle province separatiste. In Bosnia ed Erzegovina ha incoraggiato le autorità ad attuare rapidamente le riforme ordinate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo facendo ricorso all'esperienza del Consiglio d'Europa e in particolare della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia).

956

La presidente ha inoltre compiuto notevoli sforzi a favore di un ravvicinamento della Bielorussia al Consiglio d'Europa e a tal fine ha incontrato i massimi rappresentanti di questo Paese. In seguito all'esecuzione di due sentenze di morte in marzo, questi sforzi hanno tuttavia subito una battuta d'arresto. Anche dopo il termine della presidenza, la Svizzera continua a sostenere questo processo importante e a tal fine ha messo un esperto a disposizione del Segretariato generale del Consiglio d'Europa.

La presidente si è inoltre impegnata per una collaborazione più stretta del Consiglio d'Europa con altre organizzazioni internazionali nonché per un incremento dell'efficienza e della trasparenza dell'organizzazione di Strasburgo. A tal fine ha collaborato strettamente con il nuovo Segretario generale dell'organizzazione eletto alla fine di settembre 2009. Su richiesta di quest'ultimo, la Svizzera ha messo a disposizione del Consiglio d'Europa un diplomatico esperto quale consulente per le riforme all'interno dell'organizzazione.

Le relazioni tra l'Assemblea parlamentare e il Comitato dei Ministri, i due organi principali del Consiglio d'Europa, erano state messe sotto forte pressione in occasione della procedura di elezione del nuovo Segretario generale nel 2009. La presidenza svizzera si è adoperata per una collaborazione approfondita tra il Comitato dei Ministri e l'Assemblea parlamentare. A ciò ha contribuito il fatto che in Svizzera le relazioni tra la delegazione parlamentare del Consiglio d'Europa e i servizi competenti nell'Amministrazione federale è tradizionalmente stretta e intensa.

In qualità di presidente del Comitato dei Ministri, la Svizzera ha organizzato o fatto organizzare in collaborazione con il Consiglio d'Europa nonché vari servizi e istituzioni svizzeri una dozzina di eventi in tutte le regioni del Paese. Oltre alla già menzionata Conferenza di Interlaken sul futuro della Corte europea dei diritti dell'uomo, tra questi figura in particolare una conferenza sulla democrazia e sul decentramento a San Gallo (3­4 maggio 2010), che ha suscitato grande interesse in Svizzera e all'estero e ha contribuito a rafforzare la democrazia11.

11

Altre manifestazioni: ­ riunione del Bureau e del Comitato permanente dell'Assemblea parlamentare, Berna, 19­20 novembre 2009, ­ riunione del Comitato permanente della Convenzione di Berna (Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa), 30° anniversario, Berna, 23­26 novembre 2009, ­ Città interculturali/incontro internazionale a Neuchâtel: «Diversità culturale in Svizzera: quale governance?», allocuzione della presidente in carica, Neuchâtel, 27 novembre 2009, ­ riunione del Bureau del Congresso dei poteri locali e regionali, Lugano, 15 gennaio 2010, ­ incontro di esperti culturali europei nell'ambito del progetto Compendium del Consiglio d'Europa, Zurigo, 9­10 aprile 2010, ­ riunione della rete dei tribunali referenti della Commissione europea per l'efficacia della giustizia del Consiglio d'Europa, Ginevra, 12­14 aprile 2010, ­ Conferenza internazionale sulla preparazione dell'attuazione pratica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla contraffazione di medicinali e reati simili comportanti minacce alla salute pubblica (Convenzione MEDICRIME), Basilea, 15­16 aprile 2010, ­ Colloquio sulla Svizzera e le relazioni transfrontaliere, Montreux, 22 aprile 2010, ­ giornata d'informazione sull'apporto del Consiglio d'Europa alla politica della gioventù e alla pratica in Svizzera, Berna, 28 aprile 2010, ­ Seminario sul diritto internazionale delle minoranze, allocuzione della presidente in carica, Zurigo, 29­30 aprile 2010, ­ celebrazione della Giornata dell'Europa all'Università di Friburgo, conferenza e dibattito, Friburgo, 5 maggio 2010.

957

Nel complesso, la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha permesso alla Svizzera di precisare il suo profilo politico nel contesto paneuropeo e di mettere alla prova la sua esperienza e le sue capacità di risoluzione dei problemi su questioni importanti. La Svizzera è inoltre riuscita ad assicurare più attenzione e visibilità al Consiglio d'Europa sia all'estero che entro i confini nazionali.

Le riforme avviate sotto la presidenza svizzera lasceranno il segno in seno al Consiglio d'Europa nei prossimi anni. Ciò vale sia per il processo a lungo termine sul futuro della Corte, sulla scia di Interlaken, che per gli adeguamenti e cambiamenti istituzionali e amministrativi promossi dal Segretario generale. Inoltre l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona tra gli Stati membri dell'Unione europea, che prevede tra l'altro l'adesione dell'UE alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), avrà probabilmente ripercussioni anche sul rapporto istituzionale tra il Consiglio d'Europa e l'UE. Questa questione, che interessa nella stessa misura gli Stati membri dell'UE e gli Stati terzi, occuperà sicuramente parecchio l'organizzazione di Strasburgo nei prossimi anni.

Prospettive I cambiamenti rapidi e a volte profondi delle condizioni economiche e sociali non mettono a dura prova solo le persone, le società e gli Stati, male crescenti tensioni sociali mettono sotto pressione anche il modello di valori europeo. Il Consiglio d'Europa incaricato di garantire i valori fondamentali in materia di diritti dell'uomo, Stato di diritto e democrazia ha davanti a sé un compito sempre più complesso, che deve svolgere con risorse immutate o addirittura in calo ­ la cosiddetta crescita zero.

Su questo sfondo, le riforme portate avanti congiuntamente dal Segretario generale e dagli Stati membri mirano a rafforzare la rilevanza politica e l'efficienza del Consiglio d'Europa. Un elemento essenziale è l'imminente adesione dell'UE alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'UE diventerà così parte di uno spazio giuridico paneuropeo e non sarà più in concorrenza come finora, perlomeno implicitamente, con il Consiglio d'Europa sui suoi settori chiave.

Un'altra sfida per il Consiglio d'Europa consiste nel colmare la lacune geografiche tuttora esistenti in questo spazio giuridico. Tali lacune
riguardano da un lato la Bielorussia ­ Paese terzo ­ e il Kosovo ­ non riconosciuto da tutti gli Stati membri ­ e dall'altro aree in conflitto sul territorio dell'ex Unione Sovietica, come la Transnistria, l'Abkhazia, l'Ossezia del Sud e il Nagorno-Karabakh. Primi abbozzi di un ruolo politico più forte del Consiglio d'Europa in questo settore si manifestano nell'istituzione di uno stato maggiore di pianificazione politica all'interno del segretariato nonché negli sforzi d'intermediazione del Segretario generale tra governo e opposizione in Moldavia. Dal punto di vista svizzero è importante anche il fatto che queste attività non si traducano in doppioni con altre organizzazioni.

Finora in Svizzera la crisi di adattamento menzionata all'inizio è stata meno fortemente percepita che in altri Paesi europei. La Svizzera è tuttavia coinvolta nella stessa misura nelle sfide sociopolitiche descritte. Benché la Confederazione continui a essere spesso additata quale modello anche nel Consiglio d'Europa, decisioni politiche come ad esempio il divieto dei minareti suscitano ampie critiche e opposizione e in generale sono seguite con maggiore attenzione che in passato. Per la politica estera svizzera ne scaturisce una maggior bisogno di fornire spiegazioni anche a Strasburgo, con ripercussioni sul dibattito pubblico entro i confini nazionali.

In generale è prevedibile che il significato del Consiglio d'Europa quale piattaforma 958

di discussione sociopolitica nei confronti dell'estero tenderà ad aumentare ulteriormente.

2.2.3

OSCE

L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) è a un bivio.

Se riuscirà a frenare l'attuale formazione di blocchi tra i Paesi della NATO, da un lato, e la Russia e taluni Paesi con analoghe affinità, dall'altro, come organizzazione regionale potrà ritrovare il ruolo per cui vanta un potenziale nella politica di sicurezza internazionale. Da un lato, l'OSCE è una piattaforma di discussione che combina gli spazi euroatlantico ed euroasiatico e, dall'altro, dispone di una strategia multidimensionale eccezionale nel settore della sicurezza. L'idea di base è che per garantire la sicurezza a lungo termine bisogna prestare attenzione non solo agli aspetti militari bensì anche agli aspetti economici e ambientali e ai principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti dell'uomo.

A causa di notevoli divergenze sull'attuazione di questi principi e di uno spostamento del potenziale di forze militari in Europa a favore della NATO, tra gli Stati membri dell'OSCE si è fatta strada una crescente crisi di fiducia, che impedisce all'organizzazione di sfruttare appieno il suo potenziale. L'OSCE ha particolarmente bisogno della fiducia tra gli Stati partecipanti poiché le sue decisioni, basate esclusivamente sul consenso, sono generalmente vincolanti solo a livello politico e non giuridico. L'OSCE funziona inoltre spesso con il metodo delle «best practices», che presuppone la disponibilità degli Stati a imparare gli uni dagli altri. In qualità di organizzazione senza uno statuto e con capacità istituzionali proporzionalmente scarse, l'OSCE dipende dalla volontà politica degli Stati di collaborare in misura maggiore rispetto ad altre organizzazioni paragonabili.

Con l'allargamento della NATO e dell'UE nell'Europa orientale, il margine di manovra dell'OSCE si è tendenzialmente ridotto. Inoltre, spesso importanti questioni di politica di sicurezza e degli armamenti sono risolte a livello bilaterale e direttamente tra gli Stati Uniti e la Russia. Ne risulta un certo indebolimento del multilateralismo, il che rappresenta una sfida in particolare per i piccoli Stati indipendenti come la Svizzera.

959

Per l'OSCE a ciò si aggiunge l'aggravante che le priorità degli Stati membri in seno all'organizzazione e le loro idee sul futuro dell'organizzazione sono fortemente divergenti. Da un lato, la Russia mette in primo piano la dimensione politicomilitare, in particolare il controllo degli armamenti. Dall'altro, molti Paesi dell'UE, della NATO e anche la Svizzera continuano a insistere su un'attuazione più efficace degli impegni dell'OSCE in materia di principi dei diritti dell'uomo, di Stato di diritto e di democrazia. Gli Stati Uniti così come il Canada e la Gran Bretagna accordano inoltre particolare importanza a un rafforzamento dell'impegno dell'OSCE in Afghanistan. Anche il Kazakistan ­ la cui presidenza dell'OSCE nel 2010 riflette la crescente importanza dell'Asia centrale per l'OSCE ­ si sforza di intensificare la collaborazione con l'Afghanistan soprattutto nel campo della lotta contro il contrabbando di stupefacenti e del terrorismo. Negli ultimi anni questi settori, che s'iscrivono in una concezione più ampia della sicurezza non militare, hanno acquistato un peso crescente. È tuttavia mancato un approccio coerente: singoli Stati partecipanti hanno infatti dato la priorità a interessi particolari e promosso singoli aspetti con risorse fuori bilancio. Anche a causa di questi conflitti d'interesse, l'OSCE tende a frammentarsi in campi d'intervento sempre più ampi.

Il progetto della Russia, evocato sopra, di modificare lo status quo contrattuale nella politica di sicurezza europea rappresenta una grande sfida per l'OSCE. Le proposte russe vanno da un'entrata in vigore rapida del Trattato adattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Trattato CFE) e dal suo ulteriore sviluppo all'ambizioso progetto del presidente Medvedev per un «Nuovo trattato sulla sicurezza europea», che chiarisca tutti gli aspetti della sicurezza e del controllo degli armamenti in Europa.

Sullo sfondo del blocco dell'OSCE, dell'iniziativa del presidente Medvedev menzionata nonché del conflitto russo-georgiano del 2008, nel 2009 alla conferenza di Corfù gli Stati membri dell'OSCE si sono accordati su un dialogo di riforma di ampio respiro. Questo cosiddetto processo di Corfù dovrà rafforzare la fiducia reciproca degli Stati, discutendo apertamente delle divergenze politiche e affrontando i deficit dell'OSCE. Al tempo
stesso dovranno essere ribaditi gli impegni assunti con la Carta di Helsinki e i documenti susseguenti. Da questo processo dovranno risultare proposte di riforma che consentano una sicurezza più ampia, unica e indivisibile sull'intero territorio euroatlantico ed euroasiatico.

Il rafforzamento dell'OSCE è nell'interesse della Svizzera: l'OSCE è infatti l'unica organizzazione europea in materia di politica di sicurezza, di cui la Svizzera è un membro a pieno titolo. L'OSCE persegue inoltre obiettivi e valori condivisi dalla Svizzera ed è un'organizzazione regionale che abbraccia un'area geografica (compresi i Balcani, il Caucaso e l'Asia centrale) che assume rilievo per la politica di sicurezza svizzera. Tra l'altro, la Svizzera è esposta a vari rischi per la sicurezza provenienti sostanzialmente da questa regione, come la tratta di esseri umani, il traffico di stupefacenti e il crimine organizzato. In quest'area vi sono però anche vari focolai di crisi reali e potenziali e un'OSCE funzionante può fornire un importante contributo al loro risanamento.

Sul piano della politica degli armamenti, l'attività di verifica nell'ambito delle misure della Svizzera volte rafforzare la fiducia e la sicurezza permette di osservare l'evoluzione delle forze armate di altri Stati partecipanti dell'OSCE. Tra l'altro, storicamente la Svizzera ha dato impulsi importanti alla nascita della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), che è poi diventata l'OSCE. Un

960

successo durevole dell'OSCE contribuisce quindi al successo della politica estera svizzera.

Per rafforzare l'OSCE, la Svizzera partecipa al processo di Corfù. Con il suo operato mira a far tornare l'OSCE verso le sue competenze principali, e cioè i settori in cui le sue attività producono un valore aggiunto innegabile. I doppioni con altre organizzazioni internazionali vanno evitati. Ciò vale in particolare per la dimensione economica e ambientale, in cui altri attori internazionali sono spesso meglio posizionati. La Svizzera si sforza inoltre di fornire contributi sostanziali alla discussione su temi specifici nell'ambito del processo di Corfù. Tra questi figurano la prevenzione delle crisi, la questione delle minoranze transnazionali e la partecipazione all'osservazione delle elezioni.

A complemento del processo di Corfù, la Svizzera ha già organizzato due tavole rotonde informali a livello di esperti. A Chambésy, vicino a Ginevra, sono state discusse le evoluzioni più recenti nella politica di sicurezza europea, con particolare riferimento al progetto russo di un nuovo trattato sulla sicurezza europea. Ai colloqui hanno partecipato esperti di vari Paesi, organizzazioni internazionali nonché think tank. L'obiettivo era di valutare il margine per compromessi in una cornice informale, contribuendo così a un ravvicinamento delle posizioni.

2.2.4

AELS

Nel maggio 2010 l'Associazione europea di libero scambio (AELS) ha celebrato il suo 50esimo anniversario. È infatti stata istituita nel 1960, poco dopo la firma del Trattato di Roma e la realizzazione di un'unione doganale da parte degli Stati fondatori dell'attuale UE. Originariamente, l'AELS contava sette membri: Danimarca, Gran Bretagna, Norvegia, Austria, Portogallo, Svezia e Svizzera. Con l'allargamento dell'UE, a cui hanno progressivamente aderito anche ex Stati membri dell'AELS, la 961

composizione dell'organizzazione è mutata. Dal 1995 è composta da Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Lo scopo dell'organizzazione è di promuovere il libero scambio, sia tra i membri che con Stati terzi al di fuori dell'UE.

Nel frattempo, l'AELS ha tessuto una rete di 20 accordi di libero scambio con Stati o territori nel mondo intero, destinata a essere estesa ulteriormente in futuro. Avendo aderito allo Spazio economico europeo (SEE), l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia sono integrati nel mercato interno dell'UE. La Svizzera, che non ha aderito allo SEE, persegue una politica europea diversa da quella degli altri membri dell'AELS.

L'organizzazione abbraccia quindi compiti e interessi di politica commerciale eterogenei.

Il massimo organo politico è il Consiglio dell'AELS a livello ministeriale, che si riunisce di norma due volte all'anno e stabilisce le linee guida politiche dell'organizzazione in una procedura consensuale. Nell'intervallo tra le riunioni del Consiglio a livello ministeriale, ogni mese si tengono altri incontri a livello di ambasciatori. In qualità di membro a pieno titolo dell'AELS, in questi organi la Svizzera dispone degli stessi diritti e doveri degli altri Stati membri dell'AELS, fatta eccezione per le questioni rilevanti ai fini dello SEE. Ogni due anni, la Svizzera assume la presidenza per sei mesi. È inoltre rappresentata con i suoi specialisti nei numerosi comitati e gruppi di esperti che sottostanno al Consiglio e partecipa attivamente ai processi decisionali. Attualmente, la Svizzera occupa uno dei due posti di Segretario generale supplente presso la sede principale dell'AELS a Ginevra e ha una buona presenza nell'amministrazione dell'organizzazione.

Nel luglio 2009, l'Islanda ha presentato una domanda di adesione all'UE. Dopo che nel febbraio 2010 la Commissione europea ha raccomandato l'avvio di negoziati di adesione e nel giugno dello stesso anno il Consiglio dell'Unione europea ha dato il via libera, nel luglio 2010 sono state avviate le trattative. È difficile prevedere l'esito di questo processo, dal momento che il risultato dei negoziati sarà sottoposto alla popolazione in un referendum. Le conseguenze di una possibile uscita dell'Islanda per il funzionamento dell'organizzazione dovranno essere valutate a tempo debito.

L'appartenenza della
Svizzera all'AELS rappresenta uno strumento efficace per impostare la politica commerciale svizzera. L'AELS dispone inoltre di una struttura istituzionale per gestire l'appartenenza allo SEE di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, all'interno della quale la Svizzera ha lo statuto di osservatore, beneficiando così di preziose informazioni sul funzionamento quotidiano del mercato interno europeo.

2.2.5

Relazioni con Stati europei selezionati

La Svizzera ha relazioni politiche, economiche, culturali e migratorie molto strette con gli Stati europei e le manterrà anche in futuro. I Paesi europei sono i principali partner economici della Svizzera: il 70 per cento delle esportazioni svizzere sono destinate agli Stati dell'UE e il 73 per cento delle importazioni proviene da tali Paesi. Gli Stati dell'UE registrano regolarmente anche una notevole eccedenza della bilancia commerciale, che nel 2009 è stata di 20 miliardi di franchi. Le imprese svizzere dispongono di 900 000 posti di lavoro in Paesi europei e oltre un milione di cittadini di Stati dell'UE vive e lavora in Svizzera. Con la Turchia, la Russia nonché altri Stati della regione vi è ancora un netto potenziale di estensione della collaborazione politica ed economica.

962

Qui di seguito sono descritti gli interessi e l'evoluzione nelle singole regioni, da cui scaturiscono sfide, ma anche possibilità d'influenza per la politica estera svizzera.

Sono accennate anche le modalità con cui la Svizzera può affrontare tali sfide.

Paesi confinanti Le relazioni con i vicini quale «lente d'ingrandimento» politica: ciò che vale per relazioni della Svizzera con gli Stati dell'UE vale ancora di più per i Paesi confinanti. È infatti con questi Paesi che le relazioni sono più intense e strette, in tutti i settori. La Svizzera realizza ad esempio circa la metà del proprio commercio estero con la Germania, l'Italia, la Francia e l'Austria (importazioni svizzere da Paesi confinanti nel 2009: 96 033 milioni di franchi, totale importazioni svizzere nel 2009: 180 287 milioni di franchi; esportazioni svizzere verso Paesi confinanti nel 2009: 72 818 milioni di franchi, totale esportazioni svizzere nel 2009: 160 123 milioni di franchi). Le relazioni sono particolarmente strette con le regioni di confine, dove la collaborazione transfrontaliera coinvolge i più svariati livelli (cfr. il paragrafo dedicato alla collaborazione transfrontaliera). Durante l'anno in rassegna una serie di incontri di alto livello con tutti i nostri vicini hanno permesso di risolvere diversi problemi d'attualità. Nel settembre 2010 si è svolta la visita di Stato del nuovo presidente della Repubblica federale di Germania.

Questa concentrazione delle relazioni fa sì che i problemi che la Svizzera riscontra sulla scia dell'evoluzione globale o europea sono spesso sentiti prima e con maggiore intensità con i Paesi confinanti. Questo effetto di «lente d'ingrandimento» è emerso chiaramente nell'ambito della discussione di politica estera sul segreto bancario, che ha in parte ostacolato le relazioni bilaterali con l'Italia, la Francia e la Germania (per es. misure italiane volte a imporre lo «scudo fiscale»; accettazione dei dati bancari rubati alla HSBC da parte della Francia; acquisto di dati rubati sui clienti delle banche svizzere da parte della Germania). Contemporaneamente, con l'Austria è stato rafforzato il partenariato nel settore fiscale, basato sugli stessi valori e interessi.

Per far fronte alla sfide che scaturiscono dall'evoluzione globale o europea, la Svizzera deve quindi assolutamente esercitare un
influsso sui suoi vicini. A tal fine è necessario un dialogo a tutti i livelli e con tutte le parti coinvolte. È inoltre essenziale che il dialogo sia portato avanti anche attraverso i media.

Collaborazione transfrontaliera ­ costituire buone condizioni quadro per la prosperità delle regioni ed eliminare gli ostacoli allo sviluppo: le aree economiche e residenziali transfrontaliere come la regione di Oberrhein tra la Germania, la Francia e la Svizzera, la regione del lago di Costanza tra la Germania, l'Austria e la Svizzera, la regione di Ginevra con la Francia o i centri ticinesi vicini al confine con l'Italia costituiscono veri e propri poli di crescita. L'elemento essenziale è la collaborazione transfrontaliera diretta tra i Cantoni e le entità territoriali corrispondenti dall'altro lato della frontiera. Contemporaneamente, le autorità federali devono sostenere e agevolare questa collaborazione diretta, soprattutto sul piano della politica estera. In ciò rientrano la costituzione di condizioni quadro favorevoli per la prosperità di queste regioni e l'eliminazione congiunta degli ostacoli al loro sviluppo. Tra gli esempi figurano i lavori in corso con la Francia per l'Euroairport Basilea-MulhouseFriburgo nonché con la Germania per l'aeroporto di Zurigo.

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Euroairport Basilea-Mulhouse-Friburgo ­ negoziati con la Francia: si tratta di adeguare il trattato internazionale del 194912 alle realtà odierne. Il settore svizzero dell'aeroporto si è trasformato in un'ubicazione importante per imprese leader nel settore della trasformazione e della manutenzione di velivoli. Grazie a queste ditte svizzere, oggi l'Euroairport è il secondo maggiore datore di lavoro in Alsazia e occupa oltre 4000 lavoratori provenienti dalla Francia. Vanno ora cercate con urgenza soluzioni in materia di diritto del lavoro e di diritto sociale. Assieme al governo francese, la Svizzera mira a conservare l'attrattiva e l'occupazione dell'aeroporto e delle imprese che vi hanno sede. Come in altri processi negoziali, anche qui è essenziale un coordinamento all'interno della Svizzera in modo tale che tutti i partner svizzeri assumano una posizione coerente nei confronti della Francia, in modo da ottimizzarne l'efficacia.

Aeroporto di Zurigo ­ analisi congiunta del rumore in vista di una soluzione: l'aeroporto di Zurigo è la principale infrastruttura del trasporto aereo della Svizzera e costituisce un fattore essenziale sia per l'economia nazionale svizzera che per la regione transfrontaliera. Le limitazioni tedesche dei voli di avvicinamento pesano da anni sulle relazioni con la Germania. La disparità di trattamento limita l'aeroporto di Zurigo rispetto ai concorrenti di Francoforte e Monaco, anche se i movimenti di volo sono chiaramente legati alla Germania: il 70 per cento circa dei movimenti all'aeroporto di Zurigo è infatti svolto da compagnie aeree tedesche o di proprietà tedesca (tra cui Swiss, Lufthansa, Air Berlin) e per quasi un quarto dei movimenti la Germania è il Paese di origine o di destinazione. La pubblicazione nel novembre 2009 dei risultati dell'analisi fonica, convenuta nell'aprile 2008 con la cancelliera Angela Merkel ed effettuata congiuntamente dai nostri due Paesi, ha mostrato che il rumore provocato dall'aeroporto di Zurigo sul territorio tedesco è inferiore ai valori limite stabiliti sia dal diritto tedesco che dal diritto svizzero. Il 22 marzo 2010, i ministri dei trasporti competenti hanno stabilito il seguito della procedura in vista di una soluzione, attribuendo a un gruppo di lavoro congiunto, sotto la direzione delle autorità aeronautiche, il mandato di
finalizzare i capisaldi di una nuova convenzione entro la fine del 2010. La base è costituita dall'analisi congiunta del rumore. Questo è stato riconfermato nel corso di un incontro fra la presidente della Confederazione Doris Leuthard e la cancelliera tedesca Angela Merkel nel maggio 2010.

L'intenso scambio transfrontaliero evidenzia le divergenze in materia di regime doganale, norme di diritto e sistemi sociali, a livello nazionale o a livello dell'UE.

Ciò impone spesso complessi adeguamenti e formalità supplementari sia ai cittadini che alle imprese. Sarebbe nell'interesse dello sviluppo degli spazi economici e residenziali transfrontalieri trovare congiuntamente modelli di soluzione limitati all'ambito locale, in modo da poter applicare le condizioni più favorevoli ­ quelle della Svizzera o quelle dello Stato confinante. Per i progetti di liberalizzazione occorre tuttavia rispettare chiare linee guida di politica interna, come mostra la discussione sulle misure di accompagnamento della libera circolazione delle persone. Un dumping salariale o sociale non sarebbe accettabile soprattutto nello scambio transfrontaliero di servizi.

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Convenzione franco-svizzera del 4 luglio 1949 relativa alla costruzione e all'esercizio dell'aeroporto di Basilea-Mulhouse, a Blotzheim, RS 0.748.131.934.92.

Europa occidentale e centrale Tutela degli interessi quale Paese non membro dell'UE: attorno alla Svizzera, tutti i Paesi dell'Europa occidentale e centrale appartengono all'UE, salvo la Norvegia, l'Islanda e i microstati. Ciò rappresenta una sfida per la politica estera svizzera. In seno alle istituzioni dell'UE, i rappresentanti dei governi e i parlamentari eletti da questi Stati si riuniscono molto spesso e, pur lavorando congiuntamente, difendono i loro interessi alla ricerca dei compromessi consentiti da una visione a lungo termine.

Per assicurare la difesa dei suoi interessi, la Svizzera deve invece spiegare continuamente le sua posizioni nelle capitali europee e raddoppiare gli sforzi, ad esempio a ogni cambiamento di governo, per creare un clima di comprensione reciproca. È infatti nelle capitali e non solo a Bruxelles che si tracciano i futuri orientamenti dell'UE e che si prendono le decisioni che riguardano direttamente anche gli interessi della Svizzera.

Anche negli organismi multilaterali, la Svizzera percepisce gli effetti delle concertazioni tra i membri dei gruppi di Stati che la circondano, ad esempio nel campo dei diritti dell'uomo, dove la Svizzera presenta le sue posizioni e costituisce alleanze per raggiungere gli obiettivi della sua politica estera, o per riuscire a piazzare i candidati svizzeri nelle organizzazioni internazionali. Anche qui, gli scambi di opinioni con le capitali europee costituiscono strumenti indispensabili.

Gli scambi bilaterali con i partner dell'UE sono facilitati nei settori tecnici, ad esempio dove la Svizzera partecipa alla comitatologia europea, nel settore di Schengen/ Dublino e nella politica dei trasporti, dal momento che la Svizzera è presente nelle discussioni a livello europeo. Nella politica estera e di sicurezza, la Svizzera non intrattiene invece alcun dialogo istituzionale con l'UE e sono quindi particolarmente importanti i contatti bilaterali che cura nella misura in cui lo consente la disponibilità dei rappresentanti del DFAE.

La Svizzera partecipa alle discussioni condotte nelle istanze europee di politica estera sporadicamente, quando l'UE è interessata al suo lavoro diplomatico e vi intravvede un valore aggiunto per le proprie azioni. Lo stesso discorso vale anche per altri partner importanti, come gli Stati Uniti. La mediazione
svizzera tra l'Armenia e la Turchia, ad esempio, solo nel 2009 ha prodotto più di 100 ore di negoziati e incontri con le autorità turche e armene a livello ministeriale e di segretari di Stato e contatti susseguenti con gli Stati Uniti ­ compreso il presidente ­ e l'UE, in alcuni periodi a ritmo settimanale o giornaliero. Quanto al Medio Oriente, la Svizzera è invitata alle riunioni dei ministri degli affari esteri organizzate dall'UE nonché alle cosiddette riunioni transatlantiche organizzate dagli Stati Uniti. Anche la gestione comune delle crisi bilaterali e internazionali moltiplica gli scambi e la conoscenza reciproca. Utilizzare queste piattaforme per portare avanti cause bilaterali sembra la cosa più logica, anche se questo approccio modifica il lavoro di spiegazione e di ricerca di una maggiore influenza, assegnando un ruolo più importante alla Centrale e ai ministri stessi.

Problematica fiscale e finanziaria: le sfide con cui è confrontata la piazza finanziaria svizzera sono trattate in dettaglio nel numero 4.1.2 del presente rapporto. Ricordiamo unicamente che il contesto della crisi finanziaria in piena evoluzione nel 2009 ha portato a continui attacchi contro la Svizzera e il suo segreto bancario. Le pressioni si sono manifestate a livello multilaterale ­ soprattutto in seno all'OCSE e al G20 ­ e a livello bilaterale. Alcuni partner dell'Europa occidentale sono rappresentati nel G20 (e in seno all'OCSE) e sono quindi stati in prima fila nelle manovre 965

volte a indebolire la piazza finanziaria svizzera. Sotto questa spinta, la Svizzera ha avviato la rinegoziazione delle convenzioni di doppia imposizione, integrando gli standard dell'OCSE in materia di assistenza amministrativa. Parecchie delle revisioni già firmate o siglate riguardano Paesi dell'Europa occidentale e centrale (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia). Le prime convenzioni rivedute sono entrate in vigore nel novembre 2010 (Danimarca, Francia, Lussemburgo). I grandi vicini sono al centro della polemica fiscale con la Svizzera (cfr. il paragrafo sui Paesi confinanti sopra). Il Regno Unito è un caso speciale, dal momento che Londra è in concorrenza diretta con la piazza finanziaria svizzera.

Il Lussemburgo e l'Austria restano momentaneamente alleati obiettivi per la Svizzera, tenuto conto della convergenza degli interessi in gioco (difesa del segreto bancario); la situazione potrebbe tuttavia mutare in funzione degli sviluppi in seno all'UE in materia di fiscalità. Soprattutto nei confronti degli Stati dell'Europa occidentale e centrale si tratterà di proseguire l'attuazione della strategia del Consiglio federale per la piazza finanziaria e di adottare le necessarie misure di comunicazione.

Contributo all'allargamento: i settori prioritari di collaborazione in quest'ambito sono la sicurezza, la giustizia, le infrastrutture, la protezione dell'ambiente, il settore privato, la ricerca e le borse nonché i partenariati istituzionali. Attualmente, la DSC e la SECO hanno approvato progetti concreti per oltre 500 milioni di franchi. A seconda del tipo di progetto sono costituiti partenariati istituzionali tra le istituzioni dei Paesi partner e della Svizzera oppure istituzioni del settore pubblico svizzero offrono la loro esperienza in cooperazione con istituzioni simili nei Paesi partner.

Naturalmente, l'approvazione in dicembre 2009 del credito quadro per la Bulgaria e la Romania estende il campo d'azione della Svizzera a questi due Paesi.

Inoltre, grazie alla visibilità dei progetti, il contributo all'allargamento crea una dinamica favorevole agli interessi svizzeri, promuovendo le relazioni bilaterali con i Paesi partner. La reputazione della Svizzera ne beneficia
sicuramente e le rappresentanze svizzere sul posto possono basarsi sulla cooperazione così realizzata per valorizzare le relazioni bilaterali tra i Paesi di residenza e la Confederazione. Anche le imprese svizzere possono approfittare delle possibilità offerte dall'apertura dei mercati, sia nell'ambito del contributo all'allargamento che in quello dei progetti finanziati dall'UE.

In un'ottica futura sarà valutato l'impatto dei progetti e i risultati ottenuti saranno divulgati sia in Svizzera che all'estero; i progetti saranno accompagnati anche da attori svizzeri, nei limiti del possibile, allo scopo di garantirne l'efficacia sui gruppi bersaglio. Infine, converrà sfruttare il goodwill politico creato attraverso questo canale nei nuovi Paesi membri dell'UE.

Europa Sudorientale Balcani occidentali: vocazione europea. I Balcani occidentali costituiscono una regione prioritaria per la politica estera svizzera. Come afferma la «Strategia del Consiglio federale per i Balcani occidentali», adottata nel 2005, gli interessi della Svizzera in questa regione o legati a essa si concentrano essenzialmente su quattro ambiti distinti: in primo luogo, la stabilità della regione, in una logica di prevenzione dei conflitti che avrebbero un impatto diretto anche sulla Svizzera; in secondo luogo, la sicurezza, intesa sia come sicurezza dell'intero continente che come sicurezza interna della Svizzera; in terzo luogo, l'economia, nell'intento di approfittare al 966

meglio del potenziale a medio termine della regione; e in quarto luogo, le migrazioni, poiché questa regione continua a rivestire un'importanza innegabile da questo punto di vista. Malgrado i cambiamenti intervenuti nella regione dal 2005, segnatamente la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo e i progressi compiuti da vari Paesi verso l'integrazione nella NATO (Albania, Croazia) e nell'UE, queste priorità restano di attualità. Inoltre, è nell'interesse della Svizzera vedere gli Stati dei Balcani occidentali portare avanti il processo di adesione all'Unione europea, a cui tutti mirano e che la loro vocazione europea dovrebbe agevolare. Questo processo di adesione è sinonimo di sviluppo socioeconomico e politico e quindi di stabilità. Sul piano «tecnico», esso dipende dalle condizioni stabilite dall'UE, che ritmano la tabella di marcia di ciascuno degli Stati in questione. Il quadro strategico generale d'azione è pertanto tracciato.

In sostanza, questi Stati devono compiere una triplice transizione: postconflittuale, democratica ed economica.

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Transizione postconflittuale: i conflitti e le crisi (Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Serbia, Macedonia) scoppiati dopo la disintegrazione dell'ex Jugoslavia o all'uscita dalla dittatura (Albania) hanno manifestamente lasciato tracce profonde, materiali e psicologiche. È questo il principale fattore aggravante, che distingue i Balcani dal resto dell'Europa orientale, che ha pure dovuto compire una transizione democratica ed economica.

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Transizione democratica: la cultura politica e democratica non corrisponde ancora completamente agli standard europei. Lo Stato di diritto e la governance devono ancora essere rafforzati. La società civile è ancora troppo debole. La situazione dei diritti dell'uomo e delle minoranze non è soddisfacente.

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Transizione economica: il passaggio a un'economia di mercato non è certo una sfida facile. Le infrastrutture, il quadro giuridico, la cultura economica ­ tutto va riformato. L'impatto socioeconomico di queste riforme è molto importante, in particolare per le persone più sfavorite, e viene aggravato dalla crisi economica e finanziaria attuale.

L'impegno della Svizzera si prefigge di sostenere questa triplice transizione rispondendo in modo mirato ai bisogni, anche in funzione degli interessi e degli obiettivi di politica estera del nostro Paese. Sono così attuati programmi di cooperazione tecnica ed economica in materia di decentramento e governance locale, sviluppo sociale (educazione, sanità, formazione professionale), infrastrutture (acqua o elettricità), sostegno all'occupazione e alla creazione di reddito e sostegno alle piccole imprese.

Sono sostenuti anche gli sforzi di cooperazione regionale nell'ambito della polizia, della cultura e della ricerca. In quest'ottica la Svizzera appoggia anche il Consiglio di cooperazione regionale, con sede a Sarajevo, che si sta affermando quale attore importante per promuovere la cooperazione tra gli Stati della regione e tra questi Stati e i partner europei. La Svizzera istituisce anche dei partenariati in materia di migrazioni con vari Paesi della regione, allo scopo di gestire congiuntamente, e nel rispetto degli interessi reciproci, le sfide legate a questi fenomeni.

In materia di politica di pace, le attività svolte dalla Svizzera s'iscrivono in tre assi prioritari: in primo luogo, attività di «trasformazione dei conflitti» e di promozione della fiducia («confidence building») tra varie comunità o tra vari Stati, attraverso la facilitazione e la promozione del dialogo politico e del dialogo intercomunitario. In secondo luogo, attività di elaborazione del passato e di giustizia transizionale volte a 967

consentire l'attuazione del diritto di sapere, del diritto alla giustizia, del diritto a risarcimenti e della garanzia di non ripetizione. E infine attività di promozione dei diritti delle minoranze, allo scopo di promuoverne una miglior partecipazione politica e di favorire l'istituzione di un quadro costituzionale atto a garantire la protezione e l'uguaglianza sociale degli esponenti delle minoranze. La Svizzera partecipa inoltre alle operazioni civili e militari della NATO e dell'UE in Kosovo (KFOR/ Swisscoy; EULEX; ICO) e in Bosnia ed Erzegovina (EUFOR).

Questo impegno, svolto a livello bilaterale, con ciascuno degli Stati della regione, ma anche a livello multilaterale,offre anche la possibilità di rafforzare la cooperazione e le relazioni con partner internazionali importanti per la Svizzera (UE, Stati Uniti, Turchia), con i quali la Confederazione armonizza le sue politiche di sostegno alla transizione e dialoga sempre più spesso sulle sfide riguardanti questa regione per lei prioritaria.

La Turchia: Paese candidato all'adesione e attore regionale. Candidata determinata all'adesione all'Unione europea di cui la Svizzera sostiene le aspirazioni ad associarsi alla comunità di valori del continente europeo, 19a economia mondiale, membro del G20, attiva su varie scene della regione circostante, la Turchia si sta affermando quale attore d'importanza crescente sia a livello regionale che, sempre più spesso, sulla scena internazionale. La Turchia è un partner importante della Svizzera da vari punti di vista. Sul piano economico, la Svizzera figura tra i 20 principali partner commerciali della Turchia e, malgrado l'impatto significativo della recente crisi, il volume totale degli scambi ammonta a 2,5 miliardi di franchi. Con 2 miliardi di dollari circa (stando alle statistiche turche disponibili), la Svizzera è anche un importante investitore in Turchia, dove sono presenti o rappresentate quasi 450 ditte svizzere, per circa 14 000 posti di lavoro. Le relazioni sono quindi già intense ­ in proposito non va dimenticato anche il turismo (280 000 turisti svizzeri si recano ogni anno in Turchia) ­ ma presentano ancora un potenziale di crescita notevole. Ciò vale in particolare nel settore dell'energia, per il quale i due Paesi nel novembre 2009 hanno firmato un memorandum d'intesa (MoU).

Il suo ruolo
attivo nei Balcani, in Medio Oriente e nel Caucaso del Sud ­ tutte regioni prioritarie per la Svizzera ­ fa inoltre della Turchia un interlocutore privilegiato per la Svizzera, che può approfittare dell'impegno, dell'esperienza e dei contatti di Ankara. Viceversa, anche la Turchia è interessata a poter beneficiare dell'esperienza e della posizione della Svizzera nelle stesse regioni, come ha confermato in particolare la mediazione condotta dalla Svizzera tra l'Armenia e la Turchia, che il 10 ottobre 2009 a Zurigo ha portato alla firma di due protocolli bilaterali.

Le strette relazioni con la Turchia sono particolarmente utili dopo che la votazione sui minareti ha suscitato grande incomprensione in questo Paese. Viste l'importante comunità di origine turca in Svizzera e l'influenza crescente della Turchia sui Paesi con maggioranza musulmana, in particolare in Medio Oriente, è infatti nell'interesse evidente della Svizzera mantenere un dialogo il più possibile intenso e approfondire la cooperazione su queste questioni, come è già il caso ad esempio in seno all'Alleanza delle civiltà. In seguito alla votazione del 29 novembre 2009 vi sono così stati numerosi contatti politici con la controparte turca, che hanno permesso di affrontare questi punti sensibili senza che avessero un impatto negativo sulle relazioni bilaterali. La visita di Stato del presidente turco alla fine di novembre 2010 ha contribuito a ribadire le buone relazioni che uniscono i nostri due Paesi.

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La Turchia appare quindi come un partner importante a causa del suo posizionamento strategico, del suo peso crescente sulla scena internazionale e del suo ricco potenziale economico. Da molti anni ormai le relazioni bilaterali con la Turchia sono oggetto di un consolidamento, che rispecchia il carattere importante e strategico dei legami tra i due Paesi e, al contempo, permette di gestire serenamente eventuali divergenze di approccio o di valutazione. Sul piano politico, i vari contatti avuti nell'ambito del MoU sui meccanismi delle consultazioni politiche permettono di affrontare i dossier ­ a volte sensibili ­ nel settore consolare, in quello dell'assistenza giudiziaria e di polizia o ancora nel settore migratorio.

Europa orientale e Asia centrale Russia: negli ultimi anni, il Consiglio federale ha accordato un'importanza strategica all'intensificazione delle relazioni bilaterali con la Russia che ha promosso attivamente. Oggi la Svizzera figura tra i dieci principali investitori in Russia, Paese economicamente emergente e ricco di materie prime, mentre le partecipazioni in imprese e i flussi di capitali russi assumono rilievo per l'economia elvetica. Il memorandum d'intesa del 9 novembre 2007 ha permesso di intensificare le consultazioni con la Russia nei più svariati settori. Accanto al dialogo a livello di politica estera e di economia si tengono colloqui anche su temi come la ricerca, la cultura, i diritti dell'uomo, i trasporti, l'energia, la politica di sicurezza o la collaborazione in materia di giustizia e polizia. Le consultazioni a Berna e a Mosca offrono inoltre l'occasione per affrontare gli impegni nell'ambito dello Stato di diritto; la Svizzera accoglie favorevolmente le riforme di Mosca in quest'ambito. I contatti spesso ad alto livello sono culminati nel settembre 2009 con la prima visita di Stato di un presidente russo in Svizzera. Nell'agosto 2010 il presidente russo, a sua volta, ha invitato la presidente della Confederazione a un incontro a Soci. L'interesse di Mosca per una nuova architettura della sicurezza europea e i colloqui corrispondenti nell'ambito della NATO e dell'OSCE portano inoltre a discussioni tra esperti, a cui può contribuire anche la Svizzera (cfr. n. 3.2.2.).

Membro permanente del Consiglio di sicurezza, membro del G8 e del G20 nonché partecipante alla
maggior parte dei dibattiti sul futuro del continente europeo, la Russia è per la Svizzera un partner politico imprescindibile, il cui contributo alla sicurezza mondiale, sia nel settore militare che in materia di approvvigionamento, non va sottovalutato. Nei negoziati multilaterali sul clima, ad esempio, l'entrata in scena della Russia ha permesso un grande passo avanti. La difesa delle posizioni svizzere nei confronti della Russia e lo scambio di opinioni sulle questioni internazionali rientrano quindi nello sforzo generale volto a rafforzare l'influenza della Svizzera sulla scena mondiale.

Altri Paesi dell'Europa dell'Est: sei Paesi dell'ex Unione sovietica ­ Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Azerbaigian e Armenia ­ sono esposti in misura più o meno intensa alla politica di vicinato dell'UE, alle politiche bilaterali della Russia, all'interesse degli Stati Uniti nonché alla maggior presenza della Turchia. La Svizzera destina notevoli risorse a queste regioni e a questi Stati, importanti per lei da più punti di vista (sicurezza, energia, migrazioni, potenziale economico). Come altri attori, la Svizzera s'impegna a livello bilaterale (presenza diplomatica sul posto, contatti politici, cooperazione, relazioni economiche) e a livello multilaterale (in seno all'OSCE e al Consiglio d'Europa) a favore della democratizzazione, dello Stato di diritto e dello sviluppo economico e sociale in questi Paesi.

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La Svizzera vi ha aperto rappresentanze ufficiali dalla metà degli anni Novanta, segnatamente per dispensare aiuto umanitario a favore delle vittime di conflitti o catastrofi naturali e per coordinare l'attuazione dell'assistenza tecnica e finanziaria.

La cooperazione economica è stata sviluppata in un contesto ancora contraddistinto da un lungo periodo di gestione centralizzata. Nei programmi di cooperazione e attraverso le consultazioni politiche con questi Stati, la Svizzera ha esteso il suo campo d'interessi segnatamente alla politica di sicurezza, alle migrazioni, alla lotta contro varie forme di criminalità o di violenza transnazionale, alla scienza e alla ricerca, all'ambiente e al clima o ancora alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico.

Benché la sua azione nella regione sia svolta anche con altri finanziatori, la Svizzera mantiene la proprio autonomia. Il vantaggio è visibile nel Caucaso del Sud, dove la stabilità è problematica a causa delle tensioni ancora vive tra la Georgia e la Russia, ma anche tra l'Armenia e l'Azerbaigian.

L'autonomia della posizione svizzera nei confronti della Bielorussia, dell'Ucraina e della Moldavia si traduce segnatamente nel fatto che l'appartenenza o meno di questi Stati ad alleanze militari non è considerata un elemento determinante nelle nostre relazioni. Il rispetto dei valori fondamentali comuni agli Stati europei, come quelli sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dai suoi protocolli, è invece una condizione di base al rafforzamento delle relazioni politiche con la Svizzera. Per questo motivo, la Bielorussia, che non fa parte del Consiglio d'Europa, rimane ancora in secondo piano nel panorama dei buoni contatti che la Svizzera si sforza di promuovere. Situata lungo la frontiera esterna dell'UE, regione cardine tra l'UE e la Russia, l'Ucraina ha una vocazione particolare a diventare un partner più importante per la Svizzera di quanto non abbia consentito finora la sua instabilità politica degli ultimi anni.

Asia centrale: tra i Paesi geograficamente vicini con un ulteriore potenziale di collaborazione figurano anche Stati, come ad esempio il Kazakistan, che assumono rilievo per la Svizzera non da ultimo per via del loro potenziale economico, della loro appartenenza all'OSCE nonché delle loro relazioni con la Russia, la Cina,
l'India e l'Occidente. Il Kirghizistan, l'Uzbekistan, il Tagikistan e il Turkmenistan hanno particolare importanza poiché appartengono agli stessi gruppi di voto della Svizzera nelle Istituzioni di Bretton Woods (BWI), nel Fondo globale per l'ambiente (GEF) e nella Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). Dalla costituzione di questo gruppo di voto alla sua entrata nelle BWI nel 1992, la Svizzera ha contribuito a formare i rappresentanti dei ministeri delle finanze e delle banche centrali di questi Stati. Attraverso la sua assistenza tecnica e la sua consulenza, vi ha anche incoraggiato il miglioramento della governance finanziaria. Per la Svizzera, i contatti in seno al gruppo di voto favoriscono l'accesso a una regione emergente, con cui approfondisce continuamente le relazioni. In questo ambito si inserisce anche il recente rafforzamento della rete diplomatica con l'apertura di ambasciate nella regione.

Il grande potenziale della regione può tuttavia essere sfruttato solo in condizioni di pace. Le violenze contro la popolazione uzbeca del Sud del Kirghizistan, scoppiate nel giugno 2010 nel contesto della fragilità interna in seguito al rovesciamento del presidente Bakiev in aprile e all'insediamento di un governo provvisorio, hanno quindi rappresentato una grave minaccia alla stabilità della regione. La Svizzera non solo ha fornito il suo contributo all'aiuto umanitario multilaterale a favore delle popolazioni uzbeche sfollate e ai rifugiati nel vicino Uzbekistan, ma ha anche agito 970

sul posto e in seno agli organismi internazionali affinché al nuovo governo kirghizo, impegnato a rompere con le pratiche del regime precedente, fosse assicurato l'aiuto necessario al consolidamento pacifico della sua autorità. In particolare, la Svizzera ha incoraggiato l'elaborazione di una nuova costituzione e sostiene l'organizzazione di elezioni parlamentari destinate a instaurare una piena legittimità democratica in Kirghizistan.

Sicurezza energetica Nell'approvvigionamento energetico europeo svolgono un ruolo chiave la Russia e in parte anche i Paesi fornitori dell'Asia centrale nonché la Turchia quale Paese di transito. La Russia è il secondo maggiore produttore di gas naturale e di petrolio del mondo ed è un Paese di transito quasi inaggirabile per l'energia fossile proveniente dall'Asia centrale. L'ulteriore potenziamento delle linee di approvvigionamento già orientate verso l'Europa per le energie fossili provenienti dalla Russia, dall'Asia centrale e dalla regione del Mar Caspio rafforza la necessità di collaborare in condizioni politicamente ed economicamente stabili.

Come illustrato nella strategia del Consiglio federale in materia energetica del 2009, da parte della Svizzera vi è un bisogno di sicurezza energetica a lungo termine, che tenga conto in modo equilibrato degli interessi dei fornitori, dei Paesi di transito, dei consumatori e della protezione dell'ambiente. Attualmente, i fornitori di petrolio possono cambiare relativamente in fretta, come mostra l'esempio del Kazakistan, che in breve tempo è diventato uno dei principali fornitori di petrolio della Svizzera.

Per il gas naturale, fornito prevalentemente attraverso gasdotti, ciò è invece quasi impossibile.

È pertanto importante che la politica estera svizzera nei confronti della Russia, della Turchia e dell'Asia centrale continui ad attuare la strategia energetica del Consiglio federale e istituisca inoltre un quadro bilaterale favorevole. Il distaccamento di personale del DFAE presso l'Ufficio federale dell'energia e a Bruxelles per il trattamento delle questioni energetiche internazionali risponde proprio a questo bisogno. Tra l'altro, le ambasciate della Svizzera contribuiscono con perseveranza alla conclusione degli accordi necessari per sancire la cooperazione energetica della Svizzera, come ha mostrato la firma
nel novembre 2009 del memorandum d'intesa con la Turchia menzionato sopra.

Impegno politico a favore della pace, buoni servizi, mediazione della Svizzera La regione del Caucaso del Sud con i suoi conflitti interstatali e le sue tensioni tra vicini illustra le varie possibilità che ha la Svizzera di promuovere la pace. Il sostegno all'attività delle organizzazioni internazionali di cui fa parte è uno dei canali privilegiati dalla Svizzera. L'OSCE, con i negoziatori del gruppo di Minsk, è in testa nei tentativi di porre un termine al conflitto nel Nagorno-Karabakh tra l'Armenia e l'Azerbaigian. In Georgia, le missioni dell'OSCE e delle Nazioni Unite hanno dovuto interrompere le operazioni nel 2009, ma i rappresentanti di queste due organizzazioni, con quello dell'Unione europea, presiedono le «discussioni di Ginevra», avviate dopo il cessate il fuoco, che dal 2008 riuniscono tutte le parti in conflitto.

Pur non assistendo a queste riunioni, la Svizzera fa tutto quanto in suo potere in qualità di Paese ospite per facilitarle. Non rappresentata nella missione dell'UE, l'EUMM, la Svizzera apporta tuttavia un importante sostegno alla delegazione del Consiglio d'Europa in Georgia e alle attività umanitarie realizzate in questo Paese dal Commissario per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa: questo sostegno ha 971

assunto una dimensione particolare durante la presidenza svizzera del Comitato dei ministri di questa organizzazione.

Assumendo la rappresentanza incrociata degli interessi russi e georgiani, dal marzo 2009, la Svizzera facilita la comunicazione tra i due Stati che hanno interrotto le relazioni e contribuisce alla protezione delle persone, permettendo ai servizi consolari di funzionare. Mette i suoi canali a disposizione anche per altri miglioramenti puntuali delle condizioni di vita delle popolazioni, come la riapertura di un posto di frontiera o la ripresa di collegamenti aerei. I compiti assunti dalle ambasciate svizzere a Tbilisi e a Mosca sono stabiliti nei mandati definiti mediante scambi di note con i due governi: l'intero lavoro consolare normale è svolto dalle «sezioni degli interessi» russa e georgiana, dotate di personale inviato dallo Stato mandante. Giuridicamente, questo personale è considerato come parte dell'Ambasciata svizzera, che svolge tutte le formalità amministrative richieste dallo Stato di accoglienza. Per le attività di carattere diplomatico, le due parti hanno convenuto di ricorrere all'intermediazione dell'ambasciatore svizzero o del suo supplente: le notifiche e il corriere diplomatico vanno consegnati loro affinché ne assicurino la trasmissione ai destinatari.

Anche qui si può citare il processo di ravvicinamento tra l'Armenia e la Turchia, in cui la mediazione svizzera ha permesso di stabilire le condizioni dei due protocolli firmati a Zurigo il 10 ottobre 2009 e attualmente in attesa della ratifica parlamentare delle due parti. Nei casi menzionati hanno svolto un ruolo chiave l'ambasciata a Tblisi, aperta nel 2001, e la rappresentanza diplomatica di Erevan, aperta nel 2009.

In Kirghizistan, in preda a gravi agitazioni interne nel giugno scorso, la Svizzera contribuisce alla pace civile portando avanti un programma di cooperazione allo sviluppo in settori d'intervento prioritari come la salute primaria, l'approvvigionamento idrico, lo sviluppo del settore privato, la gestione delle finanze pubbliche o l'energia. Come indicato sopra, la Svizzera interviene anche affinché al nuovo governo kirghizo, impegnato a rompere con le pratiche del regime precedente, sia assicurato l'aiuto necessario al consolidamento pacifico della sua autorità. Uno Svizzero è così stato nominato
dall'OSCE quale responsabile della missione di polizia istituita da questa organizzazione in Kirghizistan.

Sfide e prospettive Gli interessi perseguiti dalla Svizzera in Europa non si distinguono dalle grandi categorie sancite dall'articolo 54 della Costituzione federale. È tuttavia opportuno ribadire che l'indipendenza e la prosperità della Svizzera, nelle sue immediate vicinanze, dipendono in modo particolare dall'evoluzione, dalla coesione politica e dalla prosperità degli Stati membri dell'UE, in particolare dell'eurozona, nonché da quelle dei membri della NATO, con la loro capacità di proteggere la posizione dell'Europa occidentale in seno all'alleanza e nei confronti di altre organizzazioni di sicurezza collettive. La Svizzera porta avanti politiche favorevoli all'allargamento dell'UE, a condizione che quest'ultima desideri ancora allargarsi. Non è ostile all'esistenza delle alleanze militari, a cui s'impone tuttavia di non aderire, ma si preoccupa di evitare che il continente europeo ridiventi teatro o attore di un conflitto militare generale. Per favorire la coesistenza pacifica dei popoli, la Svizzera sostiene, anche in Europa, la lotta contro la povertà e la tutela delle risorse naturali.

S'impegna in particolare affinché il rispetto dei diritti dell'uomo e la democrazia prevalgano laddove la loro attuazione lascia ancora a desiderare. Le organizzazioni

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politiche multilaterali di cui fa parte, il Consiglio d'Europa e l'OSCE, svolgono un ruolo insostituibile a tal fine.

L'influenza che può avere la Svizzera sul continente europeo dipende dalla sua partecipazione solidale agli affari del continente e dalle sue interrelazioni con gli Stati che la compongono, individualmente, e con le numerose istituzioni internazionali che regolano i rapporti tra gli Stati.

La Svizzera è presente in questo emisfero con una fitta rete di rappresentanze. Ha buone relazioni con tutti gli Stati europei ­ a intensità più o meno elevate a seconda delle affinità, degli interessi in gioco e della vicinanza geografica. È legata all'UE e ai suoi membri attraverso una rete molto fitta di accordi bilaterali e inoltre coltiva un vivace dialogo transfrontaliero con i suoi vicini. Con i Paesi europei non membri dell'UE, la Svizzera ha relazioni diversificate, in particolare con la Russia e la Turchia. Partecipa ai lavori di organizzazioni regionali e internazionali, in seno all'ONU, alle Istituzioni di Bretton Woods e alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), all'OCSE, all'OSCE o al Consiglio d'Europa, senza dimenticare l'AELS. S'impegna per rafforzare il ruolo specifico di queste organizzazioni: sicurezza diversificata per l'OSCE, protezione dei diritti dell'uomo e promozione delle istituzioni democratiche per il Consiglio d'Europa. Non essendo membro né dell'UE né della NATO, conserva un margine di autonomia nella definizione delle sue politiche. Alla fine opera tuttavia per consolidare la coesione dell'insieme del continente e mette gli strumenti della sua cooperazione al servizio dello stesso ideale dell'UE e dei suoi membri: la stabilità e la prosperità in tutta l'Europa, nel rispetto delle libertà individuali e della supremazia dello Stato di diritto.

Da tempo, la Svizzera è impegnata nella regione affermandosi come un partner credibile e affidabile, indipendente e neutrale, disponibile e attivo. La cooperazione multilaterale s'impone in certi contesti, dove l'ampiezza e la complessità delle sfide rendono impossibile o quasi la loro soluzione da parte di un unico attore e dove invece un intervento coordinato apporta un forte valore aggiunto. È infatti proprio impegnandosi nella risoluzione delle controversie
e dei problemi, essendo presente sul terreno nonché sviluppando e rafforzando le relazioni politiche con i molteplici attori con cui collabora che la Svizzera riesce a rafforzare le sue capacità d'influenza ­ e quindi anche la sua sovranità.

2.3

Politica nei confronti del continente americano

Tendenze attuali nella regione L'avvento di un mondo multipolare e la nuova costellazione internazionale che ne deriva hanno delle ripercussioni anche sul continente americano. Accanto alla grande potenza degli Stati Uniti, sul continente americano il Brasile si sta sempre più affermando come attore consapevole e da prendere sul serio sulla scena internazionale, dal punto di vista politico, economico e della sicurezza.

Al momento della sua entrata in carica all'inizio del 2009, il presidente americano Barack Obama ha suscitato grandi aspettative. Questo cambiamento di governo è stato l'occasione per dare nuovi impulsi alle relazioni tra la Svizzera e gli Stati Uniti: in politica estera, il governo Obama punta maggiormente sulla cooperazione internazionale e sulle iniziative multilaterali, aprendo nuovi spazi di cooperazione 973

per la Svizzera. Contemporaneamente, la Svizzera è confrontata a delle sfide politiche in grado di pesare sulle relazioni bilaterali, segnatamente nel settore fiscale, che devono essere gestite nel rispetto degli interessi reciproci. In questo contesto, l'accordo di assistenza amministrativa concernente la grande banca svizzera UBS ha contribuito a evitare un conflitto giuridico e di sovranità con gli Stati Uniti.

Considerati il loro peso economico e la loro importanza politica, gli Stati Uniti sono un partner imprescindibile per la Svizzera. Problemi mondiali come la crisi economica e finanziaria, i cambiamenti climatici, le minacce della proliferazione nucleare e del terrorismo non possono essere risolti senza il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Nella sua relazione con questo Paese, la Svizzera deve fare attenzione a tutelare interessi importanti, segnatamente in ambito economico e finanziario. Nella sua strategia politica nei confronti degli Stati Uniti, la Svizzera deve inoltre porsi l'obiettivo di rafforzare la cooperazione nei settori d'interesse comune.

Dal canto suo, l'America Latina ha attraversato importanti cambiamenti politici, che danno un nuovo significato alla regione e suscitano un interesse accresciuto da parte di vari partner. Nel complesso, l'attuazione di politiche macroeconomiche stabilizzatrici da una decina di anni, o anche di più, nonché una relativa buona tenuta di fronte alla crisi economica e finanziaria contribuiscono a un ammodernamento parziale delle società e a una crescita del potere d'acquisto. Numerosi Paesi della regione sono d'altro canto riusciti a consolidare la democrazia e lo Stato di diritto. Ma la povertà, l'esclusione, addirittura la discriminazione razziale, permangono, minacciando la coesione sociale e il varo di progetti di sviluppo nazionali.

Mentre si compiono sforzi notevoli nella lotta contro la povertà e segnatamente allo scopo di restituire il loro spazio ai gruppi sociali esclusi dallo sviluppo (popolazioni rurali, indigene, di origine africana), nella regione sono in atto forze contraddittorie e in alcuni Paesi le conquiste restano fragili: numerosi governi latinoamericani sono confrontati a problemi come la corruzione ­ un fenomeno che danneggia lo Stato e la pubblica amministrazione e rende fragili le istituzioni, segnatamente la giustizia
­ e la loro incapacità di fornire le prestazioni attese, la criminalità organizzata ­ soprattutto in relazione alla problematica del narcotraffico ­ e la violenza armata, che è d'altronde sempre meno legata a rivendicazioni di natura politica e sempre più di stampo criminale. Infine, in alcuni Paesi dell'America Latina si manifesta un rischio di deriva populista e autoritaria.

Nonostante le importantissime sfide che sussistono in materia di distribuzione equa dei redditi e della proprietà nonché dei dividendi della crescita, si osserva una modifica dei rapporti nella regione: da società beneficiarie di programmi di cooperazione allo sviluppo, i Paesi della regione si trasformano progressivamente in partner economici importanti e in destinazioni d'investimenti esteri diretti, in particolare nel settore energetico e minerario, ma anche in quello agroindustriale. Appaiono nuovi attori come la Cina, l'India o la Russia che manifestano un interesse nell'ambito della corsa globale alle risorse per garantire lo sviluppo del loro apparato industriale.

Quanto alla cooperazione e all'integrazione regionale, i rispettivi sforzi proseguono con risultati finora piuttosto modesti, frenati sia da una visione ancora fortemente improntata ai nazionalismi sia da una polarizzazione crescente del dibattito ideologico. I progetti d'integrazione, che si moltiplicano senza veramente concretizzarsi, sono caratterizzati da una velleità di emancipazione nei confronti delle potenze che operano tradizionalmente nella regione, in particolare gli Stati Uniti. A questa presa di coscienza regionale si aggiunge un'apertura verso nuovi attori, segnatamente 974

asiatici, che offre la prospettiva di mercati di esportazione interessanti e di ingenti investimenti a favore dei progetti di sviluppo industriale dei Paesi dell'America Latina (segnatamente nel settore energetico e infrastrutturale) nonché dell'istituzione di nuovi partenariati sud-sud sulla base d'interessi convergenti dei cosiddetti Paesi emergenti.

In base ai legami storici e culturali che la legano ai Paesi dell'America Latina nonché ai suoi interessi politici ed economici, la Svizzera mira a promuovere la stabilità politica, l'integrazione sociale e la difesa di valori comuni come lo Stato di diritto e i diritti dell'uomo. Contemporaneamente, cerca di favorire l'accesso ai mercati sudamericani e di moltiplicare le opportunità di commercio e d'investimento facilitando l'istituzione di un clima economico favorevole e di un quadro giuridico adeguato.

Sulla scia dei progressi economici della regione, l'impegno della Svizzera nella cooperazione allo sviluppo diminuisce a favore di una cooperazione maggiormente orientata verso gli scambi economici. La DSC collabora tuttavia con i Paesi più poveri della regione, in particolare con Haiti, la Bolivia e alcuni Paesi dell'America Centrale nonché nell'ambito di cosiddetti programmi globali.

Sull'insieme del continente, la Svizzera s'impegna nel settore della promozione della pace e dei diritti dell'uomo e segue con attenzione le questioni legate alla governance. Anche i cambiamenti climatici e l'ambiente figurano tra i suoi interessi.

La cooperazione scientifica costituisce un altro settore di cooperazione bilaterale che si sta sviluppando in modo dinamico. I legami con gli Stati Uniti sono particolarmente intensi in questo contesto, ma nuovi partner scientifici appaiono anche in America Latina.

Paesi prioritari della regione Gli Stati Uniti e il Brasile sono i principali partner di cooperazione della Svizzera sul continente americano. Questi due Paesi figurano tra i partner prioritari identificati dal Consiglio federale nel 2005 nella sua strategia di politica estera. Sono anche i Paesi con cui la Svizzera ha intensificato maggiormente le relazioni bilaterali nel corso degli ultimi anni per promuovere e difendere al meglio i suoi interessi.

Stati Uniti: superpotenza politica, economica e militare, membro permanente del Consiglio di sicurezza
dell'ONU, membro del G8 e del G20, gli Stati Uniti sono un partner imprescindibile sullo scacchiere internazionale. Costituiscono un interlocutore importante per numerosi Paesi e sono quindi molto sollecitati. La Svizzera, per cui gli Stati Uniti hanno una grande importanza in numerose attività di politica estera, deve quindi fare in modo di essere un partner credibile e utile al fine di assicurarsi l'accesso ai decisori americani.

Sul piano bilaterale, gli Stati Uniti sono il secondo mercato di esportazione per i prodotti svizzeri e la principale destinazione degli investimenti svizzeri fuori dall'Europa. Con 350 000 posti di lavoro (fine 2008) nelle filiali americane di imprese svizzere, la Svizzera è un'importante fonte di occupazione e un attore tecnologico di spicco sul mercato americano, dove assume una posizione dominante in vari settori industriali e dei servizi. Inoltre 70 000 cittadini svizzeri si sono trasferiti negli Stati Uniti, il che crea dei legami intensi e comporta importanti flussi di scambi.

Nell'altra direzione, gli investimenti americani in Svizzera, dove l'attività delle ditte americane si moltiplica, contribuiscono in misura sostanziale al prodotto nazionale svizzero e al prestigio della sua piazza economica e dei suoi centri di ricerca. La 975

volontà del presidente americano di creare posti di lavoro, in particolare nelle tecnologie dell'ambiente, nelle energie rinnovabili e nei trasporti pubblici, rappresenta un potenziale supplementare per lo sviluppo delle relazioni economiche tra i due Paesi.

Le sfide principali con cui è confrontato il governo americano rientrano soprattutto nell'ambito della politica interna e riguardano gli effetti della crisi economica, la promozione dell'occupazione, l'attuazione di una riforma della politica sanitaria e un riorientamento della politica energetica. La disoccupazione supera il 10 per cento e il deficit di bilancio aumenta. Il Paese continua tra l'altro a destinare molte risorse a due guerre, in Afghanistan e in Iraq. È comprensibile, quindi, che gli sforzi del presidente americano si concentrino soprattutto sulle questioni di politica interna.

In politica estera, il governo americano s'impegna in una cooperazione internazionale intensificata mettendo l'accento sull'ambito multilaterale. Sono privilegiati gli strumenti diplomatici e la forza è impiegata in modo più restrittivo. Il dialogo e la cooperazione sono diventati prioritari, anche con partner difficili. L'apertura americana si è manifestata segnatamente con una nuova era di cooperazione nei confronti della Russia e un'intensificazione delle relazioni con la Cina. Quanto all'Iran, la politica americana si è tradotta in un contatto diretto in occasione dei colloqui di Ginevra (Geneva Talks13) dell'ottobre 2009 e nella volontà di fare passi avanti nel dossier nucleare. Visti gli scarsi risultati di questi sforzi, Washington punta sul rafforzamento del sistema di sanzioni.

Il presidente americano si è distinto anche per atti simbolici forti verso il mondo arabo-islamico e azioni globali promettenti, come l'adesione degli Stati Uniti al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU, un aiuto americano allo sviluppo più coerente e una politica dell'ambiente più improntata alla cooperazione internazionale. Per la Svizzera, questi sviluppi costituiscono opportunità supplementari di cooperazione, segnatamente in vista di una convergenza sul piano degli interessi comuni.

A livello bilaterale, negli ultimi anni le relazioni tra la Svizzera e gli Stati Uniti sono state contraddistinte dalla ricerca di soluzioni ai problemi riguardanti la piazza
finanziaria e dalla negoziazione di un protocollo di modifica della convenzione bilaterale di doppia imposizione del 1996. In proposito assume grande rilievo l'accordo di assistenza amministrativa negoziato con gli Stati Uniti in relazione ai dati sui clienti della banca UBS.

In altri settori, la cooperazione tra i due Paesi ha prodotto risultati promettenti. Ciò vale per gli sforzi comuni nell'ambito del processo negoziale in vista di una riconciliazione tra la Turchia e l'Armenia e nel contesto del contributo svizzero alla chiusura del centro di detenzione di Guantanamo nonché, in un ambito più generale, per i mandati di tutela degli interessi americani in Iran e a Cuba.

È stato fatto uno sforzo particolare per intensificare le reti di contatti a tutti i livelli dell'amministrazione americana e del Congresso e per curare le relazioni bilaterali.

Questo sforzo andrà portato avanti anche nei prossimi anni. Una rete di contatti fitta e ben sviluppata permette di stimolare la disponibilità al dialogo da parte americana, in particolare nelle situazioni in cui emergono divergenze di opinioni.

13

976

Colloqui fra E3 + 3 (Germania, Gran Bretagna, Francia + Stati Uniti, Russia, Cina) con l'Iran, organizzati dalla Svizzera a Ginevra nel luglio 2008 e nell'ottobre 2009.

A livello parlamentare, due associazioni riuniscono regolarmente, dal 2003, parlamentari federali dei due Paesi: l'Associazione parlamentare Svizzera-Stati Uniti e, sul fronte americano, il Friends of Switzerland Caucus. Queste associazioni permettono di mantenere i contatti con rappresentanti del Congresso americano, che assume un'importanza non trascurabile in materia di politica estera, sensibilizzando i parlamentari americani sulle preoccupazioni e sugli interessi della Svizzera.

Brasile: analogamente agli altri Paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), il Brasile, che gode di una notevole crescita economica e di una stabilità istituzionale rinnovata a partire della metà degli anni Novanta, è assurto a livello di attore globale e leader regionale. Esercita un'influenza crescente in seno ai principali organismi internazionali (ONU, G20, OMC, sviluppo sostenibile, clima). In qualità di potenza economica e politica mondiale, il Brasile mira a promuovere una riforma dell'ordine internazionale, a far avanzare la causa del disarmo e della non proliferazione nucleare e a condurre una diplomazia commerciale offensiva. D'altro canto, il Brasile conclude partenariati strategici con i grandi Paesi emergenti e s'impegna sempre più risolutamente nella cooperazione sud-sud. Funge così da portavoce dei Paesi emergenti e in sviluppo, che rivendicano il diritto di perseguire i loro obiettivi e interessi autonomamente e su un piano di parità con gli attori del cosiddetto mondo «industrializzato».

Contemporaneamente, il Brasile si è progressivamente trasformato in leader regionale sia per il suo peso politico accresciuto che per le sue caratteristiche di motore economico dell'America del Sud. In questo contesto, sostiene attivamente progetti d'integrazione regionale con l'istituzione, ad esempio, dell'Unione delle nazioni sudamericane (UNASUR) a Brasilia nel maggio 2008 o del progetto di Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici in occasione del 21° vertice annuale del Gruppo di Rio, tenutosi a Playa del Carmen (Messico) nel 2010. Per il resto, il Brasile cerca di svolgere sempre più un ruolo di mediatore nelle crisi regionali.

Osservando questi sviluppi, la Svizzera intensifica le sue relazioni con il Brasile, con cui ha istituito un partenariato strategico firmando un memorandum d'intesa (MoU) nel
2008. La prima tornata del dialogo politico nell'ambito di questo partenariato strategico si è tenuta nel giugno 2009 a Berna.

In base a valori e interessi ampiamente condivisi, la Svizzera e il Brasile cercano, attraverso il partenariato strategico, di rafforzare e strutturare le loro relazioni bilaterali, di promuovere la loro cooperazione in un ventaglio più ampio di settori, dalla cooperazione scientifica e tecnica alla lotta contro la criminalità organizzata, segnatamente mediante il trattato di assistenza giudiziaria in materia penale, entrato in vigore nel 2009, e una collaborazione di polizia. D'altro canto, la Svizzera e il Brasile rafforzano il dialogo sulle questioni mondiali d'interesse comune. In proposito sono stati avviati un regolare scambio di opinioni e una collaborazione nei settori del disarmo e della lotta contro la proliferazione nucleare, della governance globale in ambito politico, economico e finanziario nonché dell'ambiente. È inoltre in preparazione una cooperazione allo sviluppo congiunta nell'ambito delle cosiddette problematiche globali, ad esempio i cambiamenti climatici, nonché nel campo dell'aiuto umanitario e della cooperazione regionale, segnatamente nell'Africa subsahariana.

977

Cooperazione con altri partner regionali La Svizzera ha relazioni approfondite anche con altri Paesi del continente, che svolgono un ruolo internazionale o regionale di spicco oppure assumono un significato importante nelle relazioni politiche ed economiche estere della Svizzera.

Uno di questi Paesi è il Canada, che fa parte di numerosi organismi internazionali e regionali, dove esso attua una politica tradizionalmente attiva e volta a favorire una cooperazione multilaterale, esercitando al contempo la sua influenza sulle grandi questioni internazionali. Nel 2010, il Canada ha utilizzato questi organismi con determinazione, in particolare nell'ambito della sua presidenza del G8 e della sua partecipazione ai lavori del G20, allo scopo di contribuire allo sviluppo di una governance globale in un mondo multipolare. Anche il successo dei Giochi olimpici di Vancouver è stato importante. Per quanto riguarda le Nazioni Unite, il Canada è candidato a un seggio nel Consiglio di sicurezza, che vorrebbe occupare per la sesta volta. Nello scorso decennio, l'economia canadese si è distinta per una forte crescita continua, durata fino alla crisi economica e finanziaria, che l'ha colpita più per l'orientamento commerciale verso gli Stati Uniti che non per il settore finanziario.

Negli ultimi anni, le relazioni tra la Svizzera e il Canada sul piano economico si sono intensificate, un'evoluzione coronata dall'entrata in vigore dell'accordo di libero scambio AELS-Canada nel luglio 2009. Il Canada è il secondo partner commerciale in ordine d'importanza sul continente americano. Vi è un potenziale d'intensificazione della cooperazione tra i due Paesi anche in altri settori, come ad esempio su temi mirati della sicurezza umana e sui diritti dell'uomo, in ambito scientifico o ancora energetico e ambientale. A livello multilaterale, la Svizzera e il Canada difendono spesso posizioni convergenti e collaborano strettamente, in particolare in seno al sistema dell'ONU o nella successione alla presidenza dell'Organizzazione internazionale della Francofonia. La prima visita di un primo ministro canadese in Svizzera, nell'ottobre 2010, ha permesso di confermare i punti comuni dei nostri due Paesi.

Occupa un posto importante anche il Messico, potenza regionale a cavallo tra l'America del Nord e l'America Latina. Pur essendo
da un lato integrato nel Nord ­ in qualità di membro dell'OCSE e partner in seno al NAFTA (Associazione di libero scambio nordamericana) ­ il Messico si considera politicamente e culturalmente appartenente all'America Latina. Svolge quindi un ruolo cardine tra il Nord e il Sud mettendo così in valore la sua funzione d'intermediario. Sul piano mondiale, afferma la sua presenza in seno al G20 e riesce a esercitare un'influenza sulla politica mondiale. Resta tuttavia confrontato, in alcune regioni più che in altre, a importanti sfide in materia di sviluppo e governance.

Dopo il Brasile, il Messico costituisce il principale partner commerciale della Svizzera in America Latina. Con questo Paese la Svizzera ha concluso il primo accordo di libero scambio sul continente americano nell'ambito dell'AELS (in vigore dal 2001) e ha adottato una strategia di politica economica alla fine del 2007. Al di là del rafforzamento delle relazioni economiche sono stati fatti progressi nella negoziazione, avviata nel 2008, di un accordo di cooperazione nel trasferimento di beni culturali nonché nelle discussioni in vista di una lettera d'intenti per la collaborazione nella tecnologia ambientale. Dal 2007 sono organizzate regolarmente consultazioni politiche al alto livello. Il Messico è un partner importante per la Svizzera in ambito multilaterale, come emerso nella cooperazione per l'istituzione del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU, nell'Environmental Integrity Group (EIG) per i 978

negoziati climatici o in occasione della gestione da parte dell'OMS della pandemia globale d'influenza scoppiata nella primavera del 2009 a Città del Messico.

La Colombia è un altro partner sul continente americano con cui la Svizzera intrattiene relazioni intense e diversificate. Questo Paese, che negli ultimi anni ha fatto progressi sul piano politico e della sicurezza interna, presenta un potenziale economico importante. In alcune regioni del Paese persiste tuttavia il conflitto armato interno, continuando a provocare numerosi profughi all'interno del territorio nazionale e al di fuori delle sue frontiere.

In questo contesto, le relazioni bilaterali tra la Svizzera e la Colombia si sono rafforzate e diversificate innanzitutto con la conclusione di un'intera gamma di accordi economici. Visti il livello di sviluppo economico raggiunto e il miglioramento delle condizioni quadro, la Colombia figura attualmente tra i sette nuovi Paesi prioritari della cooperazione svizzera allo sviluppo economico. Malgrado il proseguimento del conflitto armato interno, la Svizzera continua a considerare rilevante il suo impegno nel campo della promozione della pace, dell'aiuto umanitario e dei diritti dell'uomo.

Attraverso l'aiuto umanitario, la Svizzera contribuisce ad alleviare le sofferenze delle vittime del conflitto interno. Svolge un programma diversificato di promozione della pace e dei diritti dell'uomo, segnatamente nell'ambito dell'elaborazione del passato. Nel quadro dell'impegno per la pace in Colombia, la Svizzera ha tra l'altro assunto, durante il primo semestre 2010, la presidenza del G24 (gruppo tripartito che riunisce i Paesi donatori, il Governo colombiano e la società civile). Questo gruppo accompagna dal 2003 la Colombia nella sua ricerca di una pace duratura.

Oltre ai Paesi con cui negli ultimi anni sono state sviluppate relazioni più intense, la Svizzera ha tutta una serie di scambi con altri partner sul continente americano. Vi sono state consultazioni politiche regolari con l'Argentina, il Venezuela e il Perù.

Con il Venezuela, nel febbraio 2010 in occasione di una tornata di discussioni a Caracas è stato firmato un memorandum d'intesa che istituisce formalmente lo strumento delle consultazioni politiche. Con l'istituzione formale di questo meccanismo, la Svizzera vuole favorire lo scambio
di opinioni e la comprensione reciproca affrontando sia le convergenze che le divergenze di opinioni. Questi incontri permettono inoltre scambi di vedute sul clima d'investimento e sui problemi concreti delle imprese svizzere.

Oltre alle priorità geografiche, la Svizzera si è posta un certo numero di priorità tematiche sul continente americano: s'impegna nell'aiuto allo sviluppo nei Paesi più poveri, segnatamente in Bolivia e in America Centrale, nonché nell'aiuto umanitario nelle regioni in cui i bisogni sono più urgenti. Le sfide in materia di sviluppo sono sempre più globali e richiedono un'azione coordinata. In America Latina, la Svizzera s'impegna così nel campo dei cambiamenti climatici e dell'acqua, adottando un approccio regionale.

La Svizzera s'impegna anche a favore degli Stati fragili. Sul continente americano, sostiene in particolare Haiti, il Paese più povero della regione, mediante vari progetti di sviluppo e aiuto umanitario. Questo impegno ha permesso alla Svizzera di reagire rapidamente ed efficacemente dopo il terremoto che ha gravemente colpito il Paese nel gennaio 2010. La Svizzera si adopera inoltre per garantire la restituzione dei fondi Duvalier attraverso la costituzione di un quadro giuridico adeguato (cfr.

n. 4.1.4.).

979

Con Cuba, la Svizzera ha una solida relazione basata su un programma di cooperazione allo sviluppo di vecchia data. Svolge regolarmente consultazioni politiche ad alto livello, durante le quali affronta numerosi argomenti d'interesse reciproco. La qualità delle relazioni ha permesso di allargare il ventaglio tematico sviluppando un dialogo sui diritti dell'uomo e su questioni legate alle migrazioni e ai visti, portato avanti con interesse dalle due parti.

Sfide e prospettive La Svizzera deve mantenere buone relazioni e rafforzarle mediante cooperazioni nei settori d'interesse comune, in particolare con gli Stati Uniti e il Brasile, Paesi prioritari. Per raggiungere questi obiettivi è necessaria una forte presenza sul posto e di conseguenza una rete adeguata di rappresentanze.

Su questo sfondo e nel contesto degli Stati Uniti, si tratta di risolvere nell'interesse reciproco le attuali vertenze in materia fiscale e di porre in vigore l'accordo di assistenza amministrativa negoziato nella causa UBS. Si tratta inoltre i coltivare ulteriormente la buona rete di contatti con l'amministrazione americana e l'accesso privilegiato a importanti decisori. È importante identificare settori di collaborazione che suscitino l'interesse della controparte americana e in cui la Svizzera possa impegnarsi. A più lungo termine, la Svizzera deve sforzarsi di ottimizzare le condizioni quadro per lo scambio e la collaborazione con gli Stati Uniti, in tutti i settori pertinenti: economia, scienze, trasporto di viaggiatori o altri settori d'interesse reciproco. Da notare in questo contesto che i mandati di tutela degli interessi americani assunti dalla Svizzera in Iran e a Cuba esercitano un'influenza favorevole sulle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti. In ogni caso, la disponibilità del governo del Presidente Obama a una cooperazione internazionale intensificata apre alla Svizzera l'accesso a nuovi settori di attività comune. La Svizzera è così in grado di migliorare la sua posizione e d'intensificare maggiormente le sue relazioni con il governo e l'amministrazione americani.

Per quanto riguarda l'America Latina, per la Svizzera è fondamentale mantenere gli stretti legami esistenti e svilupparli ulteriormente. A tal fine, è opportuno tener conto della crescente prosperità dei Paesi della regione e del ruolo sempre
più importante che svolgono a livello internazionale. Occorre cercare cooperazioni e alleanze nei settori d'interesse comune, in particolare con i Paesi che condividono le sue posizioni.

Nell'ambito di questi partenariati politici ed economici, la Svizzera deve inoltre coltivare un dialogo franco, aperto e costruttivo sulle condizioni quadro come lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti dell'uomo, delle libertà fondamentali e delle minoranze, la partecipazione democratica e l'indipendenza della giustizia. Questo dialogo è indispensabile allo sviluppo delle relazioni bilaterali. In proposito, i rischi con cui sono confrontate le imprese svizzere, in particolare in materia di investimenti, rappresentano sicuramente una sfida. Il dialogo con i governi interessati deve essere mantenuto per trovare delle soluzioni congiuntamente. In questo contesto, la Svizzera sostiene il rafforzamento della governance e dovrà continuare ad avvalersi dei vari strumenti di cui dispone per contribuire a una risoluzione pacifica delle controversie.

980

2.4

Politica nei confronti dell'Asia e dell'Oceania

Tendenze in atto nella regione L'incessante crescita economica e sociale vissuta dall'Asia negli ultimi vent'anni ha superato brillantemente anche lo scoglio rappresentato dal 2009. In effetti, con la sola eccezione del Giappone, che a fine 2010 sarà probabilmente scalzato dalla Cina quale seconda economia mondiale, le potenze del continente hanno dimostrato un'eccellente tenuta durante la crisi e continuano a crescere. La globalizzazione offre opportunità, ma comporta anche dei rischi: con un'economia orientata verso l'esportazione e quindi strettamente connessa all'economia mondiale, l'Asia orientale è chiamata a concentrarsi maggiormente sul proprio mercato interno. La ridotta integrazione nel commercio mondiale e il grande serbatoio di consumatori hanno invece preservato da duri colpi Paesi quali l'India e l'Indonesia. In tale contesto, il rafforzamento in atto delle relazioni economiche, ad esempio attraverso la firma dell'accordo di libero scambio e di partenariato economico con il Giappone entrato in vigore nel 2009, resta un pilastro fondamentale dell'approccio regionale della Svizzera. Ciò vale anche per settori analogamente in espansione quali la scienza e la ricerca.

Per quanto riguarda la riduzione della povertà, la crescita del ceto medio, la quota degli scambi mondiali e gli investimenti effettuati, in Asia il bilancio del 2009 è nettamente più positivo che nel resto del mondo. Ciò non impedisce che la geometria politica, sociale ed economica dell'Asia rimanga piuttosto eterogenea. Vi si trovano Paesi perfettamente integrati nel sistema mondiale che beneficiano delle conquiste della democrazia e altri che aprono il loro mercato negando però la libera espressione dell'opinione pubblica interna. Nuove democrazie si affiancano a quelle già consolidate o a dittature che sembrano uscire da un'altra epoca; in uno stesso Paese istituzioni politiche o finanziarie solide e moderne possono convivere con strutture tribali o di casta. Nonostante questi contrasti è però evidente che il grande spazio asiatico, dai contrafforti dell'Hindu Kush all'arcipelago giapponese, dalle steppe mongole all'arco insulare indonesiano, per finire nella sua vasta appendice oceanica, contiene i fermenti e le dinamiche essenziali del XXI secolo.

Le problematiche legate all'ambiente, alla demografia e alla sicurezza,
così come il crescente divario sociale portano tuttavia a relativizzare fortemente i progressi fatti grazie alla crescita e l'influsso positivo che sarebbe lecito attendersi dal continente. I blocchi messi in atto in occasione del Vertice ambientale di Copenaghen hanno, del resto, fatto emergere chiaramente il dilemma delle potenze emergenti, che esitano ad accettare meccanismi e strumenti giuridici internazionali vincolanti e a raccogliere fino in fondo la sfida della sostenibilità, nonostante i pericoli crescenti cui è esposto l'ambiente. In un contesto di tensioni palesi o latenti, gli arsenali militari accumulati dai principali attori asiatici, per lo più avulsi da qualsiasi sistema di sicurezza, minacciano la stabilità delle due principali regioni del continente. Infine, in molti Paesi l'intolleranza religiosa (islamista, buddista o induista) di gruppi armati o di regimi autoritari è fonte di tensioni crescenti. Anche le differenze sociali, esacerbate dalle riforme economiche, sono terreno fertile per atteggiamenti estremistici dagli effetti destabilizzanti.

L'interesse della Svizzera per l'Asia riguarda essenzialmente tre grandi potenze, in ragione della portata, della complessità e della dinamica delle relazioni bilaterali. I tre giganti dell'Asia, vale a dire Cina, India e Giappone, attori globali che si disputano l'influenza sullo spazio asiatico, sono partner importanti per la Svizzera, come 981

traspare dalle intense relazioni economiche e governative. Nel 2005 il Consiglio federale li ha infatti inclusi fra i Paesi prioritari della sua politica. Numerosi altri Paesi fanno però sentire il loro peso negli equilibri regionali; meno onnipresenti nell'insieme delle relazioni bilaterali, si tratta comunque di partner preziosi in vari campi quali il commercio, gli investimenti, la scienza, il turismo, lo sviluppo, la sicurezza umana, l'ambiente o le questioni multilaterali.

Paesi prioritari della regione Cina: la strategia adottata dal Consiglio federale nel giugno del 2007 nei confronti della Cina si concentra su quattro ambiti di cooperazione: politica e diritti umani, economia, scienza/tecnologia/formazione, ambiente e energia. Attualmente, le relazioni bilaterali abbracciano numerosi altri campi quali la salute, la migrazione, la cultura e la sicurezza.

Il principale strumento politico tra la Cina e la Svizzera è il dialogo sancito nel memorandum d'intesa del settembre 2007. Esso si fonda sulla cosiddetta politica di «una sola Cina», seguita anche dalla Svizzera fin dal riconoscimento, avvenuto nel 1950, della Repubblica Popolare Cinese. La visita del vice primo ministro cinese nel gennaio 2010, che ha aperto le celebrazioni per il sessantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi, e quella del presidente del Congresso nazionale popolare, la seconda carica dell'apparato gerarchico cinese, nel luglio 2010, sono da interpretare come ulteriori segni di fiducia di Pechino nei confronti della Svizzera. Nell'agosto 2010 la presidente della Confederazione Leuthard a Pechino è stata ricevuta anche dal presidente cinese. Insieme hanno valutato lo studio comune di fattibilità relativo a un accordo bilaterale di libero scambio e dato avvio ai negoziati. Nel quadro del dialogo in materia di diritti dell'uomo, avviato nel 1991 su iniziativa della Cina, sono affrontati anche temi delicati come le riforme giuridiche, il diritto penale, l'esecuzione delle pene, la libertà religiosa e i diritti delle minoranze (fra cui quelle delle regioni dello Xinjiang e del Tibet). L'undicesimo ciclo di incontri è previsto per la seconda metà del 2010 e potrebbe toccare, fra gli altri, il tema della migrazione.

Dal punto di vista economico, la Cina (con la regione amministrativa speciale di Hong
Kong) è dal 2002 il partner economico più importante della Svizzera in Asia, seguita dal Giappone. La Svizzera è fra i pochi Paesi occidentali a vantare un'eccedenza commerciale con la Cina (dal 2003). Nel 2009 il volume bilaterale degli scambi commerciali ammontava a circa 10,7 miliardi di franchi, mentre, a fine 2008, gli investimenti diretti svizzeri in Cina sommavano a 6,8 miliardi di franchi. In considerazione della crisi finanziaria globale, è necessario intensificare e ampliare il dialogo con Pechino, in quanto la Cina è un importante attore in seno al G20 oltre che nel sistema finanziario internazionale.

Le questioni economiche continuano a essere discusse soprattutto in seno alla Commissione economica mista. Per alcune di esse sono stati fatti passi avanti, mentre per altre resta ancora del lavoro da fare. È il caso, ad esempio, della protezione della proprietà intellettuale in senso ampio.

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Per quanto riguarda i settori della scienza, della tecnologia e della formazione la Cina è, per la Svizzera, un Paese prioritario. L'evento più importante in questo campo è stata l'apertura, nell'agosto del 2008, dello Swissnex di Shanghai.14 Anche la cooperazione scientifica e tecnologica fra le università e gli istituti di ricerca è operativa dal 2008 e lo scorso anno è stata estesa a nuovi settori grazie a un maggiore coinvolgimento dell'industria.

Un programma della DSC in Cina sostiene la formazione dei quadri superiori amministrativi; l'aiuto umanitario, dal canto suo, collabora alla formazione dei corpi di aiuto in caso di catastrofe («Urban Search and Rescue Team»); questi ultimi si sono già distinti in occasione del terremoto che ha colpito il Sichuan nel 2008.

Sul piano ambientale ed energetico, infine, i Giochi olimpici hanno evidenziato problemi latenti che le autorità hanno incluso fra le priorità da risolvere. Le iniziative svizzere per una produzione industriale e una gestione dei rifiuti «pulite», così come i progetti di sviluppo sostenibile (gestione delle acque e selvicoltura) meritano di essere portati avanti. Nel febbraio 2009 è stato firmato un primo memorandum d'intesa sulla cooperazione economica nell'ambito della tecnologia ambientale; nell'aprile del 2009 ne è seguito un secondo sulla gestione delle acque e la prevenzione dei pericoli. Nel corso del 2010, la cooperazione in materia di clima è stata ulteriormente intensificata.

Tutti gli ambiti di cooperazione saranno anche in futuro al centro della collaborazione bilaterale fra la Svizzera e la Cina. L'immagine del nostro Paese resta molto positiva e l'interesse cinese per le competenze tecniche svizzere e lo scambio in quasi tutti gli ambiti politici non cessa di crescere. Per contro, le nostre istituzioni politiche e sociali come anche le imprese, ovvero la piazza economica svizzera e la società civile nel suo insieme, sono chiamate a interessarsi maggiormente all'ambizioso partner asiatico. Dopo il successo della popolare House of Switzerland e dello stadio «Nido d'uccello» in occasione dei Giochi olimpici di Pechino del 2008, il padiglione svizzero all'Esposizione universale di Shangai ha contribuito a dare ulteriore lustro all'immagine elvetica, attirando folle di visitatori. Negli anni a venire, per quanto riguarda
le nostre relazioni con la Cina, si tratterà di approfondire i contatti esistenti, di sviluppare le reti, di presentarsi in modo coordinato e di sfruttare fino in fondo le sinergie. A fronte del crescente influsso del gigante asiatico sul palcoscenico mondiale, dovrebbe essere rafforzata anche la collaborazione con gli Stati che condividono le sue posizioni, al fine di coinvolgere la Cina in qualità di partner responsabile nella soluzione dei problemi e delle sfide del nostro tempo.

India: la politica della Svizzera nei confronti dell'India presenta analogie crescenti con quella condotta nei confronti della Cina. Gli ambiti di cooperazione sono simili (politica, economia, scienza/tecnologia/formazione e ambiente/energia). Dopo essere stata per quasi cinque decenni uno dei Paesi prioritari della cooperazione allo sviluppo, l'India perde tale statuto a vantaggio di programmi più ridotti ma mirati. La Svizzera cerca, non senza difficoltà, di rafforzare la sua rete di rappresentanze in India oltre che il quadro istituzionale di consultazioni bilaterali.

A livello politico, fra ministeri degli affari esteri, sono condotte consultazioni annuali sull'insieme delle questioni bilaterali e sono trattati importanti dossier regionali o multilaterali. Tali incontri mirano a garantire un approccio coerente e coordi14

Cfr. messaggio del 24 gen. 2007 concernente il promovimento dell'educazione, della ricerca e dell'innovazione negli anni 2008­2011, FF 2007 1131.

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nato alle molteplici questioni bilaterali (trattati compresi), la cui portata e complessità crescono di pari passo con la circolazione delle persone, dei beni e delle idee.

L'importanza del ruolo svolto dall'India sul piano multilaterale (commercio, ambiente, nucleare ecc.) rafforza ulteriormente l'interesse per tali consultazioni così come per le visite e gli incontri bilaterali a livello ministeriale.

L'economia indiana ha complessivamente tenuto di fronte alla crisi finanziaria ed economica e il livello degli scambi e degli investimenti è cresciuto ulteriormente. Il volume del commercio bilaterale, fortemente aumentato negli anni 2000 fino a raggiungere i 3,5 miliardi di franchi nel 2008, si è ridotto nel 2009 (2,97 miliardi), ma ha ripreso slancio nel 2010; la bilancia commerciale è positiva per la Svizzera. A fine 2008, gli investimenti diretti svizzeri in India ammontavano a 2,38 miliardi di franchi. Il potenziale latente resta considerevole ed è necessario un rafforzamento delle condizioni quadro. Non a caso, a livello di AELS, sono in corso i negoziati per un accordo di larga portata sul commercio e gli investimenti. Nel 2007 è stato costituito un gruppo di lavoro sulla proprietà intellettuale. La Commissione economica mista resta il principale forum di discussione per le questioni in sospeso.

Nel settore della scienza e della tecnologia, l'India è uno degli otto Paesi prioritari della Svizzera15. I programmi bilaterali realizzati sono ambiziosi ed è prevista l'apertura di uno Swissnex a Bangalore (il quinto di questo tipo e il terzo in Asia) contestualmente a un consolato generale; la Svizzera si è fortemente impegnata per accelerare il rilascio delle necessarie autorizzazioni necessarie. Inoltre, le scuole universitarie svizzere e gli istituti indiani collaborano nel quadro della cooperazione scientifica bilaterale della Segreteria di Stato per la formazione e la ricerca.

La cooperazione nel settore ambientale e dell'energia deve invece essere approfondita. In quanto terzo principale emettitore di gas a effetto serra al mondo, l'India deve gestire meglio i propri consumi e le proprie risorse. L'elaborazione di un programma nucleare civile, problematico alla luce dei criteri per la non proliferazione di armi nucleari, è in un certo senso una conseguenza di questo stato di cose.
Una delle priorità della Svizzera era e continua a essere quella di manifestare le sue esigenze in seno al forum dei Paesi appartenenti al «Gruppo dei fornitori nucleari» (NSG). Sull'agenda della futura collaborazione con l'India figura però anche la promozione di energia pulita e di nuove tecnologie. In ambito di cooperazione allo sviluppo, le questioni climatiche (mitigazione e adattamento) e il federalismo rappresenteranno quindi campi d'azione prioritari. La DSC cerca di mettere a frutto e al tempo stesso di ampliare l'esperienza della Svizzera in questi settori, orientandosi verso collaborazioni regionali e trilaterali nell'Asia meridionale. In questo modo è possibile ottimizzare l'aiuto pubblico allo sviluppo della Svizzera e ancorare saldamente i progressi raggiunti nel contesto indiano, dove resta fondamentale ridurre la povertà, anche e soprattutto per eliminare le cause di violenza e discriminazione.

Giappone: le relazioni bilaterali con il Giappone sono di grande importanza per la Svizzera, soprattutto perché si riallacciano a profonde affinità sistemiche. Nel commercio estero il Giappone è stato superato alcuni anni fa dalla Cina e da Hong Kong, ma rimane il principale destinatario degli investimenti svizzeri in Asia. A fine 2008 gli investimenti diretti in Giappone ammontavano a circa 15 miliardi di franchi, vale a dire all'1,8 per cento di tutti gli investimenti diretti svizzeri all'estero. Secondo i dati nipponici, nel 2009 il 2,5 per cento della totalità degli investimenti diretti esteri 15

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Cfr. messaggio del 24 gen. 2007 concernente il promovimento dell'educazione, della ricerca e dell'innovazione negli anni 2008­2011, FF 2007 1131.

in Giappone proveniva appunto dalla Svizzera, che occupa così l'ottavo posto fra gli investitori stranieri. Le imprese svizzere in Giappone occupano circa 64 000 persone. Il volume degli scambi commerciali ha superato nel 2009 i 10,7 miliardi di franchi, con un calo ­ dovuto senza dubbio alla crisi ­ di circa il 4,3 per cento rispetto al 2008.

Pur essendo stato superato dalla Cina in termini di potenza economica, il Giappone resta uno dei Paesi di punta in materia di innovazione e un partner importante nel settore scientifico e tecnologico. L'accordo bilaterale del 10 luglio 200716 sulla cooperazione scientifica e tecnologica ne è una prova tangibile.

L'apice delle relazioni bilaterali degli ultimi anni è stato raggiunto con l'entrata in vigore, il 1° settembre 2009, dell'accordo del 19 febbraio 200917 di libero scambio e di partenariato economico, che per la Svizzera può essere considerato il più importante accordo di libero scambio bilaterale dopo quello siglato con la Comunità europea. Si tratta inoltre del primo trattato di questo genere che il Giappone abbia stipulato con un Paese industrializzato dell'Occidente. Tale accordo, che indica la strada da seguire anche per altri Paesi industrializzati, è l'espressione dei tanti interessi economici comuni e di relazioni bilaterali strette e strutturate.

Questi interessi comuni hanno permesso di sviluppare sinergie anche in consessi multilaterali come l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), nell'ambito dei quali le priorità future riguarderanno le questioni ambientali (conformemente al Protocollo di Kyoto e alla Conferenza di Copenaghen), la continuazione e l'intensificazione della nostra cooperazione scientifica e tecnologica, la riforma del sistema dell'ONU, le convergenze in materia di cooperazione allo sviluppo (ad es.

Banca asiatica di sviluppo) e la non proliferazione delle armi nucleari. A trarre beneficio dal rafforzamento della cooperazione bilaterale saranno anche il dialogo sulle questioni regionali, come ad esempio i problemi della penisola coreana e la situazione afghano-pakistana, le riflessioni comuni su democrazia, istituzioni e gestione governativa in Stati terzi, nonché gli scambi culturali.

Per quanto riguarda il turismo, la Svizzera continua a essere il Paese europeo più amato dai Giapponesi, mentre il Giappone è,
dopo la Thailandia, il Paese asiatico preferito dagli Svizzeri. Questa simpatia reciproca si ripercuote positivamente sull'economia e sulla circolazione delle persone (turismo, ricerca e praticantati) e, indirettamente, ha contribuito alla stipulazione dell'importante accordo citato in precedenza.

Proprio in base alla convergenza di interessi e al memorandum del 5 luglio 2010 per l'istituzione di un quadro comune volto a intensificare la cooperazione fra i ministeri degli affari esteri dei due Paesi, si è deciso di instaurare un dialogo politico equilibrato e differenziato che tenga conto della prudenza giapponese in questo campo. A suggello di tale traguardo è prevista una dichiarazione politica comune dei due ministeri che consentirà di sistematizzare e istituzionalizzare i contatti bilaterali ai più alti livelli.

Nel 2014 ricorrerà il 150° anniversario del primo accordo bilaterale fra la Svizzera e il Giappone, ossia il Trattato di amicizia e di commercio del 1864. I prossimi anni e in particolare l'anno della ricorrenza offriranno l'opportunità di sviluppare ulterior-

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RS 0.420.463.1 RS 0.946.294.632

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mente la cooperazione a partire dai numerosi punti condivisi dai due Paesi in un contesto asiatico in rapida evoluzione.

Cooperazione con altri partner regionali La presenza e gli interessi svizzeri in Asia non si limitano ai tre grandi partner Cina, India e Giappone. L'attenzione che la Svizzera porta ai Paesi musulmani nel quadro della sua politica estera (dialogo e sicurezza) va oltre il Medio Oriente in quanto è nel Sud-Est asiatico e nell'Asia meridionale che vivono le più grandi comunità islamiche del mondo, segnatamente quelle di Indonesia, Pakistan e Malaysia.

In diversi Paesi asiatici, oltre al permanere di sistemi arcaici (caste e tribù) fonte di diversi problemi, è stato constatato negli ultimi tempi un aggravamento della violenza e delle disparità sociali. Al tempo stesso, sono stati realizzati o sono attualmente in corso progressi notevoli in materia di democrazia e ciò in particolare in Bhutan, alle Maldive e in Bangladesh. Nello Sri Lanka si è concluso un sanguinoso conflitto interno, mentre in Nepal procede il processo di riconciliazione e di pace. Sul piano economico, anche altri membri del G20, quali la Corea del Sud e l'Australia, generano dinamiche forti che possono risultare utili alla Svizzera. I diversi sviluppi spingono la Confederazione a proporre e a mettere in atto gli strumenti della sua politica estera per rispondere a necessità e a opportunità del tutto nuove.

I Paesi dell'area Asia-Pacifico possono essere suddivisi in quattro categorie non assolute, che lasciano spazio alla naturale evoluzione dei nostri partner: ­

Paesi paragonabili alla Svizzera per ragioni sistemiche (democrazie consolidate, simile grado di sviluppo, Paesi donatori che condividono gli stessi principi negli organismi bilaterali e multilaterali, membri dell'OCSE, Paesi confrontati alle stesse problematiche sociali);

­

partner soprattutto economici (consistenti scambi economici e investimenti, sistemi politici a tendenza democratica, mete turistiche);

­

partner in materia di sviluppo (intenso impegno bilaterale, assistenza ai Paesi in transizione o a quelli esposti alla globalizzazione, scambi economici più modesti);

­

Paesi beneficiari dell'aiuto umanitario e piccoli Stati del Pacifico (marginalizzazione generale, vulnerabilità sistemica o minaccia alla loro esistenza a causa dei cambiamenti climatici).

Paesi paragonabili alla Svizzera per ragioni sistemiche: tra questi figurano Stati, come la Repubblica di Corea (Corea del Sud) o l'Australia, appartenenti alle quindici principali potenze economiche mondiali e con i quali la Svizzera effettua scambi nel quadro di consessi multilaterali; i rari problemi bilaterali sono risolti nell'ambito del cosiddetto courant normal. In seno al G20, i Paesi appartenenti a questa categoria rappresentano potenziali punti di appoggio. Per questa ragione la Svizzera sta cercando di intensificare i contatti bilaterali e di valorizzare la sua immagine. Le relazioni intrattenute sono paragonabili a quelle fra la Svizzera e il Giappone, seppure meno intense. La quota di scambi economici e di investimenti è solida e in crescita; i progressi di questi Paesi nei campi della ricerca scientifica, dell'ambiente e della non proliferazione aprono la via a significative convergenze, come è ad esempio il caso della Nuova Zelanda. La decisione del Consiglio federale di far partecipare il nostro Paese all'Expo 2012 di Yeosu (Corea del Sud) va inscritta in tale contesto.

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Partner soprattutto economici: a questo gruppo appartiene la maggior parte dei Paesi dell'ASEAN, in particolare i membri fondatori Thailandia, Indonesia, Filippine, Malaysia e Singapore. Le relazioni economiche con tali Paesi sono stabili o in crescita e gli investimenti poggiano su basi solide. Il rafforzamento del quadro istituzionale, segnatamente per mezzo della conclusione di accordi di libero scambio, è una delle priorità elvetiche. La maggior parte di questi Stati sono inoltre destinazioni turistiche molto frequentate dagli Svizzeri. Dopo l'accettazione dell'iniziativa sui minareti, votata dal popolo il 29 novembre 2009, la Svizzera si è impegnata particolarmente nella cura della propria immagine, soprattutto nei Paesi a maggioranza musulmana del Sud-Est asiatico. Con la Thailandia, il secondo partner commerciale in ordine d'importanza della regione, la Svizzera continua a condividere importanti interessi economici suscettibili di essere ulteriormente sviluppati; nel Paese risiede inoltre la più grande comunità svizzera del continente asiatico. Singapore, il principale partner commerciale nel Sud-Est asiatico, resta di centrale importanza per la Svizzera in virtù del suo mercato finanziario considerato di rilevanza strategica. Nel caso dell'Indonesia, l'appartenenza del Paese al G20 e la presenza del segretariato dell'ASEAN a Giacarta hanno permesso di valorizzare la rappresentanza svizzera tramite l'accreditamento di un ambasciatore residente nel Paese. In occasione della visita di Stato della presidente della Confederazione nel luglio 2010 è stato deciso di avviare negoziati su un accordo di libero scambio. Fra i Paesi non appartenenti all'ASEAN, anche il Pakistan e il Vietnam sono interlocutori importanti dal punto di vista economico (commercio e investimenti), pur appartenendo ancora alla categoria dei partner in materia di sviluppo. Se finora le relazioni con il Vietnam sono state improntate soprattutto alla politica di sviluppo, la crescita economica progressiva e i successi notevoli nella lotta alla povertà stanno trasformando il Vietnam in un Paese a reddito medio. Il nuovo statuto di Paese prioritario per la cooperazione economica allo sviluppo della SECO assegnato al Vietnam tiene conto di tale evidenza e va a integrare la cooperazione bilaterale allo sviluppo della DSC e il dialogo
istituzionalizzato in materia di diritti dell'uomo. Questo è stato confermato dalla visita del presidente vietnamita in Svizzera nel maggio 2010.

Partner in materia di sviluppo: in questi Paesi gli strumenti in ambito di sviluppo della DSC e della SECO sono all'opera soprattutto per lottare contro la povertà e consolidare il buon governo (ad es. lotta contro la corruzione). Sebbene le prestazioni economiche di questi Paesi varino in modo significativo, essi presentano prospettive interessanti. Il bilancio socioeconomico di partner quali il Vietnam, il Bangladesh o il Pakistan si ripercuote in modo molto forte sulle subregioni a causa della densità demografica e dei difficili rapporti fra Paesi limitrofi. In ragione dell'indubbio potenziale economico, la presenza della Svizzera in loco è importante, nonostante non manchino gli ostacoli sul fronte della sicurezza (Pakistan), delle questioni istituzionali (Pakistan, Bangladesh) o dei cambiamenti climatici (Bangladesh, Vietnam). Come nel caso dell'India, anche in Pakistan la DSC sta adeguando i suoi programmi, nell'ambito di una riorganizzazione globale, per sfruttare al meglio le esperienze acquisite nel corso di oltre 40 anni di attività nella cooperazione allo sviluppo del Paese. Gli effetti delle inondazioni verificatesi nell'agosto 2010 spingono tuttavia la Svizzera a riconsiderare i propri interventi alla luce del fatto che il verificarsi di determinate circostanze rischia di impedire il consolidarsi a lungo termine degli investimenti effettuati. Nel quadro del programma Mekong della DSC si sta invece cercando di mettere a frutto anche nel limitrofo Laos le esperienze positive di cooperazione allo sviluppo effettuate in Vietnam. Per quanto riguarda infine gli strumenti di dialogo politico (in favore della pace e dei diritti umani) va 987

precisato che sono spesso impiegati in congiunzione a misure di sviluppo, come ad esempio in Nepal o nello Sri Lanka.

Paesi beneficiari dell'aiuto umanitario: la problematica menzionata all'inizio e correlata al diverso grado di sviluppo dei Paesi asiatici si esplicita in tre Paesi chiave, cioè l'Afghanistan, il Myanmar e la Repubblica popolare democratica di Corea (Corea del Nord). La grande influenza esercitata da questi Paesi sulle relative subregioni incide direttamente o indirettamente sulla sicurezza e la Svizzera segue con attenzione le ripercussioni in materia di terrorismo, proliferazione delle armi nucleari, sicurezza delle persone e traffico di stupefacenti. Il nostro Paese prosegue tuttavia il suo impegno umanitario, in particolare in Afghanistan, a conferma della sua solidarietà con la comunità internazionale. L'impegno umanitario della Svizzera nel Myanmar risale al 1998 e proseguirà anche nei prossimi anni con il sostegno alle vittime del ciclone «Nargis». In caso di sviluppi positivi a seguito delle elezioni annunciate per il 2010, sarà valutata la possibilità di estendere gli interventi umanitari nel Paese.

Infine, la Svizzera tiene adeguatamente conto delle istanze dei piccoli Stati del Pacifico facilitandone la presenza sulla piazza di Ginevra e soprattutto in seno ai consessi multilaterali e regionali che si occupano di politica climatica, dove può nel contempo avvalersi del loro appoggio per sostenere gli interessi elvetici.

Sfide e prospettive Su un continente multiforme qual è l'area Asia-Pacifico, anche le grandi tendenze devono essere stemperate e sfumate. Certamente, i fattori di dinamismo rappresentati dalla Cina e, in misura minore, dall'India e dalla Corea del Sud, continueranno a generare opportunità di cooperazione importanti per la Svizzera. Non vanno tuttavia sottovalutati il Giappone, uno dei partner più solidi non fosse altro per la ricchezza delle cooperazioni e degli accordi che lo legano alla Svizzera, o l'Australia, dove la presenza elvetica è in costante espansione. Il potenziale dell'Indonesia e, mutatis mutandis, quello del Vietnam e della Thailandia (a condizione che risolva le sue controversie interne) continueranno ad attrarre le imprese e, a termine, non mancheranno di suscitare l'interesse degli ambienti scientifici svizzeri. In effetti, a prescindere
dalle eccedenze commerciali ricorrenti, le prospettive migliori per la Svizzera potrebbero essere legate proprio a tali Paesi: il plus valore delle sue conoscenze nei campi della tecnologia, dell'ambiente e dell'energia (si pensi ad esempio alla forza di attrazione di un progetto quale Solar Impulse) assicurano alla Svizzera vantaggi comparati oltre che chiavi di accesso privilegiate a tutta la regione. L'addensamento e il rafforzamento della rete diplomatica e consolare costituiscono priorità essenziali per garantire una migliore visibilità al nostro Paese. A trarne beneficio sarebbero anche i collegamenti fra le comunità di professionisti svizzeri attivi all'estero nonché l'estensione e la diversificazione dell'insieme degli accordi in ambito economico, finanziario, scientifico e tecnologico.

Al tempo stesso, i rischi principali derivanti dalle fragilità ecologiche, demografiche, di sicurezza e di proliferazione delle armi in quest'area ricordano quanto sia importante continuare a impegnarsi nel sostegno alla transizione democratica, nella lotta contro i cambiamenti climatici oltre che nell'appoggio ai progetti in materia di cooperazione e sicurezza. Culla di speranze e di crescita, l'area Asia-Pacifico è anche la terra degli estremi e dei pericoli. Da qui l'importanza dei partenariati con le istituzioni specializzate (istituti di ricerca, think tank, banche di sviluppo ecc.) e delle collaborazioni bilaterali o multilaterali, in particolare nel campo dei cambia988

menti climatici. Quanto alle mediazioni della Svizzera in materia di sicurezza umana, sulla falsariga di quanto avvenuto in Nepal, devono restare più che mai attive facendo leva sul plusvalore garantito dalla neutralità del Paese.

2.5

Politica nei confronti del Vicino Oriente, del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale

Tendenze in atto nella regione La grande regione che va dal Marocco al Golfo arabico-persico è una zona nevralgica di passaggio, comunicazione e scambio nella quale si intrecciano tradizionalmente la cultura orientale e quella occidentale. Si tratta di un'area nella quale si trovano riserve importanti di petrolio e di gas, vettori energetici preziosi per lo sviluppo economico. Numerosi conflitti armati affliggono questa parte del mondo. Alla grave contrapposizione fra Israeliani e Arabi, che dura da oltre sessant'anni ed è attualmente teatro di una nuova intensificazione della violenza, si sovrappongono la situazione irachena e la questione del programma nucleare iraniano: tutti fattori suscettibili di influire sui futuri equilibri regionali. Il perdurare di una forte insicurezza costituisce una minaccia non solo per i poteri locali, ma anche per l'intera comunità internazionale. Si va dal rischio di decomposizione di Stati, le cui frontiere sono spesso artificiali e contestate, al progredire di un islamismo politico che mira a rimettere in questione l'ordine internazionale costituito, alla perdita di autorità degli Stati a vantaggio di gruppi violenti, bene organizzati e armati o ancora alla proliferazione di armi di distruzione di massa. Gli equilibri esistenti sono fragili e potrebbero essere messi in discussione da sviluppi del tutto inattesi. Si mescolano volontà di cambiamento o addirittura di rottura e tendenze al mantenimento dello status quo. In tale contesto, le élite politiche locali faticano a svolgere il proprio ruolo e ad assumere le proprie responsabilità sia verso l'interno dei rispettivi Paesi, sia nei confronti di quelli vicini.

Gli interessi della Svizzera in questa regione, geograficamente prossima, sono molteplici. Sul piano strategico, sia per la Svizzera che per la comunità internazionale, è necessario innanzitutto assicurare la pace e la stabilità dell'area. Trattandosi di elementi importanti per la propria sicurezza, la Svizzera contribuisce a migliorare le condizioni economiche e il rispetto dei diritti umani, a promuovere la democrazia e a instaurare un clima di pace e dialogo. La regione rappresenta d'altra parte uno dei principali bacini di produzione di energia a livello mondiale dal quale la Svizzera non può prescindere per alimentare la propria espansione economica. Si
tratta a anche di un luogo di origine o di transito di numerosi richiedenti l'asilo diretti verso il continente europeo. Non va infine sottovalutata l'importanza dei mercati in sviluppo di questa parte del mondo per l'economia d'esportazione e la piazza finanziaria elvetica.

Vicino Oriente e Medio Oriente Le priorità della Svizzera nel Vicino Oriente e nel Medio Oriente sono la promozione della pace e quella del rispetto del diritto internazionale pubblico e umanitario.

Esse vanno inscritte nel quadro delle azioni che mirano in particolare a sostenere gli sforzi condotti nella regione dagli Stati Uniti e dall'Unione europea. Il governo Obama propende in effetti per la soluzione a due Stati nel conflitto israelopalestinese e cerca di portare avanti una politica di dialogo con l'Iran e la Siria, un 989

approccio condiviso dall'Unione europea. In tale contesto, le iniziative svizzere privilegiano i canali diplomatici per ridurre le tensioni prevalenti nella regione. In questo modo, la Svizzera mette in atto una strategia di dialogo con l'insieme degli attori, sforzandosi di promuovere i negoziati e la ricerca di soluzioni. Per attuare questa politica, la Svizzera collabora intensamente con l'ONU e il CICR, con ONG nazionali e internazionali ma anche con tutti gli attori coinvolti. L'azione della Svizzera è adeguata alle condizioni locali e nazionali pur senza perdere di vista il quadro regionale.

Nei settori dell'aiuto umanitario e della cooperazione allo sviluppo, la Svizzera si impegna in modo prioritario per la tutela dei diritti della popolazione civile e dei gruppi maggiormente vulnerabili. Un'attenzione particolare è dedicata all'infrastruttura di base con reti sociali funzionanti e allo sviluppo socioeconomico sostenibile. I principali destinatari di tali interventi sono i profughi palestinesi, iracheni e dei Paesi limitrofi, nonché altri gruppi socialmente ed economicamente vulnerabili.

Per ridurre i pericoli legati ai pericoli naturali in tutta la regione, l'aiuto umanitario della Confederazione fornisce ai governi dei Paesi interessati un'assistenza all'attuazione del «Quadro d'azione» stabilito dalla Conferenza internazionale di Hyogo del 2005 sulla riduzione dei rischi naturali. Sono, ad esempio, lanciate campagne di sensibilizzazione sul tema dei sismi, rafforzate le capacità tecniche delle organizzazioni partner o costituiti meccanismi di coordinamento nazionale. Nel corso dei prossimi anni, la Svizzera si occuperà prioritariamente della questione dell'acqua nella regione. L'accesso all'acqua ha risvolti sanitari (soddisfazione di bisogni elementari), tecnici (agricoltura) e securitari.

Relazioni bilaterali: la Svizzera e Israele conducono un dialogo politico ampio e regolare; il prossimo incontro si terrà nella seconda metà del 2010. Le relazioni politiche sono quindi attive e ben sviluppate. Ciò vale in particolare per i rapporti economici, come attestano le esportazioni svizzere verso Israele, che nel 2009 hanno raggiunto i 927,4 milioni di franchi (Israele è il terzo partner commerciale della Svizzera in Medio Oriente), nonché il volume degli investimenti diretti israeliani
in Svizzera e quello degli investimenti diretti svizzeri in Israele che ammontano rispettivamente a 1 e 1,1 miliardi di franchi a fine 2008. I cittadini svizzeri residenti in Israele sono quasi 15 000 e nella maggior parte dei casi possiedono la doppia nazionalità. Si tratta della più grande comunità svizzera della regione.

Fra i due Paesi sussistono alcune divergenze sul regolamento del conflitto araboisraeliano e sui mezzi per promuovere la soluzione dei conflitti che affliggono il Medio Oriente. Come il resto della comunità internazionale, la Svizzera non riconosce l'annessione di territori (Gerusalemme Est e Golan) da parte di Israele e considera illegali gli insediamenti israeliani che vi si trovano come anche quelli fondati in Cisgiordania.

La Svizzera ritiene che, in particolare nella Striscia di Gaza, la situazione umanitaria e i bisogni della popolazione per la ricostruzione e lo sviluppo economico rimangano senza risposte concrete. La situazione è ulteriormente peggiorata dopo il recente conflitto armato (da dicembre 2008 a gennaio 2009). La Svizzera richiama regolarmente tutte le parti in causa, fra cui Israele in quanto potenza occupante, al rispetto degli impegni presi. La sicurezza di Israele è un aspetto di grande importanza e per garantirla è indispensabile pervenire a un regolamento duraturo del conflitto arabo-israeliano. La Svizzera chiede in particolare l'apertura di varchi verso la Striscia di Gaza nonché la cessazione immediata della distruzione di abita990

zioni palestinesi e della politica degli insediamenti condotta da Israele nei territori occupati.

La Svizzera considera inoltre necessario assicurare l'accesso a Gaza per l'aiuto umanitario e la ricostruzione e ha presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite un progetto di meccanismo indipendente per la gestione dell'aiuto umanitario nella Striscia. Infine, in risposta alla domanda dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Svizzera, in qualità di Paese depositario, ha intrapreso i passi necessari presso le Alte Parti contraenti delle Convenzioni di Ginevra in vista dello svolgimento di un'eventuale conferenza avente come obiettivo quello di estendere l'applicazione delle Convenzioni ai territori palestinesi occupati. A tale scopo, sono state condotte diverse consultazioni al fine di conoscere la posizione degli Stati contraenti sullo svolgimento di una conferenza di questo tipo, in particolare per quanto riguarda le modalità e gli eventuali risultati attesi.

La Repubblica Islamica dell'Iran è un Paese di importanza sovraregionale: da una parte si tratta di uno dei fornitori di energia potenzialmente più importanti, dall'altra il governo iraniano svolge un ruolo determinante nella costellazione politica della regione influendo sui conflitti in atto in Afghanistan/Pakistan, Iraq e Palestina.

Dopo le controverse elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, l'Iran è stato scosso a più riprese da massicce ondate di protesta. Dalla fine del 2002, il governo iraniano sta inoltre portando avanti un programma nucleare i cui scopi non sono chiari all'opinione pubblica internazionale e ciò ha spinto il Consiglio di sicurezza dell'ONU a adottare cinque risoluzioni contenenti sanzioni contro il Paese18.

Le relazioni bilaterali fra la Svizzera e l'Iran risentono naturalmente di tali tensioni e la situazione non dovrebbe cambiare nei prossimi anni. In linea di principio le relazioni bilaterali sono improntate al dialogo. Anche quando ­ come spesso accade ­ le rispettive posizioni sono molto distanti, sia la Svizzera che l'Iran sono interessati a sviluppare le relazioni reciproche. Dal 2003 i due Paesi portano avanti il dialogo anche nel campo dei diritti umani.

Un altro importante elemento delle relazioni svizzero-iraniane è il mandato di protezione che la Svizzera adempie in Iran da oltre
30 anni per conto degli Stati Uniti.

L'obiettivo del mandato è quello di garantire una protezione consolare ai cittadini americani in Iran. Esso rappresenta però anche un canale di comunicazione a disposizione dei due Paesi. Il mantenimento di buone relazioni con l'Iran costituisce la condizione sine qua non per l'adempimento di tale mandato, il quale, a sua volta, garantisce alla Svizzera un accesso privilegiato ai decisori politici statunitensi e iraniani.

Per quanto riguarda la problematica nucleare, la Svizzera ha dato attuazione alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU citate in precedenza. Malgrado ciò, vista anche l'assenza di progressi fra l'Iran e la comunità internazionale, la Confederazione ha cercato il dialogo con tutti gli attori coinvolti nell'intento di aiutarli a superare la diffidenza reciproca. In stretta collaborazione con gli UE3+319 e l'Iran, la Svizzera ha organizzato nel luglio 2008 e nell'ottobre 2009 i colloqui di Ginevra 1 e 2 («Geneva Talks»). In tali incontri sono stati discussi i fondamenti e i principi che hanno portato nel 2010 alla «Dichiarazione comune di Teheran». Il 9 giugno 2010, il 18 19

Risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU 1737 (2006), 1747 (2007), 1803 (2008), 1835 (2008) e 1929 (2010).

Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Russia e Cina.

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Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato nuove sanzioni contro l'Iran sempre a causa del suo controverso programma nucleare che anche il Consiglio federale ha deciso di applicare. Ciò nonostante, la Svizzera continua a promuovere il dialogo al fine di favorire una soluzione diplomatica.

In Libano, la Svizzera ha sostenuto il dialogo coinvolgendo tutti i partiti più importanti durante la lunga crisi politica attraversata dal Paese. La Confederazione continua a sostenere le riforme portate avanti dall'attuale governo sia sul piano interno che su quello regionale. La Svizzera si sta inoltre impegnando per i rifugiati palestinesi in territorio libanese, il sostegno ai migranti vulnerabili e i progetti di riduzione dei rischi di catastrofi naturali.

La caduta del regime di Saddam Hussein, a seguito dell'intervento armato della Coalizione in Iraq nel marzo 2003, ha stravolto la politica irachena. Nel maggio del 2006 si è insediato un governo di unità nazionale, che però non ha cessato di logorarsi sotto la pressione dei problemi da risolvere. Il 7 marzo 2010 si sono tenute con successo le elezioni legislative: una tappa cruciale nel processo di ricostruzione del Paese ancora confrontato a numerose incertezze. L'avvenire politico dell'Iraq resta in effetti esposto al rischio di nuove fiammate di violenza e ciò costituisce motivo di preoccupazione per la Svizzera. La rappresentanza svizzera competente per l'Iraq è quella di Damasco in Siria.

Lo Yemen è il più instabile e il più povero fra gli Stati della Penisola arabica. Il suo governo è chiamato oggi a risolvere problemi gravi, come quello della stabilità interna compromessa da un forte movimento di ribellione scatenato nel Nord-Ovest del Paese da gruppi che si rifanno allo zaidismo, un ramo dello sciismo. In territorio yemenita sono attivi anche elementi dell'organizzazione terroristica Al-Qaida. La Svizzera è preoccupata da tali sviluppi che rappresentano una minaccia alla sicurezza internazionale. Per questo motivo, la Confederazione ha lanciato il programma «Protezione nella regione», volto a far ottenere quanto prima una protezione effettiva ai profughi della regione. Tale iniziativa dovrebbe fra l'altro contribuire a ridurre le migrazioni irregolari verso altri Paesi e quindi anche verso la Svizzera. Il nostro Paese sostiene inoltre
le attività dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR). Sul piano politico, nel marzo del 2009, la Svizzera ha aperto per la prima volta un dialogo con le autorità di Saana. In tale occasione sono stati discussi anche i possibili campi della cooperazione bilaterale istituzionale. La Svizzera intende portare avanti l'iniziativa.

Gli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti) costituiscono uno dei gruppi di Paesi più ricchi del mondo. L'espansione economica e gli investimenti sono proporzionati alle immense riserve di petrolio e gas presenti nella regione. La Svizzera sta cercando di rinforzare le proprie relazioni nell'area e in quest'ottica ha elaborato una strategia in materia di affari economici esteri con i Paesi della regione e ha contribuito alla preparazione dell'accordo di libero scambio fra l'AELS e il Consiglio di Cooperazione del Golfo siglato il 22 giugno 2009. La Svizzera e i Paesi del Golfo stanno inoltre discutendo su come creare sinergie nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario tramite l'allestimento di una rete comune.

992

Africa settentrionale Le relazioni fra la Svizzera e i Paesi del Maghreb si sono intensificate negli ultimi anni. L'unica eccezione è rappresentata dalla Libia, con la quale la Svizzera ha conosciuto gravi tensioni dovute alla breve detenzione di uno dei figli di Gheddafi, nell'estate del 2008 a Ginevra, a seguito della denuncia per maltrattamenti presentata da due dei suoi domestici. La Libia ha reagito all'arresto del figlio del suo leader con pesanti sanzioni contro la Svizzera e il fermo dei cittadini elvetici presenti nel Paese. Due di loro hanno potuto lasciare la Libia solo nel 2010 a conclusione di un'interminabile trattativa per la quale ha giocato un ruolo importante il sostegno di diversi governi europei.

La politica svizzera nel Nord Africa poggia su quattro pilastri: il dialogo politico, la cooperazione economica, l'approvvigionamento d'energia e la migrazione. Fatta eccezione per la Libia, il dialogo politico si svolge con tutti i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. L'ultimo incontro è stato quello con il Marocco tenutosi nel novembre del 2009. Con tutti i Paesi del Maghreb sono inoltre in vigore accordi di promozione e protezione reciproca degli investimenti, i più vecchi dei quali saranno prossimamente adeguati alle nuove esigenze. Accordi di libero scambio dell'AELS, che mirano a favorire gli scambi commerciali, sono già operativi con l'Egitto, il Marocco e la Tunisia, mentre con l'Algeria sono attualmente in corso trattative in questo senso.

Il Maghreb è oggi soprattutto un territorio di passaggio dei flussi migratori: la pressione che gli emigranti provenienti dal sud del Sahara e dall'Africa orientale esercitano su questa regione è enorme. Molti di essi naufragano sulle coste del Maghreb e qui restano non riuscendo a proseguire verso l'Europa e non volendo tornare nei loro Paesi. La protezione di cui possono usufruire nel Maghreb è tuttavia minima. La Svizzera interviene in loro soccorso con progetti intesi a migliorarne le condizioni di vita e lo statuto giuridico, nonché a promuovere il loro ritorno volontario nei Paesi d'origine.

La Confederazione si sta inoltre impegnando in Marocco per sensibilizzare tutti gli attori ai rischi di catastrofi naturali e sostiene le autorità a livello nazionale e locale nell'elaborazione di piani di emergenza.

Sfide e prospettive
Nei prossimi anni l'attenzione della Svizzera nel Vicino Oriente e nel Medio Oriente sarà catalizzata dal conflitto arabo-israeliano, dalle situazioni di crisi nello Yemen e in Iraq nonché dalle preoccupazioni riguardanti l'Iran. Anche la pressione migratoria sul Maghreb e la possibile radicalizzazione dei gruppi islamici della regione sono fattori da non trascurare. Dopo l'intesa sulla procedura arbitrale e il rientro dei cittadini svizzeri trattenuti contro la loro volontà, le relazioni con la Libia sono meno tese. La completa normalizzazione richiederà tuttavia un certo tempo.

La Svizzera affronta queste sfide agendo in favore della promozione della pace e della stabilità nella regione. La sua azione si concentra prioritariamente sulle questioni umanitarie e sul rispetto del diritto internazionale in questo campo. Pur condividendo quasi tutti gli obiettivi di sicurezza e stabilità degli Stati Uniti e dell'Unione europea in questa parte del mondo, la Svizzera punta su una strategia di nicchia basata fondamentalmente sul dialogo e la mediazione. A tale scopo, si impegna per la promozione del diritto internazionale e per il coinvolgimento di tutte le parti in conflitto nei processi che mirano a una pace duratura. La Svizzera sostiene progetti 993

di aiuto umanitario, di cooperazione allo sviluppo e di cooperazione economica (accordi di libero scambio e di protezione degli investimenti).

2.6

Politica nei confronti dell'Africa subsahariana

Tendenze in atto nella regione Nel 2009 l'importanza strategica dell'Africa subsahariana non ha cessato di crescere sia sul piano economico che su quello della sicurezza.

A livello economico, la crisi globale degli ultimi due anni e la caduta dei prezzi delle materie prime hanno provocato, in un primo tempo, forti diminuzioni nelle entrate degli Stati esportatori. La rapida risalita dei prezzi ha tuttavia dimostrato che, nonostante il rallentamento dell'economia mondiale, la domanda sui mercati delle materie prime resta sostenuta e che non può prescindere dalle risorse del continente africano.

Per quanto riguarda invece la sicurezza, la fragilità istituzionale di alcuni Paesi, l'assenza di controllo statale su vaste aree geografiche, le tensioni interetniche, la povertà e la mancanza di prospettive economiche generano forti movimenti migratori e favoriscono il proliferare di associazioni criminali. Il deterioramento della situazione in certe regioni dell'Africa si ripercuote non solamente sugli scambi economici globali, ma anche sulla sicurezza internazionale. La recrudescenza degli atti di pirateria, in particolare al largo dei golfi di Aden e di Guinea, ne è un esempio significativo. Un discorso analogo vale per il Sahel, che vede l'aumento dei rapimenti di cittadini stranieri ai fini di estorsione da parte di associazioni criminali, alcune delle quali sospettate di legami con Al-Qaida.

Non si parla invece molto dell'importanza strategica dell'Africa dal punto di vista ambientale, nonostante le conseguenze che un deterioramento accelerato delle risorse naturali del continente avrebbe a livello globale. La foresta tropicale dell'Africa centrale rappresenta infatti uno dei polmoni del pianeta e il continente nel suo insieme ospita una diversità vegetale e animale straordinaria. L'instabilità politica di alcuni Paesi, la pressione demografica e la forte domanda internazionale di risorse naturali africane mettono in pericolo l'equilibrio ambientale regionale e addirittura quello dell'intero pianeta. Le ripercussioni delle catastrofi naturali quali siccità e inondazioni ne risultano così ampliate.

L'Africa conta circa un miliardo di abitanti, ossia circa un sesto della popolazione mondiale. Ciò nonostante, il contributo del continente al prodotto interno lordo mondiale non supera il 4 per cento. Sul
piano economico, gli scambi fra la Svizzera e i Paesi africani sono piuttosto deboli; nel 2009, essi rappresentavano infatti unicamente il 2 per cento dell'insieme degli scambi commerciali elvetici. Il potenziale di sviluppo degli scambi con questa parte del mondo è dunque considerevole.

Gli investitori svizzeri sono poco presenti in Africa principalmente in ragione della percezione negativa delle condizioni quadro offerte dal continente. L'esistenza di sistemi giudiziari affidabili e trasparenti, l'assenza di corruzione e la fissazione di regole procedurali semplici in materia di investimenti sono aspetti su cui si dovrebbe intervenire per favorire lo sviluppo degli affari. Sono però soprattutto la pace e la garanzia di una stabilità politica a lungo termine che potrebbero incitare gli imprenditori svizzeri a investire maggiormente in Africa.

994

In Africa si trovano attualmente 33 dei Paesi più poveri del mondo e 300 milioni di Africani vivono con meno di un dollaro al giorno. Un ambiente politico stabile e pacifico permetterebbe di sviluppare pienamente il potenziale considerevole del continente africano e di dare quindi corpo alla speranza di un avvenire migliore per le popolazioni svantaggiate. In questo modo, gli abitanti di Paesi quali la Nigeria, l'Eritrea, la Somalia o la Repubblica democratica del Congo (RDC) avrebbero a disposizione soluzioni alternative ai pericolosi circuiti dell'immigrazione illegale.

La Svizzera ha dunque tutto l'interesse a contribuire allo sviluppo sostenibile e alla stabilità politica ed economica del continente. La Confederazione sostiene attivamente diversi Paesi nei loro sforzi per raggiungere gli Obiettivi del Millennio. Sette dei dodici Paesi prioritari per la cooperazione allo sviluppo svizzera si trovano in Africa, dove vengono portati avanti anche due programmi speciali20. L'azione di promozione della pace condotta dalla Svizzera si è fortemente intensificata nel corso degli ultimi anni (cfr. n. 5.2). L'aiuto svizzero è presente in occasione di ogni crisi umanitaria per alleviare le sofferenza delle popolazioni colpite.

Il suo impegno attivo nell'Africa subsahariana ha permesso alla Confederazione di sviluppare buone relazioni con la maggior parte dei Paesi della regione. In un mondo globalizzato e multipolare come quello odierno, si tratta di rapporti importanti che permettono di proteggere gli interessi della Svizzera in un continente che sta acquisendo importanza sulla scena internazionale. Le ottime relazioni intrattenute con i partner africani hanno permesso fra l'altro di ottenere l'aiuto prezioso del Burkina Faso e del Mali per la liberazione degli ostaggi rapiti nel Sahel. La presenza svizzera, che si concretizza in una rete di rappresentanze piuttosto densa (15 ambasciate e 26 consolati), permette anche di offrire un efficace supporto ai 14 000 cittadini elvetici che risiedono sul continente.

Africa meridionale Per la Svizzera, il Sudafrica è un interlocutore strategico e rappresenta il più importante partner commerciale nell'Africa subsahariana oltre che il principale mercato di sbocco per le esportazioni di merci svizzere nel continente. Dopo il successo della Coppa del mondo di calcio
dell'estate 2010, il Paese dimostra la nuova fiducia acquisita. Data l'importanza politica ed economica del Sudafrica, la Svizzera si adopera per una cooperazione in tutti i settori di interesse comune. Nel marzo del 2008, in occasione di una visita ufficiale di lavoro della ministra sudafricana degli affari esteri, è stato firmato un memorandum d'intesa sul rafforzamento della cooperazione reciproca. Tra i settori oggetto della cooperazione vi sono la politica, l'economia, lo sviluppo, la promozione della pace, l'istruzione, la scienza e la cultura. Al memorandum d'intesa sono riconducibili fra l'altro l'avvio di un dialogo politico periodico tra rappresentanze di alto livello dei due Paesi e l'istituzione di una commissione mista bilaterale per le questioni economiche avvenuta nel maggio del 2008. Nel 2007 il Consiglio federale ha approvato inoltre una strategia di politica economica estera specifica per il Sudafrica.

Nel 2009 le relazioni fra Svizzera e Sudafrica si sono svolte all'insegna della concretizzazione e del consolidamento della cooperazione istituzionalizzata con la firma del memorandum d'intesa. Nel mese di dicembre 2009 si sono svolte a Pretoria le seconde consultazioni ad alto livello sotto la guida del segretario di Stato del DFAE.

20

Cfr. messaggio del 14 marzo 2008 sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo, FF 2008 2451.

995

In occasione dell'incontro, sono stati identificati come campi nei quali può essere intensificata la collaborazione fra i due Paesi la cooperazione trilaterale allo sviluppo, la promozione della pace e il disarmo.

Nel quadro degli sforzi per approfondire le relazioni bilaterali con i Paesi extraeuropei che presentano un forte potenziale di sviluppo scientifico e tecnologico, la Svizzera ha concluso, a fine 2007, un accordo sulla cooperazione scientifica e tecnologica con il Sudafrica, che rientra quindi fra gli otto Paesi prioritari con i quali è previsto di ampliare e approfondire in modo mirato le relazioni scientifiche.

All'inizio del 2009 è stata lanciata una seconda serie di otto progetti di ricerca congiunti afferenti ai settori della salute pubblica, della biomedicina, delle bio e nanotecnologie e delle scienze umane e sociali.

Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, la Svizzera sta portando avanti nell'Africa meridionale un programma regionale incentrato sulle grandi problematiche della «Southern African Development Community» (Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale, SADC), vale a dire l'assenza di sicurezza alimentare, la lotta contro l'HIV/AIDS e la fragilità dei governi. Nel quadro della collaborazione bilaterale sono in corso programmi in Sudafrica, Tanzania, Mozambico e Zimbabwe.

Nel 2009 l'obiettivo principale della cooperazione in Sudafrica è stata l'elaborazione di un programma sui cambiamenti climatici. Altri progetti sono consacrati all'accesso al sistema giudiziario e alla formazione professionale. Nei Paesi prioritari Tanzania e Mozambico la cooperazione svizzera allo sviluppo è attiva nei settori della sanità, dello sviluppo economico e della governance. Nello Zimbabwe la Confederazione fornisce un aiuto umanitario alla popolazione sotto forma di assistenza alimentare e attraverso un programma di rilancio della produzione agricola nel sud del Paese. La Svizzera offre anche sostegno nel settore sanitario con azioni che mirano a decentralizzare i trattamenti antiretrovirali e a prevenire epidemie di colera.

Regione dei Grandi Laghi Gli anni 2010 e 2011 saranno cruciali per l'evoluzione politica e la stabilità dei Paesi della regione dei Grandi Laghi dove Repubblica democratica del Congo (RDC), Ruanda, Burundi e Uganda stanno andando verso importanti scadenze
elettorali. Se i contesti nazionali sono differenti, la posta in gioco è la stessa. Il rischio che le rivalità politiche siano fonte d'instabilità in ambienti già fragili dal punto di vista della sicurezza è concreto. Le tensioni potrebbero essere esasperate da un eventuale irrigidimento delle autorità nei confronti dei partiti di opposizione e dal persistere dei problemi strutturali della regione, vale a dire la fragilità dello Stato di diritto, le violazioni dei diritti umani, l'impunità per i crimini commessi, il degrado ambientale, i problemi fondiari, lo sfruttamento illecito delle risorse naturali e l'estrema povertà.

La Svizzera prosegue il suo programma regionale di cooperazione allo sviluppo nel Burundi, in Ruanda e nella RDC, concentrandosi sul settore sanitario e sul consolidamento della pace. L'assistenza complementare e coordinata nei settori della cooperazione allo sviluppo, della politica della pace e dell'aiuto umanitario risulta rafforzata dalla strategia 2009­2012 del DFAE per la regione dei Grandi Laghi.

L'obiettivo della Svizzera è quello di promuovere la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione, contribuendo all'integrazione regionale come anche allo sviluppo istituzionale e sociale di questi tre Paesi. Un'attenzione particolare viene dedicata al rafforzamento della società civile e alla supervisione dei processi elettorali.

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Dal giugno 2009, la Svizzera assicura la presidenza della Configurazione Burundi in seno alla Commissione di consolidamento della pace delle Nazioni Unite. In questo modo la Confederazione mette a disposizione dell'ONU le sue conoscenze approfondite della situazione politica e sociale del Burundi.

Nel 2011 la RDC succederà alla Svizzera alla presidenza della Conferenza ministeriale della Francofonia e, a tale titolo, sarà chiamata a organizzare il 14° vertice mondiale dell'istituzione nel 2012. Il viaggio della responsabile del DFAE nella RDC, nel febbraio 2010, ha permesso di intavolare un dialogo sui contorni di una futura collaborazione fra i due Paesi nel quadro della Francofonia.

Africa orientale e Corno d'Africa Il Corno d'Africa è un'area fortemente destabilizzata a causa dei ricorrenti conflitti fra Stati (soprattutto fra Etiopia ed Eritrea), delle velleità indipendentiste di diverse regioni e dell'incapacità del governo federale di transizione somalo di imporre il proprio controllo sul territorio di pertinenza malgrado il sostegno delle forze dell'Unione Africana.

L'instabilità del Corno d'Africa in generale e più specificamente la fragilità delle istituzioni statali in Somalia comportano conseguenze che la comunità internazionale non può permettersi di trascurare. In primo luogo, i numerosi dislocamenti di popolazioni toccate dalla guerra civile al sud e al centro della Somalia generano forti pressioni migratorie nei Paesi della regione, ma anche in Medio Oriente e in Europa; in secondo luogo, l'assenza di uno Stato di diritto costituisce terreno fertile per lo sviluppo della pirateria nel golfo di Aden, rotta marittima d'importanza strategica per gli scambi commerciali internazionali; in terzo luogo, il rafforzamento del controllo del territorio somalo da parte delle milizie di Al-Shabaab e la progressione dell'estremismo fanno temere un'esportazione del conflitto somalo in forma di atti di terrorismo nella regione e in Occidente.

L'impegno della Svizzera nel Corno d'Africa poggia su due pilastri: l'aiuto umanitario e la promozione della pace. A fronte dei bisogni crescenti delle popolazioni sfollate, il DFAE ha intensificato il suo impegno umanitario in Somalia, Etiopia e Kenya. Il Dipartimento svolge anche attività a favore della promozione della pace, segnatamente nella lotta
contro l'impunità e nel sostegno al processo di elaborazione della costituzione somala. Il DFGP e il DFAE collaborano per sviluppare e attuare strumenti per la protezione delle popolazioni civili sfollate. Nel 2009, le Camere federali si sono pronunciate contro la partecipazione della Svizzera all'operazione Atlante dell'UE avente come obiettivo la lotta alla pirateria nel golfo di Aden. Il DFAE ha quindi deciso di rinunciare all'elaborazione di un programma speciale della DSC nel Corno d'Africa.

Il Sudan si appresta a vivere il referendum del 2011 chiamato a dirimere la questione dell'indipendenza della parte meridionale del Paese. Il potenziale di conflitto racchiuso nella consultazione è elevato, in quanto le modalità della possibile secessione del Sud del Paese non sono state definite con chiarezza, in particolare per quanto riguarda la ripartizione delle riserve di petrolio e la definizione degli eventuali futuri confini. A causa dell'inconsistenza delle strutture statali il Sudan meridionale avrebbe inoltre bisogno di aiuti massicci semplicemente per assicurare la sua capacità di sopravvivenza quale Stato indipendente. La Svizzera contribuisce alle negoziazioni fra Nord e Sud del Paese nel quadro dell'accordo globale di pace del 2005 e

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offre, fra l'altro, un sostegno alla preparazione della fase post-referendaria carica di implicazioni.

Dal 2004 l'aiuto umanitario della Confederazione fornisce assistenza alle popolazioni del Darfur, soprattutto per quanto riguarda la protezione dei civili, l'aiuto d'urgenza, la sicurezza alimentare e i servizi sanitari di base. La Svizzera apporta inoltre contributi in materia di diritti dell'uomo e di sostegno al processo di pace.

Africa occidentale e centrale L'Africa occidentale e quella centrale sono fra le regioni più povere e instabili del Mondo. La situazione di povertà e di insicurezza alimentare sta ulteriormente peggiorando a causa dei cambiamenti climatici, della forte crescita della popolazione e della crisi economica globale. Come se non bastasse, il malgoverno, la fragilità degli Stati, le crisi politiche e i conflitti armati minacciano la stabilità della regione. Anche il controllo dell'accesso alle materie prime (risorse minerarie) è fonte di cupidigia e conflitti.

Al termine delle sanguinose guerre che li hanno scossi, Liberia, Sierra Leone e Guinea-Bissau attraversano la delicata fase di ricostruzione. In alcuni Stati, lo smantellamento forzato della democrazia ha portato negli ultimi anni a golpe militari: è il caso ad esempio della Mauritania, della Guinea e del Niger. In Costa d'Avorio, dopo la fine della guerra civile, non sono ancora state ripristinare relazioni stabili e democratiche.

All'instabilità politica si aggiunge la diffusione del terrorismo e della criminalità organizzata. La crescente presenza di Al-Qaida in alcune regioni del Sahel (Mauritania, Mali settentrionale, Niger settentrionale) compromette ulteriormente la stabilità della zona. Sia i turisti che gli operatori umanitari sono possibili obiettivi di rapimenti e nell'ultimo anno ne hanno fatto le spese anche due cittadini svizzeri. In questo modo i Paesi della regione vedono crollare le entrate legate al turismo e viene messo in pericolo l'operato delle organizzazioni umanitarie. Inoltre, le zone che sfuggono del tutto o in parte alla sicurezza statale costituiscono terreno fertile per la criminalità organizzata ovvero per il commercio di droga, armi ed esseri umani.

Vanno tuttavia segnalati anche sviluppi positivi. A fine 2008, in Ghana ha avuto luogo una transizione democratica pacifica. In molti
luoghi si assiste a un rafforzamento della società civile, che si oppone con sempre maggiore fermezza alle prese di potere illegittime e reclama a gran voce diritti democratici. Anche la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) riveste un ruolo di importanza crescente accelerando ad esempio lo sviluppo di una politica agraria regionale o i programmi d'investimento. L'ECOWAS si sta inoltre impegnando per la pace in numerose aree di crisi. La Svizzera coopera attualmente con l'ECOWAS nel rafforzamento della componente civile delle operazioni africane di sostegno alla pace.

La Confederazione ha intensificato il suo impegno politico a favore della pace nella regione, in particolare nel Mali, in Niger e nel Ciad. Al fine di rafforzare le capacità africane di soluzione dei conflitti, la Svizzera sostiene tramite i suoi esperti l'operato di istituzioni nazionali e regionali. L'impegno politico a favore della pace in quest'area tiene conto della sua dimensione diffusamente francofona e dei bisogni specifici legati a tale caratteristica. Inoltre, nel quadro del Pool di esperti per la promozione civile della pace, sono stati inviati specialisti di polizia e di questioni doganali a seguito delle missioni ONU come ad esempio in Costa d'Avorio (ONUCI), Guinea-Bissau (UNOGBIS) e più recentemente in Liberia (UNMIL). Il 998

DFAE sta poi verificando la possibilità di intraprendere un ulteriore dialogo in materia di diritti dell'uomo con uno dei Paesi dell'Africa occidentale. Da segnalare, infine, che il DFGP e il DFAE collaborano per concretizzare un partenariato migratorio con la Nigeria che tenga conto delle diverse esigenze dei due Paesi in questo settore (ad es. migrazione e sviluppo).

Sfide e prospettive L'Africa dispone di ricchezze e potenziali immensi: una popolazione giovane, riserve di materie prime abbondanti, estensioni di terre coltivabili ancora poco sfruttate, una diversità geografica, numerose opportunità di sviluppo economico, turistico ecc.

Corteggiati dalle grandi potenze che si interessano alle loro risorse, i Paesi africani vedono la loro influenza sulla scena internazionale aumentare giorno dopo giorno.

Le visite nel quadro di relazioni bilaterali si susseguono e gli aiuti pubblici aumentano. Nonostante tutti vogliano contribuire allo sviluppo dell'Africa, la crescita del continente resta però relativamente debole (anche se, a dire il vero, il recupero dalla crisi economica dello scorso anno è più rapido qui che nella maggior parte del mondo), le guerre fratricide si susseguono, la chiave dello sviluppo non è ancora stata identificata.

Alcuni Paesi africani si sviluppano, altri stagnano o regrediscono, ma tutti sono ancora lontani dal dinamismo economico osservato in Asia negli ultimi due decenni.

Se la diversità socio-politica del continente non permette di spiegare facilmente tale dato di fatto, è però possibile mettere in evidenza alcuni dei fattori che ne sono all'origine quali la fragilità delle istituzioni statali o il basso livello di scolarizzazione.

L'accresciuto interesse per l'Africa sulla scena internazionale determina nuove sfide per la Svizzera. L'entrata in scena di nuove potenze quali la Cina, il Brasile o l'India fa diminuire il peso relativo dell'impegno svizzero sul continente africano e con esso la sua capacità di influenza. In un Paese prioritario per l'aiuto allo sviluppo svizzero come la Tanzania, l'ammontare concesso dalla Confederazione corrisponde all'1,5 per cento degli aiuti complessivi. Anche per quanto riguarda gli investimenti e le relazioni commerciali, la Svizzera ogni anno perde terreno rispetto ai nuovi concorrenti.

Per poter rimanere un partner interessante
per i Paesi faro del continente, la Svizzera non deve contare unicamente sui suoi contributi in materia di sviluppo e promozione della pace, ma deve anche rafforzare i legami politici ad alto livello con i dirigenti africani. La maggior parte di questi si reca con regolarità a Ginevra per partecipare a conferenze internazionali e il DFAE approfitta di queste occasioni per invitarli a incontri bilaterali e sviluppare un dialogo costruttivo che permette di chiarire le aspettative reciproche.

Sul terreno, la Svizzera rafforza la collaborazione con i gruppi di interesse che condividono i suoi approcci e partecipa attivamente ai dibattiti internazionali riguardanti diversi Paesi africani. Tali incontri permettono di contribuire agli sforzi della comunità internazionale mettendo a disposizione a livello politico l'esperienza fatta sul campo in materia di cooperazione allo sviluppo e di promozione della pace. A riconoscimento del valore dell'insieme di questi strumenti, la Svizzera ha ottenuto la presidenza della Configurazione Burundi in seno alla Commissione di consolidamento della pace delle Nazioni Unite a New York.

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Nel contesto della rapida evoluzione dei rapporti di forza a livello globale e della crescente consapevolezza acquisita dai Paesi emergenti, anche in futuro la molteplicità delle relazioni bilaterali sarà di grande importanza per la Svizzera al fine di garantirle la capacità di influire a livello internazionale nei settori rilevanti per la sua politica estera e per la salvaguardia dei suoi interessi. In considerazione del fatto che l'autodeterminazione nazionale continuerà a occupare un posto di rilievo nella politica internazionale, anche in avvenire varrà la pena conservare e sviluppare i contatti diretti con i centri decisionali dei singoli Paesi. Ciò soprattutto per restare competitivi negli scambi reciproci a fronte della crescente globalizzazione delle reti di relazioni, ma anche per poter influire più efficacemente sui processi multilaterali per i quali le decisioni sono di norma prese nelle capitali nazionali. Non vanno infine trascurati i vantaggi offerti dalle relazioni bilaterali per tutte le questioni potenzialmente conflittuali, come il dibattito fiscale con i vicini europei e gli Stati Uniti o la controversia con la Libia. In tali casi è importante poter contare sul sostegno di partner con i quali intercorrono buone e strette relazioni bilaterali.

È quindi nell'interesse della Svizzera curare anche in futuro relazioni bilaterali intense con il maggior numero possibile di partner. Un importante strumento a questo scopo è costituito dalla rete di rappresentanze sulla quale si articola la politica estera svizzera. Essa va commisurata alle diverse esigenze poste dagli ambiti politici importanti per il Paese e deve essere sufficientemente flessibile per poter essere adeguata all'evoluzione del panorama internazionale.

3

Organizzazioni e consessi globali e regionali

3.1

Multilateralismo di carattere politico, legale e relativo alla sicurezza

3.1.1

ONU

Quadro generale, sviluppi recenti e sfide In occasione del Vertice mondiale del 2005 i capi di Stato e di Governo hanno varato un ampio ventaglio di riforme, atte a permettere all'ONU di rilevare con maggior incisività le sfide del XXI secolo: la sostituzione della Commissione dei diritti dell'uomo con il Consiglio dei diritti dell'uomo, l'istituzione di un organo delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace, la riaffermazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la promozione del coordinamento e della coerenza delle attività operative dell'ONU sul terreno («systemwide coherence»), il riconoscimento del principio della responsabilità di proteggere («responsibility to protect»), il rafforzamento delle istituzioni, degli strumenti e dei processi internazionali a salvaguardia dell'ambiente («international environmental governance») come pure la riforma del Segretariato dell'ONU.

Il consenso faticosamente conquistato si è rivelato assai labile, e non appena la concretizzazione delle riforme concordate ha preso il via, diventando oggetto di trattative separate, l'intera struttura, abilmente innalzata ma in equilibrio precario, ha dato segni di cedimento lasciando riemergere i vecchi conflitti d'interesse. Non soltanto i processi di riforma veri e propri, bensì anche molte delle risoluzioni ricorrenti dell'Assemblea generale hanno fornito lo spunto per rimettere in discussione o rinegoziare le conquiste del 2005. Negli ultimi anni, da un punto di vista esterno,

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l'ONU è parso in modo sempre più vistoso un'organizzazione piuttosto immobile e prevalentemente concentrata su se stessa.

Il brusco risveglio è sopraggiunto con la crisi economica e finanziaria mondiale, che ha messo chiaramente in luce le interdipendenze, e con esse l'estrema fragilità, di un mondo globalizzato. La reazione è stata la costituzione di un organo potente, che ha prontamente calcato la scena multilaterale: il Gruppo dei venti (G20), chiamato in causa già nel 1997 in occasione della crisi finanziaria asiatica come raggruppamento di Paesi industrializzati ed emergenti, ha preso il timone adottando una serie di misure di ampio respiro e assurgendo in poco tempo a forum eminente per la collaborazione internazionale in ambito economico.

Questo sviluppo ha messo a nudo i punti forti e le debolezze dell'ONU. Grazie alla sua universalità tematica e geografica e a differenza del G20, l'ONU ha la facoltà di prendere decisioni di incontestata legittimità, preparando il terreno per la loro attuazione sul piano nazionale. Parallelamente, proprio questa universalità impedisce di prendere decisioni rapide e concrete. In quest'ottica, appare sintomatica la situazione del 2009: mentre i membri dell'ONU si abbandonavano a lunghe controversie sulla designazione dell'organo preposto alla funzione ufficiale di forum multilaterale per le questioni economiche, il G20 dava concretezza ai suoi propositi grazie a determinazione e rapidità d'intervento. La soluzione (di compromesso) potrebbe consistere nella futura cooperazione tra G20 e ONU a livello operativo. Frattanto, un gruppo transregionale di Stati non appartenenti al G20 e denominato 3G («Global Governance Group»), cui appartiene anche la Svizzera, ha sottoposto una serie di proposte concrete per strutturare in modo efficace la collaborazione tra ONU e G20.

La crisi economica e finanziaria indurrà i Paesi donatori ad adottare politiche di bilancio tendenzialmente più restrittive, con ovvie ricadute sulla capacità di elargire contributi volontari ai fondi e ai programmi dell'ONU.

L'ONU rimane un grande cantiere: prima di tutto in senso letterale, visto che per la prima volta dalla sua fondazione è stato dato avvio ad un risanamento generale della sede principale di New York, con un investimento previsto di 1,9 miliardi di dollari e una tabella di
marcia estesa fino al 2013. Ma anche in senso figurato, con la prosecuzione nel 2010 dei processi di riforma suesposti e la messa in atto di tutta una serie di provvedimenti di fondo, previsti nel documento finale del Vertice del 2005.

A tale proposito si ricorda in particolare il riesame del funzionamento della Commissione per il consolidamento della pace e del Consiglio dei diritti dell'uomo. Il 2010 si profila pertanto come un vero e proprio anno di riforme, anche se a differenza del 2005 i diversi processi di riforma ­ perlomeno sulla carta ­ verranno affrontati indipendentemente l'uno dall'altro, rendendo quanto mai difficoltoso il confezionamento di un pacchetto equilibrato nella sua totalità.

Nel braccio di ferro politico permane la contrapposizione atavica tra gli interessi degli Stati industrializzati e dei Paesi in sviluppo, anche se il panorama mette in luce reazioni di rifiuto, e il quadro si presenta in maniera assai più complessa. In particolare le trattative sul clima hanno evidenziato come i Paesi in sviluppo non costituiscano più un blocco compatto. I Paesi particolarmente minacciati dal cambiamento climatico, come ad esempio i piccoli Stati insulari, in molti punti si allineano con i Paesi occidentali. La posizione privilegiata di alcuni Paesi in sviluppo densamente popolati dovuta alla loro appartenenza al G20 non favorisce certo la coesione tra le economie maggiormente sfavorite. Parallelamente, malgrado il Trattato di Lisbona anche l'Unione europea fatica tuttora a trovare il consenso, soprattutto nella politica 1001

sul Medio Oriente o per la riforma del Consiglio di sicurezza. Simili sviluppi vanno letti come un'opportunità per le Nazioni Unite di agevolare il ridimensionamento, almeno parziale, dell'ottica dei blocchi.

Nelle cerchie dell'ONU l'insediamento del presidente Barack Obama è stato accolto con grande sollievo e un analogo carico di aspettative. Inizialmente il nuovo governo statunitense è riuscito a rendere credibile il cambiamento proclamato durante la campagna elettorale: la preannunciata chiusura di Guantanamo, l'elezione nella primavera del 2009 nel Consiglio dei diritti dell'uomo, in precedenza già oggetto di aspre critiche, un atteggiamento compiacente nei confronti del Tribunale penale internazionale (TPI), posizioni costruttive nelle trattative sul clima, un riavvio delle relazioni con la Russia e una generale disponibilità al dialogo, in particolare e soprattutto con l'Iran, sono stati letti come i segni più tangibili del cambiamento e hanno influenzato in maniera positiva il clima di lavoro in seno alle Nazioni Unite.

Tuttavia, è risultato subito assai evidente che in alcuni settori cruciali della politica estera statunitense non ci sarebbero stati riorientamenti di fondo, in particolare per quanto riguarda la politica in Medio Oriente.

L'impegno della Svizzera Sin dal momento della sua adesione all'ONU, la Svizzera si è distinta come un membro attivo e innovativo. In poco tempo ha lasciato un'impronta in diversi settori, come ad esempio in occasione della costituzione del Consiglio dei diritti dell'uomo, della riforma del Consiglio di sicurezza, della politica ambientale o ancora della promozione dello stato di diritto. L'ONU consente alla Svizzera di contribuire alla risoluzione di problemi globali, di assumersi le proprie responsabilità e di promuovere i suoi interessi nazionali.

Per la Svizzera il 2009 si è concluso in maniera particolarmente positiva: uno dei fattori determinanti è stato il rafforzamento, con tutta una serie di mandati di prestigio, della visibilità del suo impegno. A tale proposito va menzionata la presidenza svizzera della Commissione per l'amministrazione e il budget in occasione della 64a sessione dell'Assemblea generale dell'ONU. Inoltre, a decorrere dal luglio del 2009, la Svizzera ha assunto la direzione della Configurazione per il Burundi in seno alla
Commissione per il consolidamento della pace. Il successo più prestigioso è senz'altro stato la proposta del Gruppo regionale occidentale (WEOG) di eleggere l'ex consigliere federale Joseph Deiss alla carica di presidente della 65a sessione dell'Assemblea generale dell'ONU e la sua effettiva elezione nel giugno del 2010, appena sette anni dopo l'adesione della Svizzera all'ONU. Dal mese di settembre 2010 e per il periodo di un anno l'ex consigliere federale Deiss è alla guida dell'Assemblea generale dell'ONU, contribuendo in tal modo ad accrescere la visibilità della Svizzera all'interno del sistema delle Nazioni Unite.

Pace e sicurezza Riforma del Consiglio di sicurezza: nel mese di febbraio 2009 gli Stati membri dell'ONU hanno conferito nuovo slancio al dibattito sulle riforme grazie all'avvio di trattative informali nel corso dell'Assemblea generale plenaria. Nonostante questa rivalutazione istituzionale la discussione sull'allargamento si è arenata. Per sciogliere l'annoso nodo tra i fautori e gli oppositori di nuovi seggi permanenti la Svizzera sostiene una soluzione transitoria di compromesso, ossia la creazione di una nuova categoria di seggi non permanenti retti da un mandato di durata prolungata.

L'interesse primario della Svizzera è tuttora rivolto alla riforma dei metodi di lavoro 1002

del Consiglio di sicurezza. In un'iniziativa diplomatica congiunta con Costa Rica, Giordania, Liechtenstein e Singapore («Small Five», S5) la Svizzera si adopera segnatamente per migliorare la trasparenza e l'integrazione della totalità dei Paesi membri dell'ONU nei lavori del Consiglio.

Lotta al terrorismo: il tentato dirottamento ai danni di un aereo della Northwest Airline a destinazione di Detroit avvenuto il 25 dicembre 2009 ha riacceso nell'opinione pubblica di tutto il mondo l'inquietudine per il terrorismo di stampo internazionale. Tuttavia, dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 la lotta contro questo flagello non ha mai smesso di figurare in prima pagina sull'agenda dell'ONU. Dopo essere inizialmente stata appannaggio dei membri del Consiglio di sicurezza, dal settembre del 2006 ­ data che segna l'adozione da parte dell'Assemblea generale della Strategia antiterrorismo mondiale ­ la lotta contro il terrorismo è un obiettivo condiviso da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite.

La Svizzera ha contribuito attivamente all'elaborazione della Strategia lanciando, nel dicembre 2007 con il concorso di Costa Rica, Giappone, Slovacchia e Turchia, un «processo internazionale di cooperazione nella lotta contro il terrorismo». Le conclusioni del processo presentate nel luglio 2008 hanno propugnato la costituzione di una rete di punti di coordinamento nazionali («focal points») in materia di lotta al terrorismo.

Al riguardo si precisa che la Svizzera conferma la sua collaborazione attiva con i sottocomitati del Consiglio di sicurezza incaricati della lotta contro il terrorismo, e partecipa al Gruppo d'azione contro il terrorismo del G8. S'impegna altresì ad affiancare determinati Paesi o regioni che necessitano sostegno finanziario e tecnico per poter soddisfare i requisiti posti dall'ONU.

Sanzioni contro Al-Qaida e i Talebani: negli ultimi anni la problematica legata al rispetto dei diritti fondamentali nell'ambito delle sanzioni mirate instaurate dal Consiglio di sicurezza, segnatamente le procedure d'iscrizione e radiazione di persone fisiche e giuridiche sulle liste gestite dal Comitato per le sanzioni concernente Al-Qaida e i Talebani, ha fortemente catalizzato l'attenzione. Numerosi Stati membri hanno incontrato difficoltà al momento di applicare tali sanzioni, specialmente nell'ambito
di ricorsi dinanzi a giurisdizioni europee.

Per tale ragione la Svizzera, unitamente a un gruppo di Stati che ne condividono la posizione (Germania, Belgio, Costa Rica, Danimarca, Finlandia, Liechtenstein, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia), si è impegnata in prima linea per ottimizzare tali procedure. In questo contesto ha formulato diverse raccomandazioni volte a rafforzare sia la legittimità che l'efficacia del sistema, allo scopo di instaurare una procedura di ricorso e costituire un'autorità indipendente incaricata di evadere le richieste di cancellazione dalla lista.

In quest'ambito il risultato di maggior spessore è senza dubbio l'istituzione di un posto di Mediatore incaricato di accogliere le denunce degli individui toccati dalle sanzioni. Il Mediatore è incaricato di condurre un'inchiesta indipendente e neutrale sul caso e di sottoporre al Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza le ragioni a favore o contrarie alla cancellazione dalla lista.

La Svizzera ha accolto con favore tale decisione, che per la prima volta consente agli individui interessati di presentare il loro punto di vista dinanzi a un organo indipendente e imparziale. Nondimeno, il Mediatore non è purtroppo investito di alcun potere di raccomandazione all'attenzione del Comitato per le sanzioni, unico deten1003

tore del potere discrezionale di decidere. La Svizzera è intenzionata a seguire attentamente la realizzazione di questo progetto e conferma il suo impegno per stabilire garanzie procedurali conformi alle norme nazionali ed internazionali per le persone toccate da simili sanzioni, tenendo ovviamente in considerazione il particolare ruolo del Consiglio di sicurezza e l'elevata sensibilità politica della questione.

Il 4 marzo 2010 il Consiglio nazionale ha accolto una mozione del Consiglio degli Stati (Mo. Marty; 09.3719) secondo la quale il Consiglio federale è tenuto a notificare al Consiglio di sicurezza dell'ONU che a partire da inizio 2011 la Svizzera non applicherà le sanzioni pronunciate contro persone fisiche in base a risoluzioni in nome della lotta contro il terrorismo se non saranno soddisfatte determinate condizioni dello Stato di diritto. Con l'adozione della mozione il Parlamento ha voluto sottolineare l'impegno della Svizzera per il rispetto dei diritti dell'uomo, dello Stato di diritto e della democrazia anche nei confronti delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Mediante scritto datato 22 marzo 2010 la Svizzera ha informato a New York il presidente del Comitato per le sanzioni 1267 del Consiglio di sicurezza, preposto all'attuazione delle sanzioni di quest'ultimo nei confronti di Al-Qaida e dei Talebani, circa l'adozione della mozione Marty e le relative conseguenze per la Svizzera. Il Consiglio federale aveva raccomandato di respingere la mozione. Nella sua motivazione aveva affermato che in qualità di membro dell'ONU la Svizzera è tenuta ad applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e non ha il diritto di fissare unilateralmente dei criteri che relativizzino l'attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza secondo il Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite. Se la Svizzera non ottempera alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, l'intero sistema delle sanzioni perde credibilità, inducendo verosimilmente anche altri Stati a cercare delle scappatoie per sottrarvisi.

Il consolidamento della pace: molti Paesi che si trascinano un passato di guerra devono poter contare su un'attenzione particolare da parte della comunità internazionale, onde evitare di incorrere nuovamente in situazioni ostili. Per tale ragione a metà dell'ultimo
decennio le Nazioni Unite hanno iniziato a tessere il canovaccio del consolidamento della pace, articolato in una Commissione per il consolidamento della pace («Peacebuilding Commission», PBC), un Fondo per il consolidamento della pace e un'unità di sostegno in seno al Segretariato delle Nazioni Unite («Peacebuilding Support Office»). La PBC conta 32 Stati membri e riunisce gli attori principali del Consiglio di sicurezza, i più importanti Stati donatori, i maggiori fornitori di truppe e tutta una serie di attori regionali. Attualmente l'agenda si sofferma su quattro Paesi: Burundi, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana e GuineaBissau. Il Fondo per il consolidamento della pace, dotato attualmente di circa 300 milioni di dollari provenienti da contributi volontari, è destinato a finanziare investimenti urgenti che presentano rischi di una certa entità.

La Svizzera si impegna su vari fronti per rafforzare l'efficacia delle misure delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace. In ogni ambito rilevante perora sistematicamente la causa di una maggiore coerenza dei processi di riforma in atto sul mantenimento della pace, la riforma del sistema operativo dello sviluppo e la prevenzione dei conflitti e la mediazione. Prende parte ai lavori della Commissione per il consolidamento della pace dove dal luglio del 2009 assume la presidenza della Configurazione Burundi. In tale funzione ha l'opportunità di collaborare alla valutazione dell'architettura dell'ONU per il consolidamento della pace, prevista nell'anno in corso. Le esperienze raccolte nei quattro Paesi appena menzionati avranno un peso particolare nella valutazione.

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Operazioni di mantenimento della pace: in seno alle Nazioni Unite il mantenimento della pace è un partenariato globale unico. Raggruppa l'autorità politica e legale del Consiglio di sicurezza, il personale e i contributi finanziari degli Stati membri, il sostegno dei Paesi ospite e l'esperienza maturata dal Segretariato in materia di gestione di operazioni sul terreno. Grazie a questo partenariato l'Organizzazione delle Nazioni Unite può vantare legittimità, durabilità e portata globale.

Con un organico di oltre 116°000 persone distribuite tra una quindicina di missioni, oggi il mantenimento della pace ha assunto dimensioni e complessità senza precedenti, che non corrispondono più alle capacità esistenti. Vista la diversità dei mandati delle missioni le Nazioni Unite incontrano difficoltà nell'affrontare determinati compiti. Il personale, la logistica, le finanze e i sistemi amministrativi lottano per sostenere le operazioni in parti del mondo tra le più inospitali. Le necessarie risorse militari a disposizione sono incredibilmente esigue di fronte alla domanda che in taluni casi aumenta. D'altro canto, i nuovi compiti di mantenimento della pace esigono un numero significativo di agenti di polizia e specialisti civili, esperti assai rari e che molto spesso sono più difficili da dislocare.

Le missioni sono chiamate ad affrontare sfide di vario genere. Un gran numero di esse ha conseguito un notevole successo contribuendo alla sicurezza e alla stabilità, ma troppe incontrano ancora numerose difficoltà ­ lungo il cammino che sbocca nella stabilità durevole ­ nel portare a termine il mandato di tutela della popolazione civile o nell'elaborare e applicare strategie integrate. Queste missioni dovrebbero facilitare una transizione responsabile e, più a lungo termine, preparare la conclusione delle operazioni di mantenimento della pace e le condizioni per una pace duratura.

Le sollecitazioni dello scorso decennio hanno messo in luce i limiti delle riforme anteriori come pure i sistemi, le strutture e lo strumentario di base di un'organizzazione che non ha potuto adattarsi al ritmo e ai compiti delle missioni odierne. Le spaccature in seno alla comunità internazionale si riflettono direttamente sulla capacità di talune missioni di agire con efficacia sul terreno. Ogni nuova operazione viene programmata
partendo dal presupposto che le risorse necessarie potranno essere raccolte e gestita secondo un budget individuale. Nella sua attuale configurazione il mantenimento della pace esige risorse meglio programmabili, più flessibili e con un grado superiore di professionalità. Occorre un sistema in grado di cogliere le sfide globali. Per raggiungere tale scopo il mantenimento della pace deve lavorare in maniera più coerente, integrandosi maggiormente nel resto del sistema delle Nazioni Unite.

La partecipazione della Svizzera in termini di personale a missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite è irrisoria. Dopo la sua adesione all'ONU, la Svizzera è scivolata dal 56° rango dei fornitori di truppe, osservatori militari e di polizia combinati, al 91° posto, con un effettivo di 25 soldati e agenti di polizia su un totale di 91 712 membri del personale in uniforme (statistica di dicembre 2009). Come già rilevato dal Consiglio federale nel rapporto sulla politica estera 2009, una simile tendenza vanifica gli sforzi per ottenere posizioni di alto livello nel settore del mantenimento della pace e delle missioni di pace dell'ONU. Ciononostante, la Svizzera non lesina sforzi durante i negoziati e i dibattiti sul futuro del mantenimento della pace in seno all'ONU. Nel quadro del Comitato speciale sulle operazioni di pace si è spesso adoperata per facilitare le trattative e sbloccare situazioni difficili sul piano politico, ma critiche per un risultato sul terreno, come ad esempio la protezione delle popolazioni civili, le attività iniziali di consolidamento della pace nelle operazioni di 1005

mantenimento della pace e le sfide legate all'approccio integrato delle Nazioni Unite. La Svizzera si impegna altresì affinché la riformulazione del mantenimento della pace si allinei in modo coerente e complementare alle riforme della prevenzione dei conflitti e della mediazione, del consolidamento della pace e del sistema operativo per lo sviluppo. In determinate situazioni sostiene l'introduzione di un approccio integrato, difendendo pur tuttavia i principi d'indipendenza, d'imparzialità e neutralità degli interventi umanitari.

Impegno umanitario, cooperazione allo sviluppo, ambiente Impegno umanitario: nel 2009 e 2010 il settore umanitario è stato contraddistinto da numerosi conflitti armati e da gravi catastrofi naturali. I cambiamenti climatici e le sue ripercussioni rientrano a loro volta nelle grandi sfide poste all'aiuto umanitario.

Si constata inoltre una crescente correlazione tra la povertà, i fenomeni migratori, la scarsità di risorse e di generi alimentari, l'esplosione demografica e l'urbanizzazione e l'ampiezza delle crisi umanitarie.

Le priorità in ambito umanitario della Svizzera nel quadro della sua appartenenza all'ONU si concentrano nella prevenzione e riduzione del rischio di catastrofi, nella garanzia di un libero accesso degli operatori umanitari nelle zone colpite da catastrofi e conflitti bellici e la tutela della loro sicurezza da parte dello Stato accreditante. In tale contesto nel 2009 la Svizzera ha assunto la presidenza del Gruppo di lavoro di collegamento umanitario («Humanitarian Liaison Working Group», HLWG) a New York, dove si svolgono frequenti scambi sulla situazione umanitaria di svariati Paesi. Tale impegno consente di rafforzare i rapporti con l'Ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell'ONU (OCHA) e il Sottosegretario generale per gli affari umanitari, accrescendo la visibilità della Svizzera.

In occasione dei 60 anni delle Convenzioni di Ginevra la Svizzera, in collaborazione con il CICR, ha organizzato a Ginevra una conferenza di esperti con tutti i firmatari, allo scopo di strutturare il dibattito sul futuro del diritto umanitario internazionale e sondare le necessità di riforma (al riguardo si veda pure il n. 5.2.4).

Nella media degli ultimi anni i contributi finanziari versati dalla Svizzera all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati (UNHCR), al Programma alimentare mondiale (PAM), all'Ufficio di coordinamento degli affari umanitari (OCHA) e al Fondo centrale per l'assistenza d'emergenza (CERF) sono rimasti costanti a livello nominale. Come già esposto nel rapporto sulla politica estera 2009, sussiste il pericolo che in avvenire la nostra influenza in seno alle organizzazioni umanitarie, in particolare quelle con sede a Ginevra, venga incrinata.

Sviluppo: nel quadro del sistema generale di aiuto allo sviluppo le agenzie operative delle Nazioni Unite forniscono assistenza tecnica specializzata e gratuita ai governi centrali e alle autorità locali dei Paesi in sviluppo. L'insieme delle agenzie onusiane investite di un mandato e di attività di sviluppo costituisce un sistema operativo complesso e relativamente eterogeneo esteso a una trentina di organizzazioni. Il nervo centrale di tale sistema è composto da cinque agenzie: il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), il Programma alimentare mondiale (PAM) come pure l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO). A queste cinque agenzie è devoluta la quasi totalità dell'aiuto pubblico svizzero allo sviluppo stanziato a favore del sistema delle Nazioni Unite attivo in quest'ambito.

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In veste di finanziatrice di tali organizzazioni la Svizzera è interessata a garantire la qualità dei servizi erogati. La Svizzera si adopera quindi affinché questi partner multilaterali possano fondarsi su sistemi di gestione efficaci e siano in grado di produrre dei risultati. Nel 2009 la Svizzera ha profuso un impegno particolare in seno ai consigli di amministrazione e tramite le misure di accompagnamento supplementari per promuovere all'interno delle agenzie delle politiche e dei sistemi di valutazione credibili e una gestione incentrata sui risultati.

Rafforzare le competenze valutative e promuovere i sistemi di gestione incentrati sui risultati costituisce il primo asse strategico d'intervento svizzero per migliorare la qualità dell'assistenza fornita dai suoi partner onusiani. L'azione prevede pure un secondo asse, incentrato sul consolidamento della coerenza e sull'arginamento del frazionamento esasperato. In un determinato Paese non è affatto raro trovare una dozzina di agenzie dell'ONU, ognuna delle quali occupata a elaborare e gestire i rispettivi progetti e programmi di sviluppo, con costi di transazione esorbitanti per governi spesso frenati da risorse limitate. Gli sforzi attualmente profusi per ridurre questo frazionamento e infondere maggior coerenza nelle attività operative delle Nazioni Unite affondano le radici in un processo di riforme lanciato diversi anni fa e la cui sezione consacrata allo sviluppo è nota con la denominazione «One UN». Nel 2009 il programma di riforme diretto dall'Assemblea generale ha subito un'accelerazione, conseguendo progressi degni di nota in vista dell'istituzione di un organo di valutazione indipendente a livello di sistema e della realizzazione di un'unità di genere.

Dal 2004 la Svizzera rinnova il suo impegno per promuovere la tabella di marcia delle riforme, complemento ideale agli interventi a livello delle agenzie individuali a favore di una migliore qualità degli aiuti. La Svizzera si prefigge infatti di agire su due livelli e in regime di complementarità facendo leva sulle esperienze operative delle agenzie partner per vivacizzare il dialogo politico e normativo globale. Nel 2009 la Svizzera si è particolarmente distinta per il suo impegno all'Assemblea generale e presso l'ECOSOC a favore dell'adozione di strumenti di gestione atti a rafforzare
la coesione del sistema e a limitarne la frammentazione.

Infine, sempre nell'intento di mobilitare le sinergie tra il dialogo politico globale e l'azione operativa delle Nazioni Unite la Svizzera si è impegnata prioritariamente a livello di Assemblea generale per la definizione di elementi di riferimento per il Vertice sugli Obiettivi del Millennio del settembre 2010. La Svizzera ha infatti lavorato affinché il raggiungimento degli obiettivi non venga valutato soltanto da un'ottica unilaterale e settoriale, ma tenga anche conto dei mutamenti politici, economici e sociali sopraggiunti a livello globale.

Ambiente: anche nel 2009 le tematiche ambientali hanno ampiamente scandito l'agenda dei negoziati in seno agli organi delle Nazioni Unite. Nel settore dei prodotti chimici e dello smaltimento dei rifiuti sono stati avviati i preparativi per una nuova convenzione, volta a garantire una maggior sicurezza dagli effetti nocivi del mercurio sia per l'ambiente che per la salute dell'uomo. In ambito di clima e biodiversità le trattative sono proseguite a ritmo sostenuto. Particolare attenzione è stata riservata anche alle questioni di governance ambientale e all'organizzazione di un nuovo Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile nel 2012, ossia 20 anni dopo la Conferenza sull'ambiente di Rio.

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Gli intensi negoziati degli ultimi anni sul clima si prefiggono di condurre a un regime climatico vincolante conformemente al diritto internazionale per il periodo successivo al 2012, anno di scadenza dei vincoli di riduzione dei gas a effetto serra, attualmente in vigore per i Paesi industrializzati. Nel 2009 l'argomento è stato all'ordine del giorno dell'Assemblea generale dell'ONU e in particolar modo degli organi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). In occasione della Conferenza internazionale dell'ONU sul clima, tenutasi nel dicembre 2009 a Copenaghen, le speranze sono state ampiamente disattese: le parti contraenti della UNFCCC non hanno trovato un'intesa per il varo di un nuovo regime climatico globale. Alla luce di tale fallimento i capi di Stato e di Governo presenti hanno elaborato un compromesso, l'Accordo di Copenaghen, che riconosce nel cambiamento climatico una delle maggiori sfide dell'umanità e si impegna a contenere entro un massimo di 2°C l'aumento della temperatura media planetaria, fissando nel contempo ambiziosi obiettivi per l'aiuto finanziario ai Paesi in sviluppo. Da allora l'Accordo di Copenaghen è assurto a documento basilare per le trattative degli organi dell'ONU in tema di clima. Nel febbraio 2010 il Consiglio federale ha deciso l'adesione della Svizzera.

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2010 anno internazionale della biodiversità. Contrariamente allo scopo dichiarato della comunità degli Stati, a tutt'oggi non è stato possibile bloccare la depauperazione della diversità biologica.

Accanto ai cambiamenti climatici, la conservazione della varietà biologica rappresenta la sfida più significativa che la comunità internazionale è chiamata a rilevare nella tutela e nello sfruttamento sostenibile delle risorse naturali. Nel settembre 2010 si terrà il primo incontro di altro livello tra capi di Stato e di Governo sulla biodiversità. I lavori, sotto la guida del presidente dell'Assemblea generale, mirano a consolidare l'intesa politica affinché la Conferenza dei Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica organizzata in ottobre 2010 a Nagoya possa concretizzarsi in accordi vincolanti. Nel quadro delle trattative la Svizzera si impegna per una regolamentazione dell'accesso alle risorse chiara,
trasparente e non discriminatoria, che contempli anche indicazioni sull'origine e la provenienza di generi geneticamente modificati e un compenso equo.

L'attuale sistema di governance mondiale non è ancora in grado ­ nonostante tutti gli sforzi intrapresi ­ di fronteggiare efficacemente i problemi ambientali globali. La comunità internazionale non ha ancora saputo trovare un'intesa per l'adozione di misure incisive volte a consolidare la gestione ambientale nel quadro dell'ONU.

Alla luce di questa evoluzione la Svizzera appoggia la risoluzione di portare avanti il processo di rafforzamento della governance ambientale, varata nel febbraio 2010 dal Consiglio direttivo del Forum globale dei ministri dell'ambiente del PNUA. La Svizzera ritiene tuttora prioritario consolidare la governance ambientale a livello internazionale, e s'impegna affinché possano essere conseguiti dei progressi anche in questo ambito sia in seno al PNUA che in occasione della Conferenza prevista nel 2012 (Rio+20).

Sviluppo sostenibile: 20 anni dopo la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro, nel 2012 il Brasile ospiterà nuovamente una Conferenza di alto livello («Rio+20») sullo sviluppo sostenibile. Il vertice sarà incentrato sull'economia verde e le condizioni quadro istituzionali in relazione allo sviluppo sostenibile. La Svizzera annette grande importanza a questa conferenza e si impegna sin d'ora attivamente nell'ambito dei lavori preparatori. La Conferenza costituirà un'ottima occasione per fare il punto sullo stato di attuazione delle misure di promo1008

zione dello sviluppo sostenibile, e parallelamente consentirà di individuare le ulteriori necessità di intervento.

Diritti dell'uomo Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite: giunto al quarto anno dalla sua costituzione il Consiglio ha raggiunto una velocità di crociera di tutto rispetto.

Sommando le sessioni ordinarie, i gruppi di lavoro e le sessioni straordinarie, il Consiglio si riunisce circa 40 settimane all'anno per trattare i casi di violazione dei diritti dell'uomo avvenuti in determinati Paesi del mondo. Dal mese di maggio del 2009 il Consiglio ha indetto tre sessioni speciali, la prima consacrata alla situazione nello Sri Lanka (maggio 2009), la seconda incentrata sui territori occupati palestinesi compresa Gerusalemme Est (ottobre 2009) e la terza dedicata ai diritti dell'uomo all'indomani del terremoto di Haiti (gennaio 2010).

Inoltre, il Consiglio si occupa di un ampio ventaglio di questioni connesse ai diritti civili, politici, di natura economica, sociale e culturale. Nel 2009 è stato istituito un nuovo relatore speciale per i diritti culturali.

L'Esame periodico universale (EPU) è un importante strumento di promozione della trasparenza tra gli Stati, ma nel contempo anche in seno alla società civile. Fino all'estate del 2010 sono stati esaminati 128 Stati. Il fatto che taluni Paesi abbiano avviato prime misure di apertura verso la società civile o adottato degli impegni pubblici poco prima di presentare il loro rapporto nazionale è un elemento positivo da ascrivere all'EPU. D'altro canto, la rappresentazione ad alto livello dei Paesi esaminati durante l'EPU convalida la serietà attribuita a questo meccanismo, pur ammettendo che certi Stati tentano di manipolare a loro favore le regole stabilite. La vera sfida posta all'EPU consiste nell'attuazione sul terreno delle raccomandazioni accolte dai Paesi esaminati: se sarà concretizzata, perlomeno parzialmente, l'esame periodico si confermerà come contributo reale alla protezione dei diritti dell'uomo.

In virtù di quanto esposto il Consiglio dei diritti dell'uomo deve tuttavia fronteggiare numerose sfide: ­

le discussioni plenarie e le trattative sulle risoluzioni sono spesso offuscate dall'antagonismo tra i blocchi, in particolare tra i membri dell'Organizzazione della conferenza islamica e il Gruppo di Paesi africani su un fronte, e gli Stati occidentali, inclusa l'UE sull'altro. Le posizioni si arroccano sulle divergenze d'interpretazione delle libertà individuali e del ruolo dello Stato (il concetto della sovranità nazionale). Dal canto suo, la Svizzera si adopera per rilanciare il dialogo proponendo soluzioni di compromesso;

­

l'indipendenza dei relatori speciali incaricati di esaminare i diritti dell'uomo sul piano tematico o in determinati Paesi è regolarmene minata dalle delegazioni dei Paesi più restrittivi. La Svizzera sostiene l'indipendenza dei relatori speciali, le cui perizie si rivelano di cruciale importanza per il buon funzionamento dei lavori del Consiglio;

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alcuni Stati auspicherebbero che il Consiglio diventi l'organo direttivo dell'Alto commissariato, incaricato di controllare il budget e l'indirizzo delle linee strategiche d'intervento. Sostenitrice convinta dell'autonomia dell'Alto commissariato per i diritti dell'uomo, la Svizzera si oppone a questi sforzi, ritenendo che questa funzione di controllo spetti invece all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

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Conformemente alla risoluzione dell'Assemblea generale che ha istituito il Consiglio, quest'ultimo è tenuto a esaminare il proprio operato e funzionamento cinque anni dopo la sua costituzione. L'esame verrà svolto soltanto nel 2011, ma il processo di preparazione è già in corso e gli Stati membri si occupano delle modalità e del tenore della valutazione. In quest'ottica, il 20 aprile 2010 la Svizzera ha organizzato a Montreux una giornata di dibattiti informali volta a preparare il terreno dei negoziati formali previsti nell'autunno 2010.

Riconfermata il 13 maggio 2010 per un ulteriore mandato triennale al Consiglio dei diritti dell'uomo, la Svizzera intende partecipare attivamente all'esame fissato per il 2011 e il cui esito segnerà le sorti dell'istituzione. In questo conteso si adopera in prima linea affinché questo processo si concentri sul miglioramento degli strumenti esistenti (procedure speciali, EPU), in modo tale che il Consiglio sia in grado di reagire in modo rapido ed efficace alle violazioni dei diritti dell'uomo, ovunque ciò avvenga (vedi anche n. 4.2.3).

Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo: dal Vertice mondiale del 2005 l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo ha vissuto una fase di crescita che ha visto letteralmente raddoppiare il regolare budget a sua disposizione. Tuttavia, poco meno di due terzi degli stanziamenti provengono da contributi volontari degli Stati membri, che in tal modo lo espongono alla critica di piegarsi unicamente al loro volere. Come anticipato in precedenza certi Paesi del Sud sono pertanto intenzionati a sottoporre l'Alto Commissariato a un controllo più rigido da parte del Consiglio dei diritti dell'uomo, in modo tale da poter esercitare ­ nel quadro intergovernativo ­ un maggior influsso sulle priorità tematiche, la ripartizione geografica degli interventi e la composizione del personale dell'Alto Commissariato.

In qualità di Paese ospite e fra i 15 principali finanziatori dell'Alto Commissariato, la Svizzera si adopera con risolutezza per garantire l'indipendenza di questo organo, incoraggiandolo nel contempo a prediligere una comunicazione più trasparente e strategica con gli Stati membri.

La Corte internazionale di giustizia (CIG) L'organo giudiziario principale dell'ONU, la Corte internazionale
di giustizia (CIG) dell'Aia, è una delle pietre angolari del regolamento pacifico dei contenziosi internazionali. La Svizzera ha sempre incoraggiato il ricorso a mezzi pacifici, segnatamente giudiziari, per risolvere i conflitti tra Stati. Per tale ragione, il 28 luglio 1948 la Svizzera ha aderito allo Statuto della CIG accettandone la giurisdizione obbligatoria tramite dichiarazione unilaterale rilasciata il giorno stesso.

Attualmente la Svizzera ha a carico due procedure dinanzi alla CIG. La prima è una procedura di carattere consultivo. Dando seguito alla richiesta dell'Assemblea generale dell'ONU di rilasciare un parere consultivo in tema di conformità al diritto internazionale della dichiarazione unilaterale d'indipendenza delle istituzioni provvisorie d'amministrazione autonoma del Kosovo, la CIG ha invitato gli Stati membri dell'ONU a presentare delle osservazioni; il 15 aprile 2009 la Svizzera ha consegnato un rapporto scritto di una trentina di pagine sull'argomento. La seconda procedura è contenziosa. Il 22 dicembre 2009 il Regno del Belgio ha depositato un'istanza dinanzi alla CIG contro la Confederazione Svizzera. Il Belgio adduce diverse violazioni del diritto internazionale pubblico, segnatamente della Conven-

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zione del 16 settembre 198821 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, nell'ambito delle procedure di fallimento di Sabena e Swissair. La Svizzera sta approntando la strategia necessaria per organizzare in modo efficace la propria difesa dinanzi alla CIG.

Gestione e finanziamento dell'ONU Sebbene siano stati intrapresi sforzi di modernizzazione e miglioramento dell'efficienza, negli ultimi anni i sostanziali miglioramenti della cultura e dei metodi di conduzione auspicati in seno al Segretariato delle Nazioni Unite non si sono prodotti. La gestione incentrata sui risultati o la gestione dei rischi estese a tutta l'organizzazione sono applicate soltanto sporadicamente e in modo superficiale. In aggiunta, la regolamentazione delle competenze e delle responsabilità interne è carente.

La maggior parte degli Stati membri non è disposta a fornire al Segretario generale strumenti di conduzione al passo con i tempi e che gli consentirebbero di reagire prontamente ai cambiamenti delle condizioni quadro e di disporre in maniera flessibile delle risorse a disposizione. Temono infatti che un maggiori spazio di manovra potrebbero indurre il Segretario generale a privilegiare gli interessi dei principali Stati donatori, a scapito delle rivendicazioni dei Paesi in sviluppo più poveri.

La Svizzera si impegna da anni per promuovere la discussione, su un piano oggettivo, dei moderni metodi di gestione e per illustrarne i vantaggi. Tra gli Stati membri prevale tuttavia uno scetticismo che affonda le radici nella struttura stessa di governance dell'ONU. Viste tali premesse, i Paesi membri con scarsa influenza o che ritengono di essere sottorappresentati nei principali organi decisionali (come il Consiglio di sicurezza) saranno inclini anche in avvenire a limitare lo spazio di manovra del Segretario generale.

Nonostante un leggero calo dell'aliquota di contribuzione al 1° gennaio 2010, la Svizzera permane nel novero dei principali sostenitori delle Nazioni Unite (16° rango, aliquota di contribuzione dell'1,13 %). In cifre assolute la Svizzera dovrà far fronte a un incremento dei contributi obbligatori a favore dell'ONU, che nella media degli ultimi quattro anni ammontano a circa 120 milioni di franchi annui. L'aumento va ricondotto essenzialmente
all'esplosione della spesa per gli interventi di mantenimento della pace e alle uscite per le missioni politiche speciali dell'ONU.

La Svizzera, unitamente al gruppo dei sedici maggiori contribuenti (Gruppo di Ginevra), si adopera per ottimizzare il processo di determinazione del bilancio delle Nazioni Unite, la cui struttura, ancora troppo complessa e onerosa, ostacola la direzione strategica dell'organizzazione da parte degli Stati membri.

La Svizzera, Paese ospite di organizzazioni internazionali La Svizzera vanta una lunga tradizione d'accoglienza di organizzazioni internazionali. Su un totale di 26 organizzazioni che hanno concluso un accordo di sede con la Svizzera, 23 si sono stabilite a Ginevra, due a Berna (l'Unione postale universale e l'Organizzazione intergovernativa per i trasporti internazionali per ferrovia) e una a Basilea (la Banca dei regolamenti internazionali).

Unitamente a New York, Ginevra, in qualità di principale sede europea delle Nazioni Unite, è considerata uno dei due più importanti centri per la collaborazione 21

Convenzione di Lugano, RS 0.275.11.

1011

multilaterale. Il crescente numero di Stati che intrattiene almeno una missione permanente a Ginevra (163 Stati nel 2009), come pure la cifra record di circa 180 000 delegati ed esperti che nel 2009 hanno preso parte alle diverse migliaia di simposi e conferenze indette dalle organizzazioni internazionali e ONG a Ginevra attestano l'attrattiva della «Ginevra internazionale». Sul piano politico, l'internazionalità della città sul Lemano conferisce alla Svizzera la facoltà di influire sulle relazioni internazionali in una misura che eccede il peso politico del Paese, contribuendo alla realizzazione dei nostri obiettivi di politica estera. Inoltre, la fitta presenza di organizzazioni internazionali e di ONG a Ginevra, come pure le conferenze che vi si svolgono, hanno effetti positivi apprezzabili per l'economia nazionale.

Gli strumenti della politica svizzera d'accoglienza: a livello tematico, la politica della Svizzera quale Stato ospite è incentrata sui seguenti cinque punti cardine: 1. pace, sicurezza e disarmo; 2. affari umanitari e diritti dell'uomo; 3. salute; 4. lavoro, economia e scienza 5. sviluppo sostenibile e conservazione delle risorse naturali.

La Confederazione e i Cantoni che ospitano organizzazioni internazionali collaborano intensamente al riguardo. La politica d'accoglienza della Svizzera poggia essenzialmente sugli strumenti illustrati di seguito: ­

Quadro giuridico La legge sullo Stato ospite22 è entrata in vigore il 1° gennaio 2008 unitamente alla relativa ordinanza d'applicazione23. I due testi normativi hanno consolidato le basi giuridiche esistenti e codificato la prassi pluriennale nel settore della politica d'accoglienza. Le nuove basi legali accrescono l'efficacia della politica dello Stato ospite.

­

Fondazione degli immobili per le organizzazioni internazionali (FIPOI) Per la ricerca di superfici adeguate nell'area ginevrina le organizzazioni internazionali possono avvalersi del supporto della FIPOI, una fondazione di diritto privato istituita nel 1964 dalla Confederazione e dal Cantone di Ginevra. Per consentire alla FIPOI di portare avanti il proprio mandato, la Confederazione le accorda prestiti senza interesse rimborsabili sull'arco di 50 anni, mediante i quali la fondazione permette alle organizzazioni internazionali di acquistare, costruire o ristrutturare gli edifici necessari.

­

Misure di sicurezza Il finanziamento dei dispositivi di sicurezza installati negli edifici e sopra di essi è a carico delle organizzazioni internazionali. Conformemente alla prassi internazionale, lo Stato ospite è invece responsabile della sicurezza esterna all'edificio e alla sua recinzione. In quest'ottica, nel giugno del 2006 le Camere federali hanno approvato un credito d'impegno di 10 milioni di franchi per installazioni di sicurezza nelle costruzioni. Il 19 maggio 2010 il Consiglio federale ha rinnovato il credito per lo stesso importo.

Sul suo territorio la Svizzera offre alle organizzazioni che vi si sono insediate condizioni di lavoro e di vita vantaggiose, dispositivi di sicurezza, nonché uffici e sale 22

23

Legge federale del 22 giugno 2007 sui privilegi, le immunità e le facilitazioni, nonché sugli aiuti finanziari accordati dalla Svizzera quale Stato ospite (Legge sullo Stato ospite, LSO), RS 192.12.

Ordinanza del 7 dicembre 2007 relativa alla legge federale sui privilegi, le immunità e le facilitazioni, nonché sugli aiuti finanziari accordati dalla Svizzera quale Stato ospite (Ordinanza sullo Stato ospite, OSOsp), RS 192.121.

1012

conferenza. Tuttavia, la Svizzera è confrontata con tutta una serie di sfide relative all'accoglienza delle organizzazioni e delle conferenze internazionali. Le principali sono elencate di seguito: ­

Inasprimento della concorrenza internazionale Dalla fine della Guerra fredda la concorrenza internazionale per l'insediamento di organizzazioni e conferenze internazionali si è intensificata, tanto che la Svizzera incontra crescenti difficoltà nel trattenere a Ginevra le attuali organizzazioni internazionali o nell'attirarne di nuove. A partire dagli anni Novanta diversi Paesi e città d'Europa (segnatamente Vienna, L'Aia, Copenaghen, Bonn, ma anche Budapest o la Spagna) hanno potenziato la loro offerta nel settore dell'accoglienza, ottenendo un discreto successo nell'insediamento di organizzazioni internazionali. Negli ultimi anni, in questo stesso settore sono emersi nuovi attori come Singapore, Abu Dhabi, Dubai, il Qatar e la Corea del Sud. Questi ultimi dispongono di credenziali in parte ottime (mezzi finanziari, politica caratterizzata da iter decisionali celeri, ambizioni globali) per assumere in futuro un importante ruolo quali Stati ospite di organizzazioni internazionali.

­

Universalità A differenza di New York, Ginevra non vanta una rappresentazione universale in materia di accoglienza delle missioni permanenti. Dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite, 191 missioni permanenti sono insediate a New York, che risulta dunque avvantaggiata rispetto a Ginevra, dove a tutt'oggi 28 Stati membri dell'ONU non dispongono di alcuna rappresentanza permanente.

­

Aumento dei costi legati alle misure di sicurezza Negli ultimi anni il tema della sicurezza ha assunto un'importanza centrale per tutte le organizzazioni internazionali e ha richiesto ingenti investimenti in materia. L'inasprimento della concorrenza internazionale, unito alle crescenti misure di sicurezza che gli Stati ospite devono adottare, si è tradotto in un aumento dei costi per la politica d'accoglienza della Svizzera.

­

Finanziamento delle ristrutturazioni e della manutenzione degli immobili Un altro tema importante cui è confrontato il nostro Paese sono i lavori di ristrutturazione e manutenzione degli edifici ospitanti le sedi delle organizzazioni insediate a Ginevra, tanto più che alcune di esse hanno trascurato tale aspetto e accantonato mezzi del tutto insufficienti a un risanamento globale. Il quadro appare critico, in particolare per alcune costruzioni di vecchia data come il Palazzo delle Nazioni Unite o la sede dell'Organizzazione internazionale del lavoro. I costi stimati per gli impellenti interventi di risanamento ammontano a svariate centinaia di milioni di franchi, somma di cui le organizzazioni interessate al momento non dispongono.

­

Mercato immobiliare teso La situazione assai tesa che contraddistingue il mercato immobiliare ginevrino riduce massicciamente le possibilità di allargare l'offerta della Ginevra internazionale e aggiunge un'ulteriore sfida alla politica svizzera d'accoglienza. La scarsità degli spazi abitativi e il livello elevato degli affitti gravano ulteriormente sui costi del personale delle organizzazioni internazionali con sede a Ginevra, visto che queste ultime devono aumentare le indennità per l'alloggio dei loro dipendenti.

1013

­

Conflitti di lavoro tra Stati esteri e datori di lavoro, membri di rappresentanze estere o di organizzazioni internazionali Il servizio di mediazione istituito dal Cantone di Ginevra, il «Bureau de l'Amiable Compositeur», ha ampiamente contribuito a risolvere i conflitti di lavoro emersi tra il personale domestico privato e i rispettivi datori di lavoro e tra gli impiegati locali e lo Stato per cui lavorano. Le procedure sono state rivalutate e migliorate al fine di accrescerne l'efficienza.

Prospettive della politica d'accoglienza: in veste di Stato ospite, la Svizzera è interessata a che le organizzazioni internazionali sul suo territorio dispongano di edifici moderni e funzionali. Lo stato precario in cui versano alcuni stabili delle organizzazioni internazionali di Ginevra e la carenza di mezzi finanziari hanno fatto aumentare la pressione sulla Svizzera affinché, contrariamente alla prassi dello Stato ospite sinora adottata, preveda di partecipare ai costi di ristrutturazione. In tale contesto le organizzazioni internazionali tendono a confrontare la Svizzera agli Stati ospite che assumono interamente (ad es. l'Austria per la sede dell'ONU a Vienna e l'Italia per le strutture della FAO a Roma) o perlomeno in parte (p.es. la Francia per l'UNESCO a Parigi) i costi di risanamento degli edifici occupati dalle organizzazioni internazionali.

In linea con la sua politica in materia, il Consiglio federale ritiene fermamente che spetti alle organizzazioni internazionali assumere i costi di manutenzione e ristrutturazione degli edifici. Ciononostante, data la prassi adottata in passato, è disposto a valutare l'opportunità di un contributo svizzero (coadiuvato da altri Stati membri) ai costi di ristrutturazione, come avvenuto per esempio per i lavori presso la sede dell'ONU a New York. I servizi preposti del DFAE e del DFF seguono congiuntamente la situazione, accertandosi che la politica dello Stato ospite condotta dalla Svizzera sia sempre conforme alle esigenze della Ginevra internazionale.

Presenza della Svizzera nel sistema delle Nazioni Unite Dalla sua adesione nel 2002 la Svizzera si impegna per rafforzare la propria presenza negli organi principali e rappresentativi delle organizzazioni ritenute prioritarie e disporre di personale elvetico a tutti i livelli gerarchici degli organi esecutivi nel sistema delle Nazioni Unite.

Presenza della Svizzera negli organi rappresentativi del sistema delle Nazioni Unite Il contributo fornito dalle rappresentanze permanenti della Svizzera a New York, Ginevra, Vienna e Roma alle attività correnti dell'ONU non può prescindere dalla rappresentanza della Svizzera non soltanto nell'organo plenario (Assemblea generale), bensì pure nei diversi organi rappresentativi dell'organizzazione centrale e delle organizzazioni speciali del sistema delle Nazioni
Unite. L'elenco seguente riassume l'attuale presenza della Svizzera e le candidature in corso.

Presidenza svizzera dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite: come già esposto all'inizio del presente capitolo, l'ex consigliere federale Joseph Deiss attualmente presiede l'Assemblea generale dell'ONU. Un cittadino svizzero riveste così una delle cariche più prestigiose e impegnative all'interno del sistema delle Nazioni Unite.

Possibile candidatura al Consiglio di sicurezza dell'ONU: sulla base di un rapporto elaborato dal DFAE, nel 2009 le Commissioni della politica estera hanno sondato il terreno in vista della possibile candidatura, in un'ottica di medio termine, della 1014

Svizzera al Consiglio di sicurezza dell'ONU. Nell'intento di vivacizzare il dibattito ancora nell'anno in corso, il DFAE ha trasmesso alle Commissioni della politica estera un secondo rapporto, di cui il Consiglio federale ha preso conoscenza il 14 aprile 2010, che propone di sottoporre una candidatura per il 2022 (per aspirare a un seggio nel Consiglio di sicurezza nel biennio 2023­2024). Per tale periodo non sono state inoltrate altre candidature da parte di Paesi del gruppo dell'Europa occidentale. Appoggiandosi inoltre sulle esperienze raccolte dall'Austria in qualità di membro non permanente, il rapporto sottolinea come anche i Paesi neutrali siano in grado di mettere a frutto lo spazio di manovra loro concesso in seno al Consiglio di sicurezza. Con un'adesione la Svizzera confermerebbe la disponibilità ad assumersi responsabilità a livello globale, rafforzando così la sua posizione nel mondo. Per la Svizzera un seggio all'interno del Consiglio di sicurezza equivarrebbe a una piattaforma per difendere i propri interessi nell'ambito della promozione della pace, con ricadute positive sul suo ruolo di intermediario e mediatore super partes. L'accesso ai contatti a livello internazionale ne sarebbe agevolato come pure l'estensione e il mantenimento delle reti di relazioni.

Altre rappresentanze e candidature: in occasione della 64° Assemblea generale, la Svizzera ha presieduto la Quinta Commissione, che incentra il proprio operato sulle questioni amministrative e di bilancio. Nel novembre 2009 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha eletto la Svizzera nel Consiglio di amministrazione del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente con un mandato quadriennale, e nel maggio del 2010 la Svizzera, per la seconda volta dopo la carica assunta tra il 2006 e il 2009, è stata chiamata con un mandato triennale a ricoprire un seggio in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo. In virtù del seggio che occuperà per la prima volta nel biennio 2011­2012 in seno al Consiglio economico e sociale (ECOSOC), la Svizzera potrà esercitare maggiormente il suo influsso in uno degli organi principali delle Nazioni Unite. Nel mese di ottobre 2009 la Svizzera è entrata a far parte del Comitato del patrimonio mondiale dell'UNESCO per il mandato dal 2010 al 2013.

Altre candidature sono state inoltrate per un seggio nel
Consiglio di amministrazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) dal 2011 al 2014, per la presidenza di una commissione tecnica presso l'Organizzazione meteorologica mondiale e per l'adesione al Consiglio dell'Unione internazionale delle telecomunicazioni.

Presenza di personale svizzero nel Segretariato dell'ONU Reclutando e promuovendo l'inserimento di forze lavorative qualificate elvetiche all'interno del servizio pubblico internazionale delle Nazioni Unite, la Svizzera allarga la propria visibilità, contribuendo altresì a soddisfare la richiesta del Segretariato dell'ONU di candidati idonei. Il DFAE riceve ogni anno dalle 200 alle 300 richieste di sostegno da parte di cittadini svizzeri intenzionati a inoltrare il loro dossier di candidatura a un'organizzazione internazionale.

Nel 2009 l'intero sistema delle Nazioni Unite occupava circa 90 000 persone. La quota di Svizzeri equivaleva all'1 per cento circa. Il 30 giugno 2009 il Segretariato dell'ONU contava circa 40 000 funzionari, di cui 10 000 con formazione accademica, il 27 per cento dei quali vincolati a una determinata chiave di riparto geografica24. Per la Svizzera il contingente di occupazione di tali posti è di 24­34 persone.

24

La chiave di riparto per la quota geografica è costituita da tre fattori. L'affiliazione di uno Stato all'ONU viene conteggiata al 40 %, al 55 % l'ammontare dei contributi versati, e al 5 % il numero degli abitanti.

1015

Nel 2009, con 32 posti occupati, è stato ampiamente sfruttato. La presenza delle donne tra i funzionari di cittadinanza svizzera si situa al 75 per cento per quanto concerne i posti con chiave di riparto geografica, e al 66 per cento in totale per i posti accademici, cifre che superano largamente la media del Segretariato generale (45 % per i posti geografici e 40 % per le funzioni accademiche). Per ulteriori dettagli in merito rimandiamo alla tabella sottostante.

Presenza di personale svizzero nel Segretariato delle Nazioni Unite (30 giugno 2009)25 Segretariato dell'ONU

Personale

Personale complessivo 39 978 Personale accademico 10 148 Personale vincolato alla chiave di riparto geografica 2 809

di cui donne

Quota CH

Quota femminile CH

assoluta

%

assoluta

%

assoluta %

13 440 4 101

33 40

312 125

0,78 1,23

166 82

1 260

45

32

1,14

24

53,2 65,6 75

Partenariato con la società civile svizzera e l'ONU La Svizzera è fermamente convinta che una società civile dinamica, attiva e compartecipe contribuisca a migliorare il funzionamento delle Nazioni Unite. Un rapporto di partenariato più profondo con la società civile nel suo insieme e con i suoi settori più dinamici in particolare rafforza sia la qualità che la legittimità dei lavori dell'organizzazione. Negli ultimi anni il DFAE si è adoperato per consolidare i rapporti con determinate figure chiave della società civile sui quali oggi la Svizzera può contare per stimolare il dibattito sulla politica svizzera in seno alle Nazioni Unite.

Un particolare accento è stato posto sullo sviluppo dei rapporti con i giovani, il mondo accademico e l'Associazione Svizzera ­ ONU, un partenariato di lunga data che assume un ruolo importante in qualità di ponte tra gli attori della società civile in generale. Per l'anno prossimo il nostro obiettivo è di approfondire le relazioni con questi tre attori chiave, incoraggiandoli a rilanciare le grandi sfide che la Svizzera potrà rilevare in occasione del 65° anno onusiano e anche in futuro. Un altro obiettivo consiste nell'intensificare gli scambi tra i vari attori della società civile.

I primi legami intessuti con il mondo accademico risalgono alla fine del 2007. Il partenariato sarà approfondito grazie al sostegno di un nuovo progetto, lo «Swiss Academic Network on the UN». Questa rete si prefigge di intensificare gli scambi tra gli atenei svizzeri, rafforzando anche i loro contatti con il DFAE.

La gioventù si conferma un partner particolarmente dinamico e visibile della società civile svizzera. Nel 2008 e 2009 i giovani hanno lanciato svariate iniziative incentrate su temi vicini alle Nazioni Unite. Mai prima d'ora si era assistito a una simile mobilitazione di gruppi, associazioni e singoli individui impegnati nell'organizzazione di conferenze, seminari o riunioni sull'ONU. A titolo di esempio il Réseau suisse Jeunesse-ONU (JUNES), l'organo centrale delle associazioni studentesche, ha saputo riunire le energie e dinamizzare gli scambi tra i suoi membri. Un'attività 25

Cfr. risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite A/64/352, 15 sett. 2009.

1016

particolarmente apprezzata dagli studenti e organizzata con regolarità nelle università svizzere sono le simulazioni delle Nazioni Unite, strumenti assai efficaci per sensibilizzare i giovani alla negoziazione multilaterale e alle sfide globali. Nel 2009 le Nazioni Unite hanno organizzato la loro prima simulazione «ufficiale», il Global Model United Nations (Global MUN). Ginevra è stata scelta per accogliere questa prima edizione e il Palazzo delle Nazioni ha così potuto accogliere circa 370 studenti universitari provenienti dal tutto il mondo.

Conclusione All'interno del sistema delle Nazioni Unite la Svizzera gode dell'immagine di uno Stato indipendente e impegnato che persegue una politica attiva autonoma, prevedibile e credibile. In qualità di partner attivo e innovatore di un'organizzazione confrontata a considerevoli sfide globali, la Svizzera è chiamata a riconsiderare regolarmente il proprio ruolo e le proprie priorità tematiche, controllare i mezzi a disposizione per rafforzare la propria incisività e difendere i propri interessi. Per un Paese come la Svizzera sarebbe quanto mai auspicabile che gli affari di portata mondiale fossero affrontati in seno all'ONU, dove gode degli stessi diritti di qualsiasi altro Stato membro. Alla stregua di altri Paesi non assoggettati alla disciplina dei blocchi, al momento di adottare decisioni chiave in seno all'ONU il peso politico della Svizzera si rivela assai limitato. Ciononostante, l'autonomia di cui gode le permette di sfruttare il suo margine di manovra, esporre le proprie posizioni senza distorsioni e tentare di calarsi nei panni del membro facilitatore.

3.1.2

Consiglio di partenariato euro atlantico e Partenariato per la pace

Tendenze e sfide In materia di sicurezza internazionale la Svizzera aderisce, oltre all'OSCE e all'ONU, al Consiglio di partenariato euro atlantico (EAPC) e al Partenariato per la pace (PfP), dal 1996 e dal 1997. Ambedue le organizzazioni sono state fondate nel 1994 e nel 1997 dalla NATO nell'intento di stimolare tutti gli Stati della regione euroatlantica a una cooperazione pratica ad hoc e di approfondire il dialogo sulla sicurezza. Negli ultimi anni il paesaggio euroatlantico in ambito di sicurezza ha subìto modifiche sostanziali. Innanzitutto la NATO si è allargata sino al Baltico e ai Balcani, portando il numero dei propri membri dai 16 del 1991 ai 28 nel 2009. Pur mantenendo la vocazione militare, la NATO è assurta a organizzazione di sicurezza euroatlantica impegnata in settori che spaziano dalla cyber difesa, all'approccio globale in materia di operazioni internazionali di pace sino alla sicurezza in campo energetico. In aggiunta all'EAPC/PfP, la NATO ha intensificato i partenariati con gli Stati del bacino del Mediterraneo (Dialogo Mediterraneo) e i Paesi del Golfo (Iniziativa d'Istanbul). Altri Paesi geograficamente più discosti (Australia, Giappone o Nuova Zelanda) si sono uniti in partenariato con la NATO in primo luogo grazie al loro contributo alle operazioni. In aggiunta, la NATO si impegna in particolare nelle operazioni internazionali di mantenimento della pace, e in quest'ottica ha effettuato ingenti sforzi in Afghanistan (tramite la FIAS). Grazie ai contributi e alle attività mirate nel quadro dell'EAPC/PfP, la Svizzera consolida il rapporto di mutuo beneficio con l'Alleanza atlantica.

1017

Attività della Svizzera Per la Svizzera il Consiglio di partenariato euroatlantico (EAPC) e il Partenariato per la pace (PfP) sono due elementi essenziali dell'architettura europea di sicurezza, e al tempo stesso uno strumento importante della politica di sicurezza elvetica. In questo contesto la Svizzera si basa infatti sul principio secondo cui la stabilità e la sicurezza nello spazio euroatlantico possono essere raggiunte soltanto attraverso la cooperazione. Per la Svizzera l'EAPC/PfP rappresenta una piattaforma essenziale per collaborare alle attività riguardanti la sicurezza collettiva e, al tempo stesso, uno strumento utile per scambiare conoscenze ed esperienze in ambito militare. Prendendo spunto dal principio della partecipazione volontaria, il Partenariato euroatlantico non comporta alcun obbligo giuridico di partecipazione a determinate attività e si concilia quindi perfettamente con la neutralità svizzera.

Nell'ambito dell'EAPC/PfP la Svizzera si impegna per migliorare la collaborazione militare, per la pianificazione civile delle situazioni di emergenza, l'aiuto in caso di catastrofi o la promozione del diritto internazionale umanitario e il controllo democratico delle forze armate. La partecipazione al Partenariato offre alla Svizzera anche un accesso diretto e istituzionale agli Stati membri della NATO che svolgono un ruolo chiave per la sicurezza europea (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania).

Nel quadro del PfP la Svizzera offre corsi di formazione ad altri Stati membri e partecipa ad attività ed esercitazioni della NATO aperti a tutti gli Stati membri.

Grazie a queste attività il nostro Paese può migliorare le sue capacità in ambito di gestione delle crisi, nell'ottica di una partecipazione alle operazioni di promozione della pace. Per il futuro occorrerà concentrarsi maggiormente sulle nuove minacce che incombono sulla politica di sicurezza nel contesto europeo e internazionale, esacerbate dalle ricadute della crisi economica. In quest'ottica acquistano per esempio maggior rilievo tematiche quali la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, il terrorismo, gli Stati deboli o in declino, la cyber difesa. La Svizzera partecipa alle discussioni nel quadro dell'EAPC e della ridefinizione del nuovo indirizzo strategico della NATO, che sarà adottato in occasione del
Vertice di Lisbona nel novembre 2010.

Prospettive a breve e medio termine Per le operazioni di sostegno della pace la NATO, in avvenire, conterà sempre più sull'impegno dei partner sotto forma di interventi civili e militari sul terreno (che, per la Svizzera, presuppongono un mandato dell'ONU o dell'OCSE). Per questo, in futuro, le relazioni della Svizzera con la NATO dipenderanno sempre più dalla forma e dalla portata del contributo elvetico alle operazioni di pace condotte dall'Alleanza. In base ai suoi interessi in materia di politica estera e di sicurezza, la Svizzera valuterà ogni contributo futuro a operazioni condotte dalla NATO. Attualmente sono 22 (su 50) gli Stati membri del Partenariato euroatlantico esterni alla NATO, tra cui anche la Svizzera. L'avvenire di questa istituzione di sicurezza politica dipenderà molto dall'importanza che questi Stati le vorranno accordare. Considerate le riforme in corso sulle strutture dei diversi partner della NATO, la Svizzera si adopererà anche in avvenire affinché l'EAPC/PfP si confermi un modello di cooperazione pratica e di dialogo sulla sicurezza per tutti i suoi partner.

1018

3.1.3

Francofonia

Il 2010 segna le celebrazioni per il 40° anniversario dell'Organizzazione internazionale della Francofonia (OIF). In tale occasione, la Svizzera ospita la XIII Conferenza dei capi di Stato e di Governo dei Paesi accomunati dalla lingua francese.

Comunemente nota come il «Vertice della Francofonia», l'incontro si tiene ogni due anni allo scopo di definire l'indirizzo di massima della Francofonia.

Forte dei suoi 56 Stati e governi membri e di 14 Paesi osservatori, la Francofonia si impegna a livello internazionale innanzitutto per promuovere la pace, la democrazia e lo stato di diritto come pure per la diversità culturale e linguistica. Opera altresì nel campo dell'educazione di base, dell'insegnamento superiore e dello sviluppo sostenibile.

Oltre alla cooperazione intergovernativa, la Francofonia svolge le proprie attività essenzialmente con l'appoggio dei suoi quattro operatori specializzati, ossia l'Agenzia universitaria della Francofonia (AUF), l'emittente televisiva internazionale TV5 Monde, l'Associazione internazionale dei sindaci francofoni (AIMF) e l'Università Senghor. Come organo consultivo la Francofonia fa inoltre capo a un'Assemblea parlamentare, che unitamente agli operatori, costituisce il nodo centrale di una vasta rete associativa e diversificata.

La Svizzera partecipa a tutti gli organi della Francofonia come pure ai lavori di tutti i suoi operatori. Nel 1984 ha in particolare preso parte alla fondazione del canale televisivo internazionale francofono TV5, nel cui Consiglio di amministrazione siede anche la SSR. Tutte le Università romande, il Politecnico federale di Losanna (EPFL), la Scuola universitaria professionale della Svizzera occidentale e altri istituti sono membri dell'Agenzia universitaria della Francofonia. Losanna e Ginevra aderiscono all'Associazione internazionale dei sindaci francofoni. Inoltre, il Parlamento federale è rappresentato da una delegazione in seno all'Assemblea parlamentare della Francofonia.

La Francofonia, che rappresenta oltre un terzo degli Stati membri dell'ONU, tenta di posizionarsi come attore delle relazioni internazionali, segnatamente per quanto attiene alla gestione e alla composizione dei conflitti nell'Africa francofona, e alla mobilizzazione degli Stati membri di fronte alle grandi sfide mondiali. Per la Svizzera, che ne è il 4° erogatore di fondi dopo la Francia, il Canada e la Comunità francofona del Belgio, la Francofonia rappresenta un palcoscenico dal quale realiz1019

zare i suoi obiettivi di politica estera, come la promozione del rispetto dei diritti dell'uomo, della democrazia, della sicurezza umana e della prevenzione dei conflitti.

Analogamente, la Svizzera in questo consesso cerca di ottenere il successo per numerose iniziative e candidature sul piano internazionale.

L'assunzione della presidenza fino al 2012 e soprattutto l'organizzazione del XIII Vertice della Francofonia hanno permesso alla Svizzera di presentarsi ai suoi partner francofoni come un Paese attaccato alla lingua francese e che persegue gli stessi obiettivi, vale a dire la pace, la democrazia, lo Stato di diritto e la diversità culturale e linguistica. Il Vertice, incentrato sulle «sfide e le visioni future della Francofonia», ha consentito inoltre alla Svizzera di contribuire in modo sostanziale all'indirizzo futuro che i capi di Stato e di Governo vorranno imprimere alla Francofonia. In tale contesto i temi principali sono la collocazione della Francofonia nella governance mondiale, la Francofonia e le sfide quali la sicurezza alimentare, i cambiamenti climatici e la biodiversità e il ruolo del francese e dell'educazione di fronte alle sfide poste dalla diversità e dall'innovazione.

3.1.4

Forme associative regionali extraeuropee

Negli ultimi anni si è assistito all'avvento di forme associative regionali provenienti dall'Africa, dall'America e dall'Asia. In seno alle organizzazioni principali, di cui esponiamo di seguito la collaborazione con il nostro Paese, la Svizzera vanta uno statuto di osservatore.

Unione Africana (UA) Dalla sua fondazione nel 2002, anno in cui ha ripreso il testimone dall'Organizzazione per l'unità africana, l'Unione Africana (UA) ha conosciuto un ampio sviluppo e migliorato sensibilmente la propria visibilità. Forte di un enorme prestigio e di peso morale tra gli Stati membri, per i Paesi africani l'UA costituisce un importante punto di riferimento per l'impostazione della politica estera, ad esempio all'atto di coordinare le posizioni africane a livello multilaterale. Nel continente africano opera come principale promotrice della pace e agisce praticamente in tutti gli ambiti della politica dello sviluppo, come ad esempio la lotta all'indigenza, ma anche la migrazione, il commercio o l'energia.

All'UA aderiscono tutti i 53 Stati africani, ad eccezione del Marocco. Ispirandosi alla missione di favorire l'integrazione panafricana, l'organizzazione si adopera per risolvere i problemi del continente dall'interno, rafforzando nel contempo il suo posizionamento verso l'esterno. L'Unione mira alla conquista di uno sviluppo economico, sociale e culturale sostenibile, con l'obiettivo ultimo di concretizzare l'unità politica ed economica del continente africano. In quest'ottica essa promuove la pace, la sicurezza e la stabilità, la democrazia, lo Stato di diritto e il buon governo come pure i diritti dell'uomo nell'intento di attuare una politica estera, di difesa e di comunicazione comune.

Nel 2006 la Svizzera ha avviato relazioni formali con l'UA in veste di osservatrice, concentrando il proprio interesse sulle attività di promozione della democrazia e della pace, sulla politica di sviluppo e sull'aiuto umanitario, sul buon governo e sul rispetto dei diritti dell'uomo. Sinora la collaborazione si è svolta su base piuttosto specifica, ad esempio mediante il sostegno di risorse nell'ambito dell'allarme rapido e della prevenzione dei conflitti. Considerata la crescente importanza assunta 1020

dall'UA in veste di attore regionale, la Svizzera ha tutto l'interesse a rinsaldare i propri rapporti e a ricercare nuove forme di collaborazione con questa organizzazione.

Organizzazione degli Stati americani (OSA) Pioniera dell'istituzionalizzazione del dialogo e della cooperazione multilaterali nel Nord e Sudamerica, l'OSA funge da importante anello di congiunzione tra il Nord e il Sud, riunendo al suo interno praticamente tutti gli Stati del continente. Gli obiettivi prioritari dell'organizzazione sono il consolidamento dei principi democratici e dei diritti dell'uomo come pure la promozione della pace e della sicurezza. La Commissione interamericana dei diritti dell'uomo e l'omonima Corte costituiscono importanti strumenti per garantire l'osservanza e l'effettiva applicazione dei diritti dell'uomo nel continente.

Dopo l'esclusione nel 1962 del governo cubano dall'Organizzazione, nel 2009 l'Assemblea generale si è rivolta a Cuba invitandola ad aderirvi. Nel frattempo, dopo il colpo di Stato militare del giugno 2009 contro il presidente democraticamente eletto, è stata sospesa l'affiliazione dell'Honduras.

Per la Svizzera, che dal 1978 detiene lo statuto di osservatrice presso l'OSA, l'Organizzazione offre una piattaforma ideale per monitorare l'evoluzione macropolitica del Continente americano. La rete di contatti politici intessuta dalla Svizzera con gli Stati membri dell'Organizzazione può in tal modo essere ampliata con facilità.

Sul piano operativo la Svizzera collabora regolarmente alle missioni di monitoraggio elettorale dell'OSA e in casi specifici vi partecipa inviando osservatori propri. Nel 2009 e 2010 ha inoltre preso parte a progetti di promozione della libertà di opinione in America Latina. La cooperazione nel quadro di questi progetti si rivela uno strumento eccellente per accrescere la visibilità della Svizzera nei Paesi ospite e confermarne l'immagine di partner attrattivo.

Oltre all'OSA, in America Latina si ravvisa una dinamica d'integrazione dalle finalità e aggregazioni più disparate. In ambito economico, ad esempio, è degno di nota il MERCOSUR (Mercado Común del Sur), fondato nel 1991 come mercato comune per 240 milioni di persone, allo scopo di promuovere il potenziale di sviluppo economico degli Stati aderenti. Nel quadro dell'AELS la Svizzera ha instaurato un dialogo
regolare con i Paesi del MERCOSUR nell'intento di migliorare l'interscambio economico. In linea di principio la Svizzera è interessata a seguire da vicino i movimenti regionali d'integrazione in America Latina e a individuare possibilità di cooperazione con effetti positivi sulle relazioni bilaterali con gli Stati membri di questa Organizzazione.

ASEAN e organizzazioni nell'area Asia­Oceania La Svizzera ha formalizzato i propri rapporti con l'ASEAN, il cui statuto è entrato in vigore il 15 dicembre 2008, nel settembre del 2009, in concomitanza con l'accreditamento dell'ambasciatore di Svizzera presso il Segretariato dell'organizzazione. Il nostro Paese ha già avviato un dialogo interessante con ASEAN+3 (Giappone, Cina, Corea del Sud) e con l'Unione europea (Asia Europe Meeting, ASEM). Un approccio altrettanto interessante, soprattutto alla luce della crisi economica del 2008­ 2009, è costituito dall'iniziativa di Chiang Mai, nata in seguito alla crisi finanziaria che aveva travolto il Sudest asiatico alla fine degli anni Novanta. Altre piattaforme, come l'APEC, l'East Asian Summit (EAS), la South Asia Association for Regional 1021

Cooperation e anche la Shanghai Cooperation Organisation testimoniano l'avvento di un multilateralismo politico ed economico che richiede un impegno maggiore da parte della Svizzera. Al riguardo vanno menzionate le seguenti attività: gli impegni multilaterali del nostro Paese (Banca asiatica di sviluppo, Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale CGIAR), gli strumenti della cooperazione Sud-Sud oppure la nostra presenza sulla penisola coreana nell'ambito della Commissione di supervisione delle nazioni neutrali (NNSC) conformemente all'accordo di armistizio del 1953.

L'area Asia­Pacifico ha dato prova del ruolo regolatore che può assumere nella gestione dei problemi economici. Questo continente, sede di sei membri del G20 (Giappone, Cina, India, Corea del Sud, Australia, Indonesia) e riserva di considerevoli fondi sovrani e di divise, è un tassello fondamentale nella ricerca di soluzioni sostenibili. Le relazioni privilegiate che la Svizzera intrattiene con questi Paesi dovrebbero consentirle di difendere i suoi interessi economici nell'area Asia­ Pacifico al pari delle nostre priorità nella lotta contro la povertà o nella gestione responsabile delle risorse e dell'ambiente.

Lo statuto di osservatore di cui gode la Svizzera in seno a diverse organizzazioni regionali si rivela uno strumento importante per seguire gli sviluppi nelle rispettive regioni del mondo. Inoltre, contribuisce ad accrescere la visibilità del nostro Paese presso gli Stati membri favorendo i contatti bilaterali e le relazioni con questi Paesi.

3.1.5

Organizzazione della Conferenza islamica (OCI)

L'Organizzazione della Conferenza islamica (OCI), il cui mandato principale è il consolidamento della solidarietà islamica, è stata fondata nel 1969 e attualmente conta 57 Stati membri. L'OCI non è un'istanza teologico-religiosa, bensì l'organo politico dei Paesi islamici. A partire dal 2005 l'OCI ha costantemente intensificato le sue relazioni con organismi internazionali come l'ONU, il Consiglio dei diritti dell'uomo e l'UE. Oltre ad affrontare i conflitti e i problemi di carattere regionale come ad esempio l'annosa diatriba israelo-palestinese, in veste di rappresentante degli interessi politici del mondo islamico si dedica sempre più alla problematica dell'islamofobia. Il suo osservatorio dell'islamofobia pubblica dei rapporti a scadenze regolari, mentre l'OCI affronta questo argomento in seno a diversi organismi multilaterali dove ha lo statuto di osservatrice, ad esempio il Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. Altri temi di attualità per l'OCI sono la situazione dei Palestinesi come pure lo statuto di Gerusalemme. Grazie alla collaborazione dei suoi organi subalterni l'OCI è in grado di fornire aiuti umanitari nei territori palestinesi.

Nell'estate del 2007 la Svizzera ha avviato un dialogo regolare con l'OCI che le permette di svolgere incontri consultivi su tematiche di interesse comune e contribuisce nel contempo a rafforzare la rete svizzera di relazioni all'interno del mondo islamico. In relazione all'iniziativa contro i minareti questo canale ha permesso di garantire lo scambio di informazioni e far conoscere il sistema di democrazia diretta del nostro Paese.

Come prevedibile, dopo l'accettazione dell'iniziativa contro i minareti l'OCI ha assunto una posizione più critica nei confronti della Svizzera. Alla luce dell'esito della votazione l'Organizzazione ribadisce di essere essenzialmente interessata ai 1022

diritti dei musulmani residenti in Svizzera e di conseguenza inserisce l'argomento nel dialogo che intrattiene con il nostro Paese. Dal canto suo la Svizzera ha tutto l'interesse a curare un dialogo attivo e aperto con l'OCI e pertanto anche ad affrontare le critiche relative al divieto dei minareti. Altri temi di interesse comune sono il Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite e la Conferenza di revisione di Durban sul razzismo, la discriminazione e la xenofobia. Sussistono invece divergenze su questioni relative alla libertà d'espressione e sulla diffamazione religiosa.

3.1.6

Organi internazionali di giustizia penale

Tendenze globali A partire dagli anni Novanta la lotta contro l'impunità dei crimini più efferati ha assunto crescente importanza. Il diritto internazionale esige che gli autori di crimini come il genocidio, i crimini contro l'umanità o i crimini di guerra siano perseguiti.

Considerate le difficoltà e addirittura, talora, l'impossibilità per gli Stati di perseguire in modo autonomo ed efficace tali criminali in un contesto post-bellico, è apparso evidente che la giustizia penale internazionale dovesse assumere un ruolo cruciale nella lotta contro l'impunità. È da questo substrato che sono sorti i tribunali penali internazionali ad hoc, e precisamente il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (TPIJ) e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR).

Questa tendenza ha infine favorito, una decina d'anni più tardi, l'istituzione della Corte penale internazionale (CPI), prima istanza giuridica internazionale permanente incaricata di perseguire gli autori dei crimini più efferati.

Sfide La giustizia penale internazionale deve fronteggiare numerose sfide essendo chiamata a svolgere l'attività giudiziaria in modo indipendente e in tutta imparzialità ma in un contesto a volte estremamente politicizzato. A cadenza regolare si vede confrontata con il dilemma sul giusto apporto da fornire, al di là dei procedimenti puramente penali, ad esempio nell'elaborazione del passato o nelle operazioni di mantenimento della pace in situazioni postbelliche. Le esperienze raccolte con i tribunali ad hoc hanno mostrato che il perseguimento penale dei criminali costituisce soltanto un aspetto, seppure rilevante, del suo impegno. In alcuni membri della comunità internazionale si ravvisa inoltre una certa riluttanza nell'applicare i meccanismi della giustizia penale internazionale, in particolare quando sembrano compromettere gli sforzi di promozione della pace. In tal senso non si tratta soltanto di dimostrare che giustizia e pace non si escludono a vicenda, bensì proprio che l'una è il presupposto dell'altra.

Per quanto attiene alla Corte penale internazionale (CPI), una tra le maggiori sfide è la cooperazione tra gli Stati, elemento assolutamente imprescindibile per garantire l'attività e l'esecuzione globale del mandato conferitole. Ne va dell'efficacia, e di riflesso della credibilità della
Corte penale internazionale. I tribunali penali internazionali ad hoc sono invece sollecitati a perseguire una strategia che porti a compimento i dossier in sospeso, in vista del loro successivo scioglimento. La comunità internazionale, in particolare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dovrà affrontare gli interrogativi che si porranno dopo la loro chiusura.

1023

Attività della Svizzera La Svizzera è convinta che la lotta contro l'impunità contribuisca in maniera rilevante a stabilire e a mantenere la pace e la sicurezza nel mondo. Per questa ragione il nostro Paese si adopera da anni per combattere l'impunità e sostenere la giustizia penale internazionale, e in particolare la CPI che ne è assurta a principale caposaldo.

Questo impegno si inserisce in un contesto analogo ben più ampio, che vede la Svizzera patrocinare il diritto umanitario internazionale e i diritti dell'uomo. Di pari passo si auspica che la maggiore osservanza di tali diritti favorisca il rafforzamento della giustizia penale internazionale.

Per quanto concerne la CPI, la Svizzera ha sempre preso parte attivamente alle discussioni e negoziazioni svoltesi in occasione dell'Assemblea annuale degli Stati che hanno sottoscritto lo Statuto della Corte. Questa partecipazione ha avuto un prosieguo sfociato nella Conferenza di revisione dello Statuto della CPI, svoltasi nel mese di giugno 2010 a Kampala, in Uganda. La conferenza perseguiva l'obiettivo primario di inserire il crimine dell'aggressione nello Statuto della CPI. La Svizzera ha ampiamente supportato il Brasile, l'Argentina e il Canada nella ricerca di una soluzione consensuale. La disponibilità al compromesso e la creatività che hanno animato questo piccolo gruppo di Stati hanno permesso di adottare la definizione di crimine d'aggressione nonché di inserirlo in un regime di giurisdizione speciale della Corte. Sessantacinque anni dopo le condanne dei «crimini contro la pace» pronunciate dai tribunali di Norimberga e di Tokyo, il crimine di aggressione è stato definito a livello internazionale e integrato definitivamente nella giurisdizione della CPI, rafforzando in tal modo la protezione del ius contra bellum per mezzo del diritto penale internazionale. L'inserimento del crimine di aggressione nello Statuto della CPI è un evento di portata storica e senza dubbio di alto valore simbolico per promuovere il radicamento di una vera e propria «cultura della pace».

Inoltre, la Conferenza ha adottato una risoluzione tramite la quale ha perfezionato l'articolo 8 dello Statuto di Roma per conferire alla Corte la competenza di giudicare il crimine di guerra consistente nell'utilizzo di determinate armi velenose, proiettili che si appiattiscono
facilmente all'interno del corpo umano, gas asfissianti o tossici nonché dei liquidi, delle materie o dei procedimenti analoghi. L'utilizzo di queste armi nell'ambito di un conflitto armato di carattere internazionale è già proibito a tutt'oggi dallo Statuto. L'emendamento adottato a Kampala ne prevede il bando anche nel quadro di uno scontro di portata non internazionale.

In occasione della Conferenza di revisione la Svizzera ha infine assunto il ruolo di facilitatore per l'organizzazione di un panel di discussione incentrato sul rapporto di complementarità tra pace e giustizia. Nell'ambito del panel è stato sottolineato che la Corte aveva raggiunto una tappa fondamentale; in effetti era stata instaurata una relazione positiva tra i due obiettivi della pace e della giustizia. Una constatazione rilevante alla luce del rimprovero mosso alla CPI, secondo cui il suo lavoro ostacolerebbe i labili processi di pace, e che d'ora in poi non dovrebbe più essere formulato con la stessa frequenza.

Prospettive La Conferenza di revisione di Kampala ha confermato che la comunità internazionale è tutt'ora intenzionata ad accordare alla giustizia penale internazionale l'attenzione e il sostegno indispensabili per porre termine effettivamente all'impunità.

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Nonostante le prospettive ottimistiche il successo della giustizia penale internazionale non è affatto garantito. La Svizzera dovrà adoperarsi anche in avvenire per rafforzarne l'impatto e in particolare per sostenere la Corte penale internazionale. È assai improbabile che in futuro vengano istituiti nuovi tribunali ad hoc sul modello del TPIJ e del TPIR. A maggior ragione è di cruciale importanza che la CPI possa imporsi come istanza internazionale permanente e venga riconosciuta a livello universale. In questo contesto la Svizzera sostiene dei progetti lanciati in diversi Paesi allo scopo di agevolare la ratificazione su scala universale dello Statuto di Roma e assicurarne il recepimento sul piano nazionale. In Stati particolarmente instabili è ipotizzabile anche l'istituzione di tribunali speciali nazionali con partecipazione internazionale. Per quanto attiene alle capacità svizzere di perseguire i crimini internazionali, il Parlamento ha approvato la modifica delle leggi federali in vista dell'applicazione dello Statuto di Roma della CPI.

Volgendo lo sguardo ai risultati conseguiti a Kampala, la Svizzera, Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra, dovrebbe avviare quanto prima le procedure per la ratifica degli emendamenti relativi ai crimini di guerra. Inoltre dovrebbe considerare seriamente se ratificare l'emendamento relativo al crimine d'aggressione in vista di un'attivazione della competenza della CPI per tale crimine a decorrere dal 2017.

3.2

Multilateralismo di carattere economico

3.2.1

G20

Dopo i tre vertici di Washington, Londra e Pittsburgh il G20 si è affermato come il forum di riferimento per la politica economica e finanziaria globale. In realtà il G20 non è un'istituzione internazionale con una propria personalità giuridica e un segretariato, ma decide sempre di più, e in modo ancora più incisivo rispetto a quanto fatto sinora dal G8, il programma delle organizzazioni specializzate in ambito economico e finanziario. Il dibattito in merito alla nuova architettura finanziaria globale, al ruolo dei Paesi emergenti e delle organizzazioni internazionali, tra cui l'OCSE, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Financial Stability Board, sarà in futuro tenuto all'interno del G20, che d'ora in poi si riunirà almeno una volta l'anno a livello dei capi di Stato. Anche il G8 continua a incontrarsi, così come avvenuto nel giugno 2010 nell'imminenza del vertice del G20 di Toronto. In futuro 1025

questa cerchia ristretta dei Paesi sviluppati si dedicherà probabilmente di più a dossier specifici, tra cui la politica della sicurezza, la politica estera e lo sviluppo.

Al vertice di Pittsburgh del G20 nel settembre 2009 i capi di Stato e di Governo intervenuti hanno effettuato una prima valutazione della lotta concertata contro la crisi economica e finanziaria mondiale. Un anno dopo il fallimento della banca Lehman Brothers sono state ulteriormente discusse le misure, già trattate al vertice del G20 di Londra dell'aprile 2009, per la prevenzione delle future crisi finanziarie (tra cui i requisiti patrimoniali per le banche, la regolamentazione dei bonus, lo scambio di informazioni a fini fiscali). Nell'autunno 2009 le previsioni, in parte più negative, sull'andamento della congiuntura hanno reso necessario il proseguimento dei programmi di aiuti statali. Il G20 ha avviato inoltre il Quadro per una crescita forte, sostenibile ed equilibrata («Framework for Strong, Sustainable and Balanced Growth»)per un migliore coordinamento delle politiche economiche mondiali e una riduzione degli squilibri globali. L'FMI è stato incaricato di verificare lo scopo e la qualità delle misure di politica finanziaria ed economica dei Paesi membri e le loro ripercussioni sulla stabilità del sistema internazionale. Il G20 si è nuovamente dimostrato il principale forum per la cooperazione economica internazionale anche estendendo la riflessione ad altri temi, tra cui i sussidi energetici, i cambiamenti climatici e il protezionismo commerciale.

Vertice del G20 a Toronto e a Seul Il vertice di Toronto del 26 e 27 giugno 2010 è stato, come previsto, un incontro interlocutorio senza risultati sostanziali. Proseguono comunque tutti i lavori per la regolamentazione dei mercati finanziari. Dal punto di vista della Svizzera ha piuttosto deluso il debole sostegno dato al libero mercato.

I capi di Stato e di Governo del G20 si sono riuniti l'11 e il 12 novembre 2010 a Seul. Al centro della discussione figuravano nuovamente le questioni riguardanti la stabilizzazione del sistema finanziario e monetario internazionale, le riforme della regolamentazione dei mercati finanziari e l'instaurazione di meccanismi per garantire una liquidità globale (i cosiddetti «Financial safety nets»). Nella sua dichiarazione al termine del vertice,
il G20 si impegna a proseguire politiche economiche sostenibili, a ridurre gli squilibri globali e ad avviare riforme strutturali e del settore finanziario per garantire il ritorno a una crescita globale forte e duratura. Il G20 ha anche evocato la limitazione del protezionismo, il sostegno alla crescita verde e alla politica di sviluppo, concordando inoltre sulla necessità di concludere i negoziati in vista di una liberalizzazione del commercio mondiale (Ciclo di Doha).

Il G20 si esprime chiaramente a favore dell'attuazione completa, entro un termine convenuto, delle nuove direttive rafforzate del Comitato di Basilea sul controllo bancario (Basilea III). Inoltre, il G20 si è occupato di diverse raccomandazioni e iniziative di regolazione del Consiglio di stabilità finanziaria («Financial Stability Board», FSB), in seno al quale la Svizzera è rappresentata dal DFF e dalla BNS. Il G20 ha sostenuto in particolare le misure proposte dall'FSB intese a limitare i rischi derivanti da istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica.

Presidenza francese del G20 nel 2011 Nel 2011 la Francia assumerà la doppia presidenza del G20 e del G8 e ha già indicato le sue prime priorità: proseguimento delle riforme del sistema finanziario, del quadro per una crescita forte, sostenibile ed equilibrata nonché della valutazione

1026

reciproca delle politiche economiche. La Francia ha anche lasciato intendere di voler promuovere una riforma del sistema monetario internazionale ed elaborare una regolazione dei mercati delle materie prime.

Influenza della Svizzera La Svizzera non è stata invitata a partecipare né ai diversi gruppi di lavoro o incontri dei ministri, né ai vertici di Londra e Pittsburgh. È riuscita tuttavia, almeno in parte, a essere indirettamente coinvolta avvalendosi delle relazioni esistenti con alcuni Paesi o all'interno di organizzazioni internazionali. I chiarimenti antecedenti al vertice di Londra hanno rivelato che la richiesta della Svizzera di essere invitata alla riunione in forza dell'importanza della sua piazza finanziaria ha in realtà riscosso una certa comprensione da parte di alcuni, ma praticamente nessun Paese politicamente importante era disposto a impegnarsi attivamente a favore della Svizzera presso l'organizzatore del G20 di Londra. Prevaleva anzi l'idea che l'Europa fosse già sovrarappresentata nel G20.

Sullo sfondo di questi eventi, nell'ottobre 2009 il Consiglio federale ha riesaminato il suo atteggiamento nei confronti di questo gruppo di Stati e ha attivato un gruppo di lavoro interdipartimentale (DFAE; DFF; DFE) incaricato di vagliare le diverse opzioni della collaborazione con il G20. A fine febbraio 2010 il gruppo di lavoro ha sottoposto al Consiglio federale una proposta in merito. Da allora coordina la politica della Svizzera nell'ambito del G20 rafforzando la presenza svizzera nelle organizzazioni internazionali e in altri consessi, chiedendo un coinvolgimento diretto nei lavori del G20 e informando le presidenze del G20 sulle posizioni svizzere relative ai vari oggetti all'ordine del giorno dei vertici.

Sinora la Svizzera non ha partecipato agli incontri del G20, tuttavia è direttamente interessata dalle decisioni di questo gruppo. È la settima piazza finanziaria del mondo e, in quanto tale, si annovera tra i Paesi con la maggiore esperienza in merito al tema sul quale è imperniato il G20, ossia la politica internazionale per i mercati finanziari. Grazie a questa competenza la Svizzera può sfruttare ottimamente anche il proprio diritto alla consultazione negli organismi chiamati a preparare il vertice del G20, ossia le Istituzioni di Bretton Woods, l'OCSE, il Financial Stability
Board (FSB), il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria o la Financial Action Task Force on Money Laundering e il Global Forum on Transparency and Exchange of Information. Come membro di questi organismi la Svizzera ha contribuito attivamente all'elaborazione di misure che il G20 ha adottato lo scorso anno.

La crisi finanziaria ha messo chiaramente in luce la necessità di una regolamentazione più efficace e mirata del settore finanziario, che in un mondo globalizzato deve essere coordinata dalle organizzazioni internazionali. Qui il G20 può svolgere un ruolo prezioso, tuttavia non è possibile evitare di interrogarsi sulla sua legittimità.

Da un lato il G20, in virtù della struttura snella, può reagire alle nuove sfide e utilizzare in modo mirato le competenze specifiche delle istituzioni internazionali per i propri obiettivi e interessi. Il conseguente guadagno in termini di efficienza non può d'altro canto nascondere che gli Stati minori ­ in particolare quelli con piazze finanziarie importanti per il sistema oppure i Paesi emergenti ­ sono sottorappresentati nel G20 e per questo motivo deve essere trovato un meccanismo adeguato di collaborazione con le istituzioni internazionali rappresentative esistenti.

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3.2.2

Financial Stability Board

Durante la crisi finanziaria il Financial Stability Board (FSB) ha assunto un ruolo da protagonista nella regolamentazione dei mercati finanziari internazionali. Esso funge da coordinatore di organizzazioni specializzate nella definizione di norme in diversi ambiti (autorità di vigilanza su banche, assicurazioni, titoli, norme contabili, di revisione ecc.) e con la propria attività opera inoltre direttamente nel definire standard. A titolo d'esempio basti citare le direttive emanate già nel novembre 2008 sui sistemi di rimunerazione nonché i lavori sullo scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza, sulla dotazione di fondi propri e liquidità degli istituti finanziari e sulla limitazione del problema dei «too big to fail», ossia dei rischi legati agli istituti finanziari di rilevanza sistemica.

Il G20 lo scorso anno ha notevolmente rivalutato il ruolo dell'FSB, anche a livello istituzionale. Nell'aprile 2009 il Financial Stability Board è succeduto al Financial Stability Forum, lanciato dal G7 nel 1999, ma con un maggior numero di membri (soprattutto importanti Paesi emergenti), un mandato allargato e un segretariato potenziato. Ne fanno parte 24 Paesi, le principali istituzioni finanziarie internazionali e le organizzazioni che definiscono gli standard. La rappresentanza è determinata in base alle dimensioni dell'economia e del settore finanziario del Paese nonché alla sua stabilità finanziaria. I principali Paesi sono dotati di una triplice rappresentanza (banca centrale, ministero delle finanze e autorità di vigilanza sui mercati finanziari), gli altri hanno una rappresentanza duplice o semplice. La Svizzera è rappresentata nell'FSB dalla Banca nazionale e dal Dipartimento federale delle finanze.

In aggiunta all'aspetto piuttosto tecnico della definizione degli standard, il mandato dell'FSB contempla ora anche il monitoraggio del rispetto delle raccomandazioni internazionali da parte della comunità di Paesi. Nelle questioni che riguardano gli Stati membri è stato avviato un processo di valutazione reciproca («peer-review»).

La Svizzera sarà esaminata nel 2011, mentre nel 2010 ha condotto l'esame della Spagna. In un processo parallelo sono identificati i cosiddetti «Paesi non cooperativi».

Grazie alle sue dimensioni ragionevoli, che consentono un lavoro efficiente, il Financial
Stability Board è per la Svizzera un organismo adeguato per esercitare un'influenza su uno degli ambiti centrali del sistema finanziario internazionale.

All'interno dell'FSB la Svizzera può contribuire a rafforzare la resistenza alle crisi e a far adottare criteri uguali per tutti nella regolamentazione dei mercati finanziari.

3.2.3

OCSE

Sviluppo dell'OCSE Tre anni dopo la decisione di ampliare il Consiglio dei ministri dell'OCSE, nel maggio 2007, l'organizzazione conta 34 Stati membri dopo l'adesione di Cile, Israele, Slovenia ed Estonia nel maggio 2010 (l'adesione della Russia è in sospeso).

Quest'ultima fase di ampliamento conferisce all'OCSE un maggiore equilibrio dal punto di vista geografico e contribuisce a tutelare la sua importanza globale.

Nella stessa direzione di consolidamento del suo ruolo mondiale va inteso anche il secondo pilastro della politica di apertura dell'OCSE, ossia l'intensificata collabora1028

zione («enhanced engagement») con cinque importanti Paesi emergenti:Brasile, Cina, Indonesia e Sudafrica. Questi ultimi possono avvalersi delle competenze specifiche dell'OCSE in materia di politica d'investimento, lotta alla corruzione e ambiente mentre l'OCSE, dal canto suo, può allacciare relazioni istituzionali con importanti Paesi del G20.

Le relazioni tra Svizzera e OCSE sono nuovamente migliorate dalla primavera 2009, quando l'OCSE ha sottoposto al G20 una «lista grigia» in materia fiscale. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che il segretario generale dell'OCSE si è dichiarato pronto a impostare in modo trasparente per tutti i membri la collaborazione con il G20 e altri organismi e ha espresso parole di lode per la rapidità con cui sono state riviste o rinegoziate le convenzioni di doppia imposizione. In stretta collaborazione con altri membri la Svizzera è inoltre riuscita a evitare che i voti dei Paesi piccoli e medi perdessero peso in seno a un'organizzazione votata al consenso.

Influenza della Svizzera nel dossier fiscale Con la rapida revisione delle convenzioni di doppia imposizione la Svizzera mette in atto i criteri dell'OCSE nell'assistenza amministrativa in materia fiscale. Nella relazione dell'OCSE del settembre 2009 per il vertice del G20 di Pittsburgh è stata inserita nella categoria di quei Paesi che soddisfano i parametri dell'OCSE. La Svizzera partecipa anche attivamente al «Global Forum on Transparency and Exchange of Information», che si è riunito a Città del Messico nel settembre 2009 e viene rafforzato da un mandato del G20. Sino a fine 2012 la Svizzera ha un seggio nel comitato direttivo. Il Forum è un organismo affiliato all'OCSE, indipendente, con un proprio budget. Ne fanno parte gli Stati dell'OCSE, i Paesi del G20 nonché altre importanti piazze finanziarie. Il suo compito consiste nel verificare l'applicazione degli standard dell'OCSE nello scambio di informazioni in materia fiscale tra i suoi membri.

L'esame prevede due fasi: nella prima sono verificate le disposizioni legali sulla disponibilità delle informazioni rilevanti a fini fiscali presso gli istituti finanziari, l'accesso a questi dati da parte delle autorità e l'apparato normativo per lo scambio di informazioni. Nella seconda fase si colloca in primo piano lo scambio internazionale di informazioni di
carattere fiscale. I rapporti sui primi otto Paesi esaminati sono stati adottati alla fine di settembre 2010 a Singapore. La prima fase di verifica per la Svizzera si svolgerà nel secondo semestre 2010.

La Svizzera partecipa inoltre a un gruppo di lavoro congiunto sulla fiscalità e lo sviluppo del Comitato per l'aiuto allo sviluppo e del Comitato degli affari fiscali.

Prospettive e sfide L'OCSE riveste una notevole importanza per la Svizzera e la sua economia, poiché elabora norme per i propri Stati membri, che hanno spesso anche una validità globale (per es. linee guida per le imprese multinazionali ­ un quadro completo per la gestione responsabile delle imprese ­, lotta alla corruzione, investimenti, cooperazione allo sviluppo). Considerando la globalizzazione dei mercati e la concorrenza a livello mondiale è nell'interesse della Svizzera avvalersi ampiamente del proprio diritto di consultazione in questa organizzazione e contribuire a plasmare la futura politica economica mondiale. Affinché tutte le potenze economiche si confrontino ad armi pari, il coinvolgimento dei grandi Paesi emergenti con attraverso un impegno rafforzato e la cooperazione con il G20 rivestono una notevole importanza: le

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sfide globali, tra cui il superamento delle crisi economiche e finanziarie, la lotta alla corruzione oppure una crescita economica duratura ed ecologicamente sostenibile, esigono risposte globali e strumenti condivisi da tutti i protagonisti.

3.2.4

Organizzazione mondiale del commercio (OMC)

Fondata nel 1995 per subentrare all'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è l'unica istituzione internazionale competente per disciplinare a livello mondiale le relazioni commerciali transfrontaliere tra gli Stati. I Paesi membri dell'OMC gestiscono e controllano una trentina di accordi multilaterali e due plurilaterali (ossia accordi non vincolanti, che si applicano unicamente ai firmatari in materia di mercati pubblici e del commercio di aeromobili civili). Gli accordi mirano alla progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali, in generale trattata nel quadro di cicli di negoziati.

Per i Paesi piccoli e i Paesi intermediari, l'OMC costituisce una piattaforma efficace che consente loro di ottenere da altre nazioni concessioni in termini di accesso ai mercati. La Svizzera, la cui economia è pienamente integrata negli scambi mondiali, beneficia della sicurezza giuridica del sistema commerciale dell'OMC, che contribuisce a proteggere le sue esportazioni di beni e servizi verso gli altri Paesi membri.

Parallelamente numerosi Stati, tra cui la Svizzera, hanno deciso di impegnarsi negli accordi di libero scambio per assicurarsi un accesso indiscriminato a mercati terzi.

Tuttavia gli accordi di libero scambio non possono sostituire il sistema multilaterale di regole di negoziazione e di regolamentazione costituito dall'OMC, ma al massimo completarlo e rafforzarlo, facendo leva sugli accordi conclusi dall'Organizzazione mondiale del commercio.

I negoziati di Doha proseguono sul piano tecnico. I membri dell'OMC intendono persistere nei propositi del Ciclo di Doha. Attualmente manca tuttavia lo slancio politico per una svolta decisiva nei negoziati, anche se la maggioranza dei membri dell'OMC, tra cui la Svizzera, potrebbe entrare nei negoziati finali sulla base dei progressi attuali raggiunti. La tornata non si concluderà nel 2010.

3.3

Multilateralismo di carattere culturale e scientifico

3.3.1

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO)

La Svizzera è stata eletta nel Comitato del patrimonio mondiale dell'UNESCO in ottobre 2009 per un mandato di quattro anni. Si tratta dell'organo incaricato di mettere in atto la Convenzione riguardante la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale, composto di 21 dei 186 Stati parte a questo testo. La Svizzera ha raccolto il maggior numero di suffragi mai registrati nella votazione indetta tra i 29 Paesi membri per 12 seggi da attribuire senza ripartizione geografica. La Svizzera gode di un'immagine positiva, basata su un impegno tecnico di qualità, che le conferisce una certa autorità per influire sulle scelte politiche.

I siti culturali e naturali, che figurano nella Lista del patrimonio mondiale, implicano numerose sfide globali, regionali e locali. Fungono da laboratori per un approccio multisettoriale nei confronti di varie problematiche, tra cui la gestione delle risorse 1030

naturali, lo sviluppo socio-economico sostenibile, il rispetto delle identità culturali, la buona gestione dei beni pubblici, il coinvolgimento democratico delle comunità.

La Svizzera, a sua volta confrontata con alcuni di questi problemi, si farà portavoce delle proprie esperienze in seno all'UNESCO. Inoltre, con dieci siti iscritti nella Lista del patrimonio mondiale, di cui oltre la metà di recente (ultimo in ordine cronologico «La Chaux-de-Fonds/Le Locle, urbanismo orologiero»), è importante che la Svizzera possa esprimersi attivamente sulla politica elaborata dall'UNESCO in materia.

Alcuni siti sono minacciati dai conflitti, altri sono talvolta strumentalizzati nel quadro di conflitti, pertanto diventano addirittura strumenti di un possibile dialogo.

La Svizzera potrà svolgere qui un ruolo importante e integrare il patrimonio tra gli strumenti di cui si avvale negli sforzi di promozione della pace.

Negli ultimi due anni la Svizzera si è impegnata in Africa per favorire il potenziamento delle risorse dei professionisti responsabili del patrimonio mondiale. Questo sforzo punta a migliorare da un lato la qualità dei dossier di elezione di siti dei Paesi del Sud, fortemente sottorappresentati nella Lista del patrimonio mondiale, dall'altra i metodi di gestione dei siti stessi, molti dei quali sono in pericolo. La Svizzera intende proseguire il proprio impegno nel 2010.

3.3.2

Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN)

Nei campi della ricerca e dello sviluppo tecnologico, l'Unione europea (UE) è il partner più importante della Svizzera, che partecipa infatti a pieno titolo e con particolare successo ai programmi quadro dell'UE. Inoltre la Svizzera è riconosciuta come importante attore in numerose organizzazioni europee specializzate nella ricerca e nella tecnologia, di cui è abitualmente membro fondatore e nelle quali esercita spesso un'influenza le cui proporzioni superano quelle del suo impegno finanziario. Un esempio significativo è l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN).

Sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1953 a Meyrin, vicino a Ginevra, il CERN si è sviluppato diventando il laboratorio di punta a livello mondiale per la fisica delle particelle. Lo testimonia la costruzione del «Large Hadron Collider», che può essere considerato il più grande e il più potente microscopio di tutti i tempi. Gli esperimenti compiuti con questo strumento permetteranno scoperte rivoluzionarie nell'ambito della fisica e approfondiranno la comprensione della struttura della materia e la natura delle forze.

L'attenzione mondiale rivolta a questo progetto, possibile soltanto grazie a fisici provenienti dai quattro angoli del globo, attira a Ginevra un numero crescente di scienziati, che vi soggiornano per periodi più o meno lunghi. L'adesione al CERN conferisce un alto prestigio agli scienziati e agli Stati partecipanti. I venti Paesi membri sono tutti europei, mentre gli scienziati coinvolti provengono da tutto il mondo. Dopo l'entrata in funzione del «Large Hadron Collider» il CERN aspira a un duraturo consolidamento della sua posizione di punta a livello mondiale. Oltre alle questioni scientifiche, l'organizzazione e i suoi membri si pongono anche domande di carattere politico: quali Stati con importanti capacità nella fisica delle particelle possono, vogliono e devono associarsi oppure contribuire nel lungo termine, come 1031

membri a pieno titolo, a plasmare lo sviluppo del CERN? Come possono i progetti di portata globale, previsti dall'organizzazione, essere in futuro organizzati, finanziati e realizzati in modo economicamente efficiente? Il CERN diventerà un'istituzione nella quale l'Europa ha la supremazia, con una rete mondiale di partner, oppure un'organizzazione globale, aperta a tutti i Paesi, non solo come partner e utenti, ma anche in qualità di membri?

In questo contesto il Consiglio del CERN, nel giugno 2010, ha varato una strategia, elaborata con la partecipazione della Svizzera e in base alla quale, per la prima volta nella storia dell'organizzazione, l'adesione a pieno titolo non è più limitata ai Paesi europei. D'ora in poi ogni Paese potrà sostanzialmente diventare membro del CERN, a condizione che soddisfi determinate condizioni scientifiche, industriali e politiche. Con lo statuto di membro associato viene introdotta una nuova forma di partecipazione, alternativa all'adesione a pieno titolo, che da un lato deve costituire la prima tappa obbligatoria per ogni futuro membro, dall'altra offre un'interessante variante di adesione all'organizzazione per quei Paesi che non diventano membri a pieno titolo per motivi finanziari, tecnici o politici. Il Consiglio si adopererà affinché i Paesi europei mantengano anche in futuro il controllo su questa che è la più grande organizzazione mondiale per la ricerca fondamentale.

Diciotto dei venti membri del CERN appartengono all'Unione europea, ma fino a poco tempo fa l'interesse e il peso di quest'ultima erano scarsi. Da tre anni aumenta tuttavia costantemente l'influenza della Commissione europea, che nel Consiglio del CERN ha lo statuto di osservatore. Il 17 luglio 2009 il CERN e la Commissione europea hanno sottoscritto un memorandum d'intesa che fornisce alla collaborazione un quadro strutturato, per esempio nell'attuazione della strategia europea per la fisica delle particelle e nello sviluppo dello spazio europeo di ricerca.

La Svizzera è fortemente interessata al posizionamento e consolidamento globale del CERN, sia come Paese ospitante, sia come piazza scientifica, sia dal punto di vista economico: oltre alla quota ordinaria di adesione di circa 30 milioni di franchi l'anno (pari al 3 % circa del budget), negli ultimi 20 anni la Svizzera, in quanto Stato
ospite, ha versato al CERN contributi straordinari per un valore complessivo di 130 milioni di franchi. Il CERN deve essere così incentivato a diventare il laboratorio mondiale per la fisica delle particelle e la sua reputazione servirà anche a promuovere le nuove leve in ambito scientifico e tecnico in Svizzera.

La Svizzera, uno dei Paesi che ospitano il CERN, è economicamente favorita dalla sua presenza. Con il 7,5 per cento dell'organico, il contingente svizzero è sovrarappresentato. Le 2400 persone che lavorano al CERN costituiscono un importante fattore economico per la regione di Ginevra. A questi si aggiungono gli oltre 9000 ricercatori provenienti da tutto il mondo, che si fermano al CERN per determinati periodi di tempo. Sono importanti anche gli appalti industriali e di servizi del CERN, che favoriscono in particolare le imprese svizzere; questo flusso negli ultimi quattro anni ha superato i 250 milioni di franchi.

3.3.3

Agenzia spaziale europea (ESA)

La Svizzera è membro fondatore dell'Agenzia spaziale europea (ESA), che è stata costituita nel 1975 da dieci Paesi europei e oggi ne conta diciotto. L'ESA sviluppa i missili Ariane e Vega, svolge programmi di voli abitati, di esplorazione dell'uni1032

verso, di osservazione della terra, di telecomunicazioni, di navigazione nonché programmi scientifici.

La Svizzera non potrebbe realizzare simili imprese autonomamente. La partecipazione all'ESA le consente di accedere allo spazio e di partecipare allo sviluppo di tecnologie spaziali con contratti attribuiti agli attori svizzeri in ambito industriale e scientifico. Inoltre la Svizzera beneficia delle applicazioni di queste tecnologie in settori di rilevanza economica e sociale, tra cui le comunicazioni, i trasporti, la navigazione, le previsioni meteorologiche, il monitoraggio dell'ambiente e lo studio dei cambiamenti climatici.

Occorre tuttavia sottolineare che l'ESA sta vivendo una fase di pieno sviluppo. Al di là del suo allargamento ai Paesi membri dell'Unione europea (UE), si contraddistingue per il suo avvicinamento istituzionale all'UE, formalizzato con un accordo quadro nel 2004. Ne risultano riunioni congiunte a livello ministeriale (il «Consiglio per lo spazio» che riunisce i ministri in carica competenti in materia di politica spaziale negli Stati membri dell'ESA e dell'UE) per orientare i programmi congiunti di grande respiro come Galileo (navigazione e posizionamento) e GMES (monitoraggio dell'ambiente e sicurezza). Nel 2007 è stata adottata una politica spaziale comune europea. In linea di principio l'ESA sviluppa l'infrastruttura spaziale che in seguito è gestita e sfruttata dall'UE.

Alla Svizzera si riconosce un'influenza significativa in seno all'ESA. Per mantenere tale posizione sono necessari sforzi particolari, soprattutto nelle fasi di sfruttamento dei programmi dell'agenzia. L'impatto del Trattato di Lisbona e le nuove competenze che ne derivano per l'UE sono in fase di valutazione. Per la Svizzera si tratta di preservare ciò che realizza attraverso l'ESA grazie alla natura intergovernativa di quest'ultima, ossia prendere parte alla definizione dei programmi e avere pienamente accesso alle diverse fasi (comprese quelle di sfruttamento), ai mercati, ai dati e ad altri risultati di questi programmi.

3.3.4

Commissione delle Nazioni Unite per l'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UN COPUOS)

All'interno delle Nazioni Unite la Svizzera s'impegna sin dal 1999 a favore della cooperazione internazionale volta a promuovere l'utilizzo delle tecnologie spaziali e l'impiego pacifico dello spazio extra-atmosferico. In questo ambito, ad esempio, collabora dal 2004 con l'ONU e l'ESA (cfr. n. 3.3.3) alla promozione dello sviluppo sostenibile delle regioni di montagna utilizzando le tecnologie spaziali.

Diventata membro della Commissione delle Nazioni Unite per l'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UN COPUOS) nel 2008, la Svizzera prende parte attiva ai suoi lavori, in particolare nell'ambito della fattibilità a lungo termine delle attività spaziali. Infatti gli oggetti spaziali e i detriti lasciati in orbita in seguito a collisioni e distruzioni di satelliti minacciano lo svolgimento di operazioni spaziali attuali e future. La loro proliferazione ha raggiunto un ritmo tale che rende urgente una regolamentazione internazionale del traffico spaziale. La Svizzera, il cui sviluppo economico si fonda sulle nuove tecnologie, tra le quali figurano quelle spaziali, sarebbe fortemente ostacolata da qualunque limitazione dell'accesso a tali tecnologie. Di conseguenza si associa attivamente agli sforzi volti a garantire un utilizzo duraturo e razionale dello spazio.

1033

Sulla scia della globalizzazione le organizzazioni multilaterali si sono sviluppate sempre di più in consessi nei quali vengono formulati e discussi approcci di soluzione alle sfide globali. Per le questioni politiche l'ONU ha solitamente la sovranità sulle tematiche trattate, mentre per gli aspetti economici gli impulsi provengono in prevalenza dal G20.

In questo contesto le organizzazioni multilaterali sono strumenti sempre più importanti della politica estera svizzera. Consentono infatti di discutere aspetti di interesse globale e regionale in un quadro strutturato e di cercare soluzioni che possano essere condivise dal maggior numero possibile di Paesi.

L'impatto della crisi finanziaria ed economica mondiale rivela l'importanza di organismi internazionali che si occupino della regolamentazione del quadro economico mondiale. In questo ambito la Svizzera è interessata in modo particolare a essere coinvolta e a influenzare gli sviluppi e le decisioni. Altrettanto importante è il suo ruolo nelle organizzazioni dell'ONU, dove vengono adottate decisioni che coinvolgono pesantemente la Svizzera e i suoi interessi in politica estera. È inoltre necessario, in virtù della partecipazione attiva nelle organizzazioni con un orientamento regionale e tematico, far valere le esigenze specifiche della Svizzera e allargare la rete di contatti politici esteri.

In questo senso è importante che la Svizzera partecipi ancora di più al dialogo multilaterale, soprattutto nei consessi che servono alla formazione delle opinioni a livello internazionale. Può così ottenere nuove possibilità di esercitare la propria influenza in ambiti importanti per la propria politica estera.

4

Temi importanti della politica estera svizzera

La crescente internazionalizzazione e correlazione dei settori politici tematici comporta per i dipartimenti l'assunzione in misura considerevole di compiti riguardanti le relazioni estere. Diverse politiche settoriali, in particolare la politica finanziaria, economica, fiscale, energetica, dei trasporti, culturale, dell'istruzione, di innovazione, sanitaria, di sicurezza e ambientale hanno assunto una maggiore dimensione internazionale e multilaterale e le interdipendenze reciproche tendono ad aumentare, con l'effetto che armonizzare in termini di politica estera le varie politiche settoriali diviene un compito proporzionalmente complesso e impegnativo.

4.1

Politica finanziaria ed economica internazionale

4.1.1

Superamento della crisi finanziaria ed economica

Crisi finanziaria Nel corso del 2009, grazie ai decisi interventi di politica economica negli scorsi due anni, la crisi finanziaria ed economica globale ha potuto essere arginata con successo. Il mercato interbancario ha ripreso a marciare e i corsi di borsa si sono sensibilmente ripresi dai minimi del marzo 2009. Tuttavia, lo scenario non appare ancora privo di rischi e nuove turbative al sistema non possono essere escluse, motivo che induce governi e banche centrali a restare vigili. In questi frangenti svolge un ruolo importante il Fondo monetario internazionale (FMI), che dall'autunno 2008 ­ oltre a

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erogare consistenti aiuti finanziari ai suoi Paesi membri ­ opera con un rinnovato strumentario creditizio.

Anche gli Stati dell'UE e i Paesi dell'eurozona hanno dovuto ricorrere ad aiuti esterni: diverse economie dell'Est europeo prospere fino a poco tempo fa, come gli Stati Baltici o l'Ungheria, sono stati duramente colpiti dalla crisi. I limiti dell'effetto stabilizzante dell'euro sono stati rivelati dal caso della Grecia, quando all'inizio del 2010 il Paese è venuto a trovarsi sull'orlo della bancarotta creando forti pressioni sulla moneta unica europea e rendendo indispensabile, a fine aprile 2010, un pacchetto di salvataggio da 110 miliardi di euro da parte degli altri Stati dell'UE e dell'FMI. Tuttavia, la Grecia non è affatto l'unico Paese membro dell'UE a minare, con un elevato indebitamento pubblico e una scarsa affidabilità di credito, la fiducia e la quotazione dell'euro. Allo scopo di impedire l'estendersi di questa crisi ad altri Paesi dell'eurozona, le istituzioni comunitarie (Consiglio, Commissione, Banca centrale europea) e l'FMI hanno allestito un'imponente barriera di protezione sotto forma di crediti e garanzie per un valore complessivo di 750 miliardi di euro.

La gravità della crisi greca ha condotto a un dibattito alla ricerca di nuove soluzioni.

Per la prima volta è stata valutata l'ipotesi dell'uscita dall'unione monetaria, anche se per ora solo a livello di esperti. Altre idee sono la costituzione di un fondo monetario europeo, destinato a sostenere gli Stati dell'Unione in caso di crisi finanziarie nonché il rafforzamento e una migliore attuazione del patto di stabilità. Già oggi è prevedibile che l'alto indebitamento di alcuni Stati ridurrà per un periodo prolungato le loro possibilità di fronteggiare adeguatamente le nuove sfide e di reagire con efficacia a future crisi. Quando e in quale modo le misure di stimolazione statali potranno essere disattivate ­ e se l'indebitamento dovrà essere abbattuto con tagli alla spesa pubblica piuttosto che con aumenti delle entrate fiscali o perfino attraverso una più elevata inflazione ­ sono temi attualmente al centro di accese discussioni. Al contrario è indiscutibile che, già nell'ottica dell'equità intergenerazionale, un tasso di indebitamento superiore al 100 per cento del PIL di un Paese non è sostenibile a lungo termine.
Crisi economica Anche se recentemente l'economia mondiale ha cominciato a dare segni di ripresa, appare fuori di dubbio che nel lungo periodo la crisi avrà importanti ripercussioni sui rapporti di forza globali. Questa realtà si manifesta in particolare sul piano delle differenze regionali che la ripresa presenta in termini di spessore e di velocità. Ad esempio, negli scorsi due anni è stata osservata un'evoluzione divergente selettiva fra i Paesi emergenti ­ in particolare quelli asiatici ­ e i Paesi membri dell'OCSE.

Mentre molti Stati del continente europeo e americano stanno uscendo a fatica dalla crisi economica, con indicatori economici ancora inferiori ai valori precedenti alla crisi, altre regioni possono vantare prospettive più favorevoli. Durante la crisi i Paesi asiatici hanno potuto incrementare la loro quota sul prodotto economico mondiale, assumendo il ruolo di motori della crescita globale e riuscendo nel contempo a ridurre la dipendenza della loro industria dalle esportazioni grazie all'espansione della domanda interna. Ma anche il Brasile è riuscito a ritrovare la strada della crescita prima degli Stati dell'OCSE.

Il migliore esempio di questi nuovi rapporti di forza è la Cina, che nei frangenti della crisi è riuscita a strappare alla Germania il titolo di «campione dell'export mondiale» e che nel 2010, prevedibilmente, soffierà alla stagnante economia giapponese il secondo posto nella graduatoria delle potenze globali. Una scalata ai vertici che la 1035

Cina è riuscita a compiere in meno di dieci anni. E nella sua scia, il Sudest asiatico ha rafforzato la sua reputazione di regione economica tra le più dinamiche del mondo.

La potenza economica dell'Asia si rispecchia anche nella composizione del G20, che durante la crisi economica ha visto crescere di parecchio la sua importanza: diversamente dal G8, nel quale l'Asia è poco rappresentata, esso presenta ben cinque membri di provenienza orientale, ossia Cina, India, Indonesia, Corea del Sud e Giappone, e proprio alla Corea del Sud spetta quest'anno la presidenza (cfr.

n. 3.2.1).

La crisi economica mondiale ha provocato la perdita di diversi milioni di posti di lavoro: le stime dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) parlano di oltre 20 milioni in tutto il mondo e nella sola Unione europea si contano sei milioni di persone supplementari alla ricerca di un lavoro. Inoltre, occorre ricordare che la disoccupazione reagisce con ritardo all'evoluzione economica e che, pertanto, neppure nel 2010 in molti Stati si osserverà una ripresa sul mercato del lavoro. In Svizzera quest'ultimo ha subito ripercussioni meno pesanti di quanto le previsioni avessero inizialmente paventato e le ultime stime indicano che la disoccupazione dovrebbe aver già toccato il picco massimo del 4,5 per cento all'inizio del 2010.

Tuttavia, i dati in arrivo da altri Paesi industrializzati occidentali indicano che la situazione del mercato del lavoro rimane difficile. La fase di ripresa congiunturale osservata a fine 2009 negli Stati Uniti, ad esempio, è stata seguita da ulteriori tagli di posti di lavoro. La comunità internazionale è ora confrontata con il difficile compito di abbattere i massicci debiti statali senza però soffocare l'ancora incerta ripresa economica e quindi impedire l'espansione dell'occupazione.

Alla luce delle tensioni sul mercato del lavoro e della più aspra concorrenza tra gli Stati esportatori esiste inoltre il pericolo di una ricomparsa di tendenze protezionistiche. Queste ultime rappresentano una minaccia anche per la Svizzera, Paese tipicamente votato alle esportazioni, che per questo si sta impegnando a scongiurare tale rischio nell'ambito dei competenti organismi internazionali. In particolare, il Consiglio federale punta a una rapida conclusione del Ciclo di Doha dell'Organizzazione
mondiale del commercio (OMC) (cfr. n. 3.2.4). Inoltre, attraverso nuovi accordi di libero scambio, la Svizzera intende promuovere il commercio globale e impedire la discriminazione dell'economia elvetica su mercati in cui i partner contrattuali hanno già accordato ad altre nazioni un accesso privilegiato mediante accordi di libero scambio.

Per difendere la competitività dell'economia svizzera di esportazione in questo difficile contesto, nel corso della crisi il Consiglio federale ha sostenuto nei suoi programmi di stimolazione congiunturale anche la promozione del commercio estero e l'assicurazione contro i rischi delle esportazioni. La gravità della crisi ha convinto la Svizzera, come la maggior parte degli Stati industriali, a varare pacchetti di interventi a supporto della domanda, con un impulso congiunturale complessivo nell'ordine di oltre tre miliardi di franchi. Considerando le misure supplementari adottate da Cantoni e Comuni ­ nonché l'ulteriore effetto stabilizzante dell'assicurazione contro la disoccupazione ­ questo impulso ammonta a un totale di oltre 14 miliardi di franchi, pari a circa il 3 per cento del prodotto interno lordo svizzero.

La crisi economica e finanziaria degli scorsi tre anni ha riportato d'attualità la questione del ruolo dello Stato nella stimolazione della domanda e della crescita. Interrogativo fondamentale: la stimolazione della domanda da parte dello Stato è giustifi1036

cata? I sostenitori del keynesianismo affermano che una politica di bilancio espansiva, pur non essendo sempre in grado di scongiurare una recessione, può mitigarne gli effetti e già solo per questo si giustifica. Secondo gli avversari, i piani di rilancio sono efficaci fintanto che il denaro pubblico affluisce, dopo di che i loro effetti si esauriscono rapidamente. A loro avviso, occorre procede non appena possibile alla correzione degli squilibri macroeconomici che spesso erano già all'origine della crisi. Sono evocati anche effetti non keynesiani delle politiche restrittive, in particolare sulla fiducia dei mercati finanziari.

Mentre in passato Stati Uniti ed Europa, le potenze economiche più colpite dalla crisi, si erano per lungo tempo trovate d'accordo sulla necessità dei programmi statali di stimolazione, al vertice del G20 di Toronto a fine giugno 2010 si sono manifestate divergenze di opinione: mentre gli Stati Uniti hanno ribadito la loro posizione a favore di misure di sostegno congiunturali, i leader europei hanno posto l'accento sul risanamento delle finanze pubbliche. Certamente non si è trattato di un confronto puramente accademico sul terreno della teoria economica; decisiva è stata piuttosto la constatazione pragmatica ­ sempre più condivisa in Europa a seguito dei massicci indebitamenti di diversi Stati ­ dell'impossibilità di finanziare ulteriormente programmi di stimolazione su ampia scala.

La posizione secondo la quale i programmi di politica economica e finanziaria devono essere meglio formulati e coordinati a livello mondiale per poi essere attuati in funzione dei singoli contesti nazionali è stata ribadita in occasione del vertice di Toronto. Poco dopo, al vertice di Seul, le grandi potenze si sono rinfacciate che i corsi di cambio non adempivano completamente la loro funzione di appianamento degli squilibri a livello mondiale. troppo spesso in materia di corsi di cambio si perseguono unicamente obiettivi nazionali. Da un lato, la Svizzera potrà quindi ulteriormente beneficiare di una certa libertà di manovra nella gestione della propria politica economica e finanziaria, anche sul piano della politica estera nei settori menzionati. Dall'altro, tuttavia, essa deve prendere atto che le basi e gli obiettivi di negoziazione saranno sempre più formulati sul piano multilaterale e che la partecipazione attiva e anticipatrice a questi processi decisionali diventa indispensabile.

4.1.2

La piazza finanziaria svizzera

La crisi finanziaria ha lasciato nel suo solco un settore finanziario trasformato sul piano strutturale in diversi Paesi. I mutamenti sono stati dettati dalle nuove condizioni quadro, dai «pacchetti di salvataggio» e non da ultimo dai rinnovati modelli operativi adottati da numerosi istituti. Le banche cinesi sono ormai fra le più grandi, mentre le banche occidentali hanno visto in parte ridursi massicciamente i loro bilanci. I cambiamenti tuttavia procedono, poiché il contesto normativo e fiscale non si è ancora consolidato. Come accennato nel precedente capitolo, le finanze pubbliche in numerosi Stati celano grandi rischi e a medio termine fenomeni quali un risveglio dell'inflazione o una depressione accompagnata da una deflazione non possono essere completamente esclusi. Tali prospettive non sono favorevoli per l'intera economia.

La Svizzera dispone di una forte piazza finanziaria, che deve sapersi affermare nella competizione internazionale. Nel 2009 il settore finanziario ha contribuito a circa un decimo del prodotto interno lordo del Paese, fornendo circa il 6 per cento degli

1037

impieghi complessivi. Costituisce quindi uno fra i più importanti settori economici del Paese.

La Svizzera offre buone condizioni quadro, come una moneta forte, un'infrastruttura eccellente, condizioni fiscali favorevoli, una vigilanza e una regolamentazione efficaci, ma anche altri fattori specifici come l'affidabilità e una manodopera qualificata. La piazza finanziaria svizzera, con il suo spiccato orientamento internazionale, possiede diversi punti di forza: la gestione patrimoniale, le assicurazioni e riassicurazioni, i servizi per le società multinazionali e l'insediamento di veicoli finanziari come i fondi speculativi o «hedge funds», inclusi i «funds of hedge funds».

I servizi per i gruppi internazionali sono strettamente legati al contesto attrattivo che il Paese offre a holding e imprese industriali e commerciali (soprattutto del comparto delle materie prime). L'attrattiva internazionale della piazza economica svizzera non è diminuita in seguito alla crisi finanziaria e il nostro Paese continua mantenere le prerogative essenziali per il successo di queste attività (libera circolazione dei capitali, assenza di misure protezionistiche contro la delocalizzazione di aziende e gli investimenti esteri).

Sotto un'altra luce si presenta invece il quadro per la gestione patrimoniale internazionale: diversi Paesi come Stati Uniti, Germania, Francia e Italia hanno inasprito gli attacchi contro il segreto bancario ed esercitato pressioni sui loro cittadini allo scopo di indurli a rimpatriare e dichiarare al fisco i capitali investiti all'estero. La Svizzera è particolarmente toccata da questi sviluppi e si vede confrontata con diverse offensive al segreto bancario. I metodi adottati su questo fronte hanno ripetutamente imposto chiarimenti sul piano diplomatico. La politica elvetica di assistenza, che prevedeva lo scambio di informazioni con Paesi esteri per favorire l'applicazione della legislazione interna solo in caso di procedure giudiziarie per frode fiscale e reati analoghi, non ha più potuto essere difesa a livello internazionale, tanto che il Consiglio federale ­ con la sua decisione del 13 marzo 2009 ­ ha deciso di procedere al riorientamento dell'assistenza amministrativa in materia fiscale assumendo lo standard previsto dall'articolo 26 del modello di convenzione dell'OCSE. L'attuazione
di queste disposizioni avviene mediante la revisione o la negoziazione di convenzioni sulla doppia imposizione. A metà novembre 2010 erano stati parafati 31 accordi adattati alle nuove disposizioni, di cui 22 già siglati. Le prime dieci convenzioni hanno già ottenuto l'approvazione delle Camere federali e per la Svizzera possono entrare in vigore ancora nel 2010. In tal modo la Svizzera si impegna, in singoli casi e in risposta a richieste concrete e motivate da parte degli Stati contraenti, a fornire loro informazioni ai fini tributari, indipendentemente dall'esistenza di un reato fiscale. Questo rilascio di informazioni si estende anche ai dati bancari.

È prevedibile che le pressioni sul segreto bancario non si affievoliranno;inoltre, si osserva la tendenza a ostacolare l'accesso ai mercati esteri di istituzioni e prodotti finanziari svizzeri. La piazza finanziaria elvetica, per difendere la propria posizione internazionale, si trova quindi nella necessità di adottare miglioramenti mirati proprio sul piano dell'accesso ai mercati e del mantenimento e miglioramento della competitività. In tale contesto, le condizioni quadro fiscali e normative rivestono una particolare importanza. Il 16 dicembre 2009, sulla scorta di un'analisi condotta in questo ambito, il Consiglio federale ha individuato quattro nuovi Indirizzi strategici della politica svizzera in materia di mercati finanziari. Tuttavia, con la politica dei mercati finanziari il governo federale non pratica una politica specifica di settore, essendo chiamato a tutelare gli interessi dell'intera economia elvetica e, sul piano 1038

generale, a creare favorevoli condizioni quadro per tutti gli operatori dell'economia privata.

Il Consiglio federale ha definito numerose misure per l'attuazione di questi indirizzi strategici con il relativo calendario e ha istituito un gruppo di lavoro interdipartimentale ­ formato da rappresentanti del DFF (direzione), del DFAE, del DFE e del DFGP ­ preposto alla sorveglianza e al coordinamento del piano di interventi. Dal 1° marzo 2010 la politica bilaterale e multilaterale in materia di mercati finanziari può avvalersi di un nuovo solido appoggio istituzionale grazie alla nascita della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI).

1. Rafforzare la competitività internazionale del settore finanziario La piazza finanziaria svizzera deve restare competitiva. Gli operatori del mercato finanziario sono chiamati a sviluppare un ampio ventaglio di servizi di prima qualità, in grado di rispondere al meglio alle diverse esigenze della clientela. Attraverso innovazione e flessibilità, i fornitori di servizi finanziari devono sapersi adeguare costantemente alle evoluzioni sui mercati nazionali e internazionali, contribuendo a plasmarne il volto. Compito dello Stato è di creare le condizioni quadro necessarie.

Segnatamente, il governo è chiamato ad attivarsi nell'ambito di organismi e istituzioni internazionali, a seguire costantemente gli sviluppi sulle altre piazze finanziarie e a migliorare le condizioni quadro in Svizzera laddove necessario. Per la crescita del settore finanziario sono rilevanti in particolare le seguenti condizioni: un impianto normativo basato sugli standard riconosciuti sul piano internazionale, una politica monetaria e finanziaria solida e orientata alla stabilità, un clima fiscale attraente, una efficiente infrastruttura del mercato finanziario, una elevata qualità della formazione nonché un mercato del lavoro aperto e flessibile. Allo scopo di tenere in dovuta considerazione le peculiarità della piazza finanziaria locale, la Svizzera si riserva il diritto di applicare deroghe. Dovranno essere introdotte normative più rigorose di quelle internazionali se opportune o necessarie per motivi strutturali o sulla base di vantaggi concorrenziali.

2. Garanzia e miglioramento dell'accesso al mercato Anche in futuro la piazza finanziaria svizzera dovrà distinguersi
per la sua internazionalità e apertura. Gli operatori esteri avranno ancora libero accesso alla piazza elvetica; in compenso la Svizzera si attende un accesso indiscriminato ai mercati esteri. Gli sforzi volti a migliorare e assicurare l'accesso al mercato per gli intermediari finanziari svizzeri dovranno essere intensificati alla luce delle crescenti tendenze protezionistiche.

3. Migliorare la resistenza del settore finanziario alle crisi e il trattamento di imprese finanziarie di rilevanza sistemica Solo un settore finanziario stabile può creare un benessere durevole e provvedere affinché il ruolo fondamentale del sistema finanziario come meccanismo di allocazione possa essere garantito in ogni momento. Considerando le dimensioni ma anche le implicazioni nazionali e internazionali di alcuni gruppi finanziari svizzeri, gli aspetti della stabilità e della sorveglianza a livello di gruppo assumono particolare rilievo. I relativi lavori di coordinamento internazionali sono soprattutto affidati al Fondo monetario internazionale e al Financial Stability Board. Sul piano nazionale devono essere adottate misure per diminuire la vulnerabilità alle crisi di imprese di rilevanza sistemica, rafforzare la solidità delle infrastrutture centrali e garantire 1039

l'appuramento di strutture e di istituti falliti sul mercato. Il gruppo di esperti incaricato dal Consiglio federale ha presentato nel suo rapporto conclusivo di fine settembre 2010 delle proposte legislative intese a mitigare questo problema. L'avamprogetto di misure legislative andrà in consultazione prevedibilmente a fine gennaio 2011.

4. Garantire l'integrità della piazza finanziaria L'integrità genera fiducia negli operatori di mercato: essa rappresenta una condizione imprescindibile per il successo e l'accettazione della piazza finanziaria svizzera, sia nel contesto interno che in quello internazionale. L'integrità deve essere garantita da un lato dagli stessi operatori di mercato e, dall'altro, attraverso la regolamentazione. La volontà di Stati esteri di attuare integralmente le rispettive legislazioni fiscali è marcatamente aumentata. Accanto allo scambio di informazioni su richiesta nel quadro dell'assistenza amministrativa (secondo gli standard dell'OCSE), il Consiglio federale è disposto a estendere l'attuale collaborazione transfrontaliera nel quadro di accordi bilaterali e a determinate condizioni (regolarizzazione dei conti non dichiarati nei confronti del fisco del Paese in questione, agevolazione dell'accesso al mercato per i servizi finanziari forniti dalla Svizzera, tutela della sfera privata dei clienti delle banche). A tale scopo vengono prese in esame diverse misure, fra cui l'introduzione di un'imposta liberatoria nelle relazioni con importanti Paesi (limitrofi) nonché altri provvedimenti intesi a incoraggiare l'onestà fiscale dei clienti delle banche e a ridurre i conseguenti rischi legali. La Svizzera continua inoltre a partecipare attivamente agli sforzi internazionali volti a combattere la criminalità sui mercati finanziari.

4.1.3

Lotta alla corruzione

La corruzione, sovente additata come male endemico, non conosce frontiere e colpisce tutte le forme di governo a diversi livelli. Dalla «piccola corruzione», come le bustarelle tra privati, alla «grande corruzione», ossia l'offerta di agevolazioni per ottenere appalti: il fenomeno rallenta considerevolmente gli scambi economici, falsa la libera concorrenza e mina la fiducia nelle autorità. Oltre a pesare sullo sviluppo economico, la corruzione attenta ai principi fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia, contravvenendo alle procedure e alle regole del gioco comunemente pattuite. La corruzione contribuisce altresì a creare incertezza ed è causa di instabilità per ogni sistema economico, politico e sociale. A lungo termine nessuna società può permettersi di sostenere i costi sociali, politici ed economici indotti da questo fenomeno, che la globalizzazione sembra amplificare a seguito della rapidità degli scambi, della frammentazione delle responsabilità e della moltiplicazione di attori e intermediari.

Dalla fine degli anni Novanta la comunità internazionale tenta di arginare il problema della corruzione. Il tema è stato dapprima affrontato dal profilo delle relazioni commerciali, giacché per lungo tempo la corruzione è stata considerata un fenomeno intrinseco ai commerci internazionali. In passato la corruzione di funzionari pubblici stranieri era tollerata da quasi tutti gli Stati, compresa la Svizzera: per le imprese attive all'estero era perfino ammessa la deduzione fiscale delle bustarelle versate per conquistare nuovi mercati. Questa pratica, bandita dal 1997 dai membri dell'OCSE, ha spinto la comunità internazionale a interessarsi alla corruzione in una prospettiva 1040

più ampia. Da allora hanno visto la luce convenzioni internazionali di diversa portata: in particolare la Convenzione dell'OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (1997), la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa (1999) e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC, 2003). La Svizzera, in qualità di Paese membro di questi tre consessi internazionali (OCSE, Consiglio d'Europa, ONU), si è impegnata attivamente nel processo di negoziazione, elaborazione, ratifica e attuazione di ciascuno di questi accordi. Essa ha inoltre presieduto i lavori di codificazione delle disposizioni dell'UNCAC relative alla restituzione degli averi illecitamente acquisiti e continua a svolgere un ruolo chiave nei consessi internazionali, con l'obiettivo sia di formulare standard elevati e ambiziosi sia di verificare una fedele trasposizione di questi standard da parte dei governi, a prescindere dalle dichiarazioni di intenti.

L'impegno svizzero nella lotta anticorruzione sul piano internazionale, oltre a inquadrarsi nelle attività negoziali in seno ai diversi organismi, si estende anche all'assistenza tecnica e alla cooperazione giudiziaria. Nel quadro della sua politica di aiuto allo sviluppo, la Svizzera fornisce infatti assistenza tecnica a numerosi Paesi, ottenendo come conseguenza diretta o indiretta una riduzione del livello di corruzione. La sua politica di aiuto allo sviluppo si rivolge tanto alle autorità governative (riforme istituzionali) quanto alla società civile in senso lato (campagne di sensibilizzazione, approcci partecipativi).

Convenzione dell'OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri L'OCSE è attiva da molto tempo nella lotta alla corruzione: una prima raccomandazione del Consiglio è stata emanata già nel 1994 e ha coinciso con l'istituzione di un gruppo di lavoro specializzato, che da allora ­ sotto la presidenza svizzera ­ ha sviluppato diversi strumenti di lotta a questo fenomeno o collaborato alla loro realizzazione (corruzione e crediti all'esportazione, divieto di detrazione fiscale di bustarelle). Nel 1997 esso ha allestito il primo accordo internazionale in materia, la Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri, entrata in vigore nel 1999
e ratificata dalla Svizzera il 31 maggio 2000. Quest'ultima è focalizzata su un aspetto importante della corruzione, ossia la corruzione attiva di pubblici ufficiali stranieri, disciplinandone a tutto campo, sul piano preventivo e repressivo, le misure volte a contrastarla. Il gruppo di lavoro anticorruzione verifica, attraverso un processo di monitoraggio, le misure varate nei 38 Stati membri e all'occorrenza esercita pressione sulle autorità dei rispettivi Paesi che non tengono fede o adempiono solo in modo insufficiente ai loro impegni.

A ottobre 2009 il gruppo di lavoro ha emanato una nuova raccomandazione del Consiglio dell'OCSE inerente all'attuazione della Convenzione, che sostituisce quella finora vigente del 1997 e ne rafforza le disposizioni, adeguandole alle condizioni attuali e ai nuovi strumenti di lotta alla corruzione.

Con il suo ben collaudato ed efficiente meccanismo di controllo, la Convenzione è un valido mezzo per creare pari condizioni alle imprese che sviluppano le loro attività su scala internazionale. Grazie all'OCSE ­ che biasima anche pubblicamente i membri che non praticano adeguatamente la lotta alla corruzione o che non applicano nel dovuto modo la Convenzione ­ le aziende svizzere possono competere ad armi pari e nel segno della lealtà con i loro concorrenti internazionali. Obiettivo della Convenzione è di vincolare a medio termine tutte le grandi nazioni economiche a una serie di chiare regole. Il gruppo di lavoro, che già oggi annovera rappresentanti 1041

di diversi Paesi non membri dell'OCSE, è molto interessato a favorire l'adesione di altri Stati alla Convenzione . La Svizzera appoggia la collaborazione con Paesi non membri e l'ampliamento del gruppo di lavoro. La dichiarazione contenuta nel comunicato finale del G20 di Pittsburgh, che ribadisce l'importanza della Convenzione dell'OCSE, rappresenta un segnale incoraggiante in questa direzione.

Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa La Svizzera ha aderito nel 2006 alla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa. La commissione speciale istituita da quest'ultimo, il GRECO (Groupe d'Etats contre la corruption), sostiene e potenzia la lotta alla corruzione effettuando valutazioni reciproche in tutti i Paesi membri. Nel giugno 2008 ha pubblicato il rapporto sulla prima valutazione della Svizzera: le analisi svolte hanno tra l'altro riguardato le autorità specializzate, questioni relative all'immunità, i provvedimenti processuali, la confisca e il riciclaggio di denaro proveniente da corruzione. Il GRECO ha in particolare elogiato l'efficacia del sistema di confisca e della responsabilità penale delle imprese, proponendo nel contempo di rafforzare i dispositivi di prevenzione contro la corruzione e indirizzando alla Svizzera 13 raccomandazioni a tale scopo. Per concretizzare queste ultime sono state messe a punto diverse misure: ad esempio, il gruppo consultivo sulla corruzione è stato trasformato in un gruppo di lavoro interdipartimentale con un mandato formale (v. sotto), varie misure mirate a prevenire e fronteggiare il riciclaggio sono state integrate nella legislazione sul personale federale (segnatamente l'introduzione di un obbligo di notifica e della protezione di coloro che segnalano irregolarità («whistleblower») nonché disposizioni più rigorose relative all'accettazione di regali, alle occupazioni accessorie e al passaggio di pubblici funzionari al settore privato («pantouflage») e a tutto il personale della Confederazione sono stati distribuiti opuscoli informativi sulle attività accessorie e sull'obbligo di segnalare possibili casi di corruzione.

Nell'autunno 2009 la Svizzera ha fornito il suo rapporto sull'attuazione della raccomandazioni al GRECO, che nel suo rapporto di conformità del 26 marzo 2010 riconosce «gli sforzi esemplari intrapresi dalla
Svizzera» per trarre rapidamente tutte le conseguenze dal rapporto di valutazione del 2008, giungendo alla conclusione che 12 delle 13 raccomandazioni risultano già interamente attuate. La prossima valutazione della Svizzera è prevista nel 2011 e avrà come oggetto il diritto penale in materia di corruzione nonché la trasparenza dei finanziamenti ai partiti politici.

Convenzione dell'ONU contro la corruzione (UNCAC) La Convenzione dell'ONU contro la corruzione, entrata in vigore il 14 dicembre 2005 e ratificata dalla Svizzera il 24 settembre 2009, rappresenta l'accordo internazionale in materia di gran lunga più esteso e a tutt'oggi è stato siglato da 140 Stati.

Esso contempla tra l'altro disposizioni inerenti alla prevenzione della corruzione, alla collaborazione internazionale e al supporto tecnico per Paesi emergenti e in sviluppo, impegnando i Paesi aderenti a punire sia la corruzione attiva e passiva di funzionari pubblici delle rispettive amministrazioni, sia la corruzione attiva di pubblici ufficiali stranieri. Questa convenzione dispone altresì per la prima volta che, sussistendo determinate premesse, i valori patrimoniali acquisiti illecitamente devono essere restituiti. Alla terza conferenza degli Stati parte all'UNCAC svoltasi a Doha (9­13 novembre 2009) la Convenzione è stata rafforzata, tra l'altro attraverso l'istituzione di un meccanismo per l'attuazione.: Mediante una valutazione reciproca («peer review»), che si svolgerà in due cicli ciascuno di cinque anni, verrà esaminata l'attuazione dell'UNCAC in tutti gli Stati parte. Pur risultando ancora insufficiente 1042

in molti settori (trasparenza dei rapporti, coinvolgimento della società civile, discussione plenaria ecc.), questo meccanismo rappresenta un importante passo avanti nella giusta direzione. Il 2010 sarà un anno decisivo per il suo futuro sviluppo, poiché dal 28 giugno al 2 luglio si è già tenuta la sessione di apertura dell'Implementation Review Group (IRG). Quest'ultimo, che può essere considerato l'organo principale del sistema di valutazione reciproca, ha chiarito in occasione di questo incontro gli ultimi aspetti inerenti alle modalità e nel contempo ha ufficialmente avviato il primo ciclo, allestendo il piano delle verifiche. La Svizzera si sottoporrà a una prima valutazione nel quadro dei capitoli III e IV dell'UNCAC nel secondo anno del ciclo (giugno 2001­maggio 2012) e ha grande interesse a partecipare attivamente a questo programma anche in futuro. Lo farà nei principali settori dell'UNCAC, ossia la prevenzione, il supporto tecnico e la restituzione di valori patrimoniali acquisiti illecitamente.

Gruppo d'azione finanziaria (GAFI) Al vertice di Pittsburgh del settembre 2009, i dirigenti del G20 hanno lanciato un appello al GAFI affinché partecipi prioritariamente alla ricerca dei proventi derivanti dalla corruzione e all'inasprimento delle misure dissuasive del sistema di lotta contro il riciclaggio. Il GAFI ha risposto all'appello e sta esaminando questi aspetti nella prospettiva della prevenzione, del rafforzamento delle istituzioni e della cooperazione internazionale. La Svizzera, forte di un buona posizione in questo campo, ha interesse a promuovere sia l'attuazione effettiva degli standard esistenti in materia di lotta anticorruzione, sia la definizione di norme internazionali efficaci e commisurate ai rischi. Lo dimostra peraltro il suo impegno in tal senso: nel 2009 ha partecipato attivamente ai lavori degli esperti del GAFI in vista di un miglioramento della cooperazione internazionale nel settore della confisca di averi illegali di potentati.

Gruppo di lavoro interdipartimentale per la lotta alla corruzione Nel 2000 la Svizzera si era dotata di un Gruppo consultivo sulla corruzione, che riuniva in modo informale gli operatori istituzionali impegnati nella lotta alla corruzione a livello federale. Nel suo «Rapporto di valutazione sulla Svizzera» il GRECO aveva formulato 13
raccomandazioni, una delle quali proponeva di dotare questo gruppo consultivo ­ o un'altra struttura appropriata ­ dei mezzi e delle competenze necessari per avviare politiche in materia di lotta alla corruzione concertate a livello nazionale (associando Confederazione e Cantoni, autorità amministrative e giudiziarie, competenze interdisciplinari e specialistiche).

Seguendo questa raccomandazione, il 19 dicembre 2008 il Consiglio federale ha deciso di costituire un Gruppo di lavoro interdipartimentale per la lotta alla corruzione, conferendogli un mandato formale. Ai sensi di quest'ultimo, il Dipartimento federale degli affari esteri è incaricato di assumere la presidenza e anche la segreteria permanente del gruppo, che è stato istituito per una durata di dieci anni con possibilità di proroga del mandato e che raggruppa tutti gli Uffici federali interessati in un modo o nell'altro alla lotta contro la corruzione. Oltre alla raccomandazione di collaborare con la società civile (segnatamente in materia di sensibilizzazione), il mandato prevede l'organizzazione di incontri regolari e atelier tematici allo scopo di sviluppare strategie comuni. Il Gruppo è tenuto a fare regolarmente rapporto al Consiglio federale in merito alle proprie attività e, all'occorrenza, a formulare raccomandazioni in materia di politica di lotta alla corruzione. Il primo di questi rapporti è previsto nel 2011. Il Gruppo di lavoro interdipartimentale è assistito da un 1043

comitato preposto al coordinamento funzionale, alla gestione operativa e all'orientamento strategico, formato da rappresentanti delle unità amministrative con funzioni chiave nella lotta alla corruzione. Se necessario esso può valersi della collaborazione di esponenti di altri Uffici federali, dei Cantoni e della società civile, a dipendenza dei temi affrontati. Il primo atelier tematico sulla questione della protezione dei «whistleblower» in seno all'Amministrazione federale si è tenuto nel mese di maggio 2010, mentre il secondo, in programma a inizio novembre 2010, sarà dedicato ai rischi di corruzione in relazione al contributo svizzero all'allargamento. Tutti i risultati di questi atelier sono inseriti nel rapporto destinato al Consiglio federale.

4.1.4

Problematica degli averi illegali di potentati

Gli averi di origine illecita di potentati, anche chiamati «persone politicamente esposte» (PPE), rappresentano un problema di dimensione internazionale in materia di sviluppo: la Banca mondiale stima che fondi compresi fra 20 e 40 miliardi di dollari vengano sottratti ogni anno attraverso la corruzione di funzionari pubblici, somma che equivale al 20­40 per cento dell'importo totale annuo dell'aiuto mondiale allo sviluppo. La problematica degli averi di origine illecita riguarda anche la Svizzera nel momento in cui tali fondi lasciano i Paesi in cui sono stati sottratti per arrivare sulle piazze finanziarie internazionali, come appunto quella elvetica. La Svizzera ha reagito a questa situazione dalla fine degli anni Ottanta nel solco di diversi casi clamorosi (Marcos, Abacha, Montesinos). Per la sua politica proattiva di restituzione degli averi, la Svizzera ha assunto una posizione di punta a livello mondiale in questo campo.

Concretamente, la Svizzera ha sviluppato un sistema basato su due pilastri: la prevenzione e l'assistenza. Il primo, la prevenzione, è stato rafforzato in collaborazione con il settore bancario. La legge del 10 ottobre 199726 sul riciclaggio di denaro, che ne rappresenta uno dei principali strumenti, fa obbligo agli intermediari finanziari di identificare eventuali averi illegali e di notificarne l'esistenza all'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (Money Laundering Reporting Office of Switzerland, MROS). Il secondo, l'assistenza, è fondato sulla legge del 20 marzo 198127 sull'assistenza internazionale in materia penale, che autorizza la collaborazione con altri Stati allo scopo di individuare e restituire averi di origine illecita. Nel complesso questo sistema produce buoni risultati, tanto che negli ultimi quindici anni ha consentito alla Svizzera la restituzione di circa 1,7 miliardi di franchi, cifra ampiamente superiore a quella di ogni altra piazza finanziaria.

Tuttavia, le possibilità del sistema restano ancora largamente sconosciute, soprattutto al di là delle frontiere elvetiche. La Svizzera beneficia di scarso sostegno nei suoi sforzi volti a dimostrare il buon funzionamento non solo del suo sistema antiriciclaggio, ma anche del suo dispositivo di legge che consente il ricorso agevolato all'assistenza giudiziaria per il recupero degli
averi. Essa deve dunque affrontare una vera e propria sfida sul terreno della comunicazione: dimostrare con i fatti che se un numero considerevole di fondi illeciti è congelato sulla piazza finanziaria svizzera non è dovuto al fatto che la protezione del segreto bancario li attira ma, al contrario, perché il Paese dispone degli strumenti e della volontà politica per individuarli, 26 27

RS 955.0 RS 351.1

1044

bloccarli, confiscarli e restituirli. Ciò premesso, il fenomeno crescente dei cosiddetti Stati dissestati («failed states») ha messo a nudo i limiti del sistema per effetto dei casi Mobutu e Duvalier.

I casi degli averi di Mobutu e Duvalier Nel primo caso, gli averi Mobutu sono stati bloccati in Svizzera dal 1997 al 2009. In questi dodici anni il Consiglio federale a tentato tutte le strade per trovare una soluzione che consentisse di restituire questi fondi alla Repubblica democratica del Congo. Tuttavia, malgrado gli sforzi della Svizzera, compresa la messa a disposizione di un avvocato specializzato in queste procedure, essi hanno dovuto essere sbloccati il 15 luglio 2009 e la causa è da ricercare nella mancanza di volontà politica da parte del governo della RDC a collaborare attivamente alla soluzione della vicenda.

Nel secondo caso, i fondi dell'ex dittatore Jean-Claude Duvalier sono bloccati dal 1986, prima per effetto dell'assistenza giudiziaria e in secondo luogo, a partire dal 3 febbraio 2010, sulla base delle decisioni del Consiglio federale. Questo blocco imposto dal governo di Berna, grazie al quale gli averi non hanno potuto ritornare al clan Duvalier, ha fatto seguito a una sentenza del 12 gennaio 2010 del Tribunale federale che ha posto fine all'assistenza giudiziaria in materia penale tra Haiti e la Svizzera, in virtù della prescrizione dei reati commessi dal clan Duvalier. Il blocco si protrarrà sino all'entrata in vigore della legge del 1° ottobre 201028 sulla restituzione degli averi di provenienza illecita.

Legge sulla restituzione degli averi di provenienza illecita Nella suddetta sentenza «Duvalier», il Tribunale federale ha anche constatato che le condizioni poste dall'assistenza giudiziaria in materia penale «appaiono troppo rigide per questo genere di casi», invitando quindi il legislatore ad apportare i necessari adeguamenti. I relativi lavori legislativi sono in corso già dal giugno 2007, quando il consigliere nazionale Felix Gutzwiller ha depositato un postulato sull'assistenza giudiziaria con i cosiddetti «Failing States» (07.3459). Il Consiglio federale il 24 febbraio 2010 ha quindi posto in consultazione esterna un avamprogetto di legge. Il 28 aprile 2010 ha presentato al Parlamento il disegno di legge29 che è stato dibattuto nelle sessioni estiva e autunnale per
poi essere adottato il 1° ottobre 201030. Il termine di referendum scade il 20 gennaio 2011. Questa legge prevede una procedura sussidiaria all'assistenza giudiziaria, che diverrebbe applicabile unicamente se tale procedura culminasse con una decisione negativa da parte dell'autorità competente a causa del dissesto delle strutture statali dello Stato richiedente. In simili situazioni, la legge proposta dovrebbe evitare la restituzione agli aventi diritto dei conti di valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte, come nel caso Mobutu. Dopo la sua entrata in vigore, la legge potrebbe offrire una soluzione al caso degli averi Duvalier, consentendo il loro sequestro e la restituzione alla popolazione haitiana. La legge comporta i seguenti elementi essenziali:

28 29 30

FF 2010 2917 FF 2010 2917 FF 2010 5773

1045

­

la possibilità d bloccare valori patrimoniali di PPE in caso di situazione di dissesto delle strutture di uno Stato richiedente l'assistenza giudiziaria (art. 2);

­

la possibilità di confiscare i valori patrimoniali, come provvedimento definitivo, trasferendo alla Confederazione la proprietà dei valori patrimoniali bloccati (art. 5);

­

il principio della restituzione dei valori patrimoniali al loro legittimo proprietario, ossia la popolazione dello Stato di provenienza, mediante programmi di aiuto allo sviluppo (art. 8).

Questa legge rispecchia la politica che la Svizzera sta praticando da oltre vent'anni per evitare che il Paese serva da rifugio per gli averi sottratti da PPE, sia sul piano nazionale che internazionale.

Impegno internazionale La Svizzera ha lanciato e sostiene diverse iniziative volte a promuovere il coordinamento internazionale della lotta alla criminalità finanziaria. Infatti, le piazze finanziarie internazionali devono allearsi per impedire la circolazione di fondi di origine criminale, bloccarli rapidamente e restituirli ai loro legittimi proprietari: ­

La Svizzera collabora regolarmente con l'Iniziativa per il recupero di fondi pubblici indebitamente sottratti («Stolen Assets Recovery Initiative»,StAR), avviata dalla Banca mondiale e dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) nel settembre 2007. L'iniziativa intende innanzitutto mettere tutti gli Stati in condizione di trattare e inoltrare domande di assistenza giudiziaria internazionale, approvare e applicare misure efficaci di confisca di valori patrimoniali illegali e migliorare la trasparenza e l'obbligo di render conto nella gestione delle finanze pubbliche. Nel giugno 2010 la Svizzera ha organizzato a Parigi, in collaborazione con la StAR, la prima conferenza internazionale dedicata al tema del recupero di averi rubati. La conferenza, alla quale hanno partecipato rappresentanti di governi e del settore finanziario, ha permesso di sottolineare la stretta relazione tra il recupero di fondi sottratti e lo sviluppo, nonché di intavolare una discussione sulle responsabilità condivise dai diversi operatori.

­

Nel 2001 la Svizzera ha avviato il «Processo di Losanna», che offre regolari opportunità di incontro agli specialisti di tutto il mondo per migliorare le procedure esistenti e allacciare contatti. Al seminario «Lausanne V» (29­30 aprile 2010) hanno partecipato circa 40 rappresentanti governativi ed esperti internazionali. Questa edizione, organizzata in collaborazione con la Banca mondiale e l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), è stata dedicata a uno studio sugli ostacoli al recupero degli averi pubblicato dalla StAR.

­

La Svizzera è tra i maggiori finanziatori del Centro internazionale per il recupero di fondi pubblici indebitamente sottratti («International Center for Asset Recovery», ICAR) di Basilea sin dalla sua fondazione. Lo scopo del centro è sostenere i Paesi in sviluppo ed emergenti negli sforzi di recupero di valori patrimoniali. La Svizzera offre assistenza tecnica sotto forma di corsi con cui acquisire capacità e realizzare le procedure e istituzioni necessarie all'assistenza giudiziaria nel settore della restituzione di fondi. L'ICAR offre anche una vasta gamma di corsi sulla governance e la lotta contro la corru-

1046

zione, che vengono adattati alle condizioni e realtà locali. Nel 2010 la Svizzera ha sostenuto iniziative di formazione nella Repubblica democratica del Congo e in Camerun.

­

A livello multilaterale, la Svizzera ha ratificato a fine 2009 la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, impegnandosi affinché essa ­ segnatamente l'articolo 57, che obbliga gli Stati a restituire i valori patrimoniali acquisiti illecitamente ai Paesi cui sono stati sottratti - venga applicata in modo efficace in tutto il mondo, in particolare per quel che riguarda il trattamento di fondi di potentati. La Svizzera partecipa regolarmente e attivamente ai relativi gruppi di lavoro e alle conferenze degli Stati aderenti alla Convenzione.

­

La Svizzera è uno dei principali contribuenti dell'«AML/CFT Trust fund», un fondo fiduciario multi donatore del Fondo monetario internazionale contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Con il suo impegno finanziario e il suo know-how, la Svizzera contribuisce in particolare al rafforzamento dei sistemi di lotta a entrambi questi crimini nei Paesi in sviluppo.

4.2

Sicurezza umana

4.2.1

Sfide

In un mondo sempre più complesso, la Svizzera può promuovere i propri interessi soltanto valorizzando tutti gli strumenti della propria politica estera, tra i quali figura la promozione della sicurezza umana.

Dagli anni Novanta si è imposta una nozione di «sicurezza» in senso lato, ovvero quella della «sicurezza umana», che si concentra sulle singole persone e sul loro bisogno di vivere al sicuro. Essa non si sostituisce alla tradizionale nozione di sicurezza dello Stato, ma la completa, in particolare poiché la estende a dimensioni indispensabili per la sicurezza individuale. Negli ultimi vent'anni, è infatti emerso che le guerre civili, gli sfollamenti di popolazione, l'arbitrio, la violenza politica o criminale e la povertà sono fattori che incrementano il pericolo per gli esseri umani più di quanto non facciano le tradizionali guerre tra due Stati. La promozione della sicurezza umana viene portata avanti, tra l'altro, attraverso i buoni uffici, la mediazione, la prevenzione e la trasformazione dei conflitti, dalla lotta contro le mine antiuomo, le armi leggere e di piccolo calibro nonché dalla lotta contro la violenza armata, passando dal consolidamento dei diritti dell'uomo, la protezione delle popolazioni civili e la lotta contro la tratta di esseri umani. In questi ambiti, le sfide sono aumentate in maniera esponenziale e hanno acquisito una dimensione mondiale.

Per la Svizzera, in quanto Stato neutrale, rivestono inoltre un interesse vitale la salvaguardia della pace e della sicurezza nonché il rispetto del diritto internazionale.

Da un Paese agiato e che profitta dei benefici della globalizzazione ci si aspetta che sostenga e incoraggi soluzioni comuni per rispondere a sfide generali. Dalla fine degli anni Novanta la Svizzera si è impegnata vivamente a rafforzare la sicurezza

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umana nel mondo attraverso, tra l'altro, la propria politica di pace e dei diritti dell'uomo nonché la propria politica umanitaria e in materia di migrazione31.

Impegno a favore della pace Da quando è terminata la Guerra fredda si sono contate più di cento guerre, svolte essenzialmente per procura in Africa, Asia e America Latina. Al giorno d'oggi, i conflitti armati e le loro conseguenze sono diventati viepiù complessi. Nella maggior parte dei casi, le crisi scoppiano in un territorio di uno Stato o in zone in cui lo Stato appare fragile; negli scontri gruppi armati non governativi si oppongono a forze di sicurezza nazionali, a gruppi paramilitari o società militari e di sicurezza private. I combattimenti si estendono spesso ai Paesi confinanti e destabilizzano intere regioni.

I rapporti d'interdipendenza sono diventati così stretti globalmente che anche Paesi molto distanti dalle zone di conflitto possono subirne le conseguenze: messa in pericolo degli investimenti e delle esportazioni, recrudescenza della criminalità organizzata e incremento dei flussi migratori. D'altra parte, la violenza armata in termini generali rappresenta una sfida considerevole. Annualmente provoca la morte di quasi 740 000 persone nel mondo, 490 000 delle quali non coinvolte nei conflitti, e genera costi immensi dal punto di vista economico e dello sviluppo.

In questi ultimi vent'anni, l'impegno a favore della pace e della stabilità è aumentato in numerosi Paesi e a livello internazionale. Studi mostrano che, dal termine della Guerra fredda, il numero di conflitti armati nel mondo si è quasi dimezzato. Ciò è dovuto in gran parte agli sforzi intrapresi dai diversi attori internazionali al fine di rafforzare la sicurezza umana32. La Svizzera, fedele alla propria tradizione umanitaria, ha fatto della promozione della pace e della stabilità una delle colonne portanti della propria politica estera. Godendo di un vantaggio legato alla propria storia, può apportare un valore aggiunto in questi ambiti, poiché possiede competenze in materia di federalismo, di democrazia, di processi elettorali, di rispetto delle minoranze e di analisi del passato, ed è pertanto considerata un mediatore degno di fiducia.

Importanza crescente delle operazioni multilaterali di mantenimento della pace Le operazioni di pace multilaterali contribuiscono
in modo importante ed efficace a gestire crisi internazionali. Queste, oltre agli strumenti civili per trattare e risolvere conflitti, spesso dispongono di sostanziali componenti militari per rendere stabile una situazione. Negli ultimi due decenni, il numero e la complessità di tali operazioni sono aumentati drasticamente. Attualmente, l'ONU sta portando avanti 15 operazioni di mantenimento della pace («peacekeeping») con l'impiego complessivo di oltre 100 000 militari, osservatori militari e agenti di polizia33. Le esperienze 31

32 33

L'impegno della Svizzera a favore della coesistenza pacifica dei popoli e del rispetto dei diritti dell'uomo è stato introdotto nella Costituzione federale del 18 aprile 1999 (art. 54) e precisato nella legge federale del 19 dicembre 2003 su misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo (RS 193.9). La necessità d'impegnarsi in questi ambiti è stata similmente riaffermata nei rapporti sulla politica estera 2000 e 2009 nonché nel programma di legislatura 2007­2011. La Divisione politica IV della Direzione politica è il servizio preposto alle questioni di sicurezza umana in seno al DFAE. Nel DFAE, anche la Direzione del diritto internazionale pubblico e la Direzione dello sviluppo e della cooperazione contribuiscono a rafforzare la sicurezza umana. Questo obiettivo viene perseguito da ulteriori unità dell'Amministrazione federale, quali il DDPS, incaricato della promozione militare della pace.

«Human Security Report 2005» e «Human Security Brief 2007», Human Security Centre, Oxford University Press, www.hsrgroup.org.

Stato aprile 2010, http://www.un.org/en/peacekeeping/bnote.htm.

1048

raccolte al termine di numerose missioni infruttuose hanno permesso di adattare gli strumenti. In particolare, in seguito al cosiddetto Rapporto Brahimi (2000)34 e ai lavori successivi quali il piano «New Horizon»35 (2009), l'ONU rafforzerà la collaborazione tra gli attori civili e quelli militari e incrementerà l'esame delle cause del conflitto. Inoltre, assumono un ruolo sempre più importante anche le organizzazioni regionali. Ciononostante, le operazioni di pace rimangono imprese impegnative il cui successo dipende da numerosi fattori, spesso difficilmente controllabili. Tra questi sono compresi anche la volontà politica degli Stati membri e i mezzi militari, civili ed economici che questi mettono a disposizione. Bisogna infine aggiungere che non vi è alcuna alternativa convincente alla gestione internazionale delle crisi quando si tratta di salvaguardare la pace e la sicurezza e garantire una stabilità a lungo termine (cfr. anche n. 4.1.1).

Dal 2002, anno in cui ha aderito all'ONU (la più importante organizzazione per la promozione della pace nel mondo), la Svizzera può lavorare in quest'ambito contando su una maggiore intesa con la comunità internazionale. Per quanto concerne la promozione militare della pace, vi è ancora un potenziale di sviluppo. Un raffronto con altri Stati neutrali o non legati ad alleanze quali l'Irlanda, l'Austria, la Svezia o la Finlandia mostra che questi hanno fatto della promozione militare della pace un compito fondamentale che determina la struttura dei loro eserciti. Sotto il profilo giuridico è possibile conciliare la neutralità con il fatto di fornire questo tipo di prestazioni a favore della sicurezza internazionale su mandato dell'ONU o dell'OSCE. Gli Stati neutrali, con il proprio impegno nella gestione multilaterale delle crisi, non devono rinunciare né alle proprie responsabilità né alla proprie neutralità.

Sarebbe quindi auspicabile rivalorizzare la promozione militare della pace, in modo tale da permettere alla Svizzera di curare i propri interessi in materia di politica di sicurezza nel modo più efficace possibile a livello internazionale. Gli impieghi attualmente forniti dall'esercito svizzero, dal contingente Swisscoy agli osservatori militari e agli esperti tecnici (per es. sminamento, messa in sicurezza di depositi di armi e munizioni nonché la
riforma del settore della sicurezza), passando dai distaccamenti di elicotteri, sono apprezzati dalla comunità internazionale poiché qualitativamente validi. Su questa base, il contributo dell'esercito svizzero potrebbe essere aumentato, sia dal profilo qualitativo che da quello quantitativo. Il rapporto sulla politica di sicurezza 2010 tiene conto di tale questione nella misura in cui conferma la cooperazione e sollecita un aumento della promozione militare della pace sotto il profilo quantitativo e qualitativo.

Crescente necessità in materia di protezione delle persone La protezione di persone vulnerabili ed esposte al rischio di guerre, violenza o catastrofi naturali rimane un problema di grande attualità. Specie nel quadro dei conflitti moderni, è spesso difficile far distinzione tra civili e combattenti, e ciò rende le popolazioni civili particolarmente vulnerabili. Il ricorso a misure contrarie al diritto internazionale, quali attacchi intenzionali contro la popolazione civile o il mancato rispetto del principio di proporzionalità rientrano nelle strategie a cui ricorrono le parti in conflitto. In tale contesto, la Svizzera cerca di dare una soluzione a

34 35

http://www.un.org/peace/reports/peace_operations/ http://www.un.org/en/peacekeeping/documents/newhorizon.pdf

1049

due sfide di grande importanza: convincere le parti in conflitto a rispettare le norme in vigore e fornire risposte che vengano incontro alle esigenze dei civili.

Nonostante gli sforzi profusi dalla comunità internazionale, continua a crescere il numero delle persone che devono abbandonare la propria patria a causa di guerre, violenza o catastrofi naturali. Per il 2010, l'ONU prevede 214 milioni di migranti, ovvero il 3 per cento della popolazione mondiale. L'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati stimava che, alla fine del 2008, vi fossero 42 milioni di sfollati (cfr.

anche n. 5.3).

Perciò tante persone lontane dalla propria patria devono ricorrere a una protezione che molti Stati non possono garantire. Aiutare questi Stati a rispettare i propri obblighi a livello internazionale per proteggere persone vulnerabili rimane uno dei grandi compiti della comunità internazionale. Bisogna in particolare continuare a combattere il dilagare della tratta di esseri umani e far pervenire alle vittime, prevalentemente donne e bambini, gli aiuti necessari. A ciò si aggiunge che i flussi migratori internazionali sono diventati più complessi. Spesso, persone che cercano di sottrarsi alla povertà e alla fame devono letteralmente dividere la barca con altre che scappano dalla violenza armata, e così diventa sempre più difficile riconoscere chi ha diritto a quale tipo di protezione.

La sfida: applicazione di norme per il rispetto dei diritti dell'uomo Il rispetto dei diritti dell'uomo rimane una delle sfide principali. A più di 60 anni dall'adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel mondo sussistono ancora grandi disparità per quanto concerne il modo in cui questi vengono rispettati. La loro protezione internazionale ha conosciuto progressi incoraggianti poiché sempre più Stati si assumono effettivamente impegni giuridicamente vincolanti. Ciononostante, il rispetto dei diritti dell'uomo si è indebolito su più fronti: alcuni Stati,ad esempio, adducono la lotta contro il terrorismo per estendere il proprio sistema di repressione. In circa 60 Stati vige ancora la pena di morte, decine di Paesi ricorrono alla tortura e ad altri trattamenti crudeli e umilianti. A milioni di persone viene negato il diritto al cibo, all'acqua, all'assistenza sanitaria e alla formazione, per non parlare del
diritto a partecipare alla vita politica e delle pari opportunità. In questo contesto, le tradizionali priorità della politica estera svizzera nell'ambito dei diritti dell'uomo continuano a conservare la loro attualità, soprattutto la promozione mirata dei diritti fondamentali, la protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili e il potenziamento degli strumenti esistenti, quali il Consiglio dei diritti dell'uomo. La Svizzera deve però essere disposta ad affrontare le nuove sfide che emergono da una realtà in costante evoluzione, come ha fatto dalla fine del 2008 nel quadro dell'Agenda per i diritti umani, che propone priorità globali per il decennio a venire (l'istituzione, tra l'altro, di una Corte mondiale dei diritti dell'uomo, la realizzazione di un Fondo globale per la giustizia o, ancora, il rafforzamento della dignità umana) o, più recentemente, nel quadro degli sforzi intesi a migliorare l'efficacia della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il «rapporto sulla politica estera svizzera in materia di diritti dell'uomo (2007­2011)» allegato al presente rapporto illustra in modo dettagliato le sfide in questo ambito36.

36

Dopo quello del 2006, si tratta del secondo rapporto di questo genere che il Consiglio federale sottopone al Parlamento in risposta al postulato 00.3414 della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale del 14 agosto 2000. Per la prima volta, questo testo viene pubblicato quale allegato del rapporto sulla politica estera della Svizzera.

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Importanza di prevenire i conflitti e le massicce violazioni dei diritti dell'uomo A fronte della permanente evoluzione del contesto internazionale, alla corrente natura delle crisi e al loro impatto globale, è diventato indispensabile svolgere regolarmente una riflessione sulle strategie e gli strumenti della sicurezza umana. Questa è una sfida che la Svizzera cercherà di affrontare anche in futuro.

In particolare, diviene sempre più impellente la necessità di concentrarsi maggiormente sulla prevenzione dei conflitti e delle massicce violazioni dei diritti dell'uomo. Si tratta di salvare vite umane e di impiegare in maniera più incisiva le limitate risorse attualmente assorbite dalla gestione dei conflitti e dalla ricostruzione post-conflitto. Prevenire la violenza armata è, a ben vedere, molto più efficace e meno dispendioso sotto il profilo umano, sociale, economico e politico, che gestire in modo reattivo i conflitti e il consolidamento della pace. Sulla base dell'esperienza fatta con le tragedie del Ruanda e dei Balcani, e facendo la somma dei costi delle operazioni di pace37, la comunità internazionale ha fatto della prevenzione dei conflitti uno dei temi dominanti del Vertice del Millennio. Questo tema è stato uno degli elementi caratteristici delle attività dell'ex Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan38 ed è stato oggetto di risoluzioni dell'Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza. D'altronde, dal 2001 l'importanza di prevenire atti che potrebbero ledere la pace e la sicurezza ha assunto una nuova dimensione, dato che la comunità internazionale ha rivolto maggiore attenzione ai rischi che possono rappresentare gli Stati fragili (terreno propizio per lo sviluppo del terrorismo, della criminalità organizzata, della pirateria e di crisi che possono superare i confini nazionali e colpire Paesi vicini), e alle misure per contrastarli39. L'apparizione di nuovi fattori di rischio come i cambiamenti climatici rendono ancora più urgenti gli sforzi in questo ambito. Se, a prima vista, sembra ovvia l'importanza di prevenire i conflitti armati piuttosto di reagire quando è troppo tardi, l'esistenza di una cultura di prevenzione non è ancora una realtà per la comunità internazionale.

Dalla lotta contro la proliferazione delle armi e la violenza armata alla mediazione preventiva,
dal sostegno per consolidare lo Stato di diritto alla partecipazione a missioni internazionali di pace, dalla reintegrazione di ex combattenti alla ricostruzione, dal sostegno ai processi elettorali al dialogo con gli attori «difficili», dalla prevenzione del genocidio alla lotta contro l'impunità: questi sono gli strumenti della promozione della sicurezza umana che la Svizzera adotta e combina tra loro per contribuire alla prevenzione di nuovi conflitti. Il nostro Paese si impegna inoltre a rafforzare le capacità e chiarire le responsabilità dei differenti attori statali e non statali in materia di prevenzione dei conflitti armati a livello globale, regionale, nazionale e locale. Per il futuro, si pone la questione fondamentale se sarebbe auspicabile che la Svizzera incrementi la prevenzione dei conflitti e, in caso affermativo, in quali ambiti. I suoi punti forti, soprattutto per quanto concerne la prevenzione operativa, sono la credibilità della Svizzera in quanto Stato neutrale senza passato 37

38 39

Secondo uno studio del 1997 della Commissione Carnegie, la comunità internazionale ha destinato circa 200 miliardi di dollari alle sette grandi operazioni di pace degli anni Novanta. La Commissione ha calcolato il costo di queste attività di gestione dei conflitti e quello di un'azione preventiva, ed è giunta alla conclusione che la prevenzione avrebbe permesso alla comunità internazionale di risparmiare quasi 130 miliardi di dollari.

Cfr. il rapporto del Segretario generale «Prevenzione dei conflitti» del 7 giugno 2001 e i rapporti successivi.

Cfr. in particolare le Linee guida del Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE sul tema della prevenzione dei conflitti violenti, approvate nel 2001.

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coloniale o alleanze militari, e le sue competenze in materia di promozione della pace, attività per i diritti dell'uomo e governance. La prevenzione dei conflitti ha una natura politica e può entrare in collisione con interessi delle parti in conflitto, con timori per la perdita di sovranità o con intenzioni nascoste. Per tale ragione, la Svizzera deve valutare con la dovuta attenzione le opportunità e i limiti di una prevenzione effettiva dei conflitti. Presso il DFAE si sta riflettendo sulla possibilità di sviluppare misure che interessano più settori di attività. La prima tra le soluzioni evocate è l'impiego più sistematico della diplomazia preventiva. La seconda consisterebbe nel dotare la Confederazione di una borsa degli attrezzi operativa che permetterebbe di combinare tempestivamente e di impiegare in modo ancora più coerente gli strumenti a disposizione nel campo dello sviluppo e della governance, nonché della diplomazia non vincolante (iter, dialoghi, facilitazione, mediazione).

Come terza via, si potrebbe instaurare una cultura della prevenzione, catalizzando le energie nel campo della politica estera e attribuendo alla prevenzione dei conflitti una maggiore importanza nell'analisi, nell'elaborazione, nella messa in pratica e nella valutazione di programmi.

Bilancio 2009 e impegno per il 2010 Formulazione di politiche per mezzo di strumenti sviluppati nel corso degli anni: il secondo credito quadro destinato al finanziamento di misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo (complessivamente 240 milioni di franchi) è stato approvato dal Parlamento nel marzo 2008 e copre un periodo di almeno quattro anni a partire dal 1° maggio 2008. Nel 2009, il DFAE ha consacrato, grazie alla mediazione della Divisione politica IV, circa 59,8 milioni di franchi svizzeri alla promozione della sicurezza umana. Gli esperti del DFAE a Berna, che operano sia sul terreno che nelle organizzazioni multilaterali, hanno contribuito a prevenire e a regolare le crisi, come pure a formulare politiche internazionali per mezzo di strumenti sviluppati nel corso degli anni: i programmi di gestione civile dei conflitti (40 %, 23,8 milioni di franchi), l'invio di esperti svizzeri per la promozione civile della pace (26 %, 15,5 milioni di franchi), i dialoghi bilaterali sui diritti
dell'uomo (1 %, 697 000 franchi), le iniziative diplomatiche (18 %, 10,9 milioni di franchi) e i partenariati strategici (15 %, 8,9 milioni di franchi).

Il finanziamento delle misure di promozione della sicurezza umana è considerato al 97 per cento come aiuto pubblico allo sviluppo secondo i criteri dell'OCSE. Queste misure contribuiscono quindi a realizzare l'obiettivo della Svizzera relativo alla parte del PIL consacrata all'aiuto pubblico allo sviluppo. Nei propri sforzi a favore della sicurezza umana, il DFAE si è impegnato a svolgere un ruolo di attore o di coattore delle proprie politiche (71 % delle spese), piuttosto che di donatore per progetti di attori terzi (29 % delle spese).

Nel 2009, la Svizzera ha continuato a promuovere il dialogo con tutti gli attori interessati. In particolare in un contesto di tensioni internazionali, è importante saper costruire ponti tra le parti in contrasto. La Svizzera ha promosso il dialogo all'interno delle proprie discussioni internazionali, nelle proprie relazioni con gli Stati interessati e nel quadro delle proprie attività sul terreno. Ha continuato a ricorrere al dialogo anche nel contesto di conflitti armati, forte dell'esperienza che solo il coinvolgimento di tutte le parti in conflitto permette di prospettare un vero e proprio regolamento pacifico.

La promozione della sicurezza umana è considerata sempre più un compito collettivo. Nel 2009, la Svizzera ha continuato a lavorare in stretta collaborazione con la 1052

rete di partner che ha sviluppato nel corso degli anni. Ha cooperato con organizzazioni internazionali e regionali quali l'ONU, l'OSCE, il Consiglio d'Europa e l'Unione europea, con Paesi che condividevano i medesimi obiettivi, come la Norvegia e la Svezia, nonché con istituzioni accademiche ed entità non governative.

Grazie alle loro competenze, alla loro influenza o alla loro presenza sul terreno, questi partner esterni hanno un effetto moltiplicatore che permette di consolidare gli sforzi della Svizzera e di completare le sue capacità a favore della sicurezza umana.

Il regolamento pacifico dei conflitti, l'aumento della stabilità, l'impegno a favore del rispetto dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario nonché la promozione di una gestione delle migrazioni efficace e nel pieno rispetto della dignità umana rappresenteranno un aspetto importante della politica di sicurezza della Svizzera e della salvaguardia dei suoi interessi nel mondo. Nel 2010 è stato destinato alle attività in questi campi un budget di 62,8 milioni di franchi.

Attenzione ai diversi bisogni e ruoli delle donne e degli uomini: nell'impiego dei suoi diversi strumenti di promozione della sicurezza umana in tutte le fasi di attività (analisi, ideazione dei progetti, realizzazione di azioni concrete e valutazione), il DFAE si è impegnato a prestare la dovuta attenzione ai diversi bisogni e ruoli delle donne e degli uomini, e contro la violenza specifica al sesso. In questo contesto, i parametri d'azione sono rappresentati dalle regolamentazioni internazionali quali la risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU sul tema delle donne, della pace e della sicurezza40, o quali il piano d'azione nazionale della Svizzera. Nel 2009, il 67 per cento delle spese del DFAE per attività attinenti la sicurezza umana presentava una forte o sostanziale componente specifica al sesso (56 % nel 2008) e, nel 20 per cento, una componente meno importante (32 % nel 2008). Nel rimanente 13 per cento delle spese, il criterio della componente specifica al sesso non era rilevante (12 % nel 2008).

Nel quadro delle attività per la promozione civile della pace, vengono particolarmente sostenute le misure volte a coinvolgere maggiormente le donne quali attrici per raggiungere un migliore equilibrio specifico al sesso nei processi
di pace. Pertanto, il DFAE sostiene l'impegno politico delle donne nell'Europa sudorientale, nel Sudan, in Colombia, in Nepal e in altri Paesi prioritari. Inoltre, il DFAE collabora con partner quali «PeaceWomen Across the Globe», una rete globale di donne attive a tutti i livelli della politica di pace.

Nel campo della politica umanitaria, è stata instaurata una collaborazione pluriennale con il progetto dell'OCHA «Gender Standby Capacity Project» (Gencap), che mette degli esperti a disposizione delle organizzazioni partner dell'ONU per sviluppare programmi che tengano in considerazione la componente specifica al sesso. In occasione del decimo anniversario della risoluzione 1325, che sarà festeggiato nel 2010, la Svizzera sostiene una campagna del Gruppo di lavoro delle ONG su donne, pace e sicurezza (NGOWG) di New York, una piattaforma d'azione civile che, sull'arco di un anno, analizza le attività del Consiglio di sicurezza che concernono l'applicazione della risoluzione. Sempre nell'ambito di questo tema, nel febbraio 2010 è stato organizzato con successo un evento a Madrid dal titolo «1325: il ruolo delle donne nei processi di pace», in collaborazione con partner spagnoli.

Nel 2010 un gruppo di lavoro interdipartimentale diretto dal DFAE ha rielaborato il piano d'azione nazionale 1325 in vista della seconda fase d'implementazione (2010­ 40

Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, 31 ottobre 2000.

1053

2012). Si intende trarre profitto dalle esperienze acquisite con il primo piano d'azione nazionale per incrementare ulteriormente l'efficacia delle misure svizzere nell'ambito dell'uguaglianza tra i sessi e della politica di sicurezza.

4.2.2

Promozione della pace

Programmi per la promozione civile della pace Un impegno serio nell'ambito della promozione della pace sottintende un investimento considerevole in termini di tempo e risorse. Si rende pertanto necessario concentrare gli sforzi su determinati Paesi e regioni prescelti. Sulla base di un'analisi approfondita realizzata nel 2005, sono state definite priorità geografiche. I Paesi e le regioni prioritari sono passati da 13 nel 2004 a 7 nel 2007, e da allora il numero è rimasto invariato. Nel 2009, gli sforzi economici della Svizzera per la promozione civile della pace si sono concentrati sull'Europa sudorientale (3,5 milioni di franchi), sul Vicino Oriente (3,9 milioni di franchi), sul Sudan (2,3 milioni di franchi), sulla regione dei Grandi Laghi (2,3 milioni di franchi), sull'Africa centrale e occidentale (1,1 milioni di franchi), sulla Colombia (1,5 milioni di franchi) e sul Nepal (0,6 milioni di franchi). Questo impegno era parte integrante della strategia generale del DFAE, che ha lavorato con gli altri attori della Confederazione attivi in loco e operanti nella cooperazione allo sviluppo o nella promozione militare della pace.

Conformemente al messaggio del 15 giugno 200741 concernente la prosecuzione delle misure di promozione civile della pace e di consolidamento dei diritti dell'uomo, l'80 per cento delle risorse destinate alla promozione della pace è concentrato in modo selettivo su Paesi e regioni prioritari. Le risorse rimanenti vengono usate per impegni mirati, come successo in Indonesia, in Sri Lanka o nel Caucaso settentrionale nel periodo in esame.

In gran parte dei casi, anche quando un processo di pace è concluso, i risultati raggiunti rimangono abbastanza fragili. Per essere duraturo e credibile, un contributo a favore della pace esige quindi un impegno esteso su più anni ed è per questo che la Svizzera continuerà a preferire impegni a medio termine.

In Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Serbia, la Confederazione ha proseguito il proprio programma di promozione della pace nell'intento di continuare a fornire stabilità a una regione che ha stretti legami con la Svizzera. Gli sforzi principali vertono sul dialogo politico, la protezione delle minoranze e l'analisi del passato.

Per quanto concerne il Medio Oriente, la Svizzera continua a impiegare una politica del dialogo con
tutti gli attori interessati in Israele, nei territori palestinesi occupati e in Libano. In seguito al conflitto del 2009, la Svizzera si è impegnata per l'apertura della striscia di Gaza e ha sostenuto la missione d'indagine del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU condotta dal giudice Goldstone. In seguito al mandato affidatole dall'Assemblea generale dell'ONU nel novembre 2009, la Svizzera prosegue le consultazioni in vista di un'eventuale Conferenza delle alte parti contraenti sulla messa in pratica della quarta Convenzione di Ginevra nei territori palestinesi occupati. La Svizzera mette a disposizione i propri buoni uffici per promuovere soluzioni accettabili per tutte le parti. Per questo continua a sostenere l'Iniziativa di Ginevra, 41

FF 2007 4339

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un modello di accordo per una soluzione a due Stati derivata dalla società civile e che comprende raccomandazioni specifiche e dettagliate. Gli allegati di tale iniziativa, pubblicati nel 2009, hanno suscitato un grande interesse.

Nel Sudan, prosegue il sostegno svizzero per concretizzare l'accordo globale di pace del 2005. Il nostro Paese si è impegnato nella preparazione delle elezioni generali che si sono svolte nella primavera 2010 e del referendum sull'indipendenza del Sud, che si dovrebbe svolgere all'inizio del 2011. Nel Sud Sudan ha inoltre contribuito a costituire le istituzioni statali, a migliorare le condizioni della società civile nonché a promuovere i diritti dell'uomo e il diritto internazionale umanitario. Nel Darfur, dove la situazione rimane particolarmente tesa, le competenze della Svizzera sono state più volte sollecitate nel quadro degli sforzi di mediazione dell'Unione Africana e dell'ONU.

Gli sforzi principali della Svizzera in Burundi rimangono la promozione del dialogo, l'analisi del passato, la lotta contro le armi leggere e di piccolo calibro nonché il rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo. In vista delle elezioni del 2010, il consulente svizzero per il consolidamento della pace ha contribuito in modo essenziale a trasformare in un partito politico l'ultima organizzazione ribelle, il Palipehutu-FNL. Grazie alle conoscenze accumulate sull'arco degli anni, dal giugno 2009 la Svizzera ha assunto la presidenza della Configurazione Burundi della Commissione per il consolidamento della pace dell'ONU.

Nel proprio programma di promozione civile della pace in Africa occidentale e centrale, la Svizzera continua a portare avanti le proprie attività nel Mali, nel Niger e nel Ciad. Parallelamente, continua a impegnarsi per potenziare le capacità degli attori africani francofoni nell'ambito della promozione della pace e per ampliare la collaborazione con la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS).

Dopo l'interruzione dei negoziati di pace in Colombia nel 2008, la Svizzera ha portato avanti il proprio programma in questo Paese basando il proprio impegno sulla promozione della pace, dello Stato di diritto e della democrazia partecipativa.

Durante il primo semestre del 2010 la Svizzera ha assunto la presidenza del Gruppo tripartito che riunisce i
24 Paesi donatori, il Governo colombiano e la società civile (G-24) che, dal 2003, sta accompagnando la Colombia verso una pace duratura.

Nel Nepal dove, nel 2009, la Svizzera ha festeggiato il 50° anniversario della propria cooperazione allo sviluppo aprendo un'ambasciata a Katmandu, gli sforzi volti a promuovere il processo di pace sono proseguiti. In questi ultimi anni, la Svizzera ha apportato un contributo sostanziale ai lavori per l'elaborazione di una nuova Costituzione. Continua a fornire il proprio sostegno nelle attività per la riforma dello Stato, in particolare per quanto riguarda le tematiche del federalismo e della riforma del sistema di sicurezza.

I temi della pace In genere, i programmi di promozione civile della pace vertono su attività che mirano ad assicurare la durevolezza dei processi di pace, in merito ai quali la Svizzera dispone di competenze particolari e riconosciute: la mediazione, l'analisi del passato e la prevenzione del genocidio, la promozione dei diritti dell'uomo, la giustizia e la pace, il rafforzamento dello Stato di diritto, il federalismo, la ripartizione del potere, la considerazione dei fattori di carattere religioso e il sostegno ai processi elettorali.

1055

Mediazione, sostegno alla mediazione e facilitazione Tra tutti gli strumenti della promozione civile della pace a disposizione della Confederazione, la mediazione nei negoziati di pace è uno di quelli più importanti e che permette i risultati migliori, poiché la maggior parte dei conflitti armati viene oggi risolta mediante negoziati di pace. A questo scopo vengono coinvolti mediatori ai quali le parti in conflitto affidano un mandato formale o che sostengono i processi di pace da dietro le quinte. I principali attori della mediazione sono l'ONU e organizzazioni regionali quali l'Unione Africana; ma anche Stati quali la Norvegia e la Svizzera, nonché le ONG, possono condurre negoziati di pace tra le parti. La parti in conflitto, in particolare i gruppi armati non governativi, devono ricorrere al sostegno dei negoziati di pace perché questi sono diventati processi complessi durante i quali vengono affrontati svariati temi. Per citarne alcuni: il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento di ex combattenti dei gruppi armati nella vita civile o nell'esercito ufficiale, la ricostruzione di istituzioni dello Stato, la ripartizione del potere e le strutture di stampo federalistico, la revisione della Costituzione, la giustizia di transizione, l'analisi del passato e la suddivisione dei proventi delle risorse naturali.

La Svizzera occupa una posizione adatta per contribuire alla mediazione nei negoziati di pace, poiché non ha alcun passato coloniale, è neutrale, non appartiene ad alcun blocco di potere e possiede un sistema federalistico e democratico che risulta attraente per molte regioni in conflitto. Il nostro Paese dispone inoltre delle conoscenze necessarie, di una tradizione pluriennale di buoni uffici e di esperienza nel mediare negoziati di pace.

Negli ultimi due anni, la Svizzera ha condotto negoziati con Armenia e Turchia e contribuito alla normalizzazione delle relazioni tra questi due Paesi. Al termine di diverse tornate di negoziati, alcune delle quali svolte anche in Svizzera, nell'ottobre 2009 le parti hanno firmato a Zurigo i protocolli che devono essere ratificati dai Parlamenti di entrambi i Paesi. In questi protocolli è disciplinata la procedura per avviare relazioni diplomatiche, aprire le frontiere e avvalersi di un comitato per lo sviluppo di relazioni bilaterali, che comprenderà
segnatamente una «commissione sulla dimensione storica». Questa mediazione illustra egregiamente i contributi che la Svizzera è in grado di fornire in nome dei buoni uffici e mostra inoltre l'utilità che tali attività possono avere anche sul piano delle relazioni bilaterali, quelle con la Turchia e l'Armenia ovviamente, ma anche con gli Stati Uniti, la Russia, la Francia e l'Unione europea, i cui alti rappresentati erano presenti in occasione della cerimonia di firma a Zurigo.

Un consulente svizzero per la promozione della pace ha funto da mediatore anche durante la guerra civile in Nepal, permettendo che si stabilissero contatti tra i partiti politici e i maoisti, e offrendo il proprio sostegno per l'elaborazione dell'accordo di pace del 21 novembre 2006. Da allora, un esperto svizzero cerca di sbloccare il processo di pace e aiutare le parti nella difficile attuazione dell'accordo di pace, in particolare nella costruzione di una struttura di stato federalistico. Il consulente svizzero è stato attivo più volte a livello informale e ha svolto lavori di mediazione in numeroso conflitti interni collaborando con il Ministero della pace e personalità nazionali di prestigio. Inoltre, nel 2009, un esperto svizzero ha sostenuto il processo di pace nel Darfur avviato dall'Unione Africana e dall'ONU, introducendo i princi1056

pali movimenti ribelli del Darfur alle tecniche e ai temi dei negoziati di pace e mostrato loro possibili soluzioni di negoziato.

La Svizzera sostiene attivamente anche il processo di mediazione, lavorando assieme all'ONU e alle sue organizzazioni regionali e mettendo a disposizione esperti per missioni di pace. Nel 2009, esperti svizzeri sono stati consultati o coinvolti nel processo tra il Nord e il Sud del Sudan, nei negoziati per il Darfur a Doha, nei negoziati per la Somalia o il Sahara occidentale. La Svizzera fornisce inoltre contributi finanziari all'Unità di sostegno alla mediazione dell'ONU («Mediation Support Unit»), sostenendo determinate organizzazioni non governative specializzate in mediazione, come per esempio il Centro per il dialogo umanitario e la Fondazione Kofi Annan a Ginevra, e collaborando con esse in diversi processi. Queste organizzazioni presentano vantaggi comparativi quando si tratta di conflitti in Stati che non tollerano l'inferenza di altri Stati od organizzazioni internazionali. Sono spesso gli unici attori internazionali che possono curare contatti su un lungo periodo con gruppi armati e incoraggiarli ad avviare negoziati di pace.

La Svizzera s'impegna inoltre strenuamente nella formazione in mediazione, offrendo moduli di formazione per esperti svizzeri e stranieri. Svolge anche, frequentemente su incarico dell'ONU, corsi per preparare le persone che partecipano a processi di dialogo nazionali.

Analisi del passato e prevenzione del genocidio L'esperienza insegna che un'insufficienze analisi del passato può far sì che conflitti sopiti si risveglino. L'annuale conferenza 2009 della Divisione politica IV del DFAE è stata consacrata proprio all'analisi del passato. In presenza di eminenti personalità provenienti da diversi continenti, è stata colta l'occasione per fare il punto sullo sviluppo di questo tema, diventato prioritario per la Svizzera. Sul piano bilaterale, il nostro Paese sostiene iniziative locali (in ambiti quali la ricerca di persone scomparse e la lotta contro l'impunità) e mette le proprie conoscenze a disposizione nella regione dei Grandi Laghi, in Indonesia, nel Medio Oriente, nel Nepal, in Somalia, nell'Europa sudorientale, nell'Africa occidentale e centrale e in Colombia. In questi Paesi, la Svizzera offre il proprio contributo allo sviluppo
di combinazioni adeguate tra gli sforzi per stabilire i fatti, realizzare adeguate strutture giuridiche, offrire programmi di riparazione e promuovere riforme delle istituzioni di sicurezza. In Colombia, per esempio, la Svizzera presiede il Consiglio consultivo internazionale del Gruppo di lavoro sulla memoria storica che, nel 2009, ha pubblicato numerosi rapporti che includevano molte proposte di politica pubblica per garantire che non si ripetano le violazioni dei diritti dell'uomo. In Nepal, un'analisi ha contribuito a comprendere meglio l'impatto delle misure per l'analisi del passato sul consolidamento della pace. È stato anche fornito un sostegno nel processo che ha portato alla ratifica dei protocolli tra Armenia e Turchia. Sul piano multilaterale, le numerose richieste ricevute concernenti il trattamento dell'impunità negli accordi di pace hanno spinto la Svizzera a redigere una nota informativa per i mediatori sul tema dell'analisi del passato nei processi di pace, documento pubblicato sul sito dell'Unità di sostegno alla mediazione dell'ONU.

Nel 2008, dopo aver organizzato a Buenos Aires il primo forum regionale sulla prevenzione del genocidio in collaborazione con il governo argentino, la Svizzera ha proseguito i propri lavori in vista del secondo forum, che si è svolto nel marzo 2010 in Tanzania. Queste iniziative fanno parte degli sforzi profusi per consolidare la prevenzione dei genocidi e dei crimini di massa a livello regionale.

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Il fattore religioso nella soluzione dei conflitti Oggi è un dato di fatto che, nei conflitti, i fattori religiosi assumono un ruolo imprescindibile e gli attori religiosi coinvolti politicamente devono essere inclusi nella soluzione benché spesso siano ignorati nei processi di trasformazione di conflitti. Gli interessi difesi sono effettivamente radicati in valori motivati religiosamente, con la conseguenza che i fattori religiosi e quelli politici si mescolano. Per prevenire e trasformare conflitti violenti, il DFAE ha sviluppato una competenza riconosciuta come innovatrice a livello internazionale. La Svizzera instaura un dialogo con attori politici spinti dalle loro convinzioni religiose, che sono al contempo un elemento chiave della soluzione. In collaborazione con centri accademici, il DFAE integra nei processi di pace attori ritenuti difficili a causa della loro visione del mondo (come nello Sri Lanka o in Libano) e porta avanti dialoghi incentrati su esperienze pratiche in Asia centrale e in Medio Oriente.

Nel 2009, e soprattutto nel 2010, i progetti sviluppati in quest'ambito sono diventati più importanti e pertinenti. Progetti di dialogo come quello intavolato nel Tagikistan o quello avviato con organizzazioni caritative islamiche, concepiti per promuovere una coabitazione sicura e giusta tra parti della popolazione che aderiscono a sistemi di valori differenti, hanno contribuito a consolidare la reputazione della Svizzera all'estero, in particolare nei Paesi musulmani, e a profilarla quale attrice disposta al dialogo e competente in materia. La Svizzera è rispettata per le concrete attività svolte, e il suo impegno pionieristico è apprezzato, in particolare nel quadro dell'Alleanza delle civiltà. Quest'ultima è un'iniziativa dell'ONU proposta dalla Spagna e dalla Turchia in seguito agli attentati di Madrid nel 2004 che si prefigge di trovare soluzioni alle tensioni tra comunità e Paesi a maggioranza musulmana e comunità e Paesi non musulmani. L'impegno e le azioni della Svizzera hanno contribuito a spiegare la posizione del nostro Paese e a prevenire conclusioni e reazioni affrettate dopo la votazione del 29 novembre 2009 sull'edificazione di minareti.

Sotto il titolo «Quando religioni e visioni del mondo si incontrano», la Divisione politica IV del DFAE ha organizzato la propria
conferenza annuale 2010 sulle esperienze, le opportunità e i metodi per affrontare in modo costruttivo i conflitti fra attori politici le cui azioni sono influenzate da convinzioni religiose.

Ciononostante, la votazione sui minareti costituisce una sfida per la politica estera elvetica. In effetti, la Svizzera ha visto danneggiata la propria reputazione e ha perso credibilità quale attrice della promozione della pace e dei diritti dell'uomo, elementi che la espongono a rischi maggiori. Se l'attenzione internazionale su tale questione è globalmente calata, il potenziale di recrudescenza legato a questo affare non dev'essere sottovalutato, soprattutto perché in Svizzera e in Europa sono stati avviati altri dibattiti e iniziative visti come «islamofobi», quali il divieto di indossare il burqa. La sfida, comune alla Svizzera e agli altri Paesi europei, di trovare il giusto rapporto con l'Islam, rappresenta per la Svizzera anche una possibilità per curare il dialogo europeo in quest'ambito. Il rafforzamento dell'immagine della Svizzera e della sua legittimità ad agire all'estero deve tener conto delle iniziative di dialogo lanciate in Svizzera nonché sul piano internazionale per rendere più forti la coabitazione e la cooperazione. Le competenze sviluppate dal DFAE nel campo della dimensione religiosa dei conflitti si rivela particolarmente prezioso per contribuire agli sforzi di dialogo preconizzati dal Consiglio federale il giorno seguente la votazione del 29 novembre 2009.

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Sostegno di votazioni Le elezioni sono spesso un elemento centrale nei processi di pace, poiché le parti in conflitto sollevano, tra l'altro, la questione di chi sia legittimato a governare un Paese. Gli accordi di pace spesso prevedono di risolvere questo problema mediante elezioni democratiche. La pressione è quindi tanto più elevata quando le votazioni si svolgono in comunità appena uscite da una guerra oppure, generalmente, in Stati considerati fragili. Questa pressione può persino condurre a conflitti. Per questa ragione, delle votazioni democratiche sono non solo un importante strumento per incrementare la stabilità politica, ma anche un elemento che nasconde un potenziale di destabilizzazione, in particolare quando i processi di votazione non sono portati avanti in maniera trasparente e credibile, oppure quando i risultati delle votazioni vengono contestati. In collaborazione con partner internazionali e locali, la Svizzera s'impegna a migliorare la comprensione del potenziale di conflitto delle votazioni.

Nel corso del 2009, il DFAE ha selezionato esperti svizzeri che saranno istruiti per svolgere attività di consulenza nelle zone di crisi. Essi aiuteranno gli organismi competenti in loco a rilevare i fattori critici nell'organizzazione di votazioni e ad applicare le misure necessarie. Le esperienze già raccolte, per esempio grazie al programma di sostegno delle votazioni in Mozambico, vengono impiegate per promuovere e ampliare le capacità locali di prevenzione dei conflitti.

Incremento della sicurezza La Svizzera s'impegna a livello bilaterale e multilaterale per migliorare la sicurezza globale, in particolare per la riduzione della violenza armata nel mondo, puntando sull'eliminazione delle mine antiuomo e delle armi di piccolo calibro.

Mine antiuomo A dieci anni dall'entrata in vigore della Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo, sono stati fatti passi in avanti per eliminare definitivamente questo tipo di armi. Nonostante ciò, rimangono da risolvere grandi sfide, poiché circa 40 Stati non hanno ancora aderito alla Convenzione. Alcuni Stati parte sono in ritardo con l'applicazione degli obblighi concernenti lo sminamento delle regioni colpite e lo smaltimento dei propri stock. Bisogna incrementare ulteriormente anche la protezione della popolazione civile
contro l'impiego di mine antiuomo da parte di attori armati non statali.

Nel 2008­2009, la Svizzera ha presieduto la Convenzione di Ottawa e, per la durata del proprio mandato, si è impegnata per l'universalizzazione della Convenzione attraverso l'adesione di nuovi Stati. A questo scopo, ha avviato una serie d'iniziative presso eventuali candidati e, in veste di Stato presidente, ha guidato un gruppo di lavoro nei negoziati concernenti il trattamento delle richieste di proroga per adempiere gli obblighi contenuti nell'accordo.

Nel dicembre 2009, 104 Stati parte e rappresentanti di 18 delegazioni di osservatori (tra i quali, per la prima volta, gli Stati Uniti), si sono riuniti a Cartagena, in Colombia, per la seconda conferenza di revisione. Il tema centrale della conferenza verteva sull'aiuto alle vittime e la Svizzera si è impegnata per un approccio integrato, che comprende aspetti sia umanitari che specifici allo sviluppo e permette di evitare le discriminazioni di singoli gruppi di vittime. Nei negoziati relativi al piano d'azione di Cartagena, la Svizzera ha chiesto di riprendere disposizioni che mirano a proteggere la popolazione civile e a integrare attori armati non statali nella messa al bando 1059

delle mine antiuomo. La Svizzera continua a sostenere il lavoro dell'ONG «Appello di Ginevra» (Geneva call) che si adopera per persuadere i soggetti non statali a rispettare il diritto internazionale umanitario.

Violenza armata e sviluppo: l'importanza delle armi di piccolo calibro Nel quadro degli sforzi per combattere le armi di piccolo calibro e le armi leggere, dal 2006 la Svizzera s'impegna a incrementare, tra l'altro, la coscienza relativa all'interdipendenza tra violenza armata e sviluppo. In occasione dei lavori della Dichiarazione di Ginevra sulla violenza armata e lo sviluppo, un'iniziativa diplomatica lanciata in comune con il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), entro il 2015 s'intende raggiungere una sensibile diminuzione della violenza armata e dei suoi effetti nefasti sullo sviluppo socioeconomico.

Nel corso del 2009 l'importanza politica e l'attenzione mostrata per l'ambito tematico coperto dall'iniziativa sono cresciute notevolmente. Con riferimento a una risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU, presentata alla fine del 2008 su richiesta della Svizzera e di un gruppo di Stati con idee analoghe, il Segretario generale dell'ONU ha invitati gli Stati membri a sottoporgli il loro punto di vista sulla problematica così come possibili approcci per una soluzione42. Il risultante rapporto sulla promozione dello sviluppo attraverso la prevenzione e la riduzione della violenza armata contiene un'analisi sostanziale sulla questione e una serie di misure concrete per migliorare la situazione. Il gruppo direttivo del processo della Dichiarazione di Ginevra, presieduto dalla Svizzera e composto da altri 14 Stati, intende partire da questo rapporto per approfondire le discussioni all'interno dell'ONU e per definire possibili misure in vista di un miglioramento della situazione.

Nel 2010 rivestirà particolare importanza per il processo della Dichiarazione di Ginevra la verifica delle misure adottate finora per realizzare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio definiti dall'ONU, il cui raggiungimento è sensibilmente ostacolato dalla violenza armata. La Norvegia si è impegnata a perseguire lo stesso proposito scegliendo nell'autunno 2009 come elemento prioritario della propria politica estera il tema della violenza armata e dello sviluppo. Nel maggio 2010, assieme al PNUS,
ha organizzato una conferenza internazionale su questo tema che ha permesso anche alla Svizzera di presentare le proprie proposte in materia.

I centri di politica di sicurezza di Ginevra aggregati al DFAE Più di dieci anni fa, la Svizzera ha fondato a Ginevra tre centri di competenza in materia di sicurezza, ovvero il Centro di politica di sicurezza, il Centro internazionale per lo sminamento umanitario e il Centro per il controllo democratico delle forze armate. I tre centri sono fondazioni di diritto privato e sono diventati partner importanti per la politica estera svizzera per quanto concerne la pace e la sicurezza essendo vettori influenti nelle discussioni internazionali. La Confederazione si assume circa il 60 per cento del loro budget complessivo. Dal 2004, il finanziamento era suddiviso tra il DDPS (due terzi circa) e il DFAE (un terzo circa) ma, nel quadro del programma di consolidamento 2011­2013 e del riesame dei compiti, il DFAE e il DDPS hanno stabilito di comune accordo di trasmettere integralmente al DFAE a

42

Risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU A/64/228, «Promozione dello sviluppo attraverso la riduzione e la prevenzione della violenza armata», 5 agosto 2009.

1060

partire dal 2011 il finanziamento dei centri e la gestione dei contributi versati dalla Confederazione, misura in seguito approvata dal Consiglio federale.

A livello di Confederazione, il fatto che i centri ginevrini siano stati aggregati al DFAE permette di dissociare i compiti del DDPS e del DFAE e di consolidare la dimensione legata alla politica estera dell'impegno svizzero nei centri. Questa nuova ripartizione dei compiti è più appropriata dato che i campi di attività dei centri corrispondono a due delle cinque priorità della politica estera svizzera sancite nell'articolo 54 della Costituzione federale (promozione del rispetto dei diritti dell'uomo, della democrazia e della convivenza pacifica dei popoli).

Per quanto concerne i centri, il fatto di trasferire integralmente al DFAE le competenze in materia di gestione e di finanziamento garantisce loro la stabilità del sostegno politico ed economico da parte della Svizzera, a medio e a lungo termine, senza rimettere in questione la loro indipendenza né la dimensione al contempo politica e militare che li caratterizza. La Svizzera continuerà a promuovere un approccio globale della pace e della sicurezza che ingloba la diplomazia, lo sviluppo e la difesa. Le competenze e l'esperienza dei centri, nonché le ampie connessioni di cui essi dispongono, permetteranno di continuare a sostenere e completare, ai sensi di uno scambio, le riflessioni e le iniziative della Svizzera grazie a un elevato livello di conoscenze.

Impiego di esperti svizzeri presso le organizzazioni internazionali Il costante impiego e l'assistenza di esperti svizzeri in seno a organizzazioni internazionali dagli anni Novanta si sono dimostrati uno strumento valido ed incontestabile per la promozione della pace e dei diritti dell'uomo. La scelta delle organizzazioni multilaterali, dei Paesi e dei posti per l'assistenza di esperti svizzeri è orientata alle priorità geografiche e tematiche della promozione della pace e dei diritti dell'uomo.

La Svizzera ha concentrato il proprio impegno sulle strutture dello Stato, la promozione dello Stato di diritto, i diritti dell'uomo, il monitoraggio delle elezioni e l'analisi del passato.

Nel 2009, 202 esperti di promozione civile della pace e dei diritti dell'uomo erano impiegati, a breve o a lungo termine, in missioni bilaterali e
multilaterali in 37 Paesi.

Mediamente, 86 persone (di cui il 42 % donne) si sono trovate contemporaneamente in impiego all'estero, 11 delle quali in veste di consulenti per la promozione bilaterale della pace e 4 per i diritti dell'uomo. In occasione del reclutamento, dell'invio e della consulenza di personale con compiti di guardia di confine, doganiere e polizia, il DFAE collabora con la Direzione generale delle dogane, la Fedpol e i Cantoni.

Ciononostante gli sforzi in tal senso devono essere incrementati per poter colmare le annose lacune in materia di personale qualificato per impieghi internazionali nell'ambito della sicurezza e della giustizia. Oltre alla pianificazione e alla selezione dei posti, al reclutamento di personale qualificato, all'invio e alla consulenza di esperti nonché alla loro valutazione, vengono svolti anche programmi di formazione e di perfezionamento.

Esperti in operazioni di pace dell'ONU, dell'UE e di altre organizzazioni Nel campo del mantenimento della pace (peacekeeping), della stabilizzazione e del consolidamento della pace (peacebuilding), si sta delineando una tendenza a una concentrazione ancora maggiore sugli aspetti civili della promozione della pace. A livello multilaterale, l'ONU e le organizzazioni regionali come l'UE, l'Unione Africana o l'ASEAN stanno intensificando i propri sforzi nel rafforzare e ampliare 1061

strategie, capacità e personale nel campo della promozione civile della pace e e nell'intento di consolidare e di organizzare le strutture dello Stato. Contemporaneamente, anche singoli Stati, tra cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, stanno incrementando il proprio contingente di personale civile che, a seconda del caso, può essere impiegato in tutto il mondo per cosiddette attività di ricostruzione e stabilizzazione. Con la sua esperienza pluriennale nel campo degli impieghi di esperti civili, la Svizzera occupa una posizione strategica per partecipare a queste attività apportare il proprio contributo alla discussione di temi di politica estera che ritiene importanti.

Il contingente più nutrito di esperti svizzeri lavora in Kosovo presso la Missione dell'Unione europea sullo Stato di diritto (European Rule of Law Mission, EULEX) e l'Ufficio civile internazionale (International Civilian Office, ICO), e in Bosnia ed Erzegovina presso la Missione di vigilanza dell'Unione europea (EUMM). In seno alla EULEX, la Svizzera fornisce sino a 13 persone nei settori della giustizia, della polizia e delle guardie di confine, mentre nell'ICO quattro specialisti svizzeri si occupano della decentralizzazione, della protezione delle minoranze e della protezione di beni culturali e religiosi. Per sostenere le missioni dell'ONU in Costa d'Avorio e in Liberia, la Svizzera ha inviato poliziotti, guardie di confine e doganieri nella regione prioritaria dell'Africa occidentale. In Palestina, all'interno della Presenza internazionale temporanea a Hebron (Temporary International Presence in the City of Hebron,TIPH), esperti svizzeri hanno continuato a sorvegliare la situazione della popolazione civile in collaborazione con rappresentanti di Norvegia, Svezia, Italia e Turchia. Gli esperti elvetici stanno inoltre fornendo un importante contributo all'interno della commissione internazionale contro l'impunità in Guatemala (CICIG) che si occupa dell'analisi del passato e della ricostruzione delle strutture in ambito giudiziario.

Esperti in seno alle organizzazioni multilaterali Il pool di esperti per la promozione civile della pace invia esperti per posti appositamente selezionati presso le centrali e le sedi dell'ONU, dell'UE, dell'OSCE e del Consiglio d'Europa. Mettendo a disposizione esperti svizzeri qualificati,
la Svizzera non solo fornisce un contributo determinante nell'adempimento dei compiti da parte delle istituzioni multilaterali, ma guadagna anche in esperienza grazie alle conoscenze e alle competenze acquisite. In seno all'ONU, esperti svizzeri occupano tra l'altro posti negli ambiti concernenti le operazioni di pace, la promozione della pace, la politica umanitaria, la lotta contro la tratta degli esseri umani nonché l'economia e i diritti dell'uomo. Presso il Consiglio d'Europa, invece, la Svizzera occupa sei posti nei settori relativi alla riforma del Consiglio d'Europa e alla libertà dei media nonché nelle missioni in Bielorussia e in Georgia. Nel 2009 più di venti esperti complessivamente lavoravano presso le sedi principali di organizzazioni multilaterali e per il 2010 è previsto un impiego analogo.

Partecipazione di esperti alle osservazioni di elezioni La partecipazione alle osservazioni elettorali da parte dell'OSCE, dell'UE e dell'Organizzazione degli Stati americani (OAS) è una delle priorità tradizionali dell'impegno svizzero. Nel 2009, con un bilancio di 1,4 milioni di franchi, 90 persone hanno preso parte a osservazioni delle elezioni in seno a 14 missioni e in 11 Stati tra i quali Albania, Kosovo, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Kirghizistan, Mozambico, El Salvador e Bolivia. Di questo contingente, 32 persone erano osservatori 1062

elettorali permanenti e sono rimasti da due a tre mesi nel Paese in questione, mentre 58 persone avevano compiti di monitoraggio a breve termine. Inoltre, un'esperta svizzera è stata nominata capo della missione d'osservazione delle elezioni dell'OSCE in Ucraina. In Kosovo, la Svizzera ha partecipato a un'osservazione di elezioni coordinata da un'organizzazione non governativa regionale.

4.2.3

Politica dei diritti dell'uomo

Il rispetto dei diritti dell'uomo è una premessa indispensabile per la stabilità e la pace nel mondo. La Svizzera si è sempre impegnata in questo senso non solo perché è nella propria tradizione, ma anche per proteggere i propri interessi43.

Nel 2009, la Svizzera ha ulteriormente potenziato il proprio impegno a favore del rispetto dei diritti dell'uomo, sforzandosi di promuovere strumenti innovatori, come nel campo della «Responsabilità delle imprese e rispetto dei diritti dell'uomo»; ha organizzato inoltre il quarto Congresso mondiale contro la pena di morte, svoltosi nel febbraio 2010 a Ginevra. Ha continuato a sostenere la lotta contro la tortura, è stata attiva nella lotta contro il razzismo, segnatamente in occasione della conferenza di revisione di Durban, e ha moltiplicato i propri sforzi nel quadro dell'Agenda per i diritti umani, che propone priorità a livello globale per i prossimi dieci anni. La Svizzera ha inoltre portato avanti le proprie attività nel quadro delle relazioni bilaterali e, in particolare, dei dialoghi e delle consultazioni sui diritti dell'uomo. Sul piano multilaterale, la Svizzera ha partecipato al consolidamento degli strumenti esistenti, in particolare del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU e del suo Esame periodico universale. Su quello interno, il Consiglio federale ha deciso, nel luglio 2009, di avviare il progetto pilota «Acquisto di servizi presso un centro di competenza universitario nel campo dei diritti dell'uomo».

Per fare in modo che i diritti dell'uomo non solo valgano in maniera universale, ma vengano anche rispettati in tutto il mondo è necessario che nel decennio corrente l'attenzione sia puntata sul rafforzamento dell'applicazione di tali diritti. Pertanto, la Svizzera difende il consolidamento normativo dei diritti dell'uomo e si impegna a promuovere l'attuazione degli standard internazionali per i diritti dell'uomo. In questo contesto, la Svizzera si è a lungo battuta per la stesura e l'approvazione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell'ONU contro la tortura, approvato il 20 marzo 2009 dalle Camere federali e messo in vigore il 21 ottobre 2009 dal Consiglio federale con l'istituzione della Commissione nazionale (indipendente) per la prevenzione della tortura44. Inoltre, sono in corso i preparativi per la partecipazione a due ulteriori
convenzioni fondamentali delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, ovvero la Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità (ICRPD) e la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate (ICED). Sotto il profilo tematico, entrambe si orientano a convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo già esistenti e, oltre a numerose disposizioni di fondo, offrono importanti strumenti d'attuazione quali, per esempio, l'istituzione di un

43

44

Cfr. anche l'allegato «Rapporto sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo (2007­2011)» e l'allegato «Informazioni complementari concernenti il Consiglio d'Europa (2009­maggio 2010)».

Sulla base della legge federale del 20 marzo 2009 sulla Commissione per la prevenzione della tortura (RS 150.1).

1063

organo convenzionale il cui compito consisterà nel vigilare che gli Stati parte applichino la Convenzione.

L'istituzione di efficaci strumenti di controllo rappresenta una misura continua per promuovere il rispetto dei diritti dell'uomo poiché il controllo è un elemento importante di ogni politica per migliorare la protezione dei diritti dell'uomo. E perciò la credibilità e l'efficienza del lavoro dei relatori speciali del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite dipendono da come si controlla che le loro raccomandazioni siano messe in pratica.

Nuovi sfide e nuovi approcci La globalizzazione e il crescente ruolo assunto dagli operatori privati fanno sì che siano necessari nuovi approcci per tutelare e proteggere i diritti dell'uomo, che vengono messi in pericolo non solo da Stati autoritari e potenti, ma anche dalle azioni dei privati. Ciò è particolarmente vero all'interno del gruppo di Paesi che si stanno disgregando o che devono ancora essere costituiti e i cui organi statali sono deboli o addirittura incapaci di governare. Siccome spesso questi «Stati fragili» non sono più in grado di garantire sicurezza e stabilità, imprese private si assumono compiti che, in ragione del monopolio del potere, dovrebbero essere di esclusiva competenza dello Stato. La privatizzazione di tali attività cela innumerevoli problemi concernenti il rispetto dei diritti dell'uomo da parte delle imprese interessate e del loro personale.

Anche l'economia è responsabile del rispetto dei diritti dell'uomo poiché la globalizzazione conduce via via a un indebolimento del ruolo dello Stato a favore degli attori economici che spesso si assumono incarichi che, fino a quel momento, erano svolti esclusivamente dai governi. Sono frequenti i casi in cui singole imprese sfruttano la situazione poiché approfittando dei bassi standard sociali di Paesi in sviluppo o in transizione. Altre imprese maggiormente esposte alla pressione dell'opinione pubblica riconoscono gli effetti negativi di tali profitti e si assumono sempre più spesso le proprie responsabilità.

Con l'avanzare della globalizzazione aumenta lo sviluppo di una «società civile globalizzata». Oggigiorno, le ONG rappresentano un elemento importante per il controllo e l'applicazione di convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo, per esempio nel quadro delle
procedure del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU.

Mai come ora la società civile può partecipare direttamente all'elaborazione di leggi a livello nazionale e internazionale. In questo contesto, le organizzazioni non governative fungono da promotrici critiche delle richieste della comunità.

Per questi e ulteriori ambiti, nel periodo in rassegna la Svizzera ha promosso tra l'altro le attività elencate di seguito.

Iniziative diplomatiche Responsabilizzazione sociale delle imprese e rispetto dei diritti dell'uomo Dopo il successo dell'approvazione del Documento di Montreux sugli obblighi legali che gli Stati devono rispettare quando si rivolgono a società di sicurezza e militari private45, le imprese, la società civile e le organizzazioni internazionali hanno cominciato a definire il proprio ruolo nel rispetto dei diritti dell'uomo e del 45

«Informal Summary of the Montreux Document by Switzerland», documenti ONU A/63/467 e S/2008/636, 2 ottobre 2008.

1064

diritto internazionale umanitario. Nel giugno 2009, su iniziativa del DFAE, a Nyon si è svolta una conferenza internazionale durante la quale imprese fornitrici di servizi di sicurezza e militari, mandatari pubblici e privati, organizzazioni non governative e rappresentanti delle organizzazioni internazionali hanno definito il quadro per un obbligo volontario vincolante. A partire da questa base, l'industria ha annunciato, nella «Dichiarazione di Nyon», la propria disponibilità a elaborare un codice di comportamento globale per il rispetto, il controllo, l'applicazione e la richiesta dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario46. Contemporaneamente, la Svizzera è stata interpellata per assumere un ruolo determinante nel fornire sostegno a questa dichiarazione, in collaborazione con Stati quali gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, le associazioni industriali e la società civile. Sotto la direzione del DFAE e attraverso le competenze dell'Accademia di diritto internazionale umanitario e di diritti umani di Ginevra, nonché con la partecipazione del Centro per il controllo democratico delle forze armate di Ginevra (DCAF), è stato elaborato un codice di comportamento che sarà discusso nell'ambito di ampie consultazioni e approvato dall'industria.

Un'ulteriore priorità delle attività inerenti la politica dei diritti dell'uomo svolte dalla Svizzera è rappresentata dalla responsabilità sociale delle imprese nelle zone di conflitto. Nell'aprile 2009, a Zurigo si è svolto un workshop specialistico internazionale sul tema «Business and Conflict: respecting human rights in high risk zones», punto di partenza per numerosi progetti e attività internazionali nell'ambito della sicurezza umana e dell'economia. In collaborazione con il Rappresentante speciale per l'economia e i diritti dell'uomo del Segretario generale dell'ONU e l'Accademia di diritto internazionale umanitario e di diritti umani di Ginevra, nel 2009 è stato formato un gruppo di Stati con il compito di elaborare raccomandazioni per una maggiore presa di coscienza dell'obbligo di protezione che incombe agli Stati nell'ambito delle attività commerciali rilevanti per i diritti dell'uomo nelle zone di conflitto.

Con la richiesta di adesione della Svizzera ai Principi volontari sulla sicurezza e i diritti dell'uomo, un'iniziativa
internazionale di Stati, imprese e società civile, nel 2010 sarà possibile realizzare ulteriori sinergie. Una delle priorità concernerà la prevenzione dei conflitti nello sfruttamento e ne commercio di materie prime.

Congresso mondiale contro la pena di morte Dal 24 al 26 febbraio si è svolto a Ginevra il quarto congresso mondiale contro la pena di morte, in occasione del quale politici, diplomatici e rappresentanti della società civile erano chiamati a sviluppare strategie d'azione per abolire la pena di morte in tutto il mondo. L'impegno contro la pena di morte è una delle priorità della politica svizzera dei diritti dell'uomo. Organizzando questo congresso, la Svizzera ha fornito un importante contributo nell'ottica dell'abolizione della pena di morte a livello globale e ha sottolineato il rispetto della dignità dell'uomo, che in Svizzera viene osservata quale diritto fondamentale.

Agenda per i diritti dell'uomo Nel 2008, in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la Svizzera ha lanciato l'elaborazione di un'Agenda per i diritti 46

Dichiarazione di Nyon: «Industry Statement», giugno 2009, http://www.dcaf.ch/ privatisation-security/Industry-statement-PMSC-Wilton-Park-6-Jun-2009.pdf.

1065

dell'uomo che intende offrire, sull'arco del prossimo decennio, un contesto di riferimento per un sostegno più efficace e una migliore protezione dei diritti sanciti nella Dichiarazione. Essa propone riflessioni su argomenti quali la dignità umana, la responsabilità comune, l'amministrazione della giustizia e l'accesso alla giustizia, i cambiamenti climatici e l'istituzione di una Corte internazionale dei diritti dell'uomo. Nel 2009, l'Agenda per i diritti umani è stata approfondita e completata da progetti di ricerca su campi tematici scelti effettuati da istituzioni accademiche di tutto il mondo. Nel 2010 occorrerà organizzare incontri per portare avanti lo sviluppo dell'Agenda e le idee lanciate dai progetti di ricerca e proseguire le attività con l'aiuto di un gruppo di Stati selezionati. I punti cardine di un ulteriore sviluppo nel quadro di questa iniziativa vertono probabilmente sulla dignità umana in generale e sull'istituzione della Corte internazionale dei diritti dell'uomo. Anche l'istituzione di un Fondo globale per la giustizia, che comprende diversi temi summenzionati, è attualmente uno dei progetti ritenuti prioritari.

Attività bilaterali Dialoghi e consultazioni sui diritti dell'uomo I dialoghi e le consultazioni sui diritti dell'uomo sono uno strumento sviluppato e messo alla prova nel corso degli anni Novanta con l'intenzione di promuovere e proteggere questi diritti attraverso un dialogo bilaterale formalizzato, strutturato, continuo e incentrato sulla situazione all'interno dello Stato partner. In linea di principio, il contenuto delle discussioni è confidenziale: solo i temi all'ordine del giorno vengono comunicati, e questo permette di affrontare in maniera aperta e costruttiva perfino le questioni sensibili. I dialoghi e le consultazioni sono spesso accompagnati da progetti di cooperazione in ambiti scelti.

Attualmente, la Svizzera svolge regolarmente dialoghi sui diritti dell'uomo con Paesi specifici. Per il dialogo con Cuba è previsto un approfondimento con progetti pilota, mentre nel quadro delle consultazioni sui diritti dell'uomo con la Russia è stato lanciato un progetto relativo alla detenzione penale minorile. Nel 2009 non vi è stata alcuna tornata di dialoghi con la Cina ma è stato almeno possibile svolgere concrete attività inerenti i diritti dell'uomo in questo
Paese. La prossima tornata è prevista nell'autunno 2010. Nel 2009 non è stato possibile avviare dei dialoghi con l'Iran ma nel 2010 si è svolto un incontro di esperti sul tema della giustizia giovanile. Il DFAE è regolarmente intervenuto in Iran contro le violazioni dei diritti dell'uomo. Nell'ottobre 2009 è stato avviato per la prima volta un dialogo sui diritti umani con il Tagikistan e la prima tornata si è svolta nel giugno 2010. Infine viene vagliata la possibilità di un dialogo sui diritti umani con un Paese dell'Africa occidentale.

I dialoghi e le consultazioni sui diritti dell'uomo vengono verificati a intervalli regolari. Nel 2009, il dialogo con il Vietnam è stato valutato da una commissione interna.

Nel 2009 è stata avviata la settima tornata di dialoghi sui diritti dell'uomo con il Vietnam e, nel corso dello stesso anno, questo dialogo bilaterale ­ che è stato rilanciato nel 2005 su richiesta del Paese asiatico ­ è stato sottoposto a una verifica esterna che ha confermato non solo il successo e l'efficacia di questo strumento, ma anche che questi incontri permettono di passare in rassegna grandi

1066

temi come il diritto penale, i diritti delle minoranze, la libertà di religione o, non da ultimo, i diritti della donna e l'uguaglianza tra i sessi. Sono anche occasioni che permettono di affrontare in modo dettagliato la problematica delle procedure penali e dell'esecuzione delle pene, concentrandosi in particolare sulle questioni della pena di morte, della tortura e della detenzione amministrativa. I dialoghi permettono infine di discutere dei grandi temi internazionali dei diritti dell'uomo trattati da istituzioni quali il Consiglio dei diritti dell'uomo o la Corte penale internazionale. Inoltre, i progetti di cooperazione tecnica e gli scambi di esperti nelle tematiche prioritarie del dialogo vengono portati avanti parallelamente alle discussioni ufficiali. Oltre a mettere a disposizione conoscenze e competenze, queste attività sono intese a sensibilizzare i partner che partecipano al dialogo, a incoraggiarne la volontà di riforma e a sostenerne l'attuazione. L'azione combinata di questi dialoghi e dei progetti che li accompagnano permette di intensificare le sinergie con le attività della DSC in Vietnam.

Attività multilaterali Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU A livello multilaterale, in materia di diritti umani la Svizzera accorda particolare importanza al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU. Un'ampia descrizione delle attività svizzere in seno a questo organo è disponibile nel capitolo relativo all'ONU nel presente rapporto (cfr. n. 3.1.1).

Nel 2009, su iniziativa comune di Svizzera e Marocco, il Consiglio dei diritti dell'uomo ha avviato negoziati in previsione dell'elaborazione della «Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti dell'uomo». Secondo quanto previsto dal programma, la dichiarazione sarà adottata nella primavera del 2011. Nel settembre 2009 è stata approvata la terza risoluzione sulla giustizia di transizione, che era stata presentata dalla Svizzera e che chiede all'Alto commissariato di analizzare la relazione tra il processo di disarmo, di smobilitazione e di reintegrazione, e la giustizia di transizione.

Il 2009 è anche stato l'anno della seconda procedura di Esame periodico universale del Consiglio dei diritti dell'uomo. In questo contesto, il DFAE si è impegnato per promuovere le discussioni con i principali attori svizzeri
interessati al fine di assicurare l'attuazione delle raccomandazioni formulate per la Svizzera nel 2008 nel quadro di questa procedura.

La Svizzera e l'applicazione interna degli obblighi in materia di diritti dell'uomo Rapporti nazionali ai comitati dell'ONU La credibilità internazionale della Svizzera dipende, non da ultimo, anche dal modo in cui ratifica e applica internamente le norme relative ai diritti dell'uomo. Ciò è ben illustrato nel quadro del terzo rapporto della Svizzera sull'applicazione del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (Patto II dell'ONU), trasmesso al Comitato sui diritti dell'uomo dell'ONU il 12 ottobre 2007. In questo rapporto sono state illustrate le misure di applicazione delle disposizioni del patto a partire dal 2001. Bisogna inoltre menzionare la trasmissione del secondo e terzo rapporto della Svizzera sull'applicazione del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (Patto I dell'ONU), consegnati il 7 maggio 2008, e la presenta1067

zione di questi documenti al Comitato per i diritti economici, sociali e culturali nel novembre 2010.

Centro di competenza universitario nel campo dei diritti dell'uomo In questi ultimi anni, l'opportunità di costituire un'istituzione nazionale per la protezione dei diritti dell'uomo è stata oggetto di numerosi dibattiti. In occasione del passaggio all'Esame periodico universale nel maggio e nel giugno 2008, la Svizzera ha trasformato in impegno volontario la raccomandazione relativa alla realizzazione di un'istituzione nazionale dei diritti dell'uomo secondo i cosiddetti Principi di Parigi. Questi sono stati adottati dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1993 e definiscono gli obiettivi e le missioni delle istituzioni nazionali dei diritti dell'uomo, fornendo direttive sulla forma che devono prendere. Il 1° luglio 2009, il Consiglio federale ha deciso di avviare il progetto pilota «Acquisto di servizi presso un centro di competenza universitario nel campo dei diritti dell'uomo» per una durata di cinque anni. Nel 2010, un comitato di esperti riunitosi su iniziativa del Dipartimento federale degli affari esteri e del Dipartimento federale di giustizia e polizia è stato incaricato di selezionare, tra le scuole universitarie svizzere, quella che sarebbe diventata il centro di competenza. Non appena realizzato, questo centro avrà il compito di potenziare le capacità della Confederazione nella messa in pratica dei diritti dell'uomo in Svizzera. Inoltre i Cantoni, i Comuni, il settore privato e tutti gli altri attori interessati potranno beneficiare direttamente di questo sostegno ricorrendo a loro volta ai suoi servizi. Al termine della fase pilota di cinque anni, il Consiglio federale deciderà se riconfermare il centro o se trasformarlo a pieno titolo in un'istituzione nazionale dei diritti dell'uomo conforme ai Principi di Parigi.

4.2.4

Politica umanitaria

Per quanto concerne la politica umanitaria, le attività si fondano sulla «Strategia del DFAE per la protezione di civili nei conflitti armati (2009­2010)», che permette alla Svizzera d'incrementare la coerenza interna, l'efficacia del proprio impegno bilaterale e multilaterale nonché di consolidare la propria collocazione in campo internazionale. A partire da questa strategia, la Svizzera si concentrerà nei prossimi anni su tre priorità: chiarire, consolidare e rispettare il quadro normativo che offre protezione ai civili nei conflitti armati, migliorare le attività per la protezione di civili nei conflitti armati e consolidare le proprie competenze nel settore della protezione di civili.

Quello degli sfollati interni è uno dei gruppi più vulnerabili della popolazione civile e, in questo ambito la Svizzera continua a sostenere l'Incaricato speciale del Segretario generale dell'ONU per gli sfollati interni, che porta avanti i dialoghi con i governi e le organizzazioni internazionali al fine di far applicare le direttive dell'ONU sullo sfollamento interno. La ricerca di soluzioni durature ai problemi dello sfollamento e lo sviluppo di progetti in contesti specifici come quello della Colombia o della regione dei Grandi Laghi hanno beneficiato di uno sforzo supplementare della Svizzera, che continua a fornire assistenza umanitaria agli sfollati interni attraverso soluzioni bilaterali e multilaterali, sostenendo operatori internazionali attivi in questo settore (CICR, UNHCR, UNICEF) e impegnandosi per consolidare le capacità degli operatori nazionali.

1068

La questione dell'accesso alla popolazione civile è un problema centrale delle attività umanitarie e, in tale proposito, la Svizzera sta compiendo uno sforzo particolare per individuare gli ostacoli che gravano sull'accesso alla popolazione civile in caso di conflitti armati e per promuovere strumenti concreti che permettano di superarli.

In quest'ambito, in cooperazione con il CICR e l'OCHA, è stata lanciata una nuova iniziativa per definire il quadro normativo e sviluppare un manuale sull'accesso per gli operatori, che dovrebbe portare i primi risultati nell'arco del 2010.

Il crescente numero di minacce e violenze cui è esposto il personale umanitario nelle regioni in conflitto rappresenta un ostacolo sempre più complesso per le attività umanitarie. Pertanto la Svizzera continua a sostenere la Security Management Initiative, un centro di competenza con sede a Ginevra incaricato di sviluppare soluzioni operative a questioni di gestione della sicurezza delle organizzazioni umanitarie. La Svizzera si è particolarmente adoperata per integrare questo centro nel «Geneva Centre for Security Policy» (GCSP).

Il 2009 è stato anche l'anno dell'ultima fase di elaborazione del manuale sulla guerra aerea e l'impiego di missili («Air and Missile Warfare Manual»), che mira a rafforzare le conoscenze e il rispetto delle norme del diritto internazionale in vigore e che si rivolge agli eserciti nazionali, agli organi decisionali, agli operatori e alla comunità accademica. I testi definitivi sono stati presentati e le attività di diffusione e di formazione sono state avviate.

4.2.5

Consolidamento del diritto internazionale umanitario

Tendenze globali I conflitti armati moderni sono sostanzialmente diversi dalle due Guerre mondiali in seguito alle quali, nel 1949, la comunità internazionale ratificò le quattro Convenzioni di Ginevra. Al giorno d'oggi, la maggior parte dei conflitti armati avviene all'interno di Stati, nei quali eserciti regolari si fronteggiano con ribelli o altri attori non statali. Spesso la parti in conflitto sono all'origine di grandi sofferenze e di un elevato numero di vittime nella popolazione civile, diventata obiettivo diretto delle loro azioni. I simboli di protezione internazionali vengono regolarmente violati e membri delle organizzazioni e di organi di assistenza umanitari sono vittime di aggressioni.

Questa tendenza a conflitti armati che non corrispondono all'idea classica della guerra sia per quanto concerne le persone coinvolte, sia per quanto riguarda la loro dimensione geografica e temporale, proseguirà anche nei prossimi anni. Non si prevede alcuna inversione di tendenza nei conflitti in atto in Iraq, Afganistan, Pakistan, Israele e Sri Lanka. Le controversie che li accompagnano (Abu Ghraib, Guantanamo, uccisioni mirate ecc.) continueranno a mantenere vive le accese discussioni sul ruolo effettivo del diritto internazionale umanitario nella sua forma attuale.

Sfide In linea di massima gli Stati, le organizzazioni quali il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e il mondo scientifico sono concordi nell'affermare che le sfide non si presentano a livello del diritto consolidato, bensì nel mantenimento e nell'applicazione o interpretazione di determinate norme e in situazioni specifiche. Il 1069

diritto internazionale umanitario impone in modo inequivocabile a tutte le parti coinvolte in un conflitto armato di proteggere la popolazione civile. Nel quadro degli attuali conflitti armati trovano ampia applicazione anche altri principi basilari, quali quello della distinzione, della previdenza e della proporzionalità. Ciò non esclude però che, per garantirne l'importanza anche in futuro, possano essere sviluppati ulteriormente singoli punti del diritto internazionale umanitario di diversi settori quali quello dell'impiego di determinate armi, di singoli aspetti di conflitti armati non internazionali o di meccanismi per la loro applicazione.

Attività della Svizzera Tradizionalmente, la Svizzera si è sempre impegnata per la promozione e lo sviluppo del diritto internazionale umanitario e questa tradizione è riconosciuta anche dalla comunità internazionale. Quale depositaria delle Convenzioni di Ginevra, in veste di ospite del CICR e della Ginevra umanitaria, le vengono riconosciuti una particolare credibilità e un certo ruolo anticipatore nella promozione e nell'impegno per il diritto internazionale umanitario.

Grazie a diversi contributi e iniziative di politica estera, la Svizzera è riuscita a dar credito a questa fama e ha potuto apportare contributi sostanziali al ruolo e al futuro del diritto internazionale umanitario. Si è principalmente concentrata su processi aperti nei quali esperti di governi e altre cerchie interessate possono esprimersi su temi attuali in modo possibilmente apolitico e contribuire in modo pragmatico a chiarire questioni giuridiche ancora in sospeso.

Pertanto la Svizzera continua a impegnarsi affinché il diritto internazionale umanitario sia applicato in modo coerente alle imprese di sicurezza e militari private, sempre più chiamate in causa negli attuali conflitti armati, e affinché tutti gli attori principali vengano coinvolti. Nel 2008, grazie al Documento di Montreux e in collaborazione con il CICR, è stato possibile lanciare un testo di riferimento che compendia il diritto vigente e propone concrete misure che gli Stati possono adottare per regolamentare in maniera sensata le imprese di sicurezza e militari private. Attualmente, il Documento è stato adottato da 34 Stati. Sulla base di questo documento la Svizzera si è inoltre impegnata a coinvolgere maggiormente
l'industria interessata. Si sta inoltre cercando di stabilire un codice di condotta per l'industria, completo di meccanismi d'attuazione efficaci (si veda anche n. 4.2.2).

Un ulteriore esempio concerne la garanzia di poter accedere alla popolazione in caso di conflitti. Su questo tema si stanno preparando due pubblicazioni: la prima è un manuale giuridico sul quadro normativo, gli obblighi dei partecipanti a un conflitto armato e le regole concernenti l'accesso umanitario. Questa pubblicazione è destinata a un vasto pubblico e, in particolare, agli attori statali e alle autorità nazionali, alle organizzazioni internazionali e a quelle umanitarie. La seconda è un manuale pratico sull'accesso umanitario che contiene consigli operativi sull'approccio e sulle regole da seguire in materia di accesso. Il testo si rivolge agli operatori umanitari.

Per citare un terzo esempio, la Svizzera offre anche diversi forum presso il Centro ginevrino per la politica di sicurezza, quali l'«Annual Senior Officers' Security and Law Conference», nei quali gli organi decisionali umanitari, civili e militari possono analizzare e discutere l'interdipendenza tra il diritto internazionale umanitario, altri settori del diritto e aspetti operativi delle missioni di pace internazionali. Questi forum contribuiscono a migliorare la protezione della popolazione civile nel campo in questione.

1070

Prospettive Le discussioni nel quadro di queste attività e, soprattutto, le controversie suscitate dai conflitti in corso mostrano però che le attese nei confronti della Svizzera andranno sempre più spesso in direzione di un intervento attivo piuttosto che vada oltre la mera gestione del sistema in atto. Di fatto s'intensificano le richieste di sottoporre a revisione il meccanismo di applicazione del diritto internazionale umanitario.

In occasione del 60° anniversario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera e il CICR hanno invitato tutte le Parti contraenti a una conferenza di esperti svoltasi dal 9 all'11 novembre 2009 a Ginevra. Questa conferenza ha permesso di strutturare la discussione il dibattito sul futuro del diritto internazionale umanitario, di valutare il bisogno di riforma e, su questa base, di definire il modo di procedere ulteriore. In questa occasione la Svizzera ha proposto, tra l'altro, di riprendere le conferenze periodiche degli Stati parte ai trattati per portare avanti la discussione e per trattare in particolare la questione dei meccanismi di attuazione.

Si tratterà ora di coordinare questo processo con altri incontri, segnatamente con la 31a conferenza della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa prevista nel novembre 2001 e con la conferenza delle Parti contraenti della quarta Convenzione di Ginevra che l'Assemblea generale dell'ONU auspica sia convocata dalla Svizzera quale seguito del rapporto Goldstone sul conflitto di Gaza (dicembre 2008­gennaio 2009).

Un analogo bisogno di coordinamento si impone in merito a uno studio del CICR sui conflitti armati non internazionali, che sarà distribuito ancora entro la fine dell'anno.

I suoi risultati figureranno nel rapporto del DFAE sul diritto internazionale umanitario e sugli attuali conflitti armati odierni (risposta al postulato 08.3445 del 20 giugno 2008 della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati).

4.3

Politica estera in materia di migrazione

Questo capitolo tratta gli aspetti della politica migratoria svizzera che esulano dagli accordi di Schengen/Dublino con l'UE e dalla libera circolazione delle persone associata a tali accordi. Per ampie spiegazioni riguardo a questi ultimi si rimanda al numero 2.2. del presente rapporto.

4.3.1

Interessi di politica estera in materia di migrazione

Quella della migrazione rappresenta oggi nel mondo intero una delle più importanti tematiche politiche e sociali. Lo sviluppo della mobilità e la maggiore accessibilità di informazioni e mezzi di comunicazione hanno trasformato la migrazione in una questione più poliedrica e complessa. Mai prima d'ora tante persone hanno vissuto fuori del proprio Paese d'origine. Per il 2010 l'ONU stima il numero di migranti a 214 milioni, ossia a oltre il 3 per cento della popolazione mondiale. I migranti lasciano la loro patria per i motivi più disparati in cerca di un futuro migliore. La stragrande maggioranza di essi si stabilisce in un Paese limitrofo. Sono ben pochi coloro che hanno le possibilità e la volontà di proseguire il viaggio verso altri continenti.

1071

La migrazione può costituire un fenomeno positivo, tanto per i Paesi di transito e di destinazione quanto per i migranti medesimi. Per i Paesi di destinazione, i migranti rappresentano un'indispensabile risorsa economica e sociale, che sulla scia dell'evoluzione demografica è destinata ad assumere un'importanza ancora maggiore. I Paesi d'origine possono trarre profitto dalle rimesse dei cittadini emigrati e dalle esperienze da loro acquisite. I migranti medesimi migliorano le proprie condizioni di vita e quelle delle loro famiglie.

La migrazione cela tuttavia anche notevoli rischi e difficoltà. Rifugiati e profughi interni sono sempre una delle categorie di persone più vulnerabili e dipendono completamente da una protezione da parte dello Stato. I migranti irregolari rischiano la vita lungo rotte pericolose e molti di loro sono alla mercé di passatori o di criminali che fanno tratta di esseri umani. Nello stesso tempo, i migranti irregolari si sottraggono alle legittime pretese fiscali degli Stati di transito e di destinazione.

La complessità del fenomeno migrazione si rispecchia nella molteplicità degli interessi perseguiti dalla politica migratoria svizzera. Accanto a importanti interessi di politica interna (ad es. integrazione, naturalizzazione) che non sono oggetto del presente rapporto, la nostra politica migratoria persegue in prima linea i seguenti interessi di politica estera: ­

immigrazione nell'interesse sociale, economico e culturale della Svizzera;

­

protezione dei rifugiati e dei migranti vulnerabili;

­

lotta alla migrazione irregolare;

­

promozione e agevolazione del ritorno;

­

utilizzazione della migrazione a favore di uno sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito.

Per perseguire questi interessi gli Stati sono tenuti a cooperare intensamente in ambito di migrazione, sia sul piano bilaterale sia sul piano multilaterale. La Svizzera dispone delle basi legali necessarie per soddisfare questa esigenza. Negli ultimi anni, sulla base delle nuove leggi sugli stranieri e sull'asilo, sono stati elaborati strumenti che tengono conto degli sviluppi avvenuti nel campo della migrazione. Si tratta ora di provvedere a una coerente applicazione di tali strumenti, in collaborazione tra tutti i Dipartimenti coinvolti e in particolare tra DFGP, DFAE e DFE. Attore principale in quest'ambito è l'Ufficio federale della migrazione (UFM), il quale assume la regia della politica migratoria svizzera.

4.3.2

Sfide attuali

La sfida principale consiste attualmente nel convogliare la migrazione sul binario giusto, affinché si svolga in sicurezza, nella legalità e nel rispetto dei diritti e degli interessi di tutte le parti coinvolte. Lo Stato moderno è chiamato a sostenere il potenziale insito nella migrazione e contemporaneamente a combatterne i risvolti negativi. Alla luce dei succitati interessi di politica migratoria, le sfide attuali possono essere definite come segue: ­

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l'opinione pubblica percepisce il fenomeno migratorio perlopiù come un problema; ci si dimentica che la migrazione può fornire un importante contributo allo sviluppo sociale ed economico, a beneficio degli Stati d'origine,

di transito e di destinazione e dei migranti stessi, ossia di tutte le parti coinvolte. L'afflusso di manodopera specializzata in segmenti del mercato del lavoro in cui vi è penuria di personale è un fattore indispensabile per il funzionamento dell'economia delle società fondate sul settore terziario toccate dall'invecchiamento demografico. Contemporaneamente, gli Stati d'origine possono trarre notevole profitto dal trasferimento di denaro e conoscenze operato dai migranti. In certi casi approfittano inoltre di un alleggerimento della pressione sul mercato del lavoro. A loro volta, i migranti beneficiano spesso di un aumento del proprio reddito e del proprio potere d'acquisto.

Questo potenziale di sviluppo insito nella migrazione, in gran parte ancora inespresso, deve essere meglio sfruttato. A tal fine, occorre integrare anche la migrazione nelle strategie di sviluppo nazionali, regionali e globali. Molti Paesi di transito e in sviluppo mancano delle risorse necessarie per combinare migrazione e sviluppo. Occorre sostenere questi Stati negli sforzi da essi compiuti per adottare una politica migratoria coerente; ­

la migrazione dovrebbe idealmente avvenire per libera scelta, e non essere il frutto di una costrizione esterna. In realtà, tuttavia, le cose vanno spesso diversamente. Il numero di persone costrette a espatriare a causa di conflitti armati o di gravi violazioni dei diritti umani è in continua crescita. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che alla fine del 2008 vi erano 42 milioni di persone in fuga da violenze, tra cui 15 milioni di rifugiati. La stragrande maggioranza dei rifugiati cerca rifugio in Paesi situati nella propria regione d'origine. Spesso questi Paesi non dispongono di risorse sufficienti per assicurare ai rifugiati una protezione efficace. Di conseguenza, un gran numero di persone lontane dalla propria patria si ritrovano in condizioni esistenziali assolutamente precarie e hanno bisogno di protezione. Tra queste, donne e minorenni sono tra i più vulnerabili. Assicurare protezione a queste persone resta una delle maggiori sfide per la collettività internazionale;

­

la migrazione irregolare lede il diritto di uno Stato di decidere sovranamente quali persone possono o non possono entrare nel suo territorio, con ripercussioni dirette o indirette su numerosi ambiti della politica, quali quello della sicurezza, della sanità o dell'occupazione. Per di più, i migranti irregolari si ritrovano spesso in una situazione di particolare vulnerabilità. A causa dell'irregolarità del loro soggiorno, rischiano di essere sfruttati o di cadere nella criminalità. Dato che in genere i meccanismi di protezione statale sono loro preclusi a causa del loro statuto irregolare, sono vittime potenziali di passatori o sfruttatori di esseri umani. La migrazione irregolare e le sue conseguenze secondarie vanno pertanto combattute intervenendo con strategie efficienti;

­

le persone fuggite da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali o situazioni di indigenza trovano al loro ritorno un tessuto sociale dissestato, e spesso anche infrastrutture distrutte, per la cui ricostruzione hanno urgente necessità di aiuto. Il rimpatrio avviene spesso per libera scelta, ma talvolta anche in virtù di accordi di riammissione conclusi tra gli Stati. Organizzare questo ritorno in modo dignitoso e insieme efficiente rimane uno dei compiti importanti da adempiere. Un'altra sfida che la Svizzera deve affrontare è legata alle pretese crescenti avanzate dai potenziali Stati partner nell'ambito dei negoziati

1073

per la conclusione di classici accordi di riammissione. Occorre utilizzare tutti gli strumenti disponibili per far fronte a questa sfida; ­

4.3.3

l'UE si adopera da diversi anni per sviluppare una politica migratoria comune a livello europeo. L'ultima espressione di questo lavoro è rappresentata dal Programma di Stoccolma, che stabilisce direttive per la politica interna e di sicurezza comune dell'UE per il periodo 2010­2015. La politica migratoria assume un ruolo chiave all'interno del programma varato. La Svizzera è già associata a due pilastri fondamentali della politica migratoria dell'UE, ossia Schengen/Dublino e la libera circolazione delle persone (cfr.

a tale riguardo anche il n. 3.2). In questi settori il nostro Paese coopera strettamente con l'UE e partecipa attivamente alla politica comunitaria. Ma, al di là di Schengen/Dublino e della libera circolazione delle persone, occorre individuare altri settori in cui intensificare la collaborazione con l'UE e studiarne il possibile assetto. Sussiste un potenziale ad esempio per quanto riguarda i partenariati per la mobilità e le politiche dell'UE nei settori del reclutamento, del contingentamento e dell'asilo. Sostanzialmente, la Svizzera ha interesse a evitare incompatibilità tra il diritto svizzero e le norme dell'UE in materia di migrazione.

L'approccio svizzero

La Svizzera dispone di tutta una serie di strumenti per affrontare le sfide che si pongono nell'ambito della migrazione. Tali strumenti poggiano su quattro principi: ­

una politica migratoria vincente implica sempre il rispetto della dignità e dei diritti di tutti gli esseri umani;

­

una politica migratoria vincente tiene conto sia delle opportunità generali, sociali ed economiche sia dei pericoli insiti nella migrazione;

­

una politica migratoria vincente richiede sempre la collaborazione paritaria con gli Stati e gli altri attori coinvolti (organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative, diaspore, settore privato);

­

una politica migratoria vincente applica in modo coordinato e coerente gli strumenti di politica interna ed estera disponibili.

Con il concetto di partenariato migratorio, sancito all'articolo 100 della legge federale del 16 dicembre 2005 sugli stranieri (RS 142.20), la Svizzera si è data uno strumento che rispecchia perfettamente questi principi. Tale dispositivo consente di far valere gli interessi della politica migratoria svizzera tenendo conto anche degli interessi dello Stato partner ed è espressione della convinzione che soltanto collaborando con gli altri Stati è possibile trovare soluzioni costruttive dal profilo delle opportunità e dei rischi insiti nel fenomeno migratorio. A dipendenza delle necessità dei partner, un partenariato migratorio può comprendere diversi campi d'azione, per esempio l'aiuto al ritorno, la migrazione regolare (politica dei visti, formazione e perfezionamento ecc.), la lotta alla tratta di esseri umani o la cooperazione in materia di polizia. I partenariati in materia di migrazione sono anche un quadro favorevole alla realizzazione di progetti che consentono allo Stato partner di valorizzare la migrazione ai fini dello sviluppo, eventualmente in collaborazione con le diaspore.

1074

Trattandosi di un concetto con un quadro ampio e flessibile, nell'attuazione di un partenariato migratorio sono coinvolti, a seconda del caso, vari servizi della Confederazione. In tale contesto la Svizzera sottoscrive insieme al Paese partner interessato un memorandum d'intesa (MoU) che definisce il quadro formale del partenariato. Sinora sono stati sottoscritti accordi di questo tipo con la Bosnia ed Erzegovina (14.4.2009), la Serbia (30.6.2009) e il Kosovo (3.2.2010); sono in corso trattative anche con la Nigeria.

Un aspetto fondamentale dell'impegno umanitario della Svizzera consiste nella ricerca di una soluzione durevole per i rifugiati e altre persone bisognose di protezione in loco. Basandosi sul concetto di rafforzamento della protezione dei rifugiati nelle regioni di provenienza («Protection in the Region»), la Svizzera intensifica il proprio impegno a favore dei rifugiati bisognosi di protezione nei Paesi di prima accoglienza. Con questo tipo di misure ci si propone anche di fornire un importante contributo alla riduzione dei movimenti migratori irregolari e dei pericoli che spesso li accompagnano. Per raggiungere tali obiettivi si promuove l'adozione di misure per migliorare le capacità di accoglienza dei Paesi interessati e per offrire soluzioni durature ai rifugiati. La Svizzera assiste ad esempio le autorità nazionali nell'impostazione di una procedura d'asilo. Assiste inoltre le organizzazioni internazionali e le organizzazioni della società civile impegnate per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati in loco. Nello Yemen, importante Paese di accoglienza di rifugiati provenienti dal Corno d'Africa, diversi servizi della Confederazione hanno concretamente avviato la realizzazione di vari progetti. In Siria, principale Paese di accoglienza per i rifugiati provenienti dall'Iraq, un programma di protezione nella regione sarà concretamente avviato nel corso del 2010.

L'aiuto al ritorno, fondato sull'articolo 93 della legge del 26 giugno 1998 sull'asilo (RS 142.31), è inteso a facilitare il rientro e la reintegrazione delle persone interessate nel Paese d'origine. Il rientro volontario rappresenta un'alternativa vantaggiosa al rinvio forzato. Attualmente un centinaio di persone al mese rientrano nel Paese d'origine beneficiando di aiuti individuali al ritorno nel quadro di uno
dei cinque programmi nazionali realizzati in questo settore (Georgia, Guinea, Iraq, Nigeria, Balcani occidentali). Nell'ambito dell'aiuto al ritorno vengono inoltre realizzati nei Paesi d'origine progetti di aiuto strutturale, di cui beneficiano in egual misura sia le persone che rimpatriano sia la popolazione locale. Tra questi si contano anche progetti per la prevenzione della migrazione irregolare (ad es. campagne d'informazione), il cui obiettivo principale consiste nel contribuire a breve alla riduzione dei movimenti migratori irregolari.

Nel campo della lotta contro la tratta di esseri umani la Svizzera concentra il proprio impegno sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime reali e potenziali.

Nell'ambito delle proprie attività multilaterali, e in particolare nel contesto dell'ONU e dell'OSCE, si occupa di formulare i principi politici e di creare standard di validità generale. L'assistenza tecnica all'estero è rivolta prioritariamente ai Paesi d'origine o di transito primari delle vittime della tratta di esseri umani, quali la Nigeria, la Serbia o il Brasile. Progetti di lotta alla tratta degli esseri umani possono anche costituire una componente importante di un partenariato migratorio.

Il dialogo internazionale sulle migrazioni rimane per la Svizzera uno strumento importante, giacché consente uno scambio di esperienze con altri Stati e attori di rilievo. Svolge un ruolo fondamentale sia nell'acquisire nuove conoscenze sia nell'avviare progetti e partenariati concreti e serve inoltre a bilanciare gli interessi tra Paesi di provenienza, di transito e di destinazione. Un importante contenitore in 1075

tale contesto è rappresentato dal Forum mondiale su migrazione e sviluppo («Global Forum on Migration and Development»), nel quale la Svizzera esercita la sua influenza, come membro del comitato di direzione e copresiedendo un gruppo di lavoro, sulla definizione dei temi prioritari e sull'impostazione istituzionale. Sono peraltro iniziati anche i lavori preliminari in vista del dibattito informale sul tema della migrazione e dello sviluppo in programma nel 2011 nel quadro della 65a assemblea generale delle Nazioni Unite.

Data la complessità del fenomeno migratorio, i succitati strumenti toccano, al di là del settore specifico della migrazione, numerosi altri ambiti politici, quali il mercato del lavoro, la cooperazione allo sviluppo, i diritti umani o le problematiche della sicurezza. Il coordinamento delle varie attività nel quadro di tale strumento rende dunque indispensabili scambi intensi tra i servizi interessati della Confederazione. I servizi chiave sono l'Ufficio federale della migrazione (UFM) del DFGP, la Direzione politica del DFAE, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (aiuto umanitario, cooperazione regionale, cooperazione globale con la nuova Sezione Programma Globale Cooperazione, istituita nel 2008) e la Segreteria di Stato dell'economia (DFE). Negli ultimi anni i servizi coinvolti hanno creato una serie di meccanismi di coordinamento che hanno consolidato la cooperazione interdipartimentale e favorito lo sviluppo di strumenti innovativi nelle questioni di migrazione e hanno permesso di coordinare una politica svizzera di successo nell'ambito del ritorno. La creazione e la messa in atto di nuovi strumenti (partenariati in materia di migrazione, «Protection in the Region») hanno però generato alcune sovrapposizioni nel lavoro degli organi di coordinamento. Per rafforzare l'approccio globale impostato negli ultimi anni, nel 2009 è stato nominato un ambasciatore straordinario per la cooperazione internazionale in materia di migrazione.

Per concretizzare l'approccio svizzero occorrerà affrontare le seguenti sfide: ­

i nuovi strumenti summenzionati, che nella fase introduttiva si sono dimostrati validi, devono essere messi in atto senza indugio. A tal fine è necessaria la partecipazione attiva di tutti i servizi chiave dell'Amministrazione federale;

­

tutti gli strumenti devono essere messi in atto in un'ottica di complementarietà;

­

la struttura della cooperazione interdipartimentale in materia di migrazione va riformata con accortezza per sfruttare meglio le sinergie esistenti tra gli strumenti a disposizione e ridurre i doppioni.

4.3.4

Prospettive

Una delle sfide a cui oggi è confrontata la società civile svizzera è rappresentata dall'invecchiamento della popolazione: l'evoluzione demografica attuale comporta un assottigliamento delle fasce di popolazione in età lavorativa, in particolare in settori quali l'edilizia, la sanità, la scuola e il settore alberghiero. Contemporaneamente ci si può aspettare un aumento della proporzione di beneficiari di una rendita AVS rispetto al numero di lavoratori.

La Svizzera applica oggi un sistema binario per l'ammissione di manodopera straniera: mentre i cittadini dell'UE/AELS esercitanti un'attività lucrativa beneficiano dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, i cittadini di tutti gli altri Stati 1076

sono ammessi in maniera limitata e unicamente se si tratta di dirigenti, specialisti e manodopera qualificata. Negli ultimi anni, grazie all'Accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l'UE, la Svizzera ha potuto colmare in buona misura le lacune esistenti sul mercato del lavoro. Tuttavia, l'invecchiamento demografico è una tendenza in accelerazione in quasi tutti gli Stati europei. Prevedibilmente i nuovi membri dell'UE che attualmente esportano ancora manodopera assorbiranno internamente la forza lavoro disponibile con la crescita delle loro economie.

Occorre pertanto mettere in conto un inasprimento della concorrenza tra Stati occidentali riguardo alla manodopera qualificata.

I flussi migratori internazionali sono contraddistinti da una sempre maggiore complessità. Persone in fuga da conflitti e violazioni dei diritti umani si spostano fianco a fianco con persone che espatriano per altre ragioni, ad esempio di carattere economico. Si parla in tale contesto di flussi migratori misti. Alcune di queste persone rientrano nel campo di applicazione delle protezione garantita dalla Convenzione del 1951 sullo statuto dei rifugiati, altre no. Per le autorità è sempre più difficile distinguere tra chi ha diritto a una forma di protezione piuttosto che a un'altra. Di conseguenza, una delle sfide più ardue per la collettività internazionale consiste nello sviluppare strategie efficienti e insieme rispettose della dignità umana che consentano di garantire a tutti i migranti la protezione a cui hanno diritto. Occorre inoltre prevedere che in seguito ai mutamenti climatici si verificherà un aumento dei migranti che pur non rientrando nella definizione di rifugiato presenteranno comunque uno specifico bisogno di protezione. Sotto questo aspetto si profila la necessità di eliminare talune carenze, tanto sul piano legislativo quanto su quello operativo.

Nelle discussioni in atto a livello internazionale a tale riguardo è impegnata anche la Svizzera.

Il persistere di grandi disparità nei rapporti economici, dei conflitti e di gravi violazioni dei diritto umani, ma anche gli irreversibili mutamenti ambientali fanno presumere che la pressione migratoria sulla Svizzera sia destinata a perdurare o addirittura ad aumentare. L'attuale concreta impossibilità per i cittadini di Stati non membri dell'UE
di immigrare regolarmente alimenterà ulteriormente la migrazione incontrollata. Questo fenomeno influirà tra l'altro anche sul sistema svizzero d'asilo.

Dato il sistema binario praticato dalla Svizzera in materia di ammissione, per la maggior parte dei migranti il sistema d'asilo rappresenta l'unica possibilità di ottenere uno statuto migratorio regolare, almeno per un certo periodo di tempo. Pertanto, la pressione sul sistema d'asilo dovuta a domande infondate dovrebbe aumentare parallelamente alla pressione migratoria. La Svizzera dovrà chiedersi in quale misura può utilizzare la propria politica migratoria per ridurre tale pressione.

Fare in modo che tutte le parti coinvolte traggano beneficio dai flussi migratori internazionali rappresenta tuttora una sfida imponente. La Svizzera tiene conto a tale riguardo delle implicazioni di politica dello sviluppo e integra nelle proprie riflessioni politiche il concetto di condivisione transnazionale della responsabilità e dei vantaggi. La politica migratoria sin qui concepita, il dialogo internazionale, le strutture formali di cooperazione, il sistema multilaterale (segnatamente l'ACNUR, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Organizzazione internazionale del lavoro) e il quadro giuridico fornito dal diritto internazionale non sono tuttavia sufficienti per dar vita a una comune e globale comprensione della migrazione e a una gestione coerente della migrazione sul piano internazionale. In tal senso la Svizzera ha interesse a partecipare alla discussione volta alla creazione di meccanismi di cooperazione transnazionali efficienti e a stimolare tale discussione.

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4.4

Riduzione della povertà e aiuto umanitario

Sotto la spinta della globalizzazione, lo sviluppo economico mondiale è caratterizzato da molteplici disparità, sia tra una società e l'altra sia all'interno delle società stesse. Interessi politici antitetici si ripercuotono sulla politica nazionale e internazionale. I Paesi industrializzati cercano di mantenere la propria posizione di forza nell'economia mondiale. Altri Paesi, in particolare i Paesi emergenti in rapida crescita, sono interessati soprattutto a un rapido sviluppo che permetta loro di recuperare il ritardo. Dal punto di vista dei Paesi industrializzati, un simile sviluppo, la forte crescita della domanda di materie prime e risorse naturali e il rapido aumento delle emissioni di gas nocivi per l'ambiente che si riscontrano nei Paesi emergenti rappresentano una crescente minaccia ambientale. Dal punto di vista dei Paesi emergenti, le esigenze della politica ambientale formulate nell'ambito del processo negoziale che ha fatto seguito al Protocollo di Kyoto mettono in questione il diritto allo sviluppo.

Negli ultimi anni il rapporto tra Paesi industrializzati e Paesi in sviluppo ha subito una rapida trasformazione. Oggi alcuni ex Paesi in sviluppo sono diventati Paesi donatori e allo stesso tempo concorrenti sul mercato mondiale. Nel sistema internazionale si profilano mutamenti carichi di conseguenze per la politica dello sviluppo.

4.4.1

Crisi economica e politica dello sviluppo

La crisi finanziaria internazionale e le sue immediate ripercussioni sui bilanci pubblici di molti Paesi industrializzati avranno anche conseguenze durature sui Paesi in sviluppo. I Paesi in sviluppo più avanzati, aperti al mercato mondiale, devono tutelarsi di fronte ai pericoli insiti nell'instabilità dei flussi di capitale sui mercati finanziari internazionali. Per acquisire una maggiore indipendenza dai mercati internazionali dei capitali, devono tenere sotto controllo il debito interno e il debito estero e sviluppare i mercati finanziari locali. Sotto questo aspetto i Paesi dell'Estremo oriente hanno già compiuto notevoli progressi grazie alla cooperazione regionale nel settore monetario e a una crescente acquisizione di fondi in moneta locale. Per altre regioni in sviluppo si tratta di gestire con prudenza i flussi di capitale.

La crisi finanziaria ed economica mondiale mette in luce i contorni del nuovo ordine mondiale multipolare (cfr. n. 1). Il G20 guadagna sempre più terreno sul G8, non solo per quanto riguarda la regolamentazione del sistema finanziario internazionale, ma anche nelle questioni ambientali, climatiche e commerciali, assumendo una funzione chiave nelle funzioni consultative e di indirizzo. Se ha rallentato l'avvento dei Paesi emergenti, la crisi ne ha però anche accresciuta l'importanza come motore dell'economia mondiale. Nel 2009 molti Paesi in sviluppo hanno registrato un andamento negativo della crescita (crescita del PIL in America Latina: ­1,8 %, nel Vicino e Medio Oriente: +2,4 %, nell'Africa subsahariana: +2,1 %, in Asia: +6,6 %), ma più contenuto rispetto ai Paesi industrializzati. I Paesi in sviluppo con forti legami con l'area dell'OCSE e dipendenti dal commercio con l'estero (soprattutto per quanto riguarda le materie prime) e dagli afflussi di capitale dall'estero hanno subito un massiccio calo delle esportazioni.

1078

In tale contesto si disegnano le seguenti tendenze: ­

prezzi delle materie prime ed entrate pubbliche: dopo il picco record raggiunto a metà 2008, i prezzi sui mercati delle materie prime sono crollati.

Secondo le stime dell'Associazione degli istituti europei di congiuntura economica, i prezzi delle materie prime nel 2009 si attestano in media a un livello del 43 per cento inferiore a quelli dell'anno precedente. In circa 90 Paesi in sviluppo la vendita di materie prime rappresenta più del 50 per cento delle entrate realizzate con le esportazioni. Diminuiscono dunque le entrate pubbliche di alcuni Paesi africani, che erano aumentate con il boom registrato negli ultimi anni in questo settore;

­

crisi alimentare: il crollo dei prezzi coinvolge anche i mercati agroalimentari. Secondo i dati della FAO, nel 2009 i prezzi dei generi alimentari sui mercati mondiali erano del 33 per cento circa inferiori rispetto al picco record toccato nel giugno 2008. I prezzi sui mercati mondiali rimangono però ancora ben al di sopra del livello degli anni precedenti al 2007. Se non saranno adottate misure efficaci contro la speculazione, le imprevedibili oscillazioni dei prezzi sulle borse delle materie prime comporteranno inevitabilmente conseguenze economiche e sociali;

­

domanda all'esportazione: a causa della recessione economica, oltre alla domanda di materie prime cala anche la domanda di manifatturati di esportazione. Il calo colpisce in modo particolare i Paesi che hanno puntato unilateralmente su singoli prodotti di esportazione come motore del loro sviluppo economico;

­

capitali privati: la situazione finanziaria è aggravata da una drastica contrazione dei flussi di capitali privati. Nel 2007 nei Paesi in sviluppo e nei Paesi emergenti sono affluiti capitali di investimento e crediti di investitori privati per 617,5 miliardi di dollari. Secondo le stime dell'FMI, nel 2009 i flussi netti di capitale privato hanno cambiato bruscamente direzione. Pur essendo caratterizzati da una minore volatilità in confronto agli investimenti di portafoglio, gli investimenti diretti dall'estero si ridurranno però notevolmente rispetto al picco raggiunto nel 2008. Secondo i calcoli dell'«Institute for International Finance», tra il 2007 e il 2008 le banche private hanno ridotto i crediti verso i Paesi emergenti da 410 a 167 miliardi di dollari. I supplementi di rischio sui titoli di Stato hanno registrato un forte aumento. A seguito alla stretta sui crediti a livello mondiale, nel 2008 i Paesi africani non hanno potuto emettere prestiti internazionali;

­

rimesse dei migranti: nel 2008 sono stati trasferiti nei Paesi in sviluppo e nei Paesi emergenti circa 306,8 miliardi di dollari. Secondo le stime della Banca mondiale, nel 2009 le rimesse diminuiranno all'incirca del 5 per cento. La diminuzione sembra mantenersi entro proporzioni relativamente moderate.

Gli esperti stimano ad esempio che circa la metà dei 13 milioni di lavoratori stranieri nei sei Paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain, Qatar, Oman) perderà il posto di lavoro;

­

indebitamento: il debito estero dei Paesi in sviluppo e dei Paesi emergenti si attesterà nel 2009 sui 4,440 miliardi di dollari (debito estero nel 2008: 4,472 miliardi di dollari americani). Nel 2010 questi Paesi dovranno pagare 833 miliardi di dollari di interessi. Secondo le stime della Banca mondiale, i 1079

Paesi emergenti saranno confrontati nel 2009 con scadenze di crediti per un ammontare compreso tra i 2,5 e i 3 miliardi di dollari. Accanto alle istituzioni internazionali di finanziamento e ai creditori privati (fra l'altro banche internazionali), vi sono sempre più nuovi creditori di mercati emergenti.

Mentre l'indebitamento di molti Paesi in sviluppo si aggrava in seguito alla contrazione delle entrate valutarie e al rallentamento della crescita economica, numerosi Paesi hanno affrontato la crisi meglio preparati e a lungo termine non è da attendersi un sovraindebitamento. In particolare nei Paesi emergenti il debito interno assume sempre più importanza.. Per scongiurare difficoltà di pagamento, nel 2009 il G20 ha triplicato i fondi dell'FMI portandoli a 750 miliardi di dollari. Le nuove linee di credito consentono di risolvere a breve le difficoltà a livello di bilancia dei pagamenti; ­

obiettivi di sviluppo globali: tra il 2000 e il 2007 la comunità internazionale aveva compiuto notevoli progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), benché i passi avanti compiuti variassero notevolmente da un obiettivo all'altro e anche da regione a regione e da Paese a Paese. Questo risultato era stato raggiunto grazie all'effetto congiunto di una forte crescita economica globale, dell'aumento e miglioramento dell'aiuto allo sviluppo e dell'efficacia delle politiche perseguite dai governi nei Paesi in sviluppo. Le conseguenze della crisi economica e finanziaria mondiale mettono a repentaglio questi progressi o in parte li annullano addirittura. Secondo le stime dell'ONU, nel 2009 il numero di persone costrette a vivere in condizioni di estrema miseria è aumentato di almeno 50 milioni a causa dell'aumento dei prezzi provocato dalla «triple F crisis» (food, fuel, finance). Questo andamento ha colpito più specialmente le donne;

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i Paesi africani, per esempio, possono contare nel 2010 su una rapida ripresa economica. Nel rapporto dell'OCSE sulle prospettive economiche in Africa, gli esperti prevedono per l'Africa una crescita economica media del 4,5 per cento per quest'anno e del 5,2 per cento per l'anno venturo. Nonostante le rosee prospettive, tuttavia, sarà praticamente impossibile colmare completamente la flessione fatta segnare l'anno scorso. Secondo l'FMI, l'indebitamento relativamente contenuto rispetto alle crisi precedenti e le ripercussioni positive delle riforme strutturali realizzate negli ultimi anni lasciano ai governi un più ampio margine di manovra. Le spese per la socialità in ambito educativo e sanitario rimangono dunque ampiamente inalterate;

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sostegno esterno: gli stanziamenti per l'aiuto pubblico allo sviluppo dagli Stati membri del Comitato di aiuto allo sviluppo (CAS) dell'OCSE ammontano nel 2009 complessivamente a 119,6 miliardi di dollari (2,7 miliardi di dollari in meno rispetto al 2008). Nonostante la crescita economica negativa nei Paesi industrializzati, la quota degli stanziamenti per l'aiuto pubblico allo sviluppo sul prodotto nazionale lordo totale ha registrato una lieve crescita, passando dallo 0,30 per cento nel 2008 allo 0,31 per cento nel 2009. I Paesi dell'UE membri del CAS hanno stanziato complessivamente 67,1 miliardi di dollari (0,44 % del prodotto nazionale lordo UE) e i Paesi del CAS non membri dell'UE 52,5 miliardi di dollari (0,22 % del loro prodotto nazionale lordo). La Svizzera ha destinato all'aiuto allo sviluppo 2305 milioni di dollari, ossia lo 0,47 per cento del prodotto nazionale lordo. Si pone dunque nella media dei Paesi dell'OCSE.

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4.4.2

Evoluzione della situazione mondiale e politica dello sviluppo

La crisi economica mondiale ha evidenziato il fallimento di un sistema di gestione essenzialmente basato sull'autoregolamentazione del settore privato e sulle leggi di mercato. Il ruolo dello Stato ha ripreso una posizione di primo piano nell'agenda della politica dello sviluppo. La costituzione o ricostruzione delle istituzioni democratiche («Institution Building») dovrebbe consentire allo Stato di garantire la certezza del diritto agli attori economici e di instaurare regole del gioco affidabili. Tra l'altro, uno Stato funzionante è anche un elemento importante nell'ambito della governance mondiale. I rischi globali condizionano in misura crescente le opportunità e prospettive di sviluppo. La gestione dei rischi globali (instabilità dei mercati finanziari internazionali, mutamenti climatici, Stati fallimentari, pandemie transfrontaliere) richiede strutture di governance globale solide e affidabili. Per affrontare il mutamento globale si può difficilmente prescindere da una più stretta collaborazione con i Paesi in sviluppo. Nei prossimi anni le linee guida della politica dello sviluppo saranno sottoposte a verifica. In tale contesto i grandi temi saranno i seguenti: ­

lotta contro la povertà: gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) rappresentano una tappa fondamentale nel cammino verso una lotta alla povertà coordinata sul piano internazionale e verso una politica a favore di uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Essi sono espressione di una presa di coscienza comune sulle sfide e sui passi necessari per superare le crisi ambientali e dello sviluppo. L'agenda degli OSM presenta punti deboli: non rivendica chiare responsabilità e riforme politiche strutturali (democratizzazione, diritti umani), insiste molto sui deficit nell'ambito della politica sociale senza realizzare un buon equilibrio tra misure economiche e di politica sociale e non prevede una verifica indipendente per le misure previste e tralasciate;

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risorse naturali: i rapporti del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA) e del Worldwatch Institute evidenziano in particolare nei Paesi in sviluppo uno scenario drammatico dal punto di vista ambientale. L'estinzione delle specie, l'erosione del suolo e la distruzione delle foreste avvengono nella misura del 90 per cento nei Paesi in sviluppo. Il successo duraturo nella lotta alla povertà dipende in modo essenziale dalle capacità dei Paesi poveri di affrontare le conseguenze dei mutamenti in atto a livello locale e planetario. Lo sviluppo sostenibile presuppone una protezione preventiva delle basi naturali della vita e degli ecosistemi sensibili, che li preservi dai contraccolpi negativi che altrimenti minacciano le basi esistenziali. A causa dello scarseggiare delle risorse naturali indotto dai mutamenti climatici occorre prevedere che la concorrenza per lo sfruttamento di tali risorse si intensificherà e i conflitti per la loro ripartizione si estenderanno. Il numero e la virulenza degli eventuali conflitti per lo sfruttamento delle risorse dipenderanno dalla costellazione di interessi e dal contesto istituzionale, oltre che dal modo in cui sarà disciplinato lo sfruttamento a livello locale, regionale e mondiale;

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sicurezza alimentare: il dibattito internazionale sulle strategie per la sicurezza alimentare procede dal riconoscimento del diritto all'alimentazione in quanto diritto umano. Alla luce delle carestie che nel 2008 hanno colpito diversi Paesi, ci si è convinti che i mutamenti climatici avranno in futuro 1081

ripercussioni negative sulla sicurezza alimentare. La crescita demografica, l'aumento del potere d'acquisto e le mutate abitudini di consumo in particolare nei Paesi emergenti asiatici porteranno a un notevole incremento della domanda di prodotti agroalimentari. Parallelamente aumenterà anche l'importanza dell'agroenergia e delle materie prime da fonti agricole rinnovabili in quanto surrogati apparentemente più ecologici rispetto ai vettori energetici fossili. In un contesto di aumento della popolazione mondiale, di mutamenti climatici, dell'assimilazione delle abitudini alimentari dei Paesi industrializzati da parte dei Paesi emergenti e di domanda crescente di energia prodotta dall'agricoltura, le politiche alimentari e le strategie agrarie assumono un ruolo cruciale; ­

acqua: nel corso dell'ultimo secolo lo sfruttamento globale delle risorse di acqua dolce è praticamente aumentato di otto volte. L'essere umano controlla già oltre il 40 per cento delle risorse idriche rinnovabili e accessibili. I problemi aumenteranno non solo a causa di uno sfruttamento quantitativamente eccessivo, ma anche per l'inquinamento idrico. I mutamenti climatici condizioneranno la gestione idrica in molte regioni in sviluppo. La disponibilità di acqua e la distribuzione stagionale possono subire cambiamenti. Tra la crescita demografica a livello planetario e la crescente domanda di acqua si creerà un divario che in alcune regioni sta già causando gravi conflitti sociali e interstatali. Per realizzare gli obiettivi di sicurezza alimentare, lotta alla povertà, sviluppo economico e protezione degli ecosistemi, è indispensabile un'applicazione su larga scala della gestione integrata delle risorse idriche e il superamento degli approcci settoriali;

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mutamenti climatici: il rapporto 2007 del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) mostra che il riscaldamento globale provocato dalle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall'essere umano favorisce una crisi a livello di sviluppo, di sicurezza e di ambiente contro la quale è necessaria una reazione concertata a livello mondiale. Molte delle conseguenze pronosticate esacerbano i problemi di povertà. Se entro il 2050 si prevede globalmente un aumento della disponibilità di acqua potabile, a beneficiarne saranno tuttavia soprattutto le regioni già ricche di risorse idriche e di alcune regioni umide tropicali. Le precipitazioni nelle regioni aride subiranno verosimilmente una netta diminuzione. Si prevede inoltre un ulteriore accentuazione degli eventi estremi nel ciclo idrologico. Aumenterà dunque il pericolo di siccità e di piogge torrenziali con inondazioni. La penuria d'acqua e l'aumento delle temperature media hanno grevi conseguenze per la sicurezza alimentare.

Nelle regioni con un clima più fresco e temperato, le condizioni per la pratica dell'agricoltura potrebbero migliorare, mentre per alcune regioni tropicali e subtropicali già aride si prevede in parte una notevole riduzione dei raccolti;

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il mutamento climatico è oggi uno dei principali responsabili dei cambiamenti ambientali che coinvolgono il pianeta. Le capacità di adattamento, e quindi anche di gestione delle crisi causate dai conflitti, sono distribuite in modo ineguale nel mondo. Le conseguenze si manifesteranno in modo particolare in regioni che già oggi rientrano tra le aree più colpite dalla povertà e dalla fame: Africa subsahariana, Asia meridionale e Sudest asiatico, parti dei

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Caraibi e della regione andina. Queste regioni sono prive di un'infrastruttura adeguata e di meccanismi di protezione; ­

percorso di sviluppo a basso tasso di emissioni: i Paesi industrializzati e la maggior parte dei Paesi in sviluppo sono chiamati a formulare linee guida per un percorso di sviluppo a basse emissioni di carbonio («low-carbon»).

Un più cospicuo impiego di energie rinnovabili può creare le basi per uno sviluppo sostenibile. Su questa base, educazione, innovazione, partenariati tecnologico e scientifici assumono nella politica di sviluppo un ruolo più importante. Il nuovo rapporto delle Nazioni Unite denominato «UN World Economic and Social Survey: Promoting Development, Saving the Planet» propone un approccio integrato per riuscire ad affrontare sia le sfide poste dai mutamenti climatici sia le sfide dello sviluppo. Secondo il rapporto, una partecipazione attiva di tutti i Paesi alla lotta contro i mutamenti climatici presuppone necessariamente che le relative misure non comportino l'estromissione dei Paesi poveri dal cammino verso lo sviluppo. Ai Paesi in sviluppo deve essere concesso un margine di manovra sufficiente per poter proseguire con una crescita economica sostenuta e a tal fine devono di conseguenza poter soddisfare il loro crescente fabbisogno di energia;

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Paesi caratterizzati da una fragilità dello Stato: la politica internazionale dello sviluppo si è proposta, con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, una serie di punti di riferimento per migliorare le condizioni di vita di ampie fasce della popolazione mondiale. A cinque anni dal 2015, il bilancio presenta luci e ombre, determinate in misura importante dal numero di Paesi poveri governati da uno Stato fragile (insufficiente controllo politico sul potere, sistema giuridico praticamente inesistente, servizi di base rudimentali nel campo della socialità), paralizzato e in parte caratterizzato dal crollo delle pubbliche istituzioni. Secondo il «Failed States Index» dell'istituto di ricerca «Fondo per la pace» («The Fund for Peace»), circa 2 miliardi di persone vivono in Stati instabili e pericolosi. Sette dei 10 Stati particolarmente minacciati si trovano sul continente africano;

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la fragilità dello Stato assume dimensioni interne ed esterne. I corpi sociali non sono in grado di organizzarsi per avanzare rivendicazioni nei confronti dello Stato. Se il controllo è spesso assunto da autorità tradizionali, spesso queste non sono tuttavia in grado di esercitare le funzioni di direzione politica a tutti i livelli dello Stato. Gli Stati limitrofi sono minacciati da flussi di profughi, dallo sconfinamento delle operazioni militari e da una periodica destabilizzazione. La comunità dei Paesi donatori è oggi d'accordo sul principio «stay engaged, but differently». Si rivelano particolarmente efficaci i programmi che vanno di pari passo con riforme politiche e che tengono adeguatamente conto delle questioni di genere;

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gestione globale delle crisi: è generalmente ammesso che le istituzioni multilaterali e in particolare le Istituzioni di Bretton Woods debbano svolgere un ruolo importante nell'ambito della gestione globale delle crisi, e che il loro mandato debba essere esteso. È invece oggetto di controversie la ridistribuzione del peso dei voti in direzione di una parità nord-sud rivendicata dai Paesi emergenti e in sviluppo. Nella recente crisi finanziaria, le istituzioni multilaterali hanno confermato la loro importanza e utilità nel finanziamento e nella formulazione di misure volte a contrastare la crisi. Le istituzioni hanno dunque verificato e potenziato le proprie basi finanziarie, le proprie 1083

strutture istituzionali e il proprio orientamento strategico. La crisi economica e finanziaria mondiale concomitante con l'accelerazione dei mutamenti climatici e i problemi che si delineano a livello di sicurezza alimentare ed energetica domandano rapidi progressi nella gestione internazionale dei rischi globali. Sinora gli Stati nazionali hanno puntato piuttosto su istituzioni intergovernative che non su istituzioni sovranazionali. Anche in avvenire, diverse riforme dei meccanismi di controllo (autoregolamentazione del settore privato, soluzioni fondate sul modello del Club, soluzioni multistakeholder) continueranno a coesistere sul piano globale, regionale e locale in parziale competizione l'una con l'altra.

4.4.3

Contributo della Svizzera alla riduzione della povertà

Il decreto federale concernente la continuazione della cooperazione tecnica e l'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo, adottato dal Parlamento l'8 dicembre 200847, prevede una ridefinizione della politica dello sviluppo perseguita dalla Confederazione. Per la prima volta è stata elaborata una strategia unitaria per la politica dello sviluppo, valida per tutti gli attori della cooperazione allo sviluppo, ossia oltre che per la DSC anche per la Seco e altri servizi della Confederazione.

Tale strategia si basa su tre assi strategici: Primo asse strategico: raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio ­ riduzione della povertà La Svizzera contribuisce nei Paesi in sviluppo e in transizione in cui svolge la sua attività a una crescita economica socialmente ed ecologicamente durevole, riducendo la povertà.

Nonostante vi siano altre sfide di portata mondiale, la povertà, vale a dire il fatto che un terzo della popolazione mondiale sia costretta a vivere con redditi pro capite di cento volte inferiori a quelli di cui dispongono gli abitanti dei Paesi dell'OCSE, rimane una delle maggiori e costanti preoccupazioni della comunità internazionale, che deve essere affrontata congiuntamente. La riduzione della povertà deve basarsi in ogni modo su una crescita economica che vada a beneficio anche delle fasce indigenti della popolazione. Nel dialogo con governi, organizzazioni multilaterali e altri donatori, la Svizzera conferisce a questo aspetto un'importanza particolare. Su queste premesse la DSC continua il proprio operato con programmi bilaterali in 12 Paesi prioritari («Least Development Countries») e con sei programmi speciali in Paesi e regioni fragili. La Seco realizza programmi in sette Paesi prioritari («Middle Income Countries») di importanza regionale. Con la propria partecipazione in veste di shareholder negli organismi multilaterali, la Svizzera esercita la propria influenza a favore della riduzione della povertà soprattutto in seno alla Banca mondiale, alle banche di sviluppo regionali e alle organizzazioni dell'ONU.

Quanto all'aiuto al processo di transizione nell'Europa orientale, nei Balcani e nell'Asia centrale, si è sinora trattato, piuttosto che di ridurre la povertà, di adeguare i governi agli standard internazionali, di creare istituzioni orientate all'economia di mercato e di garantire occupazione e sbocchi ai giovani affinché non debbano emi47

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grare. Nel frattempo la crisi finanziaria rischia di ridurre o riportare alle soglie della povertà un gran numero di persone nell'Europa orientale e nell'ex Unione sovietica.

In Tagikistan, ad esempio, il livello di povertà è salito al 60 per cento circa. Diversi Stati hanno potuto scongiurare il fallimento soltanto grazie ai crediti internazionali.

Questa realtà ha rallentato l'attuazione dell'agenda nel processo di transizione. In tale contesto, le strategie della cooperazione con i Paesi dell'est si concentrano sull'accesso al mercato anche per le fasce povere della popolazione, sull'integrazione politica e sociale degli emarginati, notevolmente più minacciati dalla povertà ad esempio per quanto riguarda l'accesso all'istruzione e alla giustizia, e sulla costruzione di sistemi sociali stabili. Questi orientamenti assumono un'importanza particolare alla luce della crisi finanziaria ed economica. Altri aspetti altamente importanti consistono nell'attenzione consacrata agli aspetti di genere nell'ambito dell'integrazione nel mercato del lavoro, alla partecipazione politica e alla sicurezza sociale.

Secondo asse strategico: promozione della sicurezza umana e superamento dei rischi sistemici.

La Svizzera si impegna nel mondo intero per contribuire a evitare conflitti, soccorre le vittime di conflitti e catastrofi naturali e contribuisce alla stabilizzazione di Paesi o regioni fragili; in tal modo crea le premesse di una maggiore sicurezza e di uno sviluppo sostenibile.

Chi presta soccorso è confrontato agli aspetti sociali di conflitti o catastrofi e capisce dunque l'importanza della prevenzione dei conflitti e della prontezza in caso di catastrofe. Di conseguenza la Svizzera si impegna per prevenire le catastrofi naturali e per limitarne le conseguenze, in collaborazione con le autorità di Paesi potenzialmente minacciati quali la Bolivia e il Bangladesh o il Vicino Oriente, oppure in contesti di prevenzione dei conflitti come in Nepal o nella regione africana dei Grandi Laghi.

Terzo asse strategico: una globalizzazione che promuova lo sviluppo La globalizzazione condiziona le prospettive di sviluppo dei Paesi poveri. La Svizzera si sforza di contribuire a una globalizzazione sostenibile e favorevole allo sviluppo. Sostiene le opportunità di sviluppo dei Paesi poveri e la loro possibilità di adeguarsi ai cambiamenti globali: ­

concentrandosi in modo specifico sul superamento dei rischi globali, quali i mutamenti climatici, la sicurezza alimentare, la penuria delle risorse idriche e la migrazione

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contribuendo a uno sviluppo sostenibile e coinvolgendo i Paesi in sviluppo nell'economia mondiale.

A causa della dinamica della globalizzazione, la politica internazionale dello sviluppo si trova viepiù confrontata a sfide e rischi transnazionali che toccano le opportunità di sviluppo dei Paesi poveri. Per affrontare queste sfide e questi rischi è urgentemente necessaria una collaborazione tra Paesi del nord e del sud. Si tratta di problemi di portata sovraregionale che toccano molti Paesi poveri e non possono essere risolti con misure nazionali o regionali. Alla luce dei mutamenti climatici che coinvolgono il pianeta, le istituzioni internazionali continuano a dibattersi tra la necessità di una governance globale e gli interessi perseguiti dagli Stati nazionali.

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Contributo della politica dello sviluppo alla gestione dei problemi globali In avvenire la politica della Confederazione in materia di sviluppo dovrà concentrare in misura ancora maggiore i propri sforzi per la riduzione della povertà sulla soluzione di problemi globali. La DSC realizza già, in stretta collaborazione con i competenti servizi specializzati, quattro programmi globali nel settore dei mutamenti climatici, della sicurezza alimentare, della migrazione e dell'acqua, esercitando in tale contesto la propria influenza per la gestione dei problemi di carattere mondiale.

In appresso diamo alcuni esempi di questo approccio: ­

sviluppo di soluzioni innovative in collaborazione con ditte svizzere o istituzioni specializzate: nell'ambito del programma globale a favore del clima, la DSC collabora strettamente con architetti e ingegneri svizzeri d'eccellenza per un'edilizia a basso consumo di energia e di risorse nei Paesi del sud.

Questo è uno degli esempi di come sia possibile impiegare tecnologie innovative in un partenariato tra nord e sud e generare stimoli per una formulazione delle politiche nei Paesi beneficiari;

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cooperazione con organizzazioni che si occupano di definire norme globali: nell'ambito del programma globale per la sicurezza alimentare si inserisce una collaborazione con l'Università di Berna per l'imposizione di standard e metodi globali per la preservazione della fertilità del suolo e lo sviluppo di tecniche di coltivazione a basso consumo di acqua. Nel programma globale per l'acqua la Svizzera partecipa all'elaborazione della Norma ISO sul calcolo della cosiddetta «impronta idrica» («Water Footprint»);

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influenza sulla politica di Paesi considerati grandi inquinatori: in Cina la Svizzera collabora, nell'ambito del programma globale a favore del clima, con le autorità di dieci città cinesi per l'elaborazione di leggi e procedure intese a migliorare l'efficienza energetica nello sviluppo urbano (mobilità, edifici ecc). Nel contesto del «Montreux Policy Dialogue» il programma globale per l'acqua tratta la questione della sicurezza idrica in Medio Oriente e in Africa del nord, in Perù, in Bolivia e in Ecuador. In queste regioni i problemi di approvvigionamento idrico rappresentano già una delle principali cause di conflitti;

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sostegno alle misure di contenimento dei danni in Paesi particolarmente minacciati dalle conseguenze negative dei rischi sistemici: nell'ambito dell'organizzazione «Global Environment Facility» della Banca mondiale, la Svizzera partecipa alla definizione delle misure di adeguamento ai mutamenti climatici in Bangladesh, negli Stati del Sahel e in altri Paesi del sud.

Nell'ambito del programma globale per la sicurezza alimentare la Svizzera fornisce alle istanze decisionali delle organizzazioni internazionali pareri fondati sulle analisi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) e del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM) a favore di opportune misure in regioni caratterizzate da prezzi elevati e grave carenza dei generi alimentari. Infine, nell'ambito del programma globale sulla migrazione, la Svizzera si impegna, nel quadro dei propri partenariati in materia di migrazione conclusi ad esempio con la Nigeria, per definire strumenti e soluzioni che consentano ai Paesi d'origine di sfruttare meglio il fenomeno migratorio per il proprio sviluppo;

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sostegno alle reti di ricerca che producono conoscenze e partecipano alla definizione di dispositivi normativi internazionali: nell'ambito del program-

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ma globale per la sicurezza alimentare, la Svizzera collabora con centri e istituti di ricerca agraria nazionali e internazionali e con il settore privato per lo sviluppo delle conoscenze nel settore agrario (semenze, lotta antiparassitaria e metodi di coltivazione per i Paesi in sviluppo) e renderle accessibili alle piccole aziende agricole. Nell'ambito del programma globale sulla migrazione la Svizzera copresiede, insieme al Marocco, il gruppo di lavoro «Policy Coherence, Data and Research», che raccoglie dati scientifici sulla migrazione per le organizzazioni dell'ONU e dell'UE; ­

impegno della Svizzera nel campo del trasferimento di conoscenze e di tecnologie: il programma globale a favore del clima si occupa di tecnologie che migliorano l'efficienza nello sfruttamento delle risorse e di altri metodi «low carbon». Attraverso il programma globale per la sicurezza alimentare, la Svizzera fornisce assistenza al Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale («Consultative Group on International Agricultural Research» CGIAR), partenariato strategico che conta 64 membri e collabora con numerose organizzazioni governative e della società civile e imprese del settore privato nel mondo intero. Il CGIAR riunisce oggi più di 8000 scienziati operanti in più di cento Stati. Le sue attività riguardano principalmente la lotta alla penuria alimentare nei Paesi tropicali e subtropicali per mezzo di investimenti in nuove varietà vegetali altamente produttive e nel miglioramento dell'allevamento di animali da reddito. Il sostegno al CGIAR è uno dei contributi della Svizzera al trasferimento delle conoscenze su scala mondiale.

Impegno della Svizzera in rapporto con le penurie idriche Circa un miliardo di persone non ha a disposizione acqua potabile pulita. Insediamenti, agricoltura e abitudini di consumo provocano l'eccessivo sfruttamento delle falde freatiche. Inquinamento ambientale, crescita demografica e mutamenti climatici aggravano ulteriormente la penuria. La crisi idrica globale rappresenta una sfida politica complessa, al cui superamento contribuisce anche la Svizzera.

Penuria crescente delle risorse idriche La penuria di risorse idriche colpisce oggi un terzo dell'umanità. Circa 1,1 miliardi di esseri umani non hanno accesso ad acqua potabile pulita. 2,6 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienici di base. Circa l'80 per cento di tutte le malattie presenti nei Paesi in sviluppo è riconducibile alla mancanza di acqua pulita. Nei Paesi in sviluppo l'agricoltura, e in particolare le colture irrigue, hanno una grande importanza e di conseguenza l'acqua è un elemento importante per la sicurezza alimentare e quindi anche per la lotta alla povertà.

La scarsità di risorse idrologiche limita la disponibilità di acqua nell'Africa settentrionale, nel Vicino Oriente e in Asia centrale. Secondo il Comitato intergovernativo dell'ONU sui cambiamenti climatici (IPCC, 2007) i mutamenti nel regime delle precipitazioni e l'aumento delle temperature sono le principali conseguenze dei mutamenti climatici sulla disponibilità di risorse idriche. I cambiamenti nei modelli delle precipitazioni indurranno tendenzialmente un'ulteriore diminuzione delle piogge nelle zone aride subtropicali e un aumento nelle latitudini più settentrionali.

In futuro la penuria idrica si estenderà probabilmente anche ad altre regioni (ad es.

America Latina, Africa meridionale, Asia centrale, Cina). Lo sfruttamento rimane carente a causa della mancanza di capacità istituzionali o di risorse finanziarie.

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Diversi fattori determinano il costante aumento della domanda d'acqua: la rapida crescita demografica, la crescita economica e il conseguente aumento del consumo pro capite, l'incremento della domanda di generi alimentari e altri beni primari, dalle colture irrigue nonché i processi di produzione industriale e di servizi. Altri fattori chiave sono i deficit nella gestione istituzionale delle risorse idriche: mancanza di coordinamento tra i vari attori, mancanza di strumenti di gestione adeguati, deficit finanziari, mancanza di personale qualificato, insufficiente rispetto dei diritti di accesso e di sfruttamento a fronte di risorse idriche scarseggianti.

Le crisi idriche si manifestano più facilmente in Paesi in sviluppo già gravati dai compiti di lotta alla povertà, spesso già svantaggiati da un ambiente naturale sfavorevole e da sistemi di gestione idrica insufficienti. In assenza di contromisure, la penuria idrica scatenerà sempre più spesso conflitti locali e regionali. La cooperazione allo sviluppo parte dal principio che la crisi idrica non vada affrontata anzitutto sul piano idrologico, bensì come problema di gestione e di governance. La debolezza delle istituzioni, la frammentazione e la scarsa efficacia delle strutture politiche e programmi circoscritti a singoli settori sono una concausa della mancanza d'acqua. La soluzione del problema dipende quindi in misura determinante da riforme politiche, istituzionali ed economiche. Pretese incompatibili avanzate da diversi settori (regioni urbane e rurali), obiettivi antitetici (sfruttamento e protezione delle risorse), le autorità preposte e amministrazioni prive di mezzi finanziari e personale sufficienti ostacolano in misura corrispondente la realizzazione di riforme nel settore della gestione idrica.

Contributo della Svizzera La Svizzera, serbatoio idrico d'Europa, potrebbe credersi al riparo da problemi di approvvigionamento idrico. Ma lo scioglimento dei ghiacciai sta riducendo drasticamente le nostre riserve di acqua. L'impronta idrica della Svizzera è localizzata all'80 per cento al di fuori del territorio nazionale, spesso in Paesi in cui la crisi idrica costituisce già un grave problema. Contribuire a risolvere il problema idrico globale significa anche assicurare la sopravvivenza del benessere e della prosperità della Svizzera.
La Svizzera vanta riconosciute conoscenze nella corretta gestione delle risorse idriche, sia a livello di servizi pubblici sia nel settore privato, nelle università, nella società civile e anche nel settore dell'aiuto allo sviluppo. Grazie a una presenza e a un'esperienza trentennali nel settore, i competenti servizi della Confederazione sono un protagonista significativo e riconosciuto a livello della pratica sul terreno e della gestione dello sviluppo in un contesto globale.

Il rapporto 2008 pubblicato dalla DSC e dalla Seco sull'efficacia dei programmi di cooperazione nel settore idrico illustra gli obiettivi raggiunti nei Paesi in sviluppo e in transizione: ­

tra il 2003 e il 2008, annualmente circa 370 000 persone in più hanno avuto accesso a fonti di acqua potabile e sistemi di depurazione, e 30 000 persone hanno avuto accesso a fonti idriche per la propria produzione agricola;

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ogni franco svizzero investito ha generato un beneficio sociale (riduzione dei costi della salute e del tempo dedicato alla ricerca di acqua) ed economico (aumento della produzione agricola) valutabile tra 3 e 5 franchi svizzeri, con un ottimo rapporto costi/benefici;

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la Svizzera ha fornito un consistente contributo al rafforzamento delle istituzioni e organizzazioni chiave del settore, le quali rappresentano un fattore determinante nel garantire carattere duraturo agli investimenti;

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il peso della Svizzera sull'agenda mondiale del settore idrico travalica l'importanza dei suoi impegni finanziari.

L'acqua è un importante fattore attorno al quale la Svizzera inserisce le sue attività e rafforza la sua posizione nel contesto internazionale. In questo quadro, la piattaforma di Ginevra, che ospita numerose agenzie internazionali e private del settore idrico, rappresenta un prezioso strumento. Dal canto loro, le università svizzere e il settore privato offrono soluzioni innovative all'avanguardia dal punto di vista tecnologico, ecologico ed economico. Pompe manuali, sistemi semplici e poco costosi per la disinfezione dell'acqua, gabinetti a prezzi abbordabili per i poveri, sistemi di microirrigazione eccetera si sono diffusi nel mondo intero. La Svizzera ha così contribuito a mettere al servizio dei poveri anche l'alta tecnologia.

Impegno sul piano bilaterale e regionale In America Latina la Svizzera vanta un'esperienza di lunga data nel settore idrico, tanto nella regione andina (Bolivia, Perù) quanto nell'America centrale (Nicaragua, El Salvador, Guatemala). Le condizioni quadro sono favorevoli, la capacità di assorbimento importante. Soluzioni innovative (per es. «sanitation is a business») hanno incontrato terreno fertile, l'upscaling rappresenta un sistema promettente per migliorare l'accesso alle risorse idriche a costi ragionevoli. Nel settore idrico si possono perfettamente realizzare concreti progetti di decentralizzazione. Il rafforzamento delle istituzioni e la partecipazione del settore privato caratterizzano il lavoro e consentono di ottenere importanti risultati: 300 000 persone potranno accedere a fonti idriche e a sistemi di depurazione e 180 000 poveri potranno utilizzare più efficacemente l'acqua per aumentare la propria produzione agricola e migliorare la propria dieta o guadagnare denaro.

In Asia, la mancanza di accesso a fonti di acqua potabile, la depurazione e una gestione oculata delle acque nei bacini imbriferi (spesso in zone aride) rappresentano i problemi principali nei Paesi in cui opera la Svizzera. L'intensa deforestazione aggrava il problema di giorno in giorno. In Bangladesh, per esempio, la presenza di arsenico nelle falde acquifere e nei sistemi inondati assume cruciale importanza.

Acqua potabile, depurazione, microirrigazione e gestione dei bacini imbriferi sono i contorni della questione, per la quale è stato sviluppato e sarà promosso il concetto di «total
sanitation». In Bangladesh la prevenzione delle inondazioni costituirà un elemento importante. 100 000 persone avranno accesso ad acqua potabile e sistemi di depurazione e 170 000 potranno utilizzare più efficacemente l'acqua per la propria produzione agricola. Il rischio di inondazioni si ridurrà.

I Paesi dell'Africa subsahariana devono affrontare una duplice sfida: da un lato, colmare il divario con le zone rurali, dove soltanto due persone su cinque hanno accesso all'acqua e meno di una su cinque a sistemi di depurazione di base, e dall'altro gestire la forte crescita demografica nei centri urbani. L'efficienza dei servizi urbani di approvvigionamento di acqua potabile è ancora scarsa, mentre nelle zone rurali l'insufficienza dell'infrastruttura è cronica. Se numerosi Paesi africani sono in ritardo rispetto agli Obiettivi del Millennio nel settore idrico, in questi ultimi anni molti di loro stanno rapidamente recuperando tale ritardo. Per rispondere a queste sfide, bisogna investire di più e rafforzare le capacità attuative, in particolare 1089

quelle delle autorità locali. La Svizzera lavora da numerosi anni in una decina di Paesi africani collaborando soprattutto con le autorità locali e la popolazione e puntando prioritariamente su acqua potabile, piccola irrigazione domestica e, se pur in minor misura, su diversi progetti concernenti la gestione dei bacini imbriferi.

Impegno multilaterale L'esperienza di lunga data negli interventi globali nel settore idrico fanno della Svizzera un partner rispettato e influente sul piano internazionale. Il nostro Paese è ad esempio un leader riconosciuto a livello mondiale nella messa in atto del diritto all'acqua. Sul piano internazionale collabora con: ­

il «Water & Sanitation Program» della Banca mondiale, che influenza riforme e strategie per i servizi dell'acqua potabile e di depurazione preparando il contesto per gli investimenti;

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il «Water Supply and Sanitation Collaborative Council» di Ginevra, attore di primo piano nella promozione della depurazione e fondatore del «Global Sanitation Fund»;

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la «Global Water Partnership, capofila della gestione integrata delle risorse idriche;

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il «Challenge Programme Water for Food»;

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il Segretariato internazionale dell'acqua, voce cittadina per il diritto all'acqua;

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con l'OMS/UNICEF per il monitoraggio globale del settore e con il «Water Integrity Network,» che promuovono l'adozione di un codice deontologico (in particolare per quanto riguarda la corruzione) da parte di tutti i partner del settore.

Sfide e prospettive La cooperazione allo sviluppo mira a ridurre la povertà ma anche a creare sicurezza, rafforzare la democrazia e i diritti umani e affrontare i problemi globali quali i mutamenti climatici o la migrazione. La strategia della Confederazione per la politica dello sviluppo, presentata nel messaggio del 14 marzo 2008 sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo (FF 2008 2451), combina gli ideali di cooperazione e solidarietà internazionale con gli interessi della Svizzera in un mondo globalizzato.

La crisi finanziaria ed economica mondiale ha esercitato una pressione anche sulla cooperazione allo sviluppo. A breve e medio termine si profilano le sfide seguenti: ­

investimenti a favore dello sviluppo: gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, concordati nel 2000 dalla comunità internazionale (dimezzamento della povertà nel mondo entro il 2015, investimenti efficaci nella cooperazione allo sviluppo) sono conseguibili nei Paesi in sviluppo soltanto a costo di enormi sforzi e riforme. Ciò implica anche una maggiore suddivisione del lavoro, un sostegno affidabile da parte dei Paesi partner, maggiori responsabilità per i partner orientati allo sviluppo in loco e patti chiari sugli obiettivi;

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efficacia: negli ultimi anni Parlamento e pubblica opinione hanno chiesto sempre più insistentemente che i risultati raggiunti dalla cooperazione allo sviluppo venissero misurati. La pressione esercitata ha contribuito a miglio-

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rare la qualità dell'aiuto allo sviluppo. Ma la fiducia nella misurabilità conosce anche dei limiti. Spesso uno sviluppo tangibile a breve termine va a discapito di un impatto prolungato e duraturo. Il contributo di singoli attori alla riduzione della povertà in una determinata regione, ad esempio, può essere determinato soltanto ricorrendo a programmi di valutazione estremamente onerosi. È difficile determinare se la crescita del reddito nazionale in un Paese possa essere dovuta all'aiuto allo sviluppo, poiché i fattori di influsso sono troppi; ­

responsabilità comune e condivisa: la riduzione della povertà dipende molto dall'adeguatezza delle politiche e dalla loro applicazione nei Paesi in sviluppo. La cooperazione allo sviluppo risulta efficace quando le istituzioni del Paese partner, vale a dire parlamento, potere giudiziario, settore privato e società civile si assumono le proprie responsabilità e investono nello sviluppo le proprie entrate fiscali o i propri risparmi privati. I Paesi membri dell'OCSE conservano la responsabilità di garantire un budget adeguato per lo sviluppo e influssi esterni per quanto possibile positivi sui Paesi poveri (politiche commerciali, degli investimenti, dei brevetti e dell'ambiente che siano favorevoli allo sviluppo);

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Stati fragili: la comunità internazionale deve affrontare con maggiore apertura e in modo più diretto le cause della stagnazione e del rallentamento dello sviluppo. Conflitti armati e situazioni di instabilità o fragilità paralizzano la vita economica e vanificano i progressi compiuti nello sviluppo.

Assenza di investimenti, prestazioni economiche carenti, mancanza di innovazione provocano in molti luoghi un elevato tasso di disoccupazione e sottooccupazione. Occorre trovare risposte ai conflitti nei Paesi deboli e fragili che rischiano di destabilizzare intere regioni;

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salvaguardia delle risorse naturali: la gestione delle risorse deve tendere a salvaguardare a lungo termine le risorse naturali, da un punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, e a disciplinarne l'accesso. La salvaguardia della stabilità del clima, della biodiversità e della fertilità del suolo in particolare sono condizioni essenziali per la sicurezza alimentare mondiale e per la lotta alla povertà. È dunque fondamentale che i Paesi sviluppati, e la Svizzera in particolare, si impegnino precisamente per proteggere le risorse naturali, poiché i Paesi in sviluppo punteranno evidentemente su settori economicamente più redditizi nell'immediato;

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mutamenti climatici e cooperazione allo sviluppo: le conseguenze dei progressivi cambiamenti climatici costringono i Paesi deboli ad adottare dispendiose misure di adeguamento. I programmi della cooperazione allo sviluppo devono essere strettamente legati, a livello nazionale e regionale, a misure per la gestione delle conseguenze dei mutamenti climatici. Per non perdere credibilità e non intaccare la fiducia dei Paesi in sviluppo nei negoziati sulla politica del clima, i Paesi dell'OCSE non devono attingere alle risorse previste per la cooperazione allo sviluppo per tener fede alle promesse di stanziamenti per le misure a favore del clima;

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rischi sistemici: in politica internazionale si dovranno prendere decisioni della massima importanza per il futuro dello sviluppo globale, quali l'impostazione di un ordine economico mondiale adeguato al futuro, il contenimento dei mutamenti climatici o la regolamentazione della governance glo1091

bale. La politica dello sviluppo deve fornire il proprio contributo in questo contesto. Può fare in modo che anche agli attori più deboli siano concesse eque opportunità nella negoziazione di una regolamentazione legittima e contribuire a un'impostazione dei percorsi di sviluppo rispettosa dei limiti del sistema climatico e delle risorse naturali; ­

Paesi emergenti: sono attori di crescente importanza nella politica mondiale.

Senza la loro attiva partecipazione ai processi di governance globale, è praticamente impossibile trovare soluzioni per quanto riguarda in particolare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la politica del clima, la sicurezza energetica o la politica della pace. Perciò le potenze emergenti nelle regioni in sviluppo devono essere coinvolte nei processi internazionali di coordinamento delle politiche e assumersi una parte di responsabilità sul piano globale. Tuttavia, per arrivare a questo risultato il sistema di governance globale deve essere sottoposto a riforme eque e fondate sulla cooperazione;

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coerenza nell'architettura dello sviluppo: nel messaggio del 14 marzo 200848 sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo, il Parlamento ha definito l'orientamento di una politica organica dello sviluppo a livello federale a favore di uno sviluppo globale equo e sostenibile. Il contributo della Svizzera comprende i tre assi prioritari già citati, ossia la riduzione della povertà e il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la promozione della sicurezza umana e il superamento dei rischi sistemici e la partecipazione a una globalizzazione che promuova lo sviluppo.

Ma il successo della politica dello sviluppo dipende non solo da questa stessa politica, bensì anche da altre politiche che sostengono l'impegno nel settore dello sviluppo. Per promuovere con la massima efficacia possibile i processi di sviluppo nei Paesi poveri e articolare le diverse politiche settoriali in modo coerente, lo sviluppo sostenibile globale si trasforma sempre più in un compito trasversale della politica nazionale. Le politiche dei Paesi dell'OCSE in materia di sicurezza, ambiente, commercio, finanza, agricoltura ed economia devono concorrere al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio di maggior peso. La rivendicazione di una maggiore coerenza delle politiche fonda la propria legittimità sulla Dichiarazione del Millennio adottata dalla comunità internazionale. La Dichiarazione afferma che la politica dello sviluppo è una componente degli sforzi compiuti per conferire alla globalizzazione un'impostazione positiva. Contemporaneamente, anche la politica dello sviluppo deve confrontarsi con le esigenze di coerenza degli altri ambiti della politica.

Nell'analisi effettuata nel 2009, il Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE (CAS) invita la Svizzera a intensificare la coerenza delle sue attività a favore dello sviluppo. Il Comitato critica in particolare la mancanza all'interno dell'Amministrazione federale di strutture incisive in grado di migliorare la coerenza delle varie politiche settoriali. Il Comitato interdipartimentale per lo sviluppo e la cooperazione dovrebbe essere strutturato in modo da poter analizzare la compatibilità con la politica dello sviluppo delle misure

48

FF 2008 2451

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previste da altre politiche settoriali e da poter presentare proposte per una migliore coerenza.

I diversi servizi della Confederazione possono sfruttare ancor meglio le possibilità di interazione, come dimostrano i seguenti esempi: ­ una politica del clima equa e sostenibile presuppone uno stretto coordinamento con gli interessi della politica dello sviluppo. Il mandato negoziale conferito alla Svizzera in occasione della partecipazione alla Conferenza di Copenaghen sul clima era fortemente caratterizzato dagli interessi della politica dello sviluppo. Come regola di principio, era essenziale che dal 2012 in poi il contributo della Svizzera al finanziamento del nuovo regime internazionale per il clima fosse fornito in aggiunta all'attuale aiuto pubblico allo sviluppo e sulla base del principio di causalità («chi inquina paga»); ­ gli obiettivi della politica ambientale e dello sviluppo hanno indirizzato Parlamento e Consiglio federale nella decisione concernente la promozione dei biocarburanti. Nel 2007 la Svizzera è stato il primo Paese al mondo a introdurre, nell'ambito della revisione dell'imposta sugli oli minerali, criteri ecologici e sociali per la promozione dei biocarburanti.

Su incarico della Seco, è stato sviluppato anche uno strumento che consente di valutare online la sostenibilità dei biocarburanti49. Il Consiglio federale ha ridotto gli ostacoli amministrativi per l'esenzione dall'imposta e applica criteri ecologici e sociali per la promozione dei biocarburanti. In tal modo si tiene conto anche del principio secondo cui la produzione agricola deve servire in primo luogo per soddisfare i bisogni alimentari, secondariamente per il foraggiamento degli animali e soltanto da ultimo per la produzione di carburante; ­ nell'Amministrazione federale, la DSC e l'Ufficio federale dell'agricoltura hanno creato una comune piattaforma di discussione per la questione della coerenza. La creazione della piattaforma migliora l'informazione e la considerazione delle componenti di politica agraria e alimentare nell'impostazione delle rispettive politiche.

4.4.4

Istituzioni di Bretton Woods e riduzione della povertà

Le Istituzioni di Bretton Woods hanno dovuto reagire rapidamente alla crisi finanziaria ed economica ricorrendo a strumenti creditizi appropriati e mettendo a disposizione risorse finanziarie supplementari per tener conto dei bisogni particolari dei membri. La crisi ha accentuato l'esigenza di una riforma della governance che consideri i nuovi rapporti di forza sul piano economico e politico mondiale e l'ascesa dei Paesi emergenti.

Fondo monetario internazionale (FMI) La crisi finanziaria e la recessione mondiale hanno provocato in numerosi Paesi un forte fabbisogno di finanziamento esterno. Dall'autunno 2008 l'FMI ha concluso con i Paesi membri 19 nuovi accordi di conferma. L'Unione europea e la Banca 49

«Sustainability Quick Check for Biofuels», www.sqcb.org.

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mondiale hanno parzialmente integrato tali accordi con ulteriori stanziamenti aggiuntivi. La normale linea di credito per i crediti concessi dall'FMI è stata raddoppiata e il versamento dei fondi anticipato nella maggioranza dei casi. A marzo 2010 il Fondo aveva impegnato, nell'ambito degli accordi di credito, complessivamente circa 180 miliardi di dollari. Nella primavera 2009 aveva creato la «Flexible Credit Line» (FCL), la quale mette a disposizione linee di credito a richiesta dei Paesi che possono finanziarsi facilmente sui mercati finanziari e presentano una politica economica e del settore finanziario sostenibile. Sinora hanno usufruito di questo strumento Messico, Polonia e Colombia con un impegno di circa 80 miliardi di dollari. L'FMI ha inoltre adeguato i limiti di credito per i Paesi poveri. Il Fondo mette a disposizione tre diversi strumenti a dipendenza dei bisogni e della struttura dello Stato membro che domanda il credito, tenendo pronte linee di credito adeguate anche per i Paesi poveri come rivendicato dal G20.

Grazie all'aumento delle proprie risorse finanziarie, l'FMI ha potuto garantire agli Stati membri il sostegno resosi ulteriormente necessario per superare la crisi.

Un'assegnazione generale di diritti speciali di prelievo per un importo di 250 miliardi di dollari ha permesso un sostanziale aumento di tali risorse. Al fine di garantire l'accresciuto fabbisogno di mezzi, sono state messe a disposizione dell'FMI linee di credito bilaterali. Queste saranno liquidate non appena la riforma dei nuovi accordi di credito di questi Paesi sarà ratificata. Tali nuovi accordi di credito, la rete di sicurezza finanziaria dell'FMI, dovrebbero essere estesi dagli attuali 55 miliardi di dollari a circa 540 miliardi di dollari. Come sinora, tali accordi potranno essere attivati soltanto in caso di crisi sistemica e nell'imminenza di un esaurimento delle risorse proprie dell'FMI. Ai 26 Stati creditori attuali dovrebbero aggiungersi altri 13 Paesi, in particolare quelli del BRIC. La Banca nazionale svizzera partecipa ai nuovi accordi con un credito sino a circa 16,5 miliardi di dollari.

Questi crediti fruttano interessi corrispondenti al mercato e non sono garantiti dalla Confederazione. Il Consiglio federale ha sottoposto il suo progetto di riforma dei nuovi accordi di credito alle Camere
federali nel settembre 2010.

La riforma delle quote e della governance dell'FMI è stata il tema principale della sua riunione dell'8 e del 9 ottobre 2010. Conformemente alla risoluzione adottata nel frattempo dal Consiglio esecutivo, i mezzi regolari a disposizione dell'FMI mediante le quote sono raddoppiati (sino a circa 477 mia. di DSP, o 756 mia. di dollari). Sono inoltre ridistribuite quote da Paesi sovrarappresentati a Paesi sottorappresentati a favore dei Paesi emergenti e in sviluppo nella misura del 6 per cento della quota complessiva. Il Consiglio esecutivo continuerà ad avere 24 membri, mentre i direttori esecutivi saranno nuovamente rieletti. Nel contempo due seggi finora appartenenti a Stati europei avanzati saranno messi a disposizione dei Paesi in sviluppo ed emergenti.

La Svizzera sostiene il principio di una riforma equa delle quote e della governance dell'FMI. Da un lato, una riforma deve permettere di adeguare i diritti di voto degli Stati membri in funzione dell'evoluzione dell'economia mondiale; dall'altro, deve favorire una modernizzazione delle strutture di governance. La ripartizione dei voti dev'essere in accordo con il mandato dell'FMI, ossia deve riflettere la dimensione e l'importanza economica dei Paesi in seno al sistema finanziario internazionale. La risoluzione adempie soltanto parzialmente questi principi. La partecipazione limitata degli Stati non membri del G20 nella fase finale dell'elaborazione di una soluzione ha portato a una perdita superiore alla media della parte di quote attribuite ai Paesi industrializzati di media dimensione. Inoltre, rimane il rischio di un nuovo adegua1094

mento non corretto della formula delle quote nei prossimi anni. Per questo motivo e a causa di divergenze di posizioni all'interno del gruppo di voto, il direttore esecutivo svizzero ha preferito astenersi al momento dell'adozione della risoluzione.

Al momento non è ancora possibile valutare le conseguenze della revisione delle quote sulla rappresentanza della Svizzera nelle Istituzioni di Bretton Woods. Può darsi tuttavia che vengano rivendicati ulteriori adeguamenti nella direzione dell'FMI. Il 21 ottobre 2009 il Consiglio federale ha pertanto incaricato il DFF, insieme al DFE e al DFAE, di adottare le necessarie misure volte a tutelare la posizione della Svizzera in seno ai consigli esecutivi delle Istituzioni di Bretton Woods.

Nel novero di queste misure è incluso un chiaro e coerente posizionamento negli organi decisori e un'intensificazione dei contatti con i Paesi membri di primo piano.

Gruppo della Banca mondiale50 Nel 2009 anche il Gruppo della Banca mondiale si è occupato intensamente della crisi finanziaria ed economica mondiale e delle sue ripercussioni. Le risorse impegnate hanno registrato un forte aumento e gli strumenti volti a fornire un rapido ed efficace sostegno ai Paesi gravemente colpiti sono stati adeguati. Se la Banca mondiale (BIRS) ha potuto sfruttare a breve il proprio margine di manovra per la concessione di crediti ai Paesi avanzati, la limitata disponibilità di risorse per la concessione di fondi ai Paesi poveri (IDA) ha consentito soltanto un anticipo dei versamenti senza aggiunte. I negoziati attualmente in corso per la 16a ricostituzione delle risorse dell'IDA terranno conto di questa circostanza.

Come l'FMI e le banche regionali di sviluppo, anche la Banca mondiale (BIRS) ha deciso, nell'aprile 2010, di aumentare il proprio capitale di 86 miliardi di dollari (+39 %) per rispondere al fabbisogno supplementare di mezzi. Sarà aumentato di 200 milioni di dollari anche il capitale della Società finanziaria internazionale (IFC).

Gli aumenti di capitale già decisi a favore delle banche regionali di sviluppo sono però risultati di gran lunga superiori. I loro capitali non saranno quasi più inferiori rispetto al capitale della Banca mondiale. Questo dato di fatto mette in luce la crescente multipolarità delle istituzioni finanziarie internazionali, che rende necessari
una maggiore collaborazione e un maggior coordinamento e una suddivisione dei compiti tra le istituzioni. La Banca mondiale ha presentato una convincente strategia per il medio periodo. La Svizzera approva sul principio l'aumento di capitale. Il Consiglio federale sta preparando un messaggio da sottoporre al Parlamento sulla partecipazione agli aumenti di capitale.

La riforma dei diritti di voto è anche in seno alla Banca mondiale una questione di interesse strategico per la Svizzera. Al convegno di primavera (aprile 2010) delle Istituzioni di Bretton Woods si è deciso di ridistribuire il 3,13 per cento dei diritti di voto ai Paesi in sviluppo e in transizione. Questi ultimi disporranno così del 47,19 per cento dei diritti di voto. La quota della Svizzera scende dall'1,63 all'1,46 per cento dei diritti di voto. La Svizzera ha partecipato molto attivamente alle discussioni ed è riuscita a evitare una perdita di voti più consistente. Si trattava tra l'altro di mantenere il proprio seggio in seno al Consiglio esecutivo e di ottenere una corretta distribuzione dei diritti di voto. La Svizzera si è adoperata in special modo per 50

Il Gruppo della Banca mondiale comprende le seguenti istituzioni: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), la Società finanziaria internazionale (IFC), l'Agenzia internazionale per lo sviluppo (IDA), l'Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti (MIGA).

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evitare che il gruppo dei Paesi più poveri non perdesse voce in capitolo, non solo rispetto ai Paesi ricchi ma anche rispetto ai Paesi emergenti.

La Banca mondiale dispone di un buon sistema di garanzia della qualità. Negli ultimi anni la proporzione già elevata dei progetti che hanno dato risultati soddisfacenti è continuamente aumentata. La Svizzera dà molta importanza al continuo miglioramento della qualità dei progetti e di conseguenza si impegna in modo specifico a favore di una gestione globale dei risultati.

Prospettive e sfide La Banca mondiale si occupa ormai da anni dei mutamenti climatici e del loro significato per i Paesi in sviluppo. Questo aspetto svolgerà un ruolo importante anche nell'ambito dell'attuazione e dell'eventuale finanziamento di nuovi impegni a favore del clima. Altra questione prioritaria è quella dei Paesi caratterizzati da una fragilità dello Stato, nel cui novero rientrano non solo i Paesi toccati da conflitti interni ma anche Paesi come Haiti, reso ancor più fragile dal devastante terremoto del gennaio 2010. Per affrontare simili sfide è particolarmente importante che tutti gli attori (ONU, istituzioni finanziarie regionali, donatori bilaterali) si coordino e collaborino strettamente.

Il rapido approntamento di risorse finanziarie e la risposta macroeconomica alla crisi sono solo un aspetto delle attuali discussioni. È anche in discussione il posizionamento a lungo termine delle Istituzioni di Bretton Woods (BWI) in un contesto internazionale in rapida trasformazione e in un'economia mondiale caratterizzata da inediti rapporti di forza. I Paesi del G20 rappresentano sotto questo aspetto una sfida particolare perché si rivolgono alle BWI sia per preparare le loro decisioni strategiche del G20, sia per attuarle. Per questo è essenziale che la Svizzera possa influire attraverso le BWI sulle decisioni del G20.

La riforma che ha coinvolto la governance della Banca mondiale si è sinora concentrata sulla ridistribuzione dei diritti di voto a favore dei Paesi in sviluppo e in transizione. Un nuovo seggio è stato istituito per garantire una migliore rappresentanza del continente africano. Al convegno di primavera dell'aprile 2010 si è deciso di esaminare la questione del numero di seggi in seno al consiglio d'amministrazione dell'FMI, mentre la Banca mondiale ha deciso
di riprendere nel 2015 le discussioni sulla riforma della governance.

Nell'Amministrazione federale tale questione è seguita da vicino da un gruppo di lavoro interdipartimentale. Sono stati allacciati contatti a livello internazionale per rafforzare il gruppo di voto presieduto dalla Svizzera e godere quindi di una migliore posizione per eventuali future riforme della governance.

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4.4.5

Banche regionali di sviluppo e riduzione della povertà

Le sfide globali esaminate nel numero 4.4.3 hanno tutte le proprie implicazioni a livello regionale e caratterizzano anche l'orientamento strategico delle istituzioni regionali di finanziamento (Banca di sviluppo africana, asiatica e interamericana).

La crisi ha rallentato la crescita economica dei Paesi in sviluppo più poveri, ma, grazie ad anni di riforme e adeguamenti strutturali e a una limitata integrazione nel sistema economico globale, la maggior parte dei Paesi in sviluppo più poveri dell'Africa hanno mantenuto un tasso di crescita positivo, se pur molto più ridotto.

Le banche regionali di sviluppo svolgono nel contesto della crisi un ruolo di primo piano a livello di gestione dei rischi. Operando nella regione da cui proviene la maggior parte dei Paesi membri, la familiarità con i problemi e i partner locali rafforza il ruolo delle banche nel dialogo politico, nelle questioni di governance e nel sostegno ai processi di integrazione regionali.

Durante la crisi le banche regionali di sviluppo hanno operato investimenti anticiclici e in parte aumentato massicciamente il volume dei prestiti. In seguito si è in parte proceduto sollecitamente a cospicui aumenti di capitale. Le banche di sviluppo africana e asiatica hanno deciso di triplicare il loro capitale, mentre la banca interamericana di sviluppo ha disposto un aumento del 70 per cento. Il Consiglio federale sta preparando il messaggio da sottoporre al Parlamento sulla partecipazione della Svizzera agli aumenti di capitale della banche regionali di sviluppo e del Gruppo della Banca mondiale.

Con la Banca di sviluppo africana e la Banca interamericana di sviluppo sono inoltre in corso trattative per la ricostituzione dei fondi di sviluppo, che concedono prestiti senza interessi e sovvenzioni ai Paesi in sviluppo più poveri. Fatta salva l'approvazione del Parlamento, il Consiglio federale deciderà in merito al contributo svizzero ai fondi nel quadro del messaggio concernente l'innalzamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo allo 0,5 per cento del reddito nazionale lordo entro il 2015, che concretizza la decisione sulla partecipazione della Svizzera ai fondi adottata dal Parlamento nel 2008.

La Svizzera è in grado di influenzare le strategie delle banche regionali di sviluppo, sia come contribuente sia come membro degli organi direttivi. A
tal fine si avvale anche dell'esperienza acquisita grazie all'aiuto bilaterale in Paesi e regioni prioritari e può influenzare la politica della banche fondandosi su una solida conoscenza del contesto. La Svizzera caldeggia in particolare un rafforzamento della collaborazione tra istituzioni regionali di finanziamento e Banca mondiale, organizzazioni delle Nazioni Unite e attori svizzeri (settore privato, opere umanitarie, università). Si impegna inoltre affinché le istituzioni si concentrino su pochi settori chiave e limitino per quanto possibile i costi amministrativi. Quanto agli aumenti di capitale e alle ricostituzioni, la Svizzera attribuisce un'importanza particolare al conseguimento degli obiettivi di sviluppo concertati sul piano internazionale, a un più spiccato orientamento ai risultati e all'efficienza, alla promozione del settore privato, alla parità tra i sessi e a una gestione sostenibile per quanto riguarda l'indebitamento dei bilanci pubblici.

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Prospettive e sfide Per la Svizzera le banche regionali avranno anche in futuro un ruolo importante da svolgere. La Svizzera intende integrare nella propria politica l'esperienza acquisita nel quadro dei programmi bilaterali. Tali programmi rappresentano per la Svizzera, grazie ai contatti ravvicinati con i governi locali, un quadro privilegiato per ampliare ulteriormente la collaborazione con le banche e allargare gli esperimenti riusciti. La cooperazione allo sviluppo della Confederazione vanta sotto questo aspetto un'esperienza di lunga data e soluzioni collaudate in contesti diversi. Il dialogo con le banche regionali sul piano nazionale e regionale offre l'occasione di valorizzare meglio l'esperienza svizzera presso i governi. Con questi sforzi la Svizzera intende rafforzare l'orientamento allo sviluppo delle politiche di governo, ad esempio nel settore dei mutamenti climatici, e promuovere la collaborazione, ad esempio sull'utilizzazione delle acque internazionali.

Per cogliere queste opportunità, la cooperazione allo sviluppo della Confederazione rafforza la componente multilaterale dei propri programmi. Sfrutta in modo mirato le opportunità di collaborazione, segnatamente con le banche regionali di sviluppo, cofinanziando progetti, inserendo esperti svizzeri in seno alle organizzazioni e operando scambi a livello tecnico-specialistico. In futuro la Svizzera rafforzerà ulteriormente il proprio impegno nella valutazione delle prestazioni delle banche regionali e comunicherà il proprio giudizio agli organi direttivi.

Attualmente, la sfida maggiore per la Svizzera consiste nel mantenere le proprie quote di capitale nelle banche regionali di sviluppo e nel partecipare in modo adeguato alle ricostituzioni dei fondi di sviluppo regionali. In tale contesto la Svizzera deve chiedersi anche quale sia il modo migliore di far sentire la propria voce e in quale misura la comunità internazionale riconosca le sue prestazioni. Una riduzione del contributo fornito dalla Svizzera nell'ambito della perequazione internazionale degli oneri («burden sharing») può ripercuotersi negativamente sulla reputazione del nostro Paese a livello internazionale. Al riguardo occorre anche considerare che la partecipazione della Svizzera al capitale delle banche e alle ricostituzioni dei fondi di sviluppo possiede un effetto moltiplicatore, poiché l'economia svizzera trae un considerevole vantaggio dalle commesse generate da questi fondi.

4.4.6

Aiuto umanitario

L'aiuto umanitario della Confederazione soccorre gli esseri umani nel bisogno e fornisce le sue prestazioni nel rispetto dei principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza. A differenza di altre agenzie, l'aiuto umanitario della Confederazione non si limita a prestazioni in denaro. L'approccio operativo (sistema di milizia del Corpo svizzero di aiuto umanitario CSA) consente di intervenire direttamente in loco. La sua esperienza sul piano operativo gli conferisce un particolare ascendente sui vari organi e nei fori internazionali.

Sino ai primi anni Novanta, l'aiuto consisteva soprattutto nel soccorso in caso di catastrofi naturali e carestie. In seguito, con il moltiplicarsi dei conflitti armati, è cresciuta l'importanza dell'aiuto ai rifugiati e ai profughi interni. Negli ultimi anni fenomeni meteorologici estremi (siccità, inondazioni catastrofiche) e conseguenze dei mutamenti climatici hanno posto l'aiuto umanitario di fronte a nuove esigenze.

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In avvenire i violenti conflitti legati alla penuria idrica potrebbero assumere dimensioni molto più vaste. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA), nel 2050 circa due miliardi di esseri umani soffriranno della penuria idrica.

Le penurie alimentari e la scarsità delle risorse esacerbano i conflitti già in atto soprattutto in Paesi con Stati fragili o instabili.

L'esempio del Darfur Il conflitto nel Darfur illustra in modo esemplare gli sviluppi appena descritti.

Nel Darfur (Sudan) il sovrapporsi di problemi legati all'ambiente con la crescita demografica e il divario esistente tra Khartum, polo economico e politico del Paese, e la periferica regione del Darfur creano un terreno ideale per l'insorgere di violenti conflitti, in parte aggravati da tensioni e conflitti interetnici.

Nei luoghi dove è già difficile sopravvivere, bastano minimi peggioramenti a causare esplosioni di violenza. La rapida avanzata del processo di desertificazione e la mancanza di una soluzione politica al conflitto del Darfur ostacolano il ritorno di molti profughi nei luoghi d'origine. In molte zone il suolo è ormai improduttivo, le condizioni ecologiche sono segnate dalla siccità e dalla desertificazione. Gli allevatori nomadi hanno bisogno di pascoli per i loro animali, i piccoli contadini hanno bisogno di campi per poter coltivare cereali e legumi per le loro famiglie. Se il deserto avanza, allevatori e agricoltori si contendono i terreni. Nel Darfur, l'assenza di precipitazioni ha reso le regioni del nord inutilizzabili per l'allevamento spingendo gli allevatori a sud. Contemporaneamente, una vigorosa crescita demografica ha causato l'eccessivo sfruttamento di pascoli e campi, aggravando ulteriormente una situazione già esplosiva.

I conflitti armati asimmetrici con pesanti conseguenze per la popolazione civile rappresentano una sfida particolare per l'aiuto umanitario. In molti conflitti, il diritto internazionale e i diritti umani vengono violati. Accedere alla popolazione nel bisogno è un'impresa difficile. L'aiuto umanitario internazionale deve intervenire sempre più spesso in regioni e Paesi in crisi con pubbliche istituzioni in disfacimento, nei quali la popolazione civile è bersaglio di attacchi mirati. Spesso il personale impegnato nell'aiuto umanitario non è più ben accetto e quindi
è meno sicuro che in passato. Si constata inoltre che in molte situazioni di conflitto lo sforzo umanitario deve protrarsi per anni poiché non si trovano soluzioni politiche.

L'aiuto immediato e di sopravvivenza in caso di catastrofe si avvale dei seguenti strumenti: catena di salvataggio, squadre di primo intervento, fornitura di beni di soccorso e concessione di contributi finanziari, impiego di esperti per le organizzazioni partner. Gli eventi estremi colpiscono spesso Paesi poveri con scarse risorse istituzionali. Inondazioni, siccità, terremoti eccetera impegnano l'aiuto umanitario a breve e medio termine, sia a livello di prevenzione e preparazione sia per la gestione della crisi. Nella propria valutazione del 2009, il Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE ha espresso un giudizio estremamente positivo sull'impegno della Svizzera. Il comitato giudica eccellenti sia il metodo sia i risultati raggiunti nell'ambito della «disaster risk reduction» e delle misure d'emergenza.

1099

Grazie a un impegno professionale e di lunga data, l'aiuto umanitario della Confederazione gode di grande stima anche a livello internazionale. La sua vasta esperienza, acquisita sul terreno, gli consente di esercitare efficacemente la propria influenza sul piano internazionale: ­

la Svizzera guida il coordinamento dei soccorsi internazionali in caso di catastrofe; è membro dell'INSARAG (International Search and Rescue Advisory Group) dell'Ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA), sul quale esercita il proprio influsso. Si occupa delle direttive e della classificazione delle squadre di soccorso internazionali.

L'aiuto umanitario mette a disposizione le sue conoscenze anche per la formazione dei soccorritori in numerosi Paesi. Cina, India, Perù, Giordania e Turchia sono alcuni tra i Paesi che hanno potuto beneficiare delle competenze della Svizzera per organizzare i propri servizi di soccorso;

­

la Svizzera svolge un ruolo dominante nel contesto delle catastrofi ambientali. La concertazione internazionale sui rischi ambientali in rapido aumento e le loro ripercussioni sulla popolazione è un fattore particolarmente importante. La Svizzera dirige il gruppo di lavoro congiunto dell'OCHA e del PNUA;

­

l'aiuto umanitario della Confederazione presiede la «Good Humanitarian Donorship», sodalizio costituito da 36 Paesi donatori culturalmente affini e incaricato di elaborare norme e direttive per l'impegno umanitario. Questo organismo intende promuovere la professionalizzazione dell'aiuto internazionale in caso d'emergenza e applicare standard di qualità;

­

la ricostruzione di scuole, ospedali o alloggi dopo una catastrofe o un conflitto è uno dei punti forti del CSA. In Sri Lanka, ad esempio, l'aiuto umanitario della Confederazione realizza un programma per la ricostruzione di edifici scolastici che offre un futuro a diverse migliaia di scolari in un Paese devastato dai conflitti. Questo impegno diretto si concretizza in particolare attraverso la stretta collaborazione con l'UNICEF, organismo delle Nazioni Unite per l'infanzia che si assume gran parte dei costi della ricostruzione.

Priorità di intervento Dopo il devastante terremoto che ha colpito Haiti nel gennaio 2010, l'aiuto umanitario della Confederazione ha impiegato complessivamente 12 milioni di franchi svizzeri per l'aiuto immediato e alla sopravvivenza. In totale sono stati impiegati 110 specialisti del CSA. Il CSA ha organizzato gli aiuti nei seguenti settori: assistenza medica per bambini e madri (620 interventi chirurgici e 95 parti), distribuzione di acqua potabile a un totale di 50 000 persone, assistenza a 2000 famiglie rimaste senza tetto e coordinamento con le organizzazioni dell'ONU e il governo locale.

Nel marzo 2010 il Consiglio federale ha stanziato 36 milioni di franchi per progetti di ricostruzione (per il periodo 2010­2012). Questo importo sarà impiegato in particolare per la ricostruzione dell'infrastruttura di servizi sociali quali scuole e ospedali, per lo sviluppo delle zone rurali e per misure di rilancio economico. Grazie alla grande solidarietà dimostrata dal popolo svizzero nei confronti della gente di Haiti, a inizio marzo 2010 la Catena della solidarietà aveva raccolto più di 65 milioni di franchi, realizzando cosi la terza colletta più proficua della sua storia.

1100

Nel Corno d'Africa circa 20 milioni di esseri umani soffrono la fame o di malnutrizione. Si tratta di una delle regioni al mondo più impegnative dal profilo umanitario.

Il quadro è caratterizzato da catastrofi naturali (siccità, inondazioni), conflitti interni (Somalia/Etiopia) e scontri che travalicano i confini nazionali (Gibuti/Eritrea, Etiopia/Eritrea). Con ogni probabilità, la regione rimarrà a medio termine tra le priorità dell'aiuto umanitario a livello mondiale. La Svizzera concentra i propri sforzi primariamente sulla Somalia e sui profughi somali nella regione e destina annualmente un budget di 17 milioni di franchi nei settori dell'aiuto d'emergenza, della sicurezza alimentare e della protezione della popolazione civile nei conflitti armati.

In Sudan la Svizzera destina annualmente 15 milioni di franchi svizzeri al ritorno dei profughi interni, alla protezione della popolazione civile e all'accesso a generi alimentari, acqua potabile e servizi di base nel settore della salute.

Nel Vicino Oriente l'aiuto umanitario collabora strettamente con la UNRWA («United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Middle East») alfine di migliorare i servizi di base per i profughi palestinesi. Nella Striscia di Gaza, ad esempio, è presente uno specialista del CSA incaricato di sviluppare insieme agli specialisti dell'UNRWA progetti per la costruzione di alloggi.

4.5

Politica del disarmo e di non proliferazione

4.5.1

Sfide

Il contesto della sicurezza è tuttora fragile in numerose regioni del mondo e le sfide in questo campo presentano una particolare complessità. Il numero di conflitti in atto, in particolare quelli interni è sempre alto,. Nel mondo si contano oggi 15 conflitti di questo genere, particolarmente devastanti per le popolazioni civili. Inoltre, durante il trascorso decennio le spese nel settore militare sono continuamente aumentate. Solo l' Europa occidentale fa in qualche modo eccezione e si sottrae a questa tendenza.

Un'altra preoccupazione è costituita dall'indebolimento dei meccanismi di controllo sugli armamenti e di disarmo. Nel corso degli ultimi anni, si è constatato un indebolimento in modo particolare del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), uno dei pilastri del sistema di sicurezza internazionale. Il fallimento della Conferenza di esame del 2005 e le violazioni delle disposizioni del trattato commesse da un certo numero di Stati, a livello sia di disarmo sia di non proliferazione, hanno infatti fatto nascere preoccupazioni per l'avvenire di questo regime. Il ritiro della Russia dal Trattato sulle forze convenzionali in Europa (FCE) è un ulteriore esempio dello sfarinamento dei regimi esistenti. Anche i consessi negoziali in cui si discute di disarmo sono sostanzialmente bloccati. Questo vale in particolare per il primo di essi, la Conferenza di Ginevra sul disarmo, che da oltre 13 anni non riesce a intavolare negoziati su questioni sostanziali. Una simile paralisi fa temere oltretutto per il futuro di Ginevra come capitale del disarmo. La situazione di stallo si spiega in gran parte con la mancanza di consenso, legata alla sfiducia che ha contrassegnato i rapporti tra i principali attori della scena internazionale in questi ultimi anni.

I progressi compiuti sulla via del divieto delle armi a submunizioni con l'adozione di una convenzione su questo tema a Oslo nel 2008 rappresentano un'eccezione. Il successo in questo contesto è dovuto al fatto che i negoziati si sono svolti in un 1101

quadro apposito tra Stati detti «like-minded» e non nell'ambito dei consessi abituali sul disarmo.

I recenti sviluppi consentono tuttavia di sperare in un miglioramento della situazione. Il fatto saliente è costituito dall'adozione, al termine della Conferenza di esame del TNP tenutasi nel 2010, di un documento finale in cui sono incluse raccomandazioni concernenti azioni concrete. Benché modesto, questo piano d'azione potrebbe costituire il punto di partenza di nuovi progressi negli anni a venire, e più in generale fungere da catalizzatore per l'intero settore del disarmo. Lo sviluppo positivo procede in particolare da un clima più favorevole di politica internazionale.

Sotto la presidenza di Obama, il governo americano ha dimostrato sin dagli inizi la volontà di ridefinire i rapporti con la Russia, un interesse per i meccanismi multilaterali di controllo degli armamenti e sostenuto una visione del mondo senza armi atomiche. Appaiono incoraggianti anche altri sviluppi intervenuti nel 2009, quali la dichiarazione congiunta dei presidenti Medvedev e Obama per la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, l'intenzione dichiarata di voler avviare negoziati per un trattato sul divieto di produrre materiali fissili per scopi militari o gli impegni assunti dall'amministrazione americana riguardo alla ratifica del Trattato per il divieto assoluto dei test nucleari (TICE); tali sviluppi fanno sperare in una ripresa dei progressi nel settore chiave del disarmo nucleare. La decisione formale dell'Assemblea generale dell'ONU di avviare negoziati per un trattato sul commercio di armi è un ulteriore segnale positivo, che deve trovare conferma.

4.5.2

Politica e attività della Svizzera

L'azione della Svizzera nel settore del controllo degli armamenti e del disarmo puntano primariamente alla stabilità del sistema internazionale e quindi a rafforzare la sicurezza del nostro Paese. In effetti, ogni conflitto, vicino o lontano che sia, può avere un effetto deleterio per la nostra sicurezza: la politica di disarmo della Svizzera si inserisce in un'ottica di prevenzione. Inoltre, l'impegno della Svizzera in materia di disarmo è direttamente legato anche al suo statuto di neutralità permanente. Non facendo parte di alleanze militari, la Svizzera deve garantire da sé la propria sicurezza e ha quindi tutto l'interesse a partecipare attivamente al controllo degli armamenti e al disarmo per preservare la pace internazionale. Infine, l'impegno della Svizzera nel settore del controllo degli armamenti si iscrive anche nella sua lunga tradizione umanitaria, attraverso la quale dimostra la propria solidarietà con la comunità internazionale. La sicurezza degli individui è dunque una componente essenziale nell'agenda degli impegni per la sicurezza.

La Svizzera persegue i propri obiettivi nel settore del disarmo mediante una politica attiva di disarmo e di controllo degli armamenti fondata su un atteggiamento pragmatico e realistico. Il principio guida di tale politica è costituito dalla sicurezza, dalla stabilità nazionale e internazionale e dall'instaurazione di un clima di fiducia stante un livello di armamento ridotto al minimo possibile. Essa promuove la totale proscrizione delle armi di distruzione di massa e si sforza di impedire il trasferimento di queste armi a Stati o organismi non governativi. Punta anche a prevenire l'accumulo destabilizzatore e il traffico illecito di armi convenzionali, a promuovere la trasparenza in materia di armi e a vietare le armi capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato.

1102

La Svizzera si impegna per l'universalizzazione degli accordi già in essere e per una migliore applicazione delle loro disposizioni. Aderisce per principio a tutti gli strumenti giuridicamente vincolanti ai quali ha accesso e si impegna affinché il diritto internazionale umanitario si sviluppi di pari passo con l'evoluzione tecnologica degli armamenti.

Disarmo e prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa Armi nucleari: il trattato di non proliferazione (TNP) è un ingranaggio essenziale per il mantenimento della stabilità e della sicurezza del sistema internazionale.

Malauguratamente, il trattato ha subito un'indubbia erosione nel corso dell'ultimo decennio. L'indebolimento del trattato è dovuto segnatamente al mancato rispetto di uno dei suoi compromessi di base, secondo cui gli Stati che dispongono dell'arma nucleare devono adottare misure per il disarmo nucleare in contropartita dell'impegno da parte dei Paesi sprovvisti di armi nucleari a rinunciare all'acquisto di armi di questo tipo. Tra gli impegni assunti in materia di disarmo nel 1995 o nel 2000 in occasione della Conferenza di esame del TNP, pochi sono stati rispettati. D'altronde, i casi di proliferazione nucleare accertati o sospetti sono più d'uno.

A questo titolo, l'adozione consensuale di un documento finale alla Conferenza di esame del 2010, risultato per nulla scontato, rappresenta un segno positivo. Questi esiti hanno consentito di ribadire, in termini di disarmo nucleare, i risultati acquisiti delle Conferenze di esame del 1995 e del 2000, e di compiere qualche progresso se pur modesto. Il documento finale stabilisce per la prima volta un legame tra armi nucleari e necessario rispetto del diritto internazionale umanitario e per la prima volta è fatto cenno a trattative per la negoziazione di una convenzione sul divieto delle armi nucleari. Per contro, il documento finale non include uno scadenzario preciso per le azioni da intraprendere a favore del disarmo, nonostante tale inclusione fosse auspicata da un buon numero di convenuti. Il documento finale e il piano d'azione in esso integrato forniscono comunque una nuova base su cui lavorare nei prossimi anni.

La Svizzera, persuasa della necessità di proseguire sulla via del disarmo nucleare, si è attivata già prima della Conferenza di esame del 2010. A
sostegno del proprio operato, nel 2008 ha in particolare costituito una task force interdipartimentale che si è occupata di varie iniziative intraprese dalla Svizzera nel settore. Ciò è avvenuto ad esempio per il «dealerting», vale a dire la riduzione del livello di allerta delle armi nucleari, tema sul quale nel 2007 la Svizzera ha promosso, insieme a un gruppo di altri Stati, una nuova risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU. Uno studio commissionato dalla Svizzera in tale contesto funge ormai da riferimento nel suo campo e il nostro Paese approfondirà ulteriormente la questione, sulla scia della Conferenza di esame del TNP del 2010 o in vista dell'Assemblea generale dell'ONU del 2010.

La Svizzera è altresì convinta che si debbano al più presto intavolare negoziati in vista della conclusione di un trattato per il divieto di produzione di materiale fissile destinato alla fabbricazione di armi nucleari («Fissile Material Cut-off Treaty», FMCT). Si è pertanto dichiarata disposta ad assumere la presidenza di questi negoziati, che però non sono ancora stati avviati. Per far progredire la tematica del FMCT, la Svizzera prepara ricerche e svolge seminari sugli elementi specifici della questione. Il crescente interesse di molti Stati, tra cui alcune grandi potenze, a un rapido avvio dei negoziati sul FMCT potrebbe indurre qualcuno di essi a proporre l'avvio di un processo negoziale al di fuori della Conferenza sul disarmo, per evitare 1103

la paralisi che affligge la Conferenza. In tal caso potrebbe essere messa in discussione la posizione di Ginevra come capitale del disarmo.

In considerazione delle questioni di non proliferazione nucleare, la Svizzera partecipa sin dal 2006 ai tentativi compiuti per risolvere la questione nucleare iraniana. Il nostro Paese si impegna a favore di una soluzione diplomatica, che implichi il rispetto da parte dell'Iran dei propri impegni internazionali, vale a dire dell'accordo di garanzia sottoscritto con l'AIEA in virtù del TNP. In questo contesto la Svizzera ha avuto ripetuti contatti con le varie parti in causa, vale a dire con l'Iran, i Paesi 3+3 (Germania, Cina, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia), con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) di Vienna e con l'UE. Il complesso di queste attività è sfociato nel luglio 2008 nei «Geneva Talks-1», svoltisi sulla base del concetto «freeze-for-freeze» concepito dalla Svizzera, e nei «Geneva Talks-2» dell'ottobre 2009, in seguito ai quali le parti si sono accordate su un piano d'azione in tre punti: continuazione del processo negoziale, visita dell'AIEA al nuovo impianto di arricchimento di Fordu, progetto di cooperazione per il reattore di ricerca di Teheran. Benché la realizzazione di ciascuno di questi tre punti proceda a ritmi diversi, la Svizzera ha incontestabilmente contribuito a instaurare il dialogo tra le parti. Nello stesso contesto ha condotto discussioni ad alto livello per favorire un'eventuale ripresa delle trattative dirette tra Stati Uniti e Iran.

La Svizzera intende inoltre intensificare la propria partecipazione in seno all'AIEA.

In seguito al rapporto 20/20 sul futuro dell'Agenzia sono state proposte diverse piste, tra cui l'estensione del ruolo dell'AIEA nel settore del controllo al disarmo nucleare. Anche se tale opzione non è ancora realtà, la Svizzera ha già riflettuto sul ruolo che l'AIEA potrebbe svolgere nel controllo di un eventuale trattato sul divieto di produzione di materiale fissile per fini militari. Il nostro Paese intende anche avviare un progetto volto a favorire l'adozione di taluni meccanismi del sistema di controllo dell'AIEA da parte di un maggior numero di Stati. La Svizzera è infine intenzionata a rafforzare il proprio coinvolgimento nelle questioni di gestione dell'AIEA, in particolare
nelle questioni riguardanti il suo bilancio.

Altro elemento di rilievo, la nuova amministrazione americana ha comunicato di volersi impegnare per rafforzare la sicurezza nucleare e prevenire attacchi terroristici nucleari. A tal fine, nell'aprile 2010 ha organizzato un vertice a Washington al quale era invitata anche la Svizzera. Durante il vertice il nostro Paese ha insistito sulla necessità di generalizzare un alto livello di sicurezza per le materie nucleari per usi civili ma anche per quelle destinate a usi militari.

Data l'importanza di tutte le questioni che riguardano il nucleare, nei prossimi anni la Svizzera intensificherà il proprio impegno nel settore. La sua credibilità e la sua libertà di manovra dovrebbero consentirle di svolgere un ruolo più attivo.

Armi chimiche: la Svizzera è uno degli Stati contraenti della Convenzione sulle armi chimiche (Chemical Weapons Convention, CWC), alla quale hanno aderito 188 Stati.51 Gli Stati contraenti sono attualmente coinvolti nelle discussioni per la definitiva distruzione di tutti gli stock di armi chimiche, la quale secondo la Convenzione deve essere portata a termine entro la fine di aprile 2012. Gli Stati Uniti, la Russia, la Libia e l'Iraq possiedono ancora stock di armi chimiche (anche se vi è incertezza sullo stato degli stock di quest'ultimo). Nel frattempo gli Stati Uniti hanno annun51

Non sono membri della Convenzione: Israele, Myanmar (Stati firmatari), Egitto, Angola, Corea del Nord, Somalia, Siria (non hanno né firmato né ratificato la Convenzione).

1104

ciato che non potranno rispettare la scadenza e anche in Russia si è in dubbio sulla possibilità di portare a termine la distruzione definitiva per la data prevista. Gli Stati contraenti, e quindi anche la Svizzera, si trovano così confrontati a complesse questioni politiche e di diritto internazionale, poiché il mancato rispetto degli impegni assunti non deve in alcun caso indebolire la Convenzione.

Nel campo del disarmo e della non proliferazione di armi chimiche la Svizzera intende portare avanti il suo impegno di lunga data. Tra il 2003 e il 2009 ha partecipato alle attività di distruzione degli stock in Russia e in Albania, ma essendo scaduto il credito quadro approvato a tal fine dal Parlamento, non può più sostenere attivamente la distruzione degli stock residui di armi chimiche.

Una delle priorità della Svizzera è rappresentata dal potenziamento del sistema di controllo della Convenzione e della protezione contro le armi chimiche. Il nostro Paese contribuisce ad esempio alla formazione e al perfezionamento degli ispettori della «Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons» (OPCW, organizzazione incaricata di sorvegliare l'attuazione della Convenzione sulle armi chimiche) e mette a sua disposizione materiale nell'eventualità di un attacco a mezzo di armi chimiche contro uno Stato contraente. La Svizzera continuerà a impegnarsi in questo ambito con mezzi finanziari, materiali e di personale anche negli anni a venire.

A livello politico la Svizzera si impegna affinché gli ultimi ritrovati della ricerca scientifica (per es. i cosiddetti «incapacitating agents») vengano costantemente considerati nella CWC. Attualmente le cose stanno diversamente, con il conseguente pericolo che la Convenzione perda importanza. L'indebolimento della CWC comporterebbe a sua volta un indebolimento dell'architettura del disarmo e della non proliferazione, indebolimento che per la Svizzera deve essere assolutamente scongiurato. Da qui alla prossima conferenza di controllo, prevista nel 2013, intensificherà pertanto il proprio impegno in quest'ambito.

Armi biologiche: la Convenzione di messa la bando delle armi biologiche e tossiche (CIAB) è istituzionalmente meno incisiva rispetto alla Convenzione sulle armi chimiche, poiché non prevede né un'organizzazione per la sua attuazione né meccanismi per la
verifica del rispetto degli impegni assunti dagli Stati contraenti. In occasione della prossima conferenza di esame, in programma a Ginevra nel 2011, i 163 Stati contraenti potranno accordarsi sui provvedimenti da adottare per rafforzare la CIAB. La Svizzera sta cercando, insieme a un gruppo di Stati ideologicamente vicini, di formulare nuove soluzioni per rafforzare la CIAB. Una delle sue soluzioni preferite è rappresentata da misure di rafforzamento della fiducia che consentano uno scambio (comunque non vincolante sul piano del diritto internazionale) di informazioni rilevanti tra Stati contraenti.

La Svizzera si impegna per attuare nel migliore dei modi la CIAB a livello nazionale. Nel 2009, ad esempio, si è tenuta una serie di conferenze presso istituti accademici e di ricerca per sensibilizzare la comunità scientifica in Svizzera sulla questione del duplice impiego («dual-use») dei ritrovati della ricerca biotecnica. Il prossimo passo consisterà nell'istituzionalizzare tali attività, in particolare per tener fede all'obbligo, previsto dalla CIAB, di impedire la proliferazione di materiale biologico.

L'entrata in funzione del Laboratorio di sicurezza di Spiez, prevista a fine 2010, consentirà alla Svizzera di intensificare le proprie attività sul piano internazionale anche nell'ambito della biosicurezza e della cooperazione internazionale. La cooperazione in questo campo è importante per la Svizzera non solo sul piano bilaterale, 1105

ma anche nel contesto dell'architettura multilaterale del disarmo e della non proliferazione.

Disarmo e prevenzione della proliferazione delle armi convenzionali Convenzione del 1980 su talune armi classiche e armi a submunizioni: la Convenzione del 1980 su talune armi classiche (CCAC) è il tradizionale quadro dell'ONU, con base a Ginevra, all'interno del quale è stata negoziata la maggior parte delle convenzioni di diritto internazionale umanitario sulla limitazione dell'impiego o il divieto di armi classiche. L'ultimo strumento in ordine di tempo è costituito dal Protocollo V relativo ai residuati bellici esplosivi, adottato nel 2003 ed entrato in vigore nel 2006. Da allora gli Stati contraenti cercano di affrontare la questione delle armi a submunizioni ma sino ad oggi non hanno raggiunto risultati concreti benché un gruppo di esperti governativi sia stato incaricato ogni anno sin dal 2008 di negoziare un nuovo strumento su questo tipo di armi. Nonostante l'adozione della Convenzione sulle armi a submunizioni al termine del processo di Oslo, la Svizzera continua a impegnarsi nell'ambito della CCAC, poiché tale Convenzione raggruppa tutte le grandi potenze militari, ossia i maggiori produttori e utilizzatori di armi a submunizioni, i quali devono essere assoggettati a regole specifiche che limitino gli inaccettabili effetti di carattere umanitario causati dall'impiego di questo tipo di armi.

La costituzione di un'unità di appoggio a sostegno dell'applicazione della CCAC su iniziativa in particolare della Svizzera, che presiede la riunione degli Stati membri del Protocollo II modificato nel 2008, ha consentito agli Stati contraenti di conferire maggiore efficacia all'attuazione delle disposizioni della Convenzione. Questa volontà trova conferma negli incontri tra esperti, disposti annualmente dagli Stati contraenti dal 2008 in poi per l'attuazione del Protocollo II modificato e del Protocollo V. La Svizzera partecipa regolarmente agli incontri tra esperti contribuendo così all'attuazione della Convenzione, che rappresenta un elemento importante del ruolo di Ginevra come capitale delle attività di disarmo legate al diritto umanitario.

La Convenzione sulle armi a submunizioni (CMM) è stata adottata a Dublino nel 2008 da un centinaio di Stati, al termine di un processo multilaterale esulante dal
quadro istituzionale abituale ed è entrata in vigore il 1° agosto 2010. Accanto alla Convenzione sul divieto delle mine antiuomo, la CMM è uno dei maggiori successi ottenuti negli ultimi anni in materia di sviluppo del diritto internazionale umanitario e di armi convenzionali. La Svizzera ha contribuito all'adozione della CCM agevolando le discussioni sull'interoperabilità al momento dei negoziati finali e ha firmato la Convenzione nel 2008. I servizi competenti stanno preparandone la ratifica, che presuppone una modifica della legge federale del 13 dicembre 1996 sul materiale bellico (RS 514.51). Diversi aspetti hanno dovuto essere ampiamente chiariti, per consentire alla Svizzera, il cui esercito possiede depositi di armi a submunizioni per la propria artiglieria, di adempiere tutti gli impegni previsti nella CCM.

Per fare in modo che la CCM possa al più presto prendere effetto proteggendo la popolazione civile dalle devastazioni umanitarie provocate dalle armi in questione e impedendone la proliferazione, la Svizzera partecipa agli sforzi internazionali in tal senso nel quadro del proprio impegno a favore della promozione del diritto internazionale umanitario. Il nostro Paese si impegna inoltre per uno sfruttamento ottimale delle sinergie esistenti con la Convenzione sul divieto delle mine antiuomo pur nel rispetto delle differenze tra i due processi. Partecipa attivamente anche alle relative discussioni sul piano bilaterale, multilaterale e con le parti interessate, alfine di 1106

mantenere e rafforzare il ruolo di Ginevra come capitale mondiale del disarmo, compreso anche l'ambito specifico del diritto internazionale umanitario.

La Svizzera parteciperà in veste di osservatore al primo incontro tra Stati membri, previsto nel Laos nel novembre 2010.

Armi leggere e di piccolo calibro, mine antiuomo: la questione delle armi leggere e di piccolo calibro e delle mine antiuomo è trattata nel capitolo «Sicurezza umana/ promovimento della pace» del presente rapporto (cfr. n. 4.2.2).

Armi pesanti convenzionali e misure di trasparenza: nel campo delle armi pesanti convenzionali, la Svizzera sostiene le misure dell'ONU, dell'OCSE e di altre strutture appropriate, miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza e si associa a tutte le attività di controllo e per la trasparenza. A tale riguardo, la Svizzera dedica un'attenzione particolare al Registro dell'ONU sulle armi convenzionali, che costituisce il principale strumento di trasparenza sul piano mondiale e di cui intende promuovere attivamente la messa in atto.

Sul piano regionale, la Svizzera partecipa attivamente alle discussioni su un possibile aggiornamento del Documento di Vienna del 1999, con cui l'OCSE istituisce le misure più incisive sinora adottate per rafforzare la fiducia e la sicurezza. Quanto al Trattato del 1990 sulle forze convenzionali in Europa (Trattato FCE), la Svizzera deplora la situazione di paralisi che affligge questo strumento, che rimane uno dei pilastri dell'apparato di sicurezza europeo, e spera che si possa trovare una soluzione che consenta l'entrata in vigore della versione modificata del 1999 o la negoziazione di un nuovo testo. Se ciò dovesse avvenire, la Svizzera considererebbe seriamente la possibilità di aderire a tale accordo.

Vettori e militarizzazione dello spazio: negli ultimi anni sono stati concepiti, in diversi Paesi, nuovi vettori (missili balistici e di crociera, velivoli senza pilota, sistemi antibalistici) capaci di trasportare cariche convenzionali, ma anche nucleari, chimiche e biologiche. La Svizzera si adopera per frenare la disseminazione di simili sistemi; sostiene gli sforzi volti a consolidare i meccanismi internazionali esistenti, ancorché lacunosi. Il Codice di condotta dell'Aia contro la proliferazione dei missili balistici, ad esempio, principale strumento di trasparenza
sul piano globale, non è universalmente accettato, non è giuridicamente vincolante ed esclude un'intera categoria di missili (i missili di crociera).

Negli ultimi due anni, la distruzione intenzionale di satelliti in orbita a mezzo di intercettori lanciati dalla terra ha chiaramente illustrato le minacce che incombono sulla sicurezza dello spazio e confermato che gli Stati sono impegnati lavorano allo sviluppo di armi antisatellitari. Considerata l'impossibilità di circoscriverne gli effetti, qualsiasi conflitto nello spazio avrebbe un grave impatto sull'intera comunità delle Nazioni. In effetti, la creazione di detriti spaziali renderebbe inutilizzabili intere orbite, compromettendo la fornitura di servizi ormai indispensabili. La Svizzera sostiene pertanto gli sforzi compiuti a livello internazionale per instaurare fiducia e trasparenza in materia di sfruttamento dello spazio e per evitare che lo spazio divenga teatro di conflitti. Purtroppo i progressi in questo campo sono in parte ostacolati dalle paralisi che affliggono la Convenzione sul disarmo, istanza che dovrebbe occuparsi di prevenire il dislocamento di armi nello spazio.

1107

Controllo delle esportazioni Armi di distruzione di massa: la Svizzera partecipa a tutti i regimi di controllo delle esportazioni riguardanti le armi di distruzione di massa e i loro vettori, ossia al Gruppo dei fornitori nucleari («Nuclear Suppliers Group», NSG), al Gruppo d'Australia (GA) per quanto concerne i beni chimici e biologici e al Regime di controllo delle tecnologie missilistiche (MTCR). Questi diversi regimi, ognuno dei quali raggruppa una quarantina di Paesi, costituiscono meccanismi essenziali per la prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. In questi contesti, gli Stati partecipanti si impegnano per armonizzare i rispettivi controlli delle esportazioni e istituire in tal modo un controllo per quanto possibile uniforme ed efficace. Ne risulterà una certa coerenza degli sforzi di non proliferazione compiuti dagli Stati fornitori.

In seno al NSG, la Svizzera si impegna affinché le regole sull'esportazione di beni nucleari in senso proprio o di beni a duplice impiego rimangano rigorose e non discriminatorie. Contemporaneamente, si adopera affinché le condizioni di esportazione definite dal NSG non le impediscano di accedere alla tecnologia nucleare per scopi pacifici e affinché il controllo delle esportazioni non diventi un pretesto per difendere interessi commerciali. Nel Gruppo d'Australia, di cui fanno parte altri 40 Stati (perlopiù Paesi industrializzati), la Svizzera partecipa attivamente alle discussioni sulla non proliferazione di agenti e beni chimici e biologici.

La proliferazione di missili e velivoli senza pilota accresce più che mai l'importanza del meccanismo istituito dal MTCR, oggi confrontato a nuovi sviluppi quali la globalizzazione dell'economia, l'avvento di nuovi attori nel campo della balistica e la rapida evoluzione tecnologica. La Svizzera si adopera affinché questo regime mantenga la sua pertinenza e sia in grado di rispondere alle sfide odierne. In tale contesto la Svizzera ha constatato che all'interno del regime si tende a mettere sempre più l'accento sulla minaccia rappresentata da taluni Stati e movimenti terroristici, che potrebbero utilizzare velivoli senza pilota per lanciare armi di distruzione di massa. Il MTCR cerca dunque di controllare meglio questi sistemi e le loro componenti. Un compito arduo per definizione, in quanto
si tratta della stessa tecnologia applicata nell'aviazione civile. Esiste inoltre una certa riluttanza a sottoporre a un controllo delle esportazioni talune tecnologie di cruciale importanza per l'aviazione commerciale. Nuovi controlli avrebbero un impatto massiccio su determinati settori dell'industria svizzera, in particolare sulle aziende che producono componenti e sottocomponenti.

Armi convenzionali: nel 2010 la Svizzera presiede la conferenza plenaria dell'Accordo di Wassenaar. L'Accordo di Wassenaar, strumento di controllo delle esportazioni di beni d'armamento e dei beni a duplice impiego per la loro produzione, raggruppa attualmente 40 Stati. La Svizzera si impegna in questo contesto per l'armonizzazione dei controlli delle esportazioni e il rafforzamento della trasparenza tra Stati membri dell'Accordo.

La Svizzera sostiene attivamente l'iniziativa per l'elaborazione di un trattato sul commercio di armi sin da quando è stata lanciata nel 2006. Tale strumento contribuirebbe infatti a prevenire i trasferimenti di armi nei casi in cui, ad esempio, potrebbero derivarne violazioni del diritto umanitario o attacchi alla democrazia e allo Stato di diritto. La Svizzera ha così partecipato, nel 2008, a un gruppo di esperti governativi dell'ONU incaricato di meglio definire la questione. Si rallegra pertanto del fatto che in occasione della sua ultima sessione l'Assemblea generale dell'ONU 1108

abbia deciso di organizzare nel 2012 una conferenza per l'elaborazione di uno strumento giuridico vincolante concernente il trasferimento di armi convenzionali.

Dotata in materia di una legislazione particolarmente incisiva, la Svizzera si impegnerà per promuovere l'elaborazione di un trattato solido nella portata, nei parametri e nei principi su cui si regge.

4.5.3

Verso una politica più attiva in materia di controllo degli armamenti, di disarmo e di non proliferazione

La questione del disarmo e del controllo degli armamenti è contrassegnata da sfide complesse e insieme dal possibile emergere di nuove opportunità che aprono la via a progressi da tempo auspicati. Se la Svizzera si è sempre attivamente impegnata nel campo specifico del disarmo umanitario o della promozione della sicurezza umana, lo stesso non si può dire per l'insieme della questione del disarmo. Si tratta ora di correggere questa realtà e di investire maggiormente in tale ambito.

Da queste constatazioni scaturisce la necessità e l'opportunità per la Svizzera di un maggiore impegno nel campo del disarmo. Ne va anzitutto dell'interesse proprio del Paese. Progressi nel campo del disarmo rafforzerebbero in effetti la sicurezza della Svizzera e contribuirebbero a stabilizzare la regione di cui fa parte. Tali progressi contribuirebbero anche a stabilizzare il contesto globale, dalla cui prosperità la Svizzera dipende in misura crescente. La Svizzera si trova inoltre in una posizione particolarmente privilegiata per assumere un ruolo di spicco in questo settore.

Dispone di una solida esperienza in materia di buoni uffici e di iniziative diplomatiche e coltiva buoni rapporti praticamente con tutti i Paesi, grandi potenze comprese. La sua tradizione umanitaria e la sua neutralità perpetua significano non aggressione e non appartenenza ad alleanze militari. Inoltre, non possiede armi di distruzione di massa e sostiene la dottrina del ruolo difensivo delle sue forze armate.

La Svizzera intensificherà ulteriormente il proprio impegno nel campo del disarmo, della non proliferazione e del controllo degli armamenti. Come indicato dal Consiglio federale nel rapporto sulla politica estera 2009 e nel rapporto sulla politica di sicurezza 2010, tale impegno si concentrerà ancora prioritariamente sul disarmo nucleare.52 Il nostro Paese cercherà inoltre di intensificare le proprie attività per quanto riguarda le altre principali tematiche del disarmo e di contribuire a sbloccare i meccanismi di disarmo, in particolare nell'intento di rafforzare la posizione di Ginevra in questo campo. Le relative risorse finanziarie saranno attinte dal credito quadro per la prosecuzione delle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo.53

52 53

Rapporto sulla politica estera 2009, FF 2009 5463 5468.

Decreto federale del 4 marzo 2008 concernente un credito quadro per la prosecuzione delle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo; FF 2008 2169.

1109

4.6

Politica estera ambientale

La politica ambientale è tornata alla ribalta negli ultimi anni. I mutamenti climatici provocati dalle attività umane, lo scarseggiare delle risorse idriche, la progressiva desertificazione e la conseguente erosione del suolo coltivabile, il declino della biodiversità e l'aumento degli eventi meteorologici estremi hanno dirette ripercussioni sul benessere della popolazione mondiale. Le tendenze negative che si registrano sul piano ambientale hanno pesanti conseguenze a livello planetario, in particolare nei Paesi più poveri del mondo. Generano tensioni sociali e flussi migratori e hanno anche un impatto negativo sullo sviluppo economico.

La politica estera svizzera si adopera pertanto a favore di un impiego sostenibile delle risorse naturali, concentrandosi con maggior vigore sui settori in cui urgono miglioramenti sul piano globale. Attualmente tale urgenza si manifesta in particolare nei settori della biodiversità e del clima.

4.6.1

Biodiversità

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2010 Anno internazionale della biodiversità, sottolineando con ciò che la conservazione della varietà delle specie è attualmente una delle sfide maggiori, accanto a quella dei mutamenti climatici, che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare in campo ambientale.

Nel 2002 la comunità internazionale si è impegnata, nel contesto del Vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, a rallentare sensibilmente entro il 2010 il declino della biodiversità. Tale decisione rappresentava una tappa fondamentale per la protezione della biodiversità, ma sinora il declino globale della biodiversità non è stata arrestato. Sul piano internazionale mancavano spesso le risorse finanziarie necessarie.

La Svizzera si adopera attivamente per la conservazione della biodiversità. Sul piano nazionale sta elaborando un'apposita strategia, mentre a livello internazionale si impegna in prima linea nel quadro della Convenzione sulla diversità biologica. La decima riunione della Conferenza delle parti alla Convenzione si è svolta nell'ottobre 2010 a Nagoya in Giappone. In questa occasione è stato adottato un Piano strategico 2020 per proteggere gli ecosistemi e limitare la riduzione della biodiversità. Inoltre, in margine all'Assemblea generale dell'ONU del 2010, ha avuto luogo un primo incontro ad alto livello tra capi di Stato e di Governo sul tema della biodiversità, al quale ha partecipato anche la Svizzera.

Tra gli obiettivi principali della Convenzione sulla diversità biologica è compresa anche una ripartizione equilibrata ed equa dei vantaggi generati dallo sfruttamento delle risorse genetiche. La Svizzera si adopera affinché i negoziati in corso portino all'adozione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione che disciplini con chiarezza l'accesso alle risorse genetiche e il diritto di sfruttarle. La Svizzera parteciperà inoltre attivamente all'elaborazione di un piano strategico inteso a garantire l'applicazione della Convenzione nel prossimo decennio.

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4.6.2

Politica estera in materia di clima

Il Vertice delle Nazioni Unite sul clima, tenutosi a Copenaghen nel dicembre 2009, non ha soddisfatto le elevate aspettative in esso riposte dalla comunità internazionale: l'obiettivo dell'adozione di un nuovo regime globale per il clima per il periodo successivo al 2012, vale a dire dopo la scadenza del primo periodo d'impegno retto dal Protocollo di Kyoto, non è stato raggiunto per mancanza di consenso. Dopo che i negoziati si erano arenati su questioni di principio a livello di esperti, i capi di Stato e di governo hanno comunque potuto riunire un consenso minimo che si riflette nell'Accordo di Copenaghen, cui hanno aderito più di 130 Stati tra cui la Svizzera.

Gli obiettivi iscritti nell'Accordo di Copenaghen (limitare a due gradi Celsius il riscaldamento climatico medio rispetto ai livelli preindustriali, raggiungere al più presto l'apice e realizzare un'inversione di tendenza per le emissioni globali di gas a effetto serra) vanno senz'altro nella direzione auspicata, ma non sono giuridicamente vincolanti. Per raggiungere questi obiettivi è peraltro necessario accordarsi ulteriormente sulle misure necessarie e sulla ripartizione dei relativi oneri. Dal proprio punto di vista, la Svizzera ritiene estremamente importante che la politica globale del clima sia disciplinata da un accordo internazionale giuridicamente vincolante ed efficace dal profilo climatico anche per il periodo successivo al 2012. L'Accordo di Copenaghen fissa però obiettivi ambiziosi per quanto concerne il sostegno ai Paesi in sviluppo da parte dei Paesi industrializzati, i quali entro il 2012 devono approntare per tale sostegno 30 miliardi di dollari tra fondi pubblici e privati, importo che dovrà essere aumentato a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020.

Fondamenti scientifici della politica del clima Nel 2007 il Comitato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («Intergovernmental Panel on Climate Change», IPCC) ha ricevuto, insieme all'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, il premio Nobel per la pace per gli sforzi compiuti a favore della diffusione delle conoscenze sui mutamenti climatici e della definizione di misure per contrastare tali mutamenti. Nel proprio quarto rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche, pubblicato nello stesso anno, l'IPCC affermava che il fenomeno del riscaldamento
globale è un fatto dimostrato, provocato con ogni probabilità dalle attività umane. Il rapporto spiega che in assenza di una consistente riduzione delle attuali emissioni di gas a effetto serra la temperatura media globale salirà ulteriormente con conseguenze quali l'innalzamento del livello del mare, il peggioramento della desertificazione e l'aumento della frequenza degli eventi meteorologici estremi.

Nel contesto del vertice di Copenaghen alcune delle affermazioni del rapporto IPCC sono state messe in questione. Si è discusso anzitutto del progressivo scioglimento dei ghiacciai nell'Himalaya. Ma le principali affermazioni del rapporto sulle conseguenze durature dei mutamenti climatici non vengono contestate: la necessità di intervenire asserita dall'IPCC poggia su solide basi scientifiche. Tuttavia, è stato istituito un organo indipendente incaricato di studiare come si possa ulteriormente migliorare il lavoro dell'IPCC. Il rapporto di valutazione afferma che l'IPCC deve migliorare il suo modo di lavoro e che, in particolare, il suo consiglio direttivo dovrebbe rendere più trasparenti le sue valutazioni scientifiche. Nel medesimo tempo, l'organo indipendente osserva che i rapporti periodici dell'IPCC riflettono correttamente i pericoli che i mutamenti climatici comportano.

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Parallelamente, sono in corso i lavori per il prossimo rapporto dell'IPCC sullo stato delle conoscenze (il quinto), la cui pubblicazione è prevista per il 2015. La Svizzera è attivamente impegnata nell'elaborazione di questo rapporto. Il professor Thomas Stocker dell'Università di Berna copresiederà uno dei tre gruppi di lavoro dell'IPCC, incaricato di esaminare gli aspetti scientifici e tecnici del riscaldamento climatico.

Proseguire sulla via tracciata Con la decisione di aderire all'Accordo di Copenaghen, e dichiarando con questo il proprio intento di voler ridurre le emissioni nazionali di gas a effetto serra, il Consiglio federale ha rafforzato la sua politica, perseguita a livello nazionale e internazionale, per lottare contro i mutamenti climatici. La Svizzera è disposta a fare la propria parte per risolvere il problema. Paese alpino al centro del continente europeo, la Svizzera è particolarmente esposta agli effetti del riscaldamento climatico.

La Svizzera ha dunque un grande interesse a una lotta mirata e globale contro i mutamenti climatici. Nessuno Stato può risolvere il problema da solo. Occorre una risposta coordinata di tutta la comunità internazionale. Il nostro Paese si adopera pertanto affinché proseguano i negoziati internazionali nel quadro delle Nazioni Unite e della Convenzione quadro dell'ONU sul clima. La prossima tappa sarà la Conferenza degli Stati contraenti prevista a Cancun a fine 2010. In tale occasione si spera di compiere ulteriori passi verso un regime vincolante che costringa tutti i Paesi membri dell'OCSE e i grandi Paesi in sviluppo, in particolare i Paesi emergenti più avanzati, a limitare e ridurre secondo le proprie possibilità le proprie emissioni di gas a effetto serra. La Svizzera è favorevole a discutere delle questioni climatiche anche in altri organismi, quali l'OCSE o il G20, nella speranza che i progressi raggiunti in questi consessi confluiscano poi nei negoziati della Convenzione dell'ONU sui cambiamenti climatici. L'obiettivo rimane quello di una soluzione globale fondata su un trattato di diritto internazionale.

La politica internazionale della Svizzera in materia di clima è coordinata dall'Ufficio federale dell'ambiente (UFAM) in stretta collaborazione con tutti gli Uffici federali interessati. L'UFAM presiede il Comitato interdipartimentale Clima
(CI Clima). La posizione della Svizzera sui vari argomenti di discussione nel contesto della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è elaborata dal gruppo di lavoro del CI Clima che si occupa degli aspetti internazionali.

Data l'importanza di questo processo per la politica estera della Svizzera, questo gruppo è copresieduto dal DFAE (Direzione politica V).

La Svizzera è attiva anche al di fuori delle piattaforme multilaterali. La DSC ha inserito la questione dei mutamenti climatici nel novero dei suoi programmi globali e su queste basi realizza in vari Paesi progetti specifici per il clima; in alcuni Paesi, per esempio l'India, la questione climatica è addirittura il tema principale della cooperazione bilaterale allo sviluppo (cfr. n. 4.4). Anche la SECO intensifica, nell'ambito della cooperazione economica e allo sviluppo, il proprio impegno di lunga data a favore della protezione del clima, concentrandosi sulla promozione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili e sul trasferimento di tecnologie. Altri temi prioritari sono rappresentati dalla gestione sostenibile delle foreste tropicali e dalla partecipazione alla definizione dei programmi di protezione del clima promossi dalle banche di sviluppo. Da dicembre 2009 la Svizzera è inoltre membro dell'Alleanza globale nel settore della ricerca per la riduzione dei gas a effetto serra provenienti dall'agricoltura («Global Research Alliance on Agricultural 1112

Greenhouse Gases»). L'Alleanza si propone di rafforzare la cooperazione e la collaborazione internazionale tra ricerca pubblica e privata per contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e incrementare l'assorbimento di anidride carbonica nell'agricoltura. La Svizzera è rappresentata nell'Alleanza dall'UFAG e dal Politecnico federale di Zurigo.

Sfide e prospettive La lotta ai cambiamenti climatici e l'adeguamento alle sue ormai inevitabili conseguenze rappresentano una sfida colossale per la comunità internazionale che esige una risposta globale. Il vertice di Copenaghen sul clima ha mostrato quanto sia difficile combinare le complesse questioni che si pongono nei diversi ambiti della politica ed elaborare soluzioni accettate dall'intera comunità internazionale. Nonostante l'urgente necessità di agire e date le diverse aspettative riposte in un futuro regime climatico globale, è estremamente difficile trovare rapidamente un consenso.

Le prospettive di successo dei negoziati internazionali sul clima dipendono anche dalla capacità della comunità internazionale di ripristinare un clima di fiducia nella multilateralità, e con esso anche la base per un'azione globale congiunta nel settore del clima.

L'obiettivo della Svizzera era e rimane quello di contribuire in modo costruttivo alla formulazione di un nuovo regime globale per il clima. Il nostro Paese persegue questo obiettivo anche nel proprio interesse. L'orizzonte temporale dell'azione rimane un fattore di grande importanza: più si indugia nell'adottare le necessarie misure, più difficile sarà fermare il riscaldamento climatico globale entro limiti sopportabili e quindi contenere per quanto possibile i costi conseguenti delle ripercussioni sociali sull'insieme della collettività. La Svizzera è toccata direttamente dai mutamenti climatici. Come membro della comunità mondiale e come economia altamente integrata, ha ogni interesse a contribuire a tutti i livello alla soluzione del problema.

4.7

Politica estera in materia energetica

Tendenze e sviluppi Il contesto globale della politica energetica, che funge da cornice alla politica estera svizzera in materia energetica, è stato contrassegnato negli ultimi anni da un grande dinamismo e da cambiamenti sostanziali. I motori di tale sviluppo, in parte tra loro interdipendenti, hanno carattere economico ma anche geopolitico e ambientale. Le conseguenze sono molteplici: maggiore volatilità dei prezzi del greggio e della maggior parte degli altri vettori energetici, trasferimento della crescita della domanda nei Paesi emergenti (in particolare in Cina e in India) e quindi intensificazione della concorrenza internazionale per le risorse energetiche, problema della sicurezza dell'approvvigionamento per i consumatori di energia e di stabilità della domanda per i produttori di energia, disaccordo tra produttori e consumatori di energia sulla struttura e sul finanziamento di un sistema energetico globale affidabile, enorme fabbisogno di investimenti nel settore dell'infrastruttura, forte richiesta di innovazione nel campo delle nuove tecnologie di produzione energetica, ricostituzione o riorientamento delle istituzioni internazionali. In tale contesto si pone sempre più insistentemente la questione della «governance energetica» mondiale, orga-

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nismo regolatore a livello globale nel settore energetico. Ma, perlomeno a medio termine, non si può sperare in una risposta soddisfacente a tale questione.

Sul piano europeo in particolare, si constata che la creazione del mercato interno dell'energia ha accresciuto l'importanza dell'Unione europea come attore della politica energetica.

Strategia della Svizzera Dal quadro appena descritto il Consiglio federale ha dedotto, nella propria strategia del febbraio 2008, i principali obiettivi della politica estera in materia energetica: sicurezza dell'approvvigionamento, economicità ed ecocompatibilità. Il Consiglio federale intende in tal modo impostare una politica estera dell'energia decisa e impegnata, che consenta alla Svizzera di partecipare, seguendo gli indirizzi da essa tracciati, alle decisioni adottate sul piano internazionale nel settore energetico.

L'azione che garantirà l'attuazione mirata di tale strategia prevede quanto segue.

Negoziati con l'UE: negli ultimi anni l'UE ha creato un mercato interno dell'energia. A causa delle interdipendenze fisiche ed economiche dei mercati energetici, la Svizzera è toccata direttamente dagli sviluppi che investono il settore energetico in Europa. Sussiste pertanto un reciproco interesse a uno stretto coordinamento delle politiche energetiche svizzera ed europea. Ma il ruolo più attivo dell'UE tende attualmente ad affievolire la voce in capitolo della Svizzera nella politica energetica in Europa, in particolare negli organismi rilevanti nel settore energetico subordinati all'UE54.

I negoziati in corso dal 2007 tra la Svizzera e l'UE nel settore energetico si svolgono in un contesto altamente dinamico: anzitutto, dall'inizio delle trattative l'UE ha sviluppato l'acquis comunitario in due importanti settori e intende proseguire i negoziati sulla base della nuova situazione giuridica;55 dall'altro, la politica integrata dell'UE nel settore dell'energia e del clima rende difficoltoso circoscrivere l'ambito negoziale al settore energetico. Nel settembre 2010 il Consiglio federale ha quindi adeguato il mandato negoziale della Svizzera alla nuova situazione. Ne ha approfittato per estendere, nel contempo, il punto focale riguardante la portata dell'accordo perseguito, che non dovrà essere limitato unicamente al settore dell'elettricità ma comprendere
l'intero settore energetico. Vista l'evoluzione dinamica del settore energetico nell'UE e alfine di integrare la Svizzera in modo ottimale nella futura architettura dell'Europa dell'energia occorre perseguire un accordo autonomo ed estensibile sull'energia che sarà ampliato in seguito ad altri ambiti nel quadro di nuovi negoziati. Tali nuovi ambiti saranno in particolare l'efficienza energetica (ad es. armonizzazione delle prescrizioni di consumo per gli apparecchi elettrici), la partecipazione della Svizzera al piano strategico per le tecnologie energetiche (piano SET) e alle misure relative alle infrastrutture energetiche dell'UE e l'integrazione della Svizzera nei meccanismi dell'UE per la risoluzione delle crisi in materia di approvvigionamento di gas.

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55

Si tratta ad esempio della «Agency for the Cooperation of Energy Regulators» (ACER), neocostituita agenzia europea dei regolatori dell'energia nazionali, e dello «European Network of Transmission System Operators ­ Electricity» (ENTSO-E), Rete europea dei gestori di rete.

Terzo pacchetto sul mercato interno dell'energia e nuova direttiva sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (Direttiva RES).

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L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona conferisce all'UE competenze più ampie in materia di politica energetica56. Il Trattato comprende per la prima volta un capitolo consacrato alla politica energetica comune. Gli ambiziosi obiettivi «20-20-20»57 sottolineano inoltre il ruolo centrale assunto dall'UE in virtù della propria attività legiferatrice nel settore energetico. Tutto questo ha un impatto anche sulla Svizzera.

La Svizzera si immagina ad esempio come fornitore di energia di punta impiegabile a breve nel mercato interno europeo dell'elettricità, nel quale la quota di energia eolica e solare, incostantemente disponibile, è destinata ad aumentare.

La garanzia dell'approvvigionamento costituisce a medio termine una delle sfide principali per l'UE. Di conseguenza, l'Unione adotta ad esempio misure volte a meglio garantire la fornitura di gas, viste anche le ripetute crisi nell'approvvigionamento di gas verificatesi negli anni scorsi. Oltre a voler diversificare i propri fornitori di gas e i canali di approvvigionamento, la Svizzera desidera anche essere coinvolta nella nascente gestione europea delle crisi dell'approvvigionamento. In tale contesto assume grande rilievo in particolare una possibile collaborazione con il «Gas Coordination Group», costituito appositamente dall'UE per le situazioni di crisi.

Con orizzonte il 2050, l'UE si propone idealmente di riuscire a ridurre anche dell'80 per cento le proprie emissioni di gas a effetto serra. La Svizzera prende parte al Settimo programma quadro di ricerca sull'energia nell'ambito dell'accordo bilaterale di cooperazione scientifica, e partecipa in veste di osservatrice allo «Strategic Energy Technology Plan». Si tratta di strumenti di controllo di centrale importanza per lo sviluppo di tecnologie a basso tasso di emissione di CO2 e di nuove infrastrutture di rete, «Smart Grids» comprese58, che dovrebbero contribuire alla realizzazione dell'obiettivo ideale. Per la Svizzera è essenziale poter essere coinvolta in avvenire non solo nella ricerca, ma anche negli investimenti nelle reti a livello europeo. Per tutte queste ragioni, è importante che la Svizzera orienti maggiormente la propria politica estera in materia di energia a quella dell'UE in quanto attore fondamentale della politica energetica.

Collaborazione con le organizzazioni
internazionali: in un mondo sempre più globalizzato, la collaborazione in seno a organizzazioni internazionali di rilievo nel settore energetico assume un'importanza crescente. Per la Svizzera è interessante che la politica energetica globale sia forgiata negli organismi multilaterali nei quali ha voce in capitolo come membro. Grazie a tali istituzioni, la Svizzera può farsi sentire e contribuire nelle questioni energetiche geopoliticamente rilevanti.

Il nostro Paese si adopera in particolare per rafforzare l'importanza e il potere dell'Agenzia internazionale per l'energia di Parigi (AIE), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica di Vienna (AIEA) e della Carta dell'energia di Bruxelles 56

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58

Gli Stati membri mantengono comunque il controllo sullo sfruttamento delle risorse energetiche nazionali, il diritto di scegliere tra fonti energetiche e di decidere la struttura dell'approvvigionamento energetico nazionale. Conservano anche il diritto di adottare misure nazionali per garantire l'approvvigionamento energetico.

Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20 % (rispetto al 1990), incremento dell'efficienza energetica del 20 % e della quota di vettori energetici da fonti rinnovabili sulla produzione energetica al 20 % entro il 2020.

Reti di distribuzione dette «intelligenti» che tengono conto delle esigenze poste dall'apertura dei mercati e dalla decentralizzazione delle strutture di produzione dell'energia, dalla volatilità delle energie da fonti rinnovabili e dall'elettromobilità e nel contempo garantiscono massima economicità, sicurezza dell'approvvigionamento ed ecocompatibilità.

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in quanto istituzioni multilaterali di centrale importanza nel settore energetico.

L'adesione all'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili («International Renewable Energy Agency», IRENA) di Abu Dhabi, approvata con la decisione del Consiglio federale del 13 maggio 2009 di firmare lo statuto, corrisponde anch'essa all'orientamento strategico della politica estera della Svizzera in materia energetica.

L'organizzazione contribuirà alla promozione delle energie rinnovabili sul piano internazionale, specialmente nei Paesi in sviluppo, e a lungo termine potrà indurre un miglioramento della sicurezza dell'approvvigionamento energetico in Svizzera.

La ratifica dell'adesione della Svizzera è attesa dal Parlamento nel 2010.

La Svizzera sta vagliando inoltre l'adesione al Forum internazionale dell'energia («International Energy Forum», IEF), l'unico vertice mondiale che riunisce i ministri dell'energia. I temi oggetto delle discussioni sono la sicurezza alimentare, la sostenibilità e la penuria energetica. Altre attività permanenti dell'IEF riguardano il miglioramento della trasparenza sui dati relativi ai mercati petroliferi e possibili misure per il contenimento della volatilità dei prezzi del greggio. La Svizzera partecipa regolarmente ai vertici ministeriali dell'IEF sin dal 2002.

Rapporti bilaterali con i Paesi limitrofi e con una selezione di Stati partner: la Svizzera coltiva contatti regolari a livello di Consiglio federale o di direzioni con tutti gli Stati limitrofi. L'ampia gamma degli argomenti di discussione e dei settori di collaborazione spazia dall'elettricità al gas, dai trasporti al commercio, dalla promozione delle energie rinnovabili alle questioni di efficienza energetica e di collaborazione nel settore della ricerca. I rapporti con gli Stati membri dell'UE sono articolati in modo da sostenere gli sforzi della Svizzera per la salvaguardia dei propri interessi nei confronti dell'UE nel settore della politica energetica. In tale contesto occorre tener conto del peso di ciascun Paese nel consesso degli Stati dell'UE e del grado di convergenza tra i suoi interessi e quelli della Svizzera. La qualità dei rapporti bilaterali con gli Stati dell'UE si dimostra particolarmente importante quando l'attuazione della politica energetica dell'UE tocca gli interessi della Svizzera.
La sicurezza dell'approvvigionamento può essere migliorata facendo capo a vettori energetici fossili, diversificando per quanto possibile le fonti di energia e le vie di trasporto. Pertanto, la Svizzera intende concludere e approfondire partenariati nel settore energetico con una rosa di altri Stati che trasportano o fanno transitare vettori energetici fossili o che si impegnano a favore delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica e della ricerca nel campo delle energie. Per la Svizzera risultano particolarmente interessanti l'Azerbaigian, la Turchia, la Norvegia, gli Emirati Arabi Uniti, la Russia e l'Algeria.

Con la Norvegia, membro dell'AELS, la Svizzera coltiva un dialogo sull'energia che le consente di approfittare dell'esperienza acquisita dalla Norvegia con l'estesa integrazione dell'acquis comunitario nel settore energetico. La Svizzera ha sottoscritto negli ultimi anni memorandum d'intesa con l'Azerbaigian (nel 2007), con gli Emirati Arabi Uniti e con la Turchia (entrambi nel 2009) vertenti su un rafforzamento della collaborazione nel settore energetico. Per la Svizzera riveste una grande importanza il raccordo al cosiddetto «corridoio sud» («South stream») del metano, che comprende il gasdotto non ancora operativo ­ e con collegamento alla pipeline ­ proveniente dalla regione del Mar Caspio, dall'Asia centrale e dal Medio Oriente e diretto in Europa. Attualmente è in atto una vera e propria corsa per allacciarsi a questo corridoio.

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Tuttavia, presumibilmente soltanto una parte dei progetti di pipeline in competizione potrà essere realizzata, e questo per due ragioni: 1.

i quantitativi di metano che quest'area geografica è in grado di fornire all'Europa sono limitati a causa del mancato investimento nell'infrastruttura di produzione e di trasporto e della crescente domanda proveniente dalla Cina e dall'India;

2.

la capacità cumulata delle pipeline progettate supererebbe la domanda dell'Europa di metano in pipeline. A medio termine tale domanda potrebbe registrare una stagnazione, poiché la tecnologia per il trasporto di metano liquefatto («Liquefied Natural Gas», LNG) via nave compie rapidi progressi e inoltre il metano impiegato nella produzione di elettricità e di calore è sostituito in misura crescente da tecnologie pulite.

Uno di questi progetti è rappresentato dalla «Trans Adriatic Pipeline» (TAP), la cui costruzione e gestione è progettata dalla ditta svizzera EGL in collaborazione con la norvegese Statoil e la tedesca E.ON Ruhrgas. La Svizzera sostiene ufficialmente nell'ambito della propria politica estera in materia energetica il progetto TAP poiché potrebbe notevolmente contribuire a diversificare e garantire l'approvvigionamento di gas nel nostro Paese.

A partire dal 2015 la TAP dovrebbe trasportare metano dall'area del Mar Caspio in Italia, e in seguito eventualmente anche in Svizzera, passando per la Turchia, la Grecia e l'Albania. La pipeline partirebbe nei pressi della città greca di Salonicco.

Essendo previsto il transito attraverso la Turchia, e quindi l'utilizzazione dei gasdotti turchi esistenti (le trattative per il transito con il gestore della rete di gasdotti turchi BOTAS sono attualmente in corso), la lunghezza complessiva della TAP sarebbe di soli 520 chilometri. La brevità del tragitto rappresenta un vantaggio in confronto agli altri progetti in lizza, notevolmente più lunghi, in quanto le spese di costruzione e di manutenzione sarebbero più contenute. Inoltre, il tracciato previsto per l'attraversamento dell'Adriatico dall'Albania all'Italia rappresenta la linea ideale da diversi punti di vista (lunghezza, geologia). Anche la capacità del gasdotto, inizialmente di 10 miliardi di metri cubi l'anno (potenziabile a 20 miliardi di metri cubi l'anno), è verosimilmente più vicina alla realtà del mercato rispetto alle dimensioni di gran lunga superiori dei progetti concorrenti. Perciò la TAP è considerata globalmente come il progetto più solido, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista economico.

Nel 2008 la responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri ha presenziato a Teheran alla firma del contratto di fornitura di metano tra l'EGL e la società iraniana NIGEC. Anche se il contratto di fornitura non rientra né nel precedente né nel nuovo regime di sanzioni adottato dal Consiglio di sicurezza dell'ONU nei confronti dell'Iran il 9 giugno 2010 (risoluzione 1929), le sanzioni adottate unilateralmente da diversi Stati potrebbero ostacolare in avvenire il suo adempimento.

Cooperazione allo sviluppo: in futuro, anche la cooperazione svizzera allo sviluppo dovrà tenere maggiormente
conto delle questioni energetiche. Essa intende adoperarsi, nell'ambito dei programmi multilaterali delle banche di sviluppo e dei progetti bilaterali, affinché i Paesi emergenti e in sviluppo utilizzino più efficacemente l'energia, si avvalgano maggiormente di energie rinnovabili e sostituiscano gli impianti di produzione energetica dannosi per il clima con impianti rispettosi dell'ambiente. La Svizzera partecipa ad esempio al Fondo per il clima gestito dalla

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Banca mondiale fornendo un contributo al Programma per la promozione delle energie rinnovabili nei Paesi in sviluppo più poveri.

Prospettive La crescente domanda di energia (e in particolare di elettricità), la forte dipendenza dalle importazioni di energia a fronte di un inasprimento della concorrenza internazionale sulle risorse e i mutamenti climatici imputabili alle emissioni sono le sfide fondamentali alle quali si troverà confrontata la Svizzera nei prossimi anni nel settore energetico. Parallelamente si constata una ridistribuzione dell'influenza esercitata dai vari partner in materia di energia, che rende necessari non solo una maggiore concentrazione sull'UE, ma anche un maggiore impegno della Svizzera nei più importanti organismi multilaterali della politica energetica. I rapporti bilaterali in materia di politica energetica con i Paesi limitrofi e una rosa di Stati terzi continueranno tuttavia a rivestire un ruolo di primo piano nella diplomazia svizzera in campo energetico. Per esercitare il proprio influsso e perseguire adeguatamente i propri interessi, la Svizzera dovrà confrontarsi con un gran numero di attori tanto sul piano bilaterale quanto sul piano multilaterale. Contemporaneamente la Svizzera intende fornire il proprio contributo alla ricerca di una soluzione soddisfacente per una corretta governance energetica globale.

4.8

Politica estera in materia sanitaria

Sfide globali Negli ultimi dieci anni il tema della salute ha assunto una maggiore importanza nelle attività delle istanze internazionali. Il suo ruolo, in particolare in relazione allo sviluppo, alla stabilità e al benessere di un Paese, è oggi universalmente riconosciuto e il fattore sanitario assume sempre più valenza di bene pubblico. La questione sanitaria entra dunque a far parte integrante della politica estera degli Stati e sotto questo aspetto la Svizzera assume un ruolo pionieristico. Diverse iniziative sono state intraprese per dare più ampio spazio alla questione della salute nei consessi internazionali. Il tema della salute mondiale è stato ad esempio trattato in seno a taluni organismi dell'ONU, quali l'ECOSOC, il Consiglio dei diritti dell'uomo o l'Assemblea generale. In seno a quest'ultima, la questione della salute mondiale figura in modo permanente nell'ordine del giorno e a fine 2009 il Segretario generale dell'ONU ha presentato un rapporto su questo tema.

La globalizzazione e la crescente interdipendenza stanno mutando il modo di abbordare le questioni sanitarie e impongono di rafforzare la cooperazione internazionale per far fronte a sfide come l'AIDS, l'epidemia di SARS o, in tempi più recenti, la pandemia di influenza provocata dal virus H1N1. Le questioni sanitarie non sono pertanto più affrontate unicamente sotto il profilo tecnico e all'interno dei confini nazionali; il loro esame e la ricerca di soluzioni richiedono sempre più un approccio interdisciplinare e internazionale e la creazione di nuove reti come la Dichiarazione di Oslo. Firmata da sette Paesi di tutti i continenti59, la Dichiarazione ha la peculiarità di raggruppare in una «bridge building coalition» i Ministeri degli affari esteri di Paesi con interessi molto diversi, allo scopo di attribuire alla questione sanitaria un posto privilegiato nell'agenda internazionale.

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Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia.

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La salute occupa uno spazio sempre più importante anche in seno alla politica dello sviluppo. Il contesto sanitario internazionale è caratterizzato dalla presenza di una moltitudine di attori che difendono un ventaglio di interessi molto diversi. Oltre all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sono sorti anche molti organismi statali, privati o misti che grazie alle loro risorse finanziarie in alcuni casi molto ingenti hanno ben presto assunto grande rilievo sulla scena internazionale (Fondazione Bill e Melinda Gates, Fondo mondiale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria, «U.S. President's Emergency Plan for Aids Relief», «U.S. President's Malaria Initiative» ecc.). L'architettura globale nel settore della sanità ha assunto una maggior complessità e la governance a livello mondiale è diventata un compito più arduo.

Di fronte a una tale complessità di strutture e attori, già nel 2006 la Svizzera ha formulato alcune linee direttrici per la politica estera in materia sanitaria e in tale quadro il DFI e il DFAE hanno stipulato un Accordo sugli obiettivi per coordinare gli sforzi dei vari attori nazionali e conferire maggior coerenza all'azione della Svizzera sulla scena internazionale. Si tratta nel caso specifico di coordinare le politiche sanitarie nazionale e internazionale, di migliorare l'efficienza della cooperazione internazionale in ambito sanitario e di rafforzare il ruolo del nostro Paese come Stato d'accoglienza e sede di organizzazioni e imprese chiave nel settore della sanità. L'Accordo sugli obiettivi concluso tra DFI e DFAE, unico nel suo genere, ha suscitato interesse all'estero e in particolare all'ONU, la quale lo cita come esempio pionieristico in uno dei rapporti del proprio Segretario generale60. L'Accordo sarà aggiornato nel 2012.

Attività degli organismi multilaterali nel settore sanitario Organizzazione mondiale della sanità (OMS): la Svizzera partecipa attivamente ai lavori dell'OMS, che considera come l'agenzia chiave e la piattaforma internazionale più importante per le questioni sanitarie. Gli effetti della riforma dell'ONU («One-UN») sull'OMS e la questione del ruolo dell'Organizzazione sul lungo periodo in relazione alla molteplicità degli attori nel settore sanitario rappresenteranno dunque aspetti cruciali per la Svizzera. Il nostro Paese partecipa
anche al dibattito sulla governance mondiale della salute, in particolare organizzando incontri tra gli attori chiave del settore; è inoltre candidato a entrare nel Consiglio esecutivo dell'OMS per il periodo 2011­2013 e se dovesse essere eletto intende impegnarsi attivamente su questo tema.

I lavori dell'OMS sono stati caratterizzati nel 2009 dal tema della pandemia di influenza causata dal virus H1N1. La Svizzera ha partecipato agli sforzi di solidarietà compiuti dalla comunità internazionale versando all'OMS un contributo di 5 milioni di franchi a beneficio del piano mondiale di lotta alla pandemia. Ha inoltre aderito all'iniziativa promossa dal presidente americano Obama per la donazione di vaccino ai Paesi in sviluppo e in tale ambito ha fatto dono all'OMS di un decimo delle proprie ordinazioni di vaccino. La pandemia ha conferito un nuovo rilievo anche ai negoziati condotti in seno all'OMS per lo scambio dei ceppi di virus influenzali e l'accesso ai vaccini. In tale contesto la Svizzera opera con costante impegno a favore di un sistema internazionale trasparente in grado, sotto la guida

60

«Global health and foreign policy: strategic opportunities and challenges», Note by the Secretary General, doc. ONU A/64/365, settembre 2009.

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dell'OMS, di affrontare con maggiore prontezza ed efficacia le pandemie di influenza.

Di fronte alla scarsità mondiale di personale sanitario, stimata attualmente a oltre quattro milioni di persone, gli Stati membri dell'OMS hanno adottato nel maggio 2010 un codice mondiale per il reclutamento internazionale di professionisti della salute. Questo codice non vincolante incita gli Stati a promuovere principi etici per il reclutamento internazionale alfine di rafforzare i sistemi sanitari dei Paesi in sviluppo. Raccomanda in particolare agli Stati di non reclutare nei Paesi più sfavoriti in materia di personale sanitario, di migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario migrante, di ricorrere il più possibile alle risorse umane nazionali e di migliorare la rilevazione dei dati. Nell'ambito della sua politica estera in materia sanitaria la Svizzera nel 2008 ha incaricato un gruppo di lavoro interdipartimentale sotto l'egida dell'UFSP di preparare l'attuazione di questo codice. Entro il 2012 dovrà essere presentato all'OMS un rapporto sulla situazione della Svizzera.

Lotta contro l'AIDS, la malaria e la tubercolosi: nel campo della lotta contro l'AIDS, la malaria e la tubercolosi la Svizzera sostiene sul piano multilaterale il Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria e il Programma comune delle Nazioni Unite sull'HIV/AIDS (UNAIDS). Grazie ai programmi condotti da queste istituzioni, a fine 2009 2,5 milioni di esseri umani avevano potuto accedere ai farmaci contro l'AIDS. Questo risultato ha consentito negli ultimi cinque anni di evitare 4 milioni di potenziali decessi per AIDS, malaria e tubercolosi.

Nell'ambito dei programmi di controllo della malaria, sono state distribuite complessivamente 104 milioni di zanzariere impregnate e somministrati 108 milioni di cicli di trattamento. Per mezzo di aiuti budgetari, la Svizzera sostiene inoltre, ad esempio, i programmi nazionali condotti in Tanzania e nel Mozambico per la lotta contro le malattie trasmissibili. L'integrazione sistematica di questi programmi nei sistemi sanitari dei Paesi interessati contribuisce alla diminuzione dei tassi di prevalenza dell'AIDS e a migliorare l'efficacia del trattamento dei tubercolotici.

Attività sul piano bilaterale Cooperazione allo sviluppo: soprattutto nell'Africa subsahariana,
devono essere compiuti grandi sforzi e investite ingenti risorse per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio nel settore sanitario. Ciò vale in particolar modo per quanto riguarda la riduzione della mortalità materna. La Svizzera ha pertanto potenziato le sinergie tra cooperazione allo sviluppo multilaterale e bilaterale. Attualmente è attiva nell'ambito di programmi sanitari in otto Paesi dell'Africa, dell'Europa orientale e dell'Asia centrale. Le sue attività spaziano dall'organizzazione di un sistema sanitario di base e dal sostegno dell'intero settore sanitario in Paesi come il Kirghizistan, la Tanzania e il Mozambico sino all'esercizio della propria influenza sulla definizione delle priorità della politica sanitaria a livello nazionale e internazionale.

Nei Paesi ai quali la Svizzera fornisce un sostegno globale in favore del bilancio nel settore sanitario si constata un sensibile miglioramento degli indicatori della salute: in Tanzania, ad esempio, negli otto anni durante i quali la Svizzera ha condotto il suo programma di aiuto la mortalità dei bambini di età inferiore ai cinque anni ha registrato una netta diminuzione, pari al 26 per cento.

La Svizzera concentrerà anche in avvenire il proprio impegno per migliorare le condizioni sanitarie in funzione dei bisogni nei propri Paesi partner e, in coordinamento con altri donatori, per potenziare i loro sistemi sanitari in modo decentrato e lottare contro le malattie trasmissibili legate alla povertà. L'attività della Svizzera 1120

sarà inoltre incentrata anche su temi quali l'accesso più equo ai servizi sanitari e, nell'ambito delle malattie trasmissibili, sul rafforzamento della collaborazione con il settore privato.

Negoziati con l'Unione europea: nell'autunno 2008 Svizzera e Unione europea (UE) hanno avviato negoziati per un accordo sulla salute, che riguarderà in particolare la lotta contro le malattie trasmissibili, la sicurezza alimentare e la sicurezza dei prodotti. I negoziati comprendono anche la partecipazione a due organismi europei (Centro europeo di prevenzione e di controllo delle malattie e Autorità europea per la sicurezza alimentare), l'integrazione in tre sistemi di preallarme e allarme rapido e la partecipazione al Programma sulla salute dell'UE. La partecipazione a questi organismi e programmi consentirà alla Svizzera di offrire alla propria popolazione una protezione complementare in ambito sanitario.

Accordo con la Francia sulle pandemie: Svizzera e Francia hanno concluso un accordo sullo scambio di informazioni sulle pandemie di influenza e i rischi sanitari («Accord sur l'échange d'information en matière de pandémie de grippe et de risques sanitaires») che prevede il coordinamento delle misure in materia di pandemie adottate nei due Paesi. L'accordo stabilisce inoltre che in caso di pandemia la Francia non richiamerebbe il personale di nazionalità francese occupato negli ospedali svizzeri.

La Ginevra internazionale e la salute mondiale Il rafforzamento del ruolo di Ginevra quale centro internazionale di competenze per le questioni globali legate alla salute è e rimane una delle priorità della Svizzera.

Oltre al suo ruolo di Stato sede dell'OMS, la Ginevra internazionale ha un notevole interesse ad adeguarsi alle nuove realtà derivanti dal moltiplicarsi degli attori nel settore sanitario. Vari progetti vengono realizzati per rafforzare il ruolo della città come capitale internazionale della salute. Il progetto «Campus Santé», ad esempio, è destinato a migliorare le sinergie in termini di competenze e di spazi fra l'OMS, UNAIDS e il Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria (GFATM). Recentemente la Svizzera ha concluso un accordo di sede anche con l'Alleanza mondiale per i vaccini e la vaccinazione. L'Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo (IHEID), con il
suo settore specializzato nella sanità, organizza numerose manifestazioni su questo tema e contribuisce così, in ambito accademico, a consolidare la reputazione di Ginevra come centro di competenze in materia sanitaria.

Prospettive La questione della salute, con tutti i suoi molteplici aspetti, rappresenta un compito non da poco per i governi. Per affrontare le sfide che si pongono (salute di madri e bambini, AIDS, tubercolosi, malaria, pandemie ecc.) sarà necessario un grande dispiego di mezzi, sia sul piano politico sia sul piano finanziario. Per agire con efficacia gli attori coinvolti devono necessariamente coordinare i loro sforzi e impegnarsi affinché il loro operare sia politicamente più coerente, sia per quanto riguarda gli aspetti tematici sia a livello generale, regionale e mondiale. Affinché si avanzi in tale direzione, la Svizzera intende contribuire al consolidamento dell'architettura istituzionale mondiale della salute e al miglioramento degli strumenti di governance.

1121

4.9

Politica estera nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione

Formazione, ricerca e innovazione sono fattori determinanti sia per uno sviluppo economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile, sia per la soluzione dei problemi globali. Le tendenze scientifiche a livello globale sono fortemente caratterizzate dall'interdipendenza, dalla cooperazione e dalla concorrenza. In tale contesto di ricerca dell'eccellenza la Svizzera occupa una buona posizione, ma deve continuamente adoperarsi per sviluppare e consolidare la posizione acquisita. La collaborazione internazionale nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione riveste un'importanza capitale per la competitività del nostro Paese e per la capacità innovativa della nostra società.

In vista dell'adozione dei messaggi sul promovimento della formazione, della ricerca e dell'innovazione, il 30 giugno 2010 il Consiglio federale ha adottato il rapporto in cui stabilisce la propria strategia internazionale nel settore educazione, ricerca e innovazione (ERI). Nei prossimi anni la Svizzera intende affermarsi come polo ERI globalmente privilegiato e valorizzare la propria eccellenza per integrarsi nel panorama ERI mondiale. In questo modo potrà difendere la propria posizione tra i Paesi più innovativi al mondo.

Il documento del Consiglio federale del 30 giugno 2010 sottolinea che la strategia internazionale attuata sinora ha dato risultati eccellenti e dev'essere proseguita: ­

la Svizzera oggi è tra i Paesi più innovativi al mondo. Da due anni, inoltre, occupa il primo posto della classifica europea dell'innovazione;

­

nel confronto internazionale ottiene ottimi risultati nel settore della ricerca, come attestano gli indici di citazione o i tassi di successo dei ricercatori delle scuole universitarie svizzere nell'ambito dei programmi europei;

­

oltre la metà dei giovani universitari studiano in Svizzera in un istituto classificato fra i 200 migliori al mondo (contro il 20 % negli Stati Uniti, ad es.);

­

grazie in particolare al sistema di formazione professionale duale e alla rete di scuole universitarie professionali il tasso di disoccupazione dei giovani svizzeri è fra i più bassi al mondo.

Il Consiglio federale stabilisce tre priorità e corrispondenti obiettivi per lo sviluppo della cooperazione internazionale nel settore ERI: la prima è rafforzare ed estendere la rete delle collaborazioni internazionali, la seconda sostenere l'esportazione del sapere e l'importazione di talenti per consolidare il polo scientifico svizzero e la terza promuovere il riconoscimento internazionale delle nostre istituzioni nel settore.

Il rapporto precisa inoltre i criteri di selezione dei Paesi prioritari con i quali cooperare per realizzare gli obiettivi stabiliti. Ricerca e innovazione forniscono inoltre un sostanziale contributo alla soluzione dei problemi globali.

Il DFAE aspira a una politica estera più completa nel settore ERI, che inglobi tutte le attività della Confederazione nel settore e in particolare anche il promovimento della formazione e della ricerca nell'ambito della cooperazione allo sviluppo. Per questa ragione è favorevole all'elaborazione, a livello interdipartimentale, di un accordo sugli obiettivi di politica estera nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione.

1122

Collaborazione con l'Unione europea Dagli anni Ottanta a questa parte la Svizzera ha certo intensificato il proprio impegno sul piano internazionale nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione, ma sono stati sviluppati soprattutto i rapporti con l'Unione europea. La principale svolta nell'ambito della formazione accademica superiore, ad esempio, è rappresentata dall'accordo quadro bilaterale concluso nel 1986 con le Comunità europee, grazie al quale il settore scientifico svizzero ha potuto scongiurare il rischio di rimanere isolato: pur non essendo ufficialmente membro dei vari programmi, la Svizzera vi partecipa dal 2004 e grazie a una continua attività negoziale è riuscita a integrarsi nella rete europea, che attualmente è il partner principale, accanto agli Stati Uniti, dei ricercatori e delle istituzioni scientifiche svizzere. L'accordo bilaterale sull'educazione con l'UE, firmato il 15 febbraio 2010, consente alla Svizzera di partecipare d'ora in poi non più indirettamente bensì ufficialmente ai programmi europei di educazione e per la gioventù. La firma dell'accordo dà maggiori possibilità ai cittadini svizzeri di acquisire esperienza in Europa, ma consente anche a un maggior numero di giovani europei di usufruire delle istituzioni educative svizzere e della reputazione internazionale di tali istituzioni.

Per quanto riguarda la formazione professionale, per rafforzare la propria posizione sul piano internazionale in questo campo la Svizzera sta attualmente riflettendo circa l'opportunità di partecipare al Processo di Copenaghen. Il Processo di Copenaghen punta a incrementare qualità e attrattiva della formazione professionale e a promuovere la mobilità. Tali obiettivi saranno garantiti grazie alla comparabilità, alla permeabilità e alla trasparenza delle qualifiche. In definitiva, la partecipazione a Copenaghen può promuovere l'attrattiva della piazza formativa ed economica del nostro Paese e aumentare le possibilità per i lavoratori titolari di un diploma svizzero di accedere al mercato internazionale del lavoro.

Cooperazione bilaterale Accanto alle relazioni con l'UE, la Svizzera intensifica anche la cooperazione con i Paesi emergenti che possiedono un potenziale significativo in campo scientifico e tecnologico. Tenendo conto delle risorse disponibili, dei reciproci
interessi, del potenziale scientifico ed economico e dei risultati di programmi sperimentali condotto con la Cina e l'India, sono stati definiti otto Paesi prioritari, e precisamente Cina, India, Russia, Sudafrica, Brasile, Giappone, Corea del Sud e Cile, con i quali la Svizzera elabora programmi di ricerca comuni. Il nostro Paese sostiene inoltre due istituti di ricerca d'eccellenza in Costa d'Avorio e Tanzania.

In parallelo a queste attività, il nostro Paese promuove la mobilità in direzione della Svizzera avvalendosi del collaudato strumento delle borse di studio federali per studenti stranieri. Queste borse per studi accademici consentono a studenti di tutte le discipline di proseguire gli studi o i lavori di ricerca in Svizzera, in un'università pubblica o riconosciuta dallo Stato. La maggior parte delle università svizzere collabora di propria iniziativa a progetti congiunti e scambi di ricercatori e studenti con istituzioni partner di livello internazionale. La Svizzera ha compiuto notevoli sforzi per coordinare le attività delle università svizzere e migliorare l'impatto di tali attività all'estero.

La Svizzera dispone di una rete di consulenti scientifici e tecnologici integrati nelle proprie rappresentanze all'estero in 18 Paesi nonché di una rete di Case svizzere per gli scambi scientifici e tecnologici denominata «swissnex» e presente in poli scienti1123

fici particolarmente importanti. La rete swissnex è uno strumento innovativo che rafforza la cooperazione bilaterale con una selezione di Paesi partner e che sostiene accessoriamente le istituzioni accademiche e di ricerca svizzeri nell'ambito delle loro attività internazionali. Il primo centro della rete swissnex è sorto a Boston nel 2000 con il sostegno di una banca privata ginevrina, che in occasione del proprio bicentenario di attività ha fatto dono di un immobile alla Confederazione. In seguito sono sorte altre rappresentanze swissnex a San Francisco (nel 2003), Singapore (nel 2004) e Shanghai (nel 2008). È inoltre prevista la costituzione di un centro swissnex anche a Bangalore, in India.

Cooperazione allo sviluppo e con l'Europa dell'est Nell'ambito della cooperazione allo sviluppo e con l'Europa dell'est, la Svizzera sostiene da tempo programmi di educazione e formazione professionale in una selezione di Paesi partner e promuove partenariati nel campo della ricerca con Paesi dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina e dell'Europa dell'Est. La promozione della ricerca nell'ambito della cooperazione internazionale punta principalmente all'elaborazione di conoscenze per la ricerca di soluzioni ai problemi globali e dello sviluppo nonché al potenziamento delle risorse nel campo della ricerca nei Paesi in sviluppo e in transizione. La cooperazione tra Nord e Sud nel campo della ricerca consente ai ricercatori svizzeri di accedere a nuovi e ambiziosi mercati scientifici e di svolgere attività di ricerca nel quadro di reti globali e su temi d'attualità sul piano internazionale, rispondendo così alla crescente domanda di soluzioni per i problemi globali manifestata dalle autorità politiche.

Sfide e prospettive In avvenire, nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione la Svizzera subirà l'influenza del contesto internazionale ma potrà a sua volta esercitare il proprio influsso su tale contesto. Sono in gioco in particolare gli aspetti seguenti: Partenariati internazionali per la ricerca, reti e progetti infrastrutturali: nel contesto della cooperazione internazionale la Svizzera è chiamata a rafforzare i propri vantaggi e la propria eccellenza nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione partecipando a diversi programmi, reti e infrastrutture comuni. In tal
senso va intesa la partecipazione del nostro Paese alle iniziative dell'UE per la realizzazione dello spazio economico e scientifico europeo. Nel campo della ricerca l'intenso impegno della Svizzera nel quadro dell'UE non deve far dimenticare la cooperazione bilaterale con singoli Paesi europei. Gli strumenti offerti dai programmi quadro dell'UE nel campo della ricerca possono peraltro costituire anche un quadro ideale per la cooperazione bilaterale con i Paesi europei. Tale cooperazione può a sua volta contribuire a rafforzare la posizione della Svizzera nell'ambito dei programmi quadro dell'UE (per es. Eureka, COST, Processo di Bologna e Processo di Copenaghen). Per rafforzare la posizione della Svizzera come polo industriale e intellettuale occorre far capo anche alla cooperazione con i Paesi emergenti più ambiziosi.

Capitale umano e mobilità: la disponibilità di capitale umano in possesso delle qualifiche adeguate a tutti i livelli di formazione è un fattore di cruciale importanza in un'economia competitiva. L'attrattiva internazionale dell'economia svizzera come polo di formazione e di ricerca deve essere consolidata preparando nel contempo studenti e apprendisti al mercato mondiale del lavoro e alle attività di ricerca internazionali.

1124

Studi comparativi e riconoscimento internazionale: la partecipazione e l'accresciuto impegno della Svizzera per il riconoscimento di standard internazionali possono migliorare la mobilità e quindi, in pratica, il riconoscimento internazionale della formazione professionale svizzera.

L'esportazione e il promovimento dell'educazione sono stati per lungo tempo esclusivo appannaggio dei programmi di cooperazione allo sviluppo. Affinché la Svizzera possa posizionarsi meglio a livello internazionale in campo educativo, le scuole svizzere all'estero hanno un ruolo da svolgere nel promuovere all'estero l'immagine di qualità della Svizzera e del suo sistema educativo. Nell'ambito del riconoscimento della formazione professionale, un possibile modello operativo prevede l'espansione, verso alcuni Paesi destinatari, di elementi del nostro sistema binario di formazione professionale secondo le necessità di determinati settori della nostra economia, come si sta facendo attualmente a titolo sperimentale per la nostra industria metalmeccanica in India.

Influenza sul piano globale: la ricerca e l'innovazione svizzere, con la loro competitività e l'eccellente reputazione di cui godono nel contesto internazionale, possono fornire un contributo sostanziale alla soluzione dei grandi problemi planetari odierni (per es. problemi ambientali, mutamenti climatici, salute, sicurezza alimentare ed energetica). Queste competenze rivestono dunque un ruolo chiave per la realizzazione degli obiettivi della politica estera svizzera.

4.10

Neutralità

La neutralità permanente della Svizzera è uno dei principi della nostra politica estera. Il suo statuto di Stato neutrale ha tenuto per secoli la Svizzera al riparo da guerre e devastazioni e anche oggi è un importante strumento di garanzia per l'indipendenza del Paese e l'inviolabilità del territorio nazionale.

La promessa di neutralità liberamente formulata dalla Svizzera è in sostanza un messaggio di pace. Con tale promessa la Svizzera garantisce da secoli incondizionatamente alla comunità internazionale che non minaccerà nessuno con mezzi militari e che ricorrerà a mezzi militari soltanto per difendersi da un'aggressione.

Quest'affermazione di principio non ha perso nulla del proprio significato. Al contrario, oggi i rapporti interstatali sono assoggettati a un divieto generale del ricorso alla violenza. L'unica eccezione a tale principio di non violenza è rappresentata dal diritto di autodifesa sancito dall'articolo 51 dello Statuto dell'ONU e dalle sanzioni collettive adottate in virtù di un mandato delle Nazioni Unite.

La politica di neutralità della Svizzera si determina anzitutto in funzione dei suoi obblighi di Stato permanentemente neutrale in virtù del diritto internazionale: il diritto della neutralità impone alla Svizzera di astenersi dal condurre conflitti contro altri Stati o di sostenere attivamente o passivamente altri Stati in un conflitto interstatale. Per il diritto della neutralità, le sanzioni collettive pronunciate dalle Nazioni Unite non configurano un atto di guerra, poiché l'ONU non è mai parte in un conflitto ma provvede al rispetto del diritto, della pace e dell'ordine in nome dell'intera comunità degli Stati. In secondo luogo, la nostra politica di neutralità si determina in funzione dell'attuale situazione geopolitica. Il Consiglio federale ha definito le opzioni determinanti per l'attuale politica di neutralità agli inizi degli anni 1990, dopo la fine della guerra fredda, nel proprio rapporto sulla neutralità del 29 novem1125

bre 199361. Nel rapporto il Consiglio federale giunge alla conclusione che l'impegno alla neutralità assunto volontariamente dalla Svizzera non deve impedire al Paese di attuare i provvedimenti difensivi necessari di fronte a minacce contro le quali ci si può proteggere soltanto per mezzo della cooperazione internazionale. Il riorientamento della politica di neutralità, rispecchiatosi nel rapporto del 1999 sulla politica di sicurezza62 e nel messaggio del 2000 sull'iniziativa popolare «Per l'adesione della Svizzera all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)»63, è stato in seguito precisato dal Consiglio federale nel rapporto del 2007 sulla neutralità64.

Neutralità non significa dunque condurre una politica estera passiva. La Svizzera fa parte di un mondo che diventa sempre più piccolo e nel quale avvenimenti apparentemente lontanissimi possono avere dirette ripercussioni su di noi. Dal momento che la Svizzera può vivere in pace e sicurezza soltanto in un contesto in cui regnano la pace e la sicurezza, il nostro Paese deve agire in modo perspicace e previdente, in sintonia con la comunità internazionale. Non essendo membro di alleanze militari la Svizzera deve condurre, ancor più di altri Paesi, una politica estera e della sicurezza che le consenta di proteggere il Paese da crisi e conflitti violenti. Per questo motivo il Consiglio federale ha sviluppato in modo consistente negli ultimi anni la politica di pace. Tanto il promovimento civile della pace quanto la giurisdizione internazionale svolgono un ruolo sempre più importante. Nel settore della politica di sicurezza il Consiglio federale precisava già nel 1999 che la soluzione risiede in una politica partecipativa che permetta alla Svizzera di contribuire attivamente e solidalmente alla realizzazione di strutture di sicurezza solide65.

Il più importante consesso internazionale, nel cui ambito la Svizzera si impegna a favore di pace e sicurezza, è costituito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. Gli obiettivi della politica estera svizzera coincidono con i principi delle Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza dell'ONU è riconosciuto come una delle colonne portanti del sistema di sicurezza internazionale. La questione della presenza della Svizzera in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU è d'attualità e quindi anche dibattuta.

Il Consiglio
di sicurezza si impegna a favore della composizione pacifica delle liti e adotta misure in caso di minaccia o rottura della pace e di atti di aggressione.

Quando adotta misure militari ­ a titolo di «ultima ratio» ­ il Consiglio di sicurezza agisce nell'interesse della pace e della sicurezza internazionale. Quindi, come membro del Consiglio di sicurezza, la Svizzera non diverrebbe parte in conflitto ai sensi del diritto della neutralità. Si impegnerebbe invece, insieme agli altri 14 membri del Consiglio, per il rispetto del diritto internazionale e per la pace su mandato di tutta la comunità internazionale. Come membro del Consiglio di sicurezza, la Svizzera potrebbe inoltre esercitare il proprio influsso per migliorare la trasparenza della procedura decisionale del Consiglio. Non essendo una potenza politica o militare, la Svizzera ha ogni interesse al buon funzionamento del sistema di sicurezza collettivo nonché al rafforzamento e allo sviluppo del diritto internazionale.

Per rafforzare il sistema di sicurezza internazionale, la Svizzera si impegna inoltre in seno all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), al Partenariato per la Pace (PfP), al Consiglio di partenariato euro atlantico e partecipa 61 62 63 64 65

FF 1994 130 segg.

FF 1999 6561 segg.

FF 2001 1035 segg.

FF 2007 5113 segg.

FF 1999 6605

1126

alle missioni di promovimento militare della pace dell'Unione europea. Queste forme di collaborazione rispettano tutte il diritto della neutralità consentendo però alla Svizzera di impegnarsi attivamente e di assumersi solidalmente le proprie responsabilità sul piano internazionale a favore della pace e della sicurezza. In questo contesto il Consiglio federale tiene sempre conto anche degli aspetti della politica di neutralità. La cooperazione nell'ambito del Partenariato per la Pace, ad esempio, è stata volutamente strutturata in modo da essere compatibile con lo statuto di neutralità e da consentire la partecipazione attiva di Stati non membri della NATO senza creare obblighi fondati sul diritto internazionale: la Svizzera si riserva di non partecipare a esercizi del Partenariato che dovessero svolgersi in un contesto problematico per la credibilità della sua politica di neutralità.

Come Stato neutrale, che si impegna ed esercita il proprio influsso sul piano internazionale, la Svizzera può fornire importanti contributi alla promozione della stabilità globale e quindi della propria sicurezza. Il fatto che Georgia e Russia abbiano chiesto alla Svizzera di rappresentare gli interessi dell'una nei confronti dell'altra, ma anche il ruolo assunto dal nostro Paese nel processo di avvicinamento tra Armenia e Turchia, stanno a dimostrare che la comunità internazionale attribuisce un grande valore alla neutralità anche nel contesto odierno.

5

Servizio pubblico

5.1

Mansioni consolari66

Le rappresentanze svizzere all'estero (ambasciate e consolati) sono gli interlocutori dei cittadini svizzeri che risiedono in permanenza nei Paesi ospitanti o che vi soggiornano temporaneamente. Al riguardo svolgono mansioni affini a quelle di un'amministrazione in Svizzera. D'altro canto assicurano anche i rapporti tra gli Svizzeri all'estero e la loro patria e contribuiscono a rafforzare i legami di questi ultimi tra di loro e con la Svizzera. Tutto ciò si svolge in un contesto che rende sempre più ampia e complessa la gamma dei servizi prestati dai consolati. Le mansioni consolari svolte dalle rappresentanze comprendono l'immatricolazione degli Svizzeri che hanno preso domicilio all'estero e la trasmissione di informazioni, l'emissione di documenti d'identità, l'elaborazione delle pratiche di stato civile, delle domande di naturalizzazione agevolata, quelle di aiuto sociale, nonché diverse prestazioni tra cui le registrazioni di depositi, la fornitura di attestati e la legalizzazione delle firme. Tra i compiti consolari vi è anche il rilascio dei visti ai cittadini stranieri che vogliono recarsi in Svizzera o nello spazio Schengen.

In tutti gli ambiti delle prestazioni offerte, le rappresentanze all'estero devono svolgere i propri compiti mirando a offrire un servizio pubblico di qualità. Le esigenze e le aspettative dei cittadini aumentano e le rappresentanze devono potervi dare una risposta rapida e professionale. D'altro canto i moderni mezzi di comunicazione, le nuove tecnologie e la crescente informatizzazione del lavoro hanno una sempre maggiore influenza non solo sulle aspettative dei cittadini, ma esigono anche metodi operativi delle rappresentanze continuamente adeguati e modernizzati. L'introduzione dei processi nello svolgimento delle mansioni implica non solo un cambia66

Mansioni consolari: servizi forniti ai cittadini svizzeri nonché agli stranieri per i quali esiste di regola un diritto (per es. documenti d'identità, visti, naturalizzazioni, affari di stato civile).

1127

mento nella concezione del lavoro, ma anche nella sua esecuzione e gestione. Il DFAE, insieme con i suoi partner, studia come gestire al meglio queste nuove esigenze nel medio e lungo termine, dal punto di vista sia tecnico sia organizzativo.

Documenti d'identità: il passaporto svizzero è in permanente evoluzione e l'introduzione, il 1° marzo 2010, della biometria ha comportato la realizzazione di un progetto di ampio respiro: sono state installate in oltre 130 rappresentanze all'estero circa 140 cabine speciali per la raccolta dei dati biometrici nel passaporto elettronico. Il successo di questo nuovo documento d'identità è stato immediato e, a metà maggio 2010, oltre 100 000 passaporti erano già stati ordinati in Svizzera e presso le rappresentanze all'estero.

Stato civile: gli affari di stato civile trattati dalle rappresentanze non sono aumentati solo in termini di numero (il 35 % di pratiche in più rispetto al 2001), ma anche di complessità. Il problema dei matrimoni di comodo si acuisce e, a seconda dei casi, le autorità svizzere devono procedere ad audizioni dei coniugi nel quadro della preparazione al matrimonio e del ricongiungimento familiare, ciò che esige un impegno importante da parte delle rappresentanze. D'altro canto i documenti necessari alla registrazione in Svizzera di fatti di stato civile devono spesso essere verificati ricorrendo a una procedura talora laboriosa.

Informazione agli Svizzeri all'estero: la sempre più numerosa colonia di Svizzeri all'estero si aspetta di essere informata regolarmente. Da marzo 2009 gli Svizzeri all'estero hanno a disposizione il sito Internet www.swissabroad.ch , a cui possono iscriversi per ricevere la «Gazzetta Svizzera», che viene pubblicata quattro volte l'anno e raggiunge circa 400 000 famiglie. È possibile abbonarsi alla rivista nella versione online o cartacea. Le nuove esigenze e il mutato comportamento dei lettori hanno fatto salire a 120 000 gli esemplari inviati per via elettronica. Ciò consente un risparmio del 30 per cento sulla stampa.

Naturalizzazione agevolata: se il numero dei casi trattati è relativamente stabile, la complessità aumenta e le periodiche modifiche delle leggi svizzere sulla cittadinanza nonché le loro prescrizioni obbligano le rappresentanze all'estero a dedicare un tempo non trascurabile alla trattazione
dei casi.

Aiuto sociale: nell'ambito dell'aiuto sociale esiste una cooperazione istituzionalizzata tra il DFAE e altri uffici federali coinvolti, tra cui il servizio di Aiuto sociale agli Svizzeri all'estero. Nei Paesi più rilevanti i dipendenti di questi uffici federali, insieme con i revisori del DFAE, esamineranno in futuro la situazione locale degli Svizzeri all'estero bisognosi e accerteranno sul posto la legittimità dell'aiuto sociale fornito al singolo beneficiario al fine di prevenire gli abusi.

Visti: nell'ambito dei visti la Svizzera applica dal dicembre 2008 l'accordo di Schengen. Nel primo anno era stata prevista una forte diminuzione delle richieste di visti poiché non era più necessario, per i viaggiatori che si recavano in Europa, un visto separato per la Svizzera. Inoltre, al momento dell'entrata in vigore dell'accordo, alcuni richiedenti possedevano un visto Schengen valido che li dispensava dal domandare un visto separato per la Svizzera. L'atteso calo delle richieste (­20 % circa) è risultato nel 2009 sensibilmente più elevato del previsto (­34,1 %). I motivi della forte diminuzione sono da ricercare nel sopraggiungere della crisi economica e nell'assenza di viaggiatori per turismo e per affari. Le cifre provvisorie per i mesi da gennaio a maggio 2010 fanno stato di un nuovo aumento delle richieste pari al 10 per cento.

1128

Statistica dell'Ufficio federale della migrazione UFM Anno

Numero di visti rilasciati

Numero di visti rifiutati

Numero di richieste trattate

2007

629 315

26 970

656 285

2008

621 940

26 958

648 898

­1,1 % ­34,1 %

2009

394 368

33 534

427 902

2010 (gen.­mag.)

149 153

27 480

176 633

Variazione in %

Nonostante l'aumentata complessità della procedura di rilascio del visto e lo sviluppo normativo dell'accordo di Schengen, si può constatare che la Svizzera ne ha recepito con successo le disposizioni. In questo contesto seguiranno diversi cambiamenti e novità. L'accordo di Schengen riconosce agli Stati membri la possibilità di farsi rappresentare da altri Stati Schengen nei Paesi in cui non hanno una propria rappresentanza. Ciò permette di sfruttare sinergie e di migliorare l'efficienza nell'elaborazione delle richieste di visti. Il 29 gennaio 2010 la Svizzera ha stipulato con l'Austria un primo accordo per la rappresentanza locale, secondo cui la Svizzera rappresenterà l'Austria a Santo Domingo (Repubblica Dominicana) e a Pristina (Kosovo). Un secondo accordo di rappresentanza reciproca con l'Ungheria è in vigore dal 1° febbraio 2010 e prevede chela Svizzera rappresenta l'Ungheria a Sydney (Australia), Kuala Lumpur (Malesia), San Paolo (Brasile), Bogotà (Colombia) e Santiago del Cile mentre l'Ungheria rappresenta la Svizzera a Minsk (Bielorussia) e Chisinau (Moldavia). Altri accordi di rappresentanza con Stati Schengen sono in fase di elaborazione.

Nonostante l'adesione allo spazio Schengen, per la Svizzera l'ingresso illegale e la pressione migratoria rimangono una sfida importante. In collaborazione con il DFGP, il DFAE ha partecipato all'elaborazione delle basi giuridiche per inviare specialisti all'estero al fine di controllare i documenti. Il primo intervento è previsto nell'autunno 2010 al Cairo. A partire dal 2011 sono previsti distaccamenti regolari in diverse località. In futuro il personale appositamente formato dovrà poter essere inviato in Paesi a rischio per aiutare le rappresentanze svizzere e il personale delle compagnie aeree a riconoscere i documenti di viaggio contraffatti.

La collaborazione consolare con i Paesi partner: oltre alla rappresentanza da parte di un altro Paese nel quadro degli accordi di Schengen, esistono altre possibilità di collaborazione rafforzata con i partner europei della Svizzera in materia di servizi consolari: condivisione delle infrastrutture (per esempio per il rilevamento di dati biometrici), protezione consolare assicurata da un Paese terzo o ancora distaccamento di personale consolare in una rappresentanza terza dove non è (o non è più) presente
una rappresentanza svizzera. Una simile collaborazione deve necessariamente essere reciproca. I diversi modelli di cooperazione esistono già in seno all'Unione europea, almeno a livello di progetti pilota.

1129

5.2

Protezione consolare

La protezione consolare ­ ossia l'aiuto ai cittadini svizzeri che si trovano in situazione di bisogno all'estero ­ non rientra tra le mansioni precipue del DFAE. Le statistiche in proposito indicano che gli Svizzeri viaggiano all'estero in media 2,3 volte l'anno. Più della metà delle destinazioni (circa 8 milioni) si trovano in Germania, Francia e Italia. Nell'ottica della prevenzione il DFAE è interessato a rafforzare il senso di responsabilità dei cittadini che si recano all'estero. Ciò avviene in primo luogo con i consigli di viaggio pubblicati nel sito Internet del DFAE, modificati regolarmente e completati da temi d'attualità di particolare interesse (cfr. n. 5.3).

Dei cittadini svizzeri che subiscono un infortunio in uno dei Paesi vicini si occupano diverse organizzazioni private di aiuto, assistenza per i viaggi e assicurazioni. Queste organizzazioni prestano soccorso anche agli Svizzeri che subiscono danni negli altri Paesi europei e oltreoceano. Anche i casi di smarrimento del denaro, di cui un tempo dovevano occuparsi le rappresentanze svizzere all'estero, oggi spesso possono essere risolti con l'intervento di organismi privati.

Nonostante la crescente importanza delle organizzazioni private nell'assistenza agli Svizzeri che si trovano all'estero, il numero dei casi seguiti dalle rappresentanze svizzere si aggira costantemente sui 2000 all'anno. Si tratta in primo luogo di casi di malattia e infortunio, atti di violenza, detenzione e rapimento di bambini.

I casi più semplici di assistenza consolare vengono di solito evasi autonomamente dalle rappresentanze, mentre quelli più complessi richiedono la collaborazione con la centrale del DFAE di Berna (Sezione protezione consolare, SPC). Anche se il numero dei casi di assistenza consolare negli anni è rimasto stabile (2009: 1833 casi, di cui 900 trattati dalla SPC; 2008: 1750 casi, di cui 833 trattati dalla SPC; 2007: 1925 casi, di cui 852 trattati dalla SPC), l'impegno per la gestione di questi affari delicati è continuamente aumentato. Infatti la protezione consolare deve trattare casi di detenzione e infortunio sempre più numerosi e più complessi, che suscitano tra l'altro una forte eco mediatica. A ciò si aggiungono altri fattori: le elevate aspettative delle persone colpite da un evento all'estero, gli insufficienti preparativi e le
carenti misure precauzionali prese in caso di viaggi verso destinazioni lontane, la scarsa considerazione della necessità di un'adeguata copertura assicurativa e la rapida diffusione di notizie sugli incidenti negli organi di comunicazione di massa.

Una sfida permanente per la protezione consolare è rappresentata dall'esigenza di garantire aiuti rapidi ed efficaci nelle situazioni di emergenza e di crisi al di fuori dei normali orari d'ufficio. A questo aspetto dovrà essere dedicata una maggiore considerazione in futuro. Il DFAE sta dunque valutando la possibilità di istituire un servizio per i cittadini, operativo 24 ore su 24. Da un lato, per fare chiarezza sui servizi che le rappresentanze sono chiamate a offrire e, dall'altro, per affrontare pretese talora ingiustificate si stanno attualmente valutando i vantaggi e gli svantaggi dell'introduzione di una vera e propria legge consolare. Essa potrebbe disciplinare in particolare i diversi tipi di prestazioni fornite dalle rappresentanze all'estero e le relative modalità, contribuendo ad accrescere la certezza del diritto in questo ambito.

Se del caso, sarebbe opportuno definire il quadro legale che consenta di addossare i costi o parte di essi alle persone coinvolte.

1130

5.3

Prevenzione e gestione delle crisi

Tendenze e sfide globali Il processo di globalizzazione ha facilitato gli scambi e provocato un'esplosione dei movimenti delle persone. Il notevole calo dei costi di trasporto, soprattutto nel settore aereo, e la possibilità di organizzare i propri viaggi individualmente con Internet hanno comportato uno straordinario incremento degli spostamenti all'estero, che ogni anno raggiungono i 16 milioni, a cui si aggiungono circa 700 000 Svizzeri (in aumento ogni anno) che hanno scelto il domicilio all'estero e sono iscritti presso ambasciate e consolati.

Le catastrofi naturali, i conflitti, gli incidenti e le violenze colpiscono anche gli Svizzeri all'estero. I rapimenti e le prese di ostaggio sono diventati sempre più frequenti. Le crisi e le situazioni d'emergenza che hanno interessato gli Svizzeri all'estero sono di conseguenza molto più numerose che in passato. Ciò va di pari passo con una più forte eco mediatica e un aumento della complessità delle mansioni legate agli affari consolari. D'altro canto crescono anche le aspettative dei cittadini nei confronti delle prestazioni fornite dallo Stato.

Queste tendenze non riguardano solo la Svizzera. In materia di gestione delle crisi i ministeri europei degli affari esteri sono chiamati ad affrontare le stesse sfide: forte incremento dei propri cittadini che vivono e viaggiano all'estero, aumento delle aspettative e delle esigenze in materia. Tragedie come lo tsunami del 2004 e l'evacuazione del Libano nel 2006 nonché la recrudescenza dei rapimenti in questi ultimi anni hanno fatto prendere coscienza della complessità di questo tipo di crisi. I ministeri europei degli affari esteri hanno dovuto ripensare, adattare e modernizzare le proprie strutture, l'organizzazione e la formazione del personale in materia di gestione di crisi. I nostri vicini, in particolare Francia, Germania e Italia, hanno intrapreso notevoli sforzi di modernizzazione del proprio apparato di gestione delle crisi.

Un'innovazione nel corso degli ultimi cinque anni è l'istituzione in diversi Paesi europei di «unità di crisi» appositamente preposte all'assistenza ai cittadini all'estero.

Attività di prevenzione e prospettive di sviluppo La protezione consolare è diventata un'attività primaria del DFAE. Ogni cittadino svizzero all'estero si aspetta di poter contare sull'assistenza di
una rappresentanza svizzera se non riesce a far fronte alla situazione con i propri mezzi. Lo Stato ha, in effetti, un dovere di assistenza quando la persona coinvolta ha esaurito tutti i mezzi a disposizione.

Per rispondere alle situazioni di crisi di grande portata (catastrofi naturali, attentanti, rapimenti, conflitti violenti ecc.), negli ultimi anni il DFAE si è impegnato a modernizzare e a professionalizzare i propri strumenti di gestione delle crisi. Ha istituito una cellula di crisi che può essere attivata in caso di necessità e una squadra d'intervento per rafforzare provvisoriamente le rappresentanze all'estero in caso di bisogno. Considerando che sempre più frequentemente si trova a dover gestire contemporaneamente diverse crisi o situazioni d'emergenza , il DFAE sta considerando la possibilità di istituire un «Centro di gestione delle crisi» sulla falsariga dei modelli esistenti in altri Paesi europei.

Nella maggior parte dei casi una crisi colpisce contemporaneamente i cittadini di diversi Paesi. Spesso, dunque, la Svizzera non è sola a fronteggiare la crisi e, in generale, gli Stati coinvolti coordinano le proprie azioni. È successo con la Francia 1131

per l'evacuazione dei cittadini stranieri dal Ciad (2008), con Germania e Regno Unito in occasione dei rapimenti in Mali (2009), con l'Italia quando sono stati rapiti i delegati del CICR sull'isola di Jolo nelle Filippine (2009) o, più recentemente, con i Paesi dell'Unione europea per i terremoti che hanno colpito Haiti (2010) e il Cile (2010). Nell'ambito della gestione di crisi che mettono a repentaglio la sicurezza dei cittadini svizzeri all'estero, la cooperazione e la collaborazione con altri Paesi coinvolti sono indispensabili. In questo contesto la Svizzera dovrà esaminare fino a che punto sarà necessario rafforzare i legami con i Paesi vicini e con l'Unione europea nella prevenzione, preparazione e gestione di crisi consolari. L'obiettivo di tale sforzo consisterà nel creare una cultura europea comune di gestione delle crisi.

In una prospettiva di prevenzione, il DFAE mette a disposizione dei viaggiatori alcuni consigli di viaggio nel sito Internet del Dipartimento. Contengono giudizi sulla sicurezza e raccomandazioni sulle misure da adottare. Sono pubblicati nelle tre lingue ufficiali per 155 Paesi e vengono regolarmente aggiornati, se necessario anche poche ore dopo eventi che compromettono la sicurezza. Quasi 1,5 milioni di visitatori consultano queste pagine Internet ogni anno.

5.4

Svizzeri all'estero

Il numero degli Svizzeri all'estero è nuovamente aumentato nel 2009: ora sono 684 974, con un aumento di 8798 unità. Rispetto all'ultimo periodo in rassegna l'incremento è dell'1,3 per cento. Il 60 per cento degli Svizzeri all'estero vivono in Paesi dell'Unione europea. Le comunità più numerose si trovano in Francia (179 106), Germania (76 565) e Italia (48 638). Dieci anni fa erano 580 396 gli Svizzeri che vivevano all'estero. Da allora è aumentato soprattutto il numero degli aventi doppia cittadinanza: dai 405 921 nel 2000 agli attuali 493 468 (+21,5 %). Nel 2009 si sono iscritti al catalogo elettorale di un comune svizzero 130 017 Svizzeri all'estero, quasi il 25 per cento dei 528 705 aventi diritto al voto all'estero, per esercitare il proprio diritto di voto ed elettorale. A fine 2008 erano soltanto 124 399.

Auslandschweizer 2009 Svizzeri all'estero nel 2009 Total: 684'974 Totale: 684'974 39'726 6%

Europa

29'505 4%

Africa Afrika America Amerika

172'770 25%

Asia Asien Oceania Ozeanien

1132

423'343 62% 19'630 3%

In considerazione della loro importanza il Consiglio federale, tramite il DFAE e la sua rete di rappresentanze, sostiene e promuove gli interessi economici e culturali degli Svizzeri all'estero. Per rafforzare i loro diritti politici, il Servizio degli Svizzeri all'estero lavora con la Cancelleria federale e i Cantoni per introdurre al più presto il voto elettronico. Le rappresentanze svizzere all'estero prestano un aiuto finanziario ai concittadini su incarico del Servizio di aiuto sociale per gli Svizzeri all'estero, in particolare per il rimpatrio o l'aiuto d'urgenza in caso di catastrofi (p.es. in occasione del terremoto di Haiti nel gennaio 2010). I contributi finanziari della Confederazione sono versati anche alle istituzioni degli Svizzeri all'estero in virtù di una base giuridica riveduta, in vigore dall'inizio del 201067. Sulla base di questa ordinanza, la Confederazione sostiene l'Organizzazione degli Svizzeri all'estero (OSE) e il suo organo d'informazione «Gazzetta Svizzera» nonché la «Schweizer Verein Fürstentum Liechtenstein». Le rappresentanze estere salvaguardano anche gli interessi culturali della comunità degli Svizzeri all'estero, curando il contatto con le colonie di Svizzeri e i reciproci rapporti tra gli Svizzeri che vivono in un Paese straniero. Ciò avviene per esempio con il sostegno alle manifestazioni, tra cui le feste nazionali, oppure la periodica pubblicazione di una newsletter elettronica.

In applicazione della legge federale del 9 ottobre 1987 concernente il promovimento dell'istruzione dei giovani Svizzeri all'estero (LISE; RS 418.0) la Confederazione sostiene anche 17 scuole svizzere, importanti pilastri della presenza elvetica oltrefrontiera. Nella mozione 09.3975 del 16 ottobre 2009, la Commissione della scienza, dell'educazione e della cultura del Consiglio nazionale ha richiesto una revisione della LISE nell'intento di promuovere la cultura svizzera all'estero e, quindi, l'immagine del Paese. Il Consiglio federale ha accolto questa mozione e nominato un gruppo di lavoro interdipartimentale per i lavori di revisione.

In Parlamento le esigenze degli Svizzeri all'estero sono rappresentate da un apposito gruppo. Nel periodo in rassegna diversi interventi parlamentari avevano come oggetto il miglioramento dei diritti politici degli Svizzeri all'estero:

67

­

l'iniziativa parlamentare Sommaruga (07.460, 22 giugno 2007) chiedeva una rappresentanza diretta degli Svizzeri all'estero nelle Camere federali. Il 2 marzo 2009 è stata respinta dal Consiglio degli Stati;

­

nel marzo 2009 il Consiglio nazionale ha approvato, senza opposizioni, il postulato Mario Fehr del 14 giugno 2007 (07.3331), che invitava il Consiglio federale ad attivarsi presso i Cantoni affinché in tutti i Cantoni gli Svizzeri all'estero abbiano il diritto di partecipare all'elezione del Consiglio degli Stati. Nella sua risposta il Consiglio federale ha espresso un parere favorevole a questa richiesta per ragioni di parità dei diritti. La Confederazione opera in tal senso, nel rispetto delle competenze cantonali in materia di legislazione;

­

anche la mozione Segmüller del 24 settembre 2009 (09.3852) per un maggiore coinvolgimento civico degli Svizzeri all'estero mediante una migliore informazione politica aveva come oggetto la partecipazione degli Svizzeri all'estero alla vita politica svizzera;

Ordinanza del 26 feb. 2003 concernente il sostegno finanziario alle istituzioni degli Svizzeri all'estero, RS 195.11.

1133

­

il rapporto del Consiglio federale in risposta al postulato Lombardi «La quinta svizzera come legame con il mondo» del 15 dicembre 2004 (04.3571) è stato adottato dal Consiglio federale il 18 giugno 2010. Nel rapporto il Consiglio federale riconosce l'utilità per la Svizzera dell'esperienza maturata dai propri cittadini all'estero. Tuttavia i lavori sinora condotti mostrano la necessità di elaborare prima una solida base di dati per quantificare in modo scientifico l'importanza degli Svizzeri all'estero per la Svizzera.

Una grande sfida nell'anno in rassegna e per il futuro è rappresentata dalla ristrutturazione della rete di rappresentanze. Con l'ampliamento e il potenziamento della rete di consoli onorari, il perfezionamento dei servizi elettronici (e-government) e la verifica della possibilità di creare rappresentanze mobili, il DFAE si impegna al fine di compensare al meglio la chiusura, talora inevitabile, delle rappresentanze ordinarie e mantenere la portata dei servizi offerti agli Svizzeri all'estero. In quest'ottica si colloca anche l'elaborazione, attualmente in fase di discussione, di una base legale unitaria che comprenda tutte le questioni in materia e permetta una coerente politica per gli Svizzeri all'estero. Inoltre, nel quadro della riorganizzazione del DFAE, sarà istituita una direzione per gli affari consolari, all'interno della quale il Servizio degli Svizzeri all'estero vedrebbe rafforzare la propria funzione di «sportello unico» per le questioni che riguardano i concittadini residenti in Paesi stranieri.

6

Politica estera e opinione pubblica

Nella società dell'informazione globale la comunicazione all'estero riveste un ruolo di crescente importanza per preservare gli interessi di un Paese. La comunicazione si articola in tre livelli con un diverso orizzonte temporale: in primo luogo la comunicazione quotidiana sull'attualità di politica estera, in secondo luogo la comunicazione strategica dell'immagine nazionale focalizzata su temi e Paesi selezionati e infine la cura nel lungo periodo delle relazioni con figure chiave estere fondata sulla reciprocità e la credibilità.

6.1

Relazioni con i media

Negli ultimi tempi l'opinione pubblica ha rivolto un interesse costantemente vivo e superiore al consueto alla Svizzera, alla sua posizione nel mondo e alla sua politica estera. La Svizzera è balzata agli onori della cronaca internazionale con un'eco che non si era più udita dalla vertenza sui patrimoni non rivendicati nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso. L'attenzione dei media era chiaramente focalizzata sulla piazza finanziaria e fiscale elvetica, sulla votazione popolare in merito al divieto di costruire minareti come pure sui problemi bilaterali sorti fra la Svizzera e la Libia.

Nel mondo globalizzato di oggi la tutela degli interessi e l'influenza di politica estera sono attività svolte in buona parte sotto lo sguardo dell'opinione pubblica.

Parallelamente alle loro attività a livello bilaterale o multilaterale, tutti gli attori cercano di mobilitare a proprio vantaggio l'opinione pubblica con un'informazione e una comunicazione mirate. Le aspettative riposte nelle relazioni con i media sono conseguentemente alte.

1134

Nel periodo in esame, i competenti servizi d'informazione dell'Amministrazione federale e in particolare del DFAE sono stati fortemente sollecitati: dovevano seguire e documentare un'attualità di politica estera dallo sviluppo repentino e che ­ a seconda degli argomenti ­ esponeva la Svizzera a crescenti pressioni. In questo clima senza precedenti in cui la Svizzera si è trovata ad essere bersaglio della critica internazionale ­ spesso massiccia ­, i servizi d'informazione hanno dovuto affrontare i media nazionali e internazionali che a ritmo incalzante reclamavano prese di posizione ufficiali. Sotto la pressione degli eventi, hanno raccolto la sfida svolgendo un'attività mediatica che non seguiva solo schemi reattivi, ma chiariva anche proattivamente i fatti per comunicare nel dibattito pubblico la posizione e il punto di vista della Confederazione. Controversie fiscali o divieto dei minareti, occorreva di volta in volta confutare le critiche, chiarire i malintesi e illustrare le posizioni della Svizzera. Nella percezione mediatica poteva di conseguenza sorgere l'impressione che la Svizzera e i suoi organi preposti alla politica estera assumessero un atteggiamento eccessivamente difensivo nella comunicazione all'opinione pubblica e non avessero una visione chiara dei propri interessi.

Questa impressione è ingannevole. Un'attività mediatica proattiva presuppone una fattispecie chiaramente definita e posizioni sicure. I successi di politica estera come la firma dei protocolli tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Turchia, frutto dell'opera di mediazione della Svizzera, vengono comunicati attivamente e in modo trasparente ­ ma appunto solo a lavoro diplomatico concluso. La cerimonia della firma delle due parti a Zurigo in presenza dei Ministri degli esteri di Stati Uniti, Russia e Francia nonché del Segretario generale del Consiglio dell'Unione europea è stata ampiamente ripresa dai media nazionali e internazionali. L'accordo internazionale di assistenza amministrativa nell'ambito dell'affare UBS siglato fra Svizzera e Stati Uniti è frutto delle buone relazioni diplomatiche con Washington ed è stato anche sottolineato come un successo della politica estera elvetica. In linea generale non vanno sottovalutati gli sforzi di logistica: grandi eventi come la firma dei protocolli fra Armenia e
Turchia a Zurigo o anche i Geneva Talks 2 sull'Iran e organizzati dalla Svizzera hanno attirato l'attenzione mediatica planetaria. Il sostegno professionale fornito ai media mondiali accorsi in gran numero è stato una componente importante del buon esito dell'attività mediatica.

La comunicazione proattiva ha rivestito un ruolo particolare in occasione della votazione sul divieto di edificazione dei minareti: azioni d'informazione concertate antecedenti e successive alla votazione hanno consentito di evitare ricadute di politica estera. Sia nelle relazioni con i media, sia nella comunicazione istituzionale a ogni livello politico nei confronti di governi, autorità, opinionisti, gruppi religiosi e organizzazioni si è riusciti a spiegare il sistema politico della Svizzera, la sua democrazia diretta, il testo in votazione e l'esito della stessa e a scongiurare così grossolani malintesi e i i problemi che avrebbero potuto nascere.

La natura sensibile dei processi diplomatici (ad esempio le situazioni negoziali) impone un certo riserbo nella comunicazione pubblica. Nei casi anzidetti, la grande sfida in ordine ai rapporti con i media risiedeva nel comunicare tenendo sempre presenti gli interessi politici svizzeri, e ciò in un contesto di grandi aspettative mediatiche, ricerche intense e ricorrenti indiscrezioni. A dispetto di ogni pressioni dei media, la logica di comunicazione deve essere sempre chiaramente sottomessa alla strategia politica: operando come custodi della diplomazia. i servizi d'informazione hanno sempre preservato nei negoziati in corso il necessario spazio di manovra escludendo l'opinione pubblica.

1135

Questo conflitto d'interessi fra esigenza d'informazione dei media e strategia politica si è evidenziato con particolare veemenza nei problemi bilaterali sorti fra Svizzera e Libia, nelle conseguenze dell'esposizione di UBS negli Stati Uniti come pure negli sforzi bilaterali e multilaterali profusi dal Consiglio federale in ambito fiscale.

Per non pregiudicare le prospettive di riuscita della strategia in atto, spesse volte si è dovuto tacere.

6.2

Comunicazione strategica dell'immagine nazionale

Per poter assecondare durevolmente ed efficacemente la salvaguardia degli interessi di un Paese, la comunicazione dell'immagine nazionale deve iscriversi in una logica di lungo periodo. Un'immagine non può essere modificata in breve tempo, le relazioni non si costruiscono dall'oggi al domani: entrambe devono essere coltivate durevolmente in modo da potervi ricorrere anche in periodi di crisi.

In quest'ottica, il Consiglio federale e il Parlamento hanno riveduto e adeguato le condizioni quadro della comunicazione dell'immagine nazionale e posto in vigore dal 1° gennaio 2009 la legge federale del 24 marzo 200068 concernente la promozione dell'immagine della Svizzera all'estero. Al tempo stesso è stata sciolta la commissione extraparlamentare «Presenza Svizzera» e l'unità amministrativa prima decentrata «Presenza Svizzera» è stata integrata nella Segreteria generale del DFAE.

Il Consiglio federale ha inoltre definito la strategia di comunicazione dell'immagine nazionale per gli anni 2010/2011.

Immagine della Svizzera all'estero Una comunicazione a carattere strategico dell'immagine nazionale impone un'analisi continua dell'immagine della Svizzera all'estero. In passato, Presenza Svizzera ha condotto vari studi d'immagine e oggi ha acquisito informazioni solide sui Paesi prioritari Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Giappone e Cina. Negli Stati Uniti è stata svolta nel 2009 un'indagine sulla percezione della piazza finanziaria elvetica.

Finora è mancata un'analisi permanente della copertura mediatica di cui la Svizzera è stata oggetto all'estero. Fondandosi sulla nuova ordinanza concernente la promozione dell'immagine della Confederazione all'estero il DFAE ha istituito un monitoraggio quantitativo sistematico dei resoconti diffusi dai media sulla Svizzera che completa le osservazioni fatte dalle rappresentanze svizzere all'estero. Per il monitoraggio in parola vengono analizzati i principali media di Germania, Francia, Italia, Austria, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Il monitoraggio permette di osservare una progressione continua della copertura mediatica estera della Svizzera: negli ultimi anni ­ in particolare nel 2009 ­ la visibilità della Svizzera nei media di maggior impatto e rilievo è aumentata, in un contesto in cui l'attenzione rivolta alla cronaca estera tende generalmente
a decrescere. Questa crescente attenzione alla Svizzera è la conseguenza di vari eventi di connotati in modo tendenzialmente negativo, che soprattutto nel secondo semestre hanno alimentato un rilevante numero di articoli apertamente critici nei confronti della Svizzera. La copertura mediatica estera ricevuta dalla Confederazione è stata 68

RS 194.1

1136

particolarmente significativa fra agosto 2009 e gennaio 2010: tematiche come l'iniziativa antiminareti, l'arresto di Roman Polanski, la vertenza con la Libia come pure varie controversie fiscali hanno suscitato nei media esteri un persistente interesse con toni velatamente critici nei confronti della Svizzera.

Nel 2009 sono stati distribuiti nel mondo circa 240 000 mezzi d'informazione che hanno parlato della Svizzera e circa 200 000 articoli promozionali a opinionisti, rappresentanti dei media, studiosi e scienziati. In più, oltre 600 studiosi, giornalisti, personalità politiche e alti funzionari sono stati invitati a compiere viaggi tematici in Svizzera. L'armonizzazione dell'immagine della Svizzera all'estero sul piano contenutistico e visivo («marchio Svizzera») e la formazione in tema di comunicazione di quest'immagine impartita al personale delle rappresentanze all'estero hanno fornito un contributo prezioso al rafforzamento di un'immagine uniforme della Svizzera all'estero.

Paesi prioritari della comunicazione dell'immagine nazionale Nel 2009 la comunicazione dell'immagine della Svizzera si è focalizzata sui quattro grandi vicini Germania, Francia, Italia e Austria nonché sulla Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Cina. I festeggiamenti in America Latina per il Bicentenario dell'Indipendenza di Argentina, Brasile, Cile e Messico sono stati colti come opportunità per far conoscere meglio la Confederazione.

Attività nei quattro Paesi vicini: questi quattro Stati sono da sempre Paesi privilegiati della comunicazione dell'immagine nazionale. Lo scorso anno l'accento è stata posta su Germania e Italia. In Austria sono state consolidate le reti di contatti costruite in occasione di Euro 08, mentre in Francia sono stati svolti i preparativi per imprimere una connotazione più spiccatamente politica alla comunicazione dell'immagine nazionale, come già avvenuto in Germania e in Italia.

Gran Bretagna: in Gran Bretagna l'immagine della Svizzera è fondamentalmente positiva, ma la percezione si riduce in buona parte ad aspetti turistici e sportivi nonché al settore economico e finanziario, in cui la Svizzera viene recepita soprattutto come concorrente. La comunicazione dell'immagine nazionale cerca di diversificare questa visione facendo propri temi di attualità in Gran Bretagna: nel 2009 sono stati
organizzati eventi dedicati fra l'altro ai trasporti pubblici, allo smaltimento dei rifiuti, alla tutela ambientale, alla piazza finanziaria e alla formazione professionale.

Il target era costituito da ambienti parlamentari e accademici nonché da rappresentanti dei media. Inoltre, anche in prospettiva dei Giochi olimpici invernali del 2012 a Londra, è stata ampliata la rete di contatti con gli opinionisti britannici.

Stati Uniti: negli Stati Uniti la percezione della Svizzera è lacunosa nei settori della formazione, della ricerca, della scienza e dell'innovazione. Per porre rimedio a questa lacuna, la comunicazione dell'immagine nazionale ha lanciato nel 2007 il programma «ThinkSwiss ­ Brainstorm the Future», finanziato per metà da un gruppo di sponsor privati e per metà dalla Confederazione. Il programma vuole far conoscere meglio al pubblico americano i punti di forza svizzeri nella formazione, ricerca e innovazione, crea piattaforme propizie allo sviluppo e al mantenimento di reti di contatti e consente alle varie rappresentanze negli Stati Uniti di proporsi sotto un'unica bandiera. Con il programma «Swiss Roots ­ How Swiss Are You?», nel 2009 sono stati di nuovo interpellati decisori statunitensi con radici svizzere e altre persone che hanno un legame emozionale positivo con la Svizzera. Dall'inizio del

1137

2010 il fulcro del programma, il sito web Swissroots, non è più curato da Presenza Svizzera, bensì dallo «Swiss Center of North America».

Cina: l'obiettivo principale dichiarato della presenza elvetica in Cina consiste nell'aumentare e mantenere la visibilità e l'attenzione sulla Svizzera così come nel realizzare e rafforzare le reti di contatti Svizzera-Cina principalmente nelle regioni di Beijing, Shanghai, Guangzhou e Hong Kong negli ambienti scientifici, universitari e nei più importanti media cinesi. L'accento è posto sui punti di forza della Svizzera nel settore della qualità della vita, che comprende l'ambiente, i trasporti, la sicurezza, l'architettura, il design, e in quello della reputazione mondiale con la Ginevra internazionale come pure l'istruzione e la scienza. Le attività in Cina sono state accompagnate da un intenso lavoro mediatico (ad es. viaggi di giornalisti in Svizzera) per aumentare il riscontro mediatico della Svizzera negli organi d'informazione cinesi.

America Latina: in Argentina, Brasile, Cile e Messico la Svizzera sfrutta i festeggiamenti previsti nel 2010 per celebrare il bicentenario dell'indipendenza di questi Paesi al fine di varare una serie di progetti di comunicazione dell'immagine nazionale. In questo contesto, la presenza della Svizzera è stata rafforzata dal 2009 con attività di visibilità e scambio quali il «Metro Suizo» a Santiago, «La mostra interattiva» sull'emigrazione svizzera in Argentina e l'esposizione «Suíços do Brasil».

Questi eventi hanno consentito di incontrare diversi gruppi bersaglio nei Paesi anzidetti, per il tramite de i media locali e nazionali. Peraltro, quest'anno la Svizzera partecipa alla celebrazione del bicentenario con contributi a interventi di ristrutturazione di siti o monumenti specifici e significativi di ogni capitale.

Comunicazione dell'immagine nazionale in situazioni straordinarie In applicazione della nuova ordinanza relativa alla comunicazione dell'immagine nazionale, a quest'ultima spettano compiti specifici in caso di peggioramento dell'immagine nazionale o di crisi d'immagine: se l'immagine della Svizzera all'estero è seriamente compromessa o si è già verificata una crisi d'immagine, il DFAE sottopone all'attenzione del Consiglio federale un piano di comunicazione comprensivo di contenuti, responsabilità e budget. Nel
2009 queste azioni straordinarie sono state promosse in relazione alla problematica della piazza finanziaria e all'iniziativa sui minareti.

Nel giugno 2009 il Consiglio federale ha quindi deciso di sostenere la tutela degli interessi della Svizzera negli Stati Uniti e in Germania con misure di comunicazione mirate e ha stanziato mezzi aggiuntivi per gli Stati Uniti. La delegazione finanziaria del Parlamento ha autorizzato questi stanziamenti alla fine di agosto, ma nel quadro delle deliberazioni sul preventivo 2010 il Parlamento ha poi deciso di sospendere a fine 2009 queste misure di comunicazione aggiuntive negli Stati Uniti.

La comunicazione dell'immagine nazionale ha rivestito un ruolo primario nell'ambito della votazione sull'iniziativa contro l'edificazione di minareti: il Consiglio federale aveva deciso già nell'estate 2009 di accompagnare il dibattito rafforzando la comunicazione al pubblico estero. Sono state fornite alle rappresentanze svizzere informazioni adeguate sull'iniziativa e sulla votazione, allo scopo di sostenerle nella comunicazione con il pubblico estero. Il risultato della votazione ha destato vivissima attenzione e incontrato incomprensione da molte parti. Nei media esteri l'esito dell'iniziativa popolare è stato talora interpretato come un segnale della crescente islamofobia e discriminazione dei musulmani in Europa. Anche la democrazia 1138

diretta è stata oggetto di critiche. Un'intensa attività informativa e una comunicazione trasparente hanno concorso a dare una svolta perlopiù moderata alle reazioni critiche dei governi e delle istituzioni religiose ufficiali del mondo islamico. Un contributo prezioso è stato fornito anche dalla buona immagine nazionale che la politica estera svizzera ha saputo costruire e promuovere nel corso degli anni nei Paesi del Vicino Oriente e del Medio Oriente, puntando sistematicamente sul dialogo e coltivando relazioni con tutte le parti.

Comunicazione dell'immagine nazionale a grandi eventi internazionali Anche i grandi eventi sportivi di richiamo internazionale e le esposizioni mondiali sono piattaforme che si prestano alla comunicazione dell'immagine nazionale. In quest'ottica, ai Giochi olimpici invernali del 2010 in Canada sono state aperte «Houses of Switzerland» nelle due località teatro delle competizioni, ovvero Vancouver e Whistler. Le case sono state utilizzate per ricevimenti e conferenze stampa, per allacciare e curare relazioni e festeggiare le medaglie vinte. Complessivamente, circa 60 000 persone le hanno visitate, con un riscontro di oltre 380 articoli pubblicati nei media canadesi e internazionali.

La Svizzera è presente con iniziative legate alla comunicazione dell'immagine nazionale anche all'esposizione universale di Shanghai dal 5 maggio al 31 ottobre 2010. La sua partecipazione è inserita nel programma d'azione prioritaria di Presenza Svizzera in Cina. Il padiglione elvetico è dedicato all'interazione tra città e campagna ed è una delle aree espositive più visitate della manifestazione. Accanto al padiglione interattivo vengono organizzate varie manifestazioni, volte fra l'altro a celebrare i sessant'anni di relazioni diplomatiche fra la Svizzera e la Repubblica Popolare Cinese.

6.3

Sfide e prospettive

In linea generale, la Svizzera gode di una buona immagine. In proposito è bene tener presente che l'immagine di un Paese si costruisce sull'arco di decenni e singoli eventi non possono modificarla radicalmente, prova ne è che anche nel periodo in esame l'immagine della Svizzera è rimasta integra a dispetto delle controversie descritte in precedenza. Oggi non è ancora dato sapere in che misura questi eventi lasceranno tracce a lungo termine nella percezione della Svizzera all'estero. Viceversa, una realtà positiva che soffre tuttora di un notevole deficit percettivo è il settore della formazione, ricerca e innovazione, dove la Svizzera si vende al di sotto del suo valore effettivo, il che pone di fatto una classica sfida alla comunicazione dell'immagine nazionale.

Nel periodo in rassegna è sensibilmente aumentata la copertura mediatica della Svizzera nella stampa e nei mezzi d'informazione internazionali e, conseguentemente, la necessità di accrescere l'informazione e la comunicazione nei confronti dell'opinione pubblica estera. In questo contesto rientra anche la divulgazione delle prestazioni concrete di un Paese, quali l'opera mediatrice della Svizzera fra Armenia e Turchia, la legislazione esemplare della Svizzera sulla lotta alla corruzione e al riciclaggio di denaro o il contributo della Svizzera all'allargamento a Est dell'UE.

Una buona immagine accompagnata da una forte presenza nello spazio pubblico e in particolare anche nei maggiori media internazionali contribuisce al «soft power» di un Paese, che nel mondo globalizzato di oggi riveste una crescente importanza: chi 1139

dispone di «soft power» può rappresentare più efficacemente i propri interessi ed esercitare meglio la propria influenza senza ricorrere all'«hard power» (potere militare ed economico). La comunicazione dell'immagine nazionale forma quindi parte integrante della politica estera e viene opportunamente utilizzata come strumento di provata efficace in questo campo.

7

Conduzione della politica estera

7.1

Sfide

Le implicazioni economiche e politiche della globalizzazione modificano le condizioni quadro in cui opera la politica estera. Le sfide internazionali sono sempre più complesse e connotate da una reciproca interdipendenza. In questo scenario è essenziale che nell'impiego delle sue risorse la Svizzera metta a punto strategie coerenti per salvaguardare al meglio i suoi interessi.

Il DFAE è incaricato del coordinamento della politica estera e in conformità al preventivo 2010 dispone di mezzi finanziari pari a circa 2,5 miliardi di franchi, cifra che corrisponde all'incirca al 4 per cento dell'intero budget della Confederazione.

Sul piano del personale il Dipartimento occupa circa 5200 persone, ossia il 14 per cento del personale della Confederazione (con circa 350 milioni di franchi, le spese di personale si aggirano attorno all'8 % dei costi di personale per l'intera Amministrazione federale).

Per ottenere il miglior effetto possibile nella gestione e nel coordinamento della politica estera e nell'erogazione dei suoi servizi, il DFAE si adopera per utilizzare con grande efficienza le risorse finanziarie e di personale disponibili. Nel mutevole contesto della politica estera è importante adeguare regolarmente le strutture al mutare delle situazioni. Su questo sfondo è in atto una riorganizzazione del Dipartimento tesa a un'amministrazione maggiormente protesa all'efficienza.

La riorganizzazione si ispira alla filosofia dal progetto VEKTOR e si inserisce nel quadro concettuale da esso posto. Lanciato nel quadro della riforma dell'Amministrazione federale, VEKTOR è stato avviato come progetto pilota incentrato su una gestione più efficiente della rete di rappresentanze svizzere all'estero. VEKTOR si prefigge una conduzione orientata ai risultati e si fonda sui seguenti principi: obiettivi e direttive chiaramente definiti, congruenza di compiti, competenze e responsabilità, maggiore autonomia e responsabilizzazione, sensibilizzazione alle questioni legate alle risorse.

Le esperienze maturate nell'ambito del progetto VEKTOR sono utili alle riflessioni di più ampio respiro in corso sulla conduzione e la gestione delle attività chiave dello Stato. Attualmente nell'Amministrazione federale coesistono due modelli di conduzione e gestione: il modello tradizionale e il modello di gestione mediante mandato
di prestazioni e preventivo globale. Al momento si sta valutando il modo migliore di combinare i vantaggi dei due modelli, ciò che può sfociare nella creazione di un modello di convergenza. Il progetto VEKTOR, che ha dimostrato la possibilità di gestire le risorse con un approccio più imprenditoriale e di semplificare gli oneri amministrativi mantenendo una conduzione politica, offre spunti di riflessione interessanti che andrebbero approfonditi. La gestione finanziaria della rete esterna potrebbe avvenire tramite mandato di prestazioni con relativo credito globale confe-

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rito al DFAE per la gestione di questa rete. Un meccanismo analogo potrebbe essere attuato anche per i costi di gestione della centrale.

7.2

Riorganizzazione del DFAE

Il DFAE si propone e si adopera per mettere a disposizione della politica estera svizzera un'organizzazione quanto possibile efficiente, il che impone una serie di riorganizzazioni interne. Gli interventi sono volti ad allineare l'organizzazione del Dipartimento alle aspettative dei cittadini in ordine all'Amministrazione: trasparenza e leggibilità dell'azione, qualità ed efficienza, ma anche economicità delle prestazioni.

Le grandi linee della riorganizzazione del DFAE sono state presentate nel precedente rapporto sulla politica estera e sono riassumibili nei seguenti punti: ­

Chiarimento e armonizzazione dei compiti, delle competenze e responsabilità e focalizzazione sulle competenze chiave. La DSC deve concentrarsi sull'efficacia del suo operato e intensificare la sua presenza locale, la Segreteria generale deve concentrarsi sui suoi compiti essenziali, ovvero la pianificazione, il controllo e il controlling come pure l'informazione a livello interdipartimentale. La Direzione delle risorse deve limitarsi alle sue funzioni di sostegno.

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Maggior peso a un orientamento ai risultati, approccio che implica non solo una modifica delle strutture del DFAE, ma anche un ammodernamento dei suoi strumenti di gestione, ciò che impone lo sviluppo di competenze in materia di direzione d'impresa e presuppone verosimilmente anche e soprattutto un cambiamento di mentalità. Si tratta di superare concetti come gerarchia, prestigio e prestazione e di pensare in termini di effetti previsti. Questo cambiamento culturale, iniziato con il progetto VEKTOR, proseguirà nel corso dei prossimi anni.

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Tutte le riorganizzazioni interne sono intese ad aggregare le competenze in modo da apportare migliorie a beneficio dell'intero Dipartimento e a raccogliere le sfide di domani. Si tratta da un lato di eliminare i doppioni nelle strutture del Dipartimento. Queste misure consentono di liberare, se non nell'immediato almeno a medio termine, sinergie apprezzabili nel contesto finanziario attuale che apportano del pari una guadagno qualitativo importante in tema di coesione e visione dipartimentale, sia in termini di comunicazione e di promozione dell'immagine della Svizzera all'estero, sia di pianificazione finanziaria, di revisione interna o di controllo di gestione, per citare solo gli esempi più significativi.

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Le riorganizzazioni sono parimenti finalizzate a mantenere ­ e possibilmente ad accrescere ­ il margine di manovra nella conduzione della politica estera svizzera al fine di cogliere le opportunità e fronteggiare le sfide poste alla Svizzera. Il successo della politica estera è imprescindibile dalla disponibilità di uno spazio di manovra. Una visione dipartimentale e lo sviluppo di strategie rivolte ai risultati consentono di creare condizioni quadro propizie a tale successo. In un simile contesto, le unità organizzative godono della più ampia autonomia possibile. Le condizioni perché si sviluppi un'autentica cultura dei risultati sono date quando i compiti, le competenze e le responsa1141

bilità sono armonizzati e delegati al livello dove sono presenti le conoscenze pertinenti e necessarie e quando è accordato un adeguato grado di autonomia.

Le misure di riorganizzazione sono state attuate a ritmo sostenuto parallelamente al cosiddetto «courant normal». I lavori esposti di seguito nel dettaglio presentano un grado di avanzamento diverso. Si tratta di una riorganizzazione radicale del DFAE i cui effetti matureranno nel medio o lungo periodo. A questo stadio il bilancio è positivo e le prospettive favorevoli.

Direzione dello sviluppo e della cooperazione Dal 1° ottobre 2008 la DSC si è data una nuova struttura. Complessivamente, 340 collaboratori hanno ricevuto mansionari diversi o sono passati ad altre unità organizzative. Oltre 700 programmi e progetti sono stati verificati, in parte adeguati e attribuiti a nuovi servizi.

Con la riorganizzazione la DSC intende ispirarsi maggiormente ai risultati operativi e contribuire all'attuazione di una strategia di politica dello sviluppo unitaria. Essa vuole ottimizzare l'utilizzo del solido know-how istituzionale e della ricca esperienza maturata, rafforzare la sua presenza a livello locale e delegare maggiore responsabilità agli uffici della cooperazione, senza trascurare che la riorganizzazione è anche intesa ad accrescere la collaborazione con altri servizi del DFAE e l'Amministrazione federale.

Il Settore Supporto, che comprendeva servizi come la gestione contabile, il personale e la gestione delle informazioni, è stato sciolto e integrato nei settori operativi o nella Direzione delle risorse del Dipartimento. Nella Direzione delle risorse sono confluiti anche il servizio linguistico e la telematica. Il Servizio informazione della DSC e la revisione interna sono stati trasferiti alla Segreteria generale del DFAE nella prospettiva di una politica di informazione unitaria nel Dipartimento e di una maggiore indipendenza degli organi di revisione.

Per i compiti trasferiti a livello dipartimentale vigono accordi di prestazioni siglati con la Direzione delle risorse e la Segreteria generale che assicurano l'utilizzo adeguato e trasparente delle risorse concesse dal Parlamento per la cooperazione allo sviluppo, l'aiuto all'Europa dell'Est e l'aiuto umanitario.

La seconda fase della riorganizzazione, che terminerà a fine 2010, ha l'obiettivo
di rafforzare l'efficacia delle risorse impiegate e la presenza nei Paesi partner e prevede un orientamento strategico più mirato delle attività della DSC attraverso la concentrazione tematica e la rielaborazione degli strumenti e dei processi. L'accento è posto su un maggior numero di mandati messi a concorso e un miglior rendiconto dell'efficacia raggiunta con i mezzi impiegati. Per accrescere l'efficienza vanno aumentati in linea generale i volumi dei progetti e va di conseguenza ridotto di circa un terzo il numero dei progetti entro il 2010.

Direzione delle risorse La trasformazione della Direzione delle risorse (in precedenza Direzione delle risorse e della rete esterna ) in centro di servizi e di competenze per l'intero Dipartimento si è compiuta aggregando al suo interno i servizi di supporto: ­

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la telematica si è fusa con il centro di servizi informatici per essere riunita in un solo servizio: informatica DFAE;

­

i servizi del personale (inclusi quelli preposti al personale locale) sono stati riuniti. Questa fusione è in linea con la volontà del DFAE di sviluppare una politica del personale omogenea per l'intero Dipartimento, incentrata sulla valorizzazione delle competenze;

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i servizi incaricati della contabilità e dei conteggi delle spese di viaggio così come l'insieme dei servizi incaricati dei software per la gestione d'impresa SAP sono stati riuniti nell'unità Finanze del DFAE;

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i servizi che in precedenza si occupavano della gestione della sicurezza sono stati accorpati in una sola unità responsabile per l'intero DFAE. Al tempo stesso un determinato numero di temi finora distribuiti fra organizzazioni diverse è stato ripreso e integrato in questa nuova unità (sicurezza informatica, sicurezza relativa alle trasmissioni, sicurezza/salute). Queste misure sono intese a promuovere una visione integrata della sicurezza in seno al DFAE;

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l'insieme della cancellerie come pure il servizio di archiviazione e il centro di competenze del sistema di gestione dei dati sono stati riuniti in una nuova unità;

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le competenze e i servizi dell'unità incaricata di gestire i processi sono stati estesi alla totalità del Dipartimento;

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un chiarimento dei compiti, delle competenze e delle responsabilità è stato esperito in materia di identità visiva (trasferimento alla Segreteria generale) e di servizi giuridici (nuova ripartizione dei compiti fra la Segreteria generale, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione e la Direzione delle risorse);

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tutti i servizi specializzati forniti dalla Direzione delle risorse sono stati raggruppati nel medesimo settore, nell'ambito della creazione di una nuova struttura di governance della direzione.

Le strutture sono definite, la Direzione delle risorse si concentrerà in futuro sull'erogazione di servizi interni e sul miglioramento permanente della qualità delle sue prestazioni.

Segreteria generale Nel quadro della riorganizzazione del DFAE, nella Segreteria generale sono stati integrati il Servizio informazione centralizzato, l'ex Agenzia di comunicazione nazionale Presenza Svizzera e il Centro di competenze per la politica estera culturale.

Nella Segreteria generale è insediata anche la Revisione interna del DFAE, che nell'intero spettro delle attribuzioni del Dipartimento verifica l'efficienza e l'efficacia della gestione interna e dei sistemi di controllo. I gruppi di revisione Centrale, Rappresentanze nonché Programmi/Progetti effettuano audit in conformità a standard di revisione riconosciuti dalla comunità internazionale. Nei settori Valutazione e Intervento si stanno realizzando nuove competenze. Con la nuova Revisione interna il DFAE dispone di uno strumento che coadiuva la direzione dipartimentale a portare a termine i suoi compiti di vigilanza.

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Per meglio sostenere la direzione del Dipartimento sono stati istituiti due nuovi servizi di stato maggiore: il Controlling strategico del DFAE affianca la direzione del Dipartimento in temi di ordine strategico e promuove misure volte a registrare, trattare e interpretare, a fini di gestione interna, le informazioni gestionali delle direzioni e della rete esterna. La Gestione del rischio del DFAE supporta la direzione del Dipartimento per un'adeguata attuazione della politica di rischio della Confederazione. In questo ambito viene coordinato, in conformità alle disposizioni della legge federale del 7 ottobre 2005 sulle finanze (RS 611.0), anche il Sistema di controllo interno (SCI) del DFAE. Fra gli altri compiti rientrano anche elementi fondamentali della prevenzione della corruzione.

Nel solco della riorganizzazione, nella Segreteria generale sono state anche raggruppate le risorse per promuovere le pari opportunità fra uomini e donne e il multilinguismo, che sono state poi trasferite in un centro di competenze dipartimentale «Pari opportunità». Questo servizio specialistico contribuisce a sviluppare e trasformare la diversità sessuale e linguistica in un elemento a valore aggiunto del Dipartimento e a posizionare il DFAE come datore di lavoro attraente agli occhi di persone di entrambi i sessi e di gruppi linguistici diversi.

Nel DFAE la promozione delle pari opportunità è intesa come componente di un cambiamento organizzativo e culturale di ampio respiro. Le pari opportunità sono l'obiettivo dichiarato di questo mutamento e un chiaro valore aggiunto. La varietà nella composizione dell'organico del DFAE, la diversità di esperienze e competenze che muovono da realtà di vita, culture e comunità linguistiche dissimili accrescono la sensibilità e la competenza nell'organizzazione per percepire in modo differenziato situazioni e questioni complesse e mettere a punto soluzioni orientate al futuro.

Per il DFAE e i suoi molteplici compiti internazionali la diversità è rilevante ai fini dei risultati da raggiungere e viene quindi promossa in modo sistematico e mirato.

Affari consolari Stante in particolare l'incremento della colonia svizzera all'estero e la mobilità internazionale, le aspettative dei cittadini svizzeri in tema di servizi consolari sono decisamente aumentate, ma non sono abbastanza
chiare e note le prestazioni che hanno il diritto di attendersi. Ne derivano di conseguenza aspettative irrealistiche e di riflesso reclami e conflitti giuridici, ma anche problemi d'immagine, poiché si tratta di un settore ad alta visibilità e assai mediatizzato.

Il DFAE esaminerà la possibilità di raggruppare all'interno di una nuova direzione l'insieme dei servizi preposti agli affari consolari. All'interno della Direzione politica e della Direzione delle risorse questi servizi non presentano attualmente un volume critico sufficiente per essere trattati alla stregua di attori autorevoli dai loro partner più importanti. Questo raggruppamento avvierà un processo volto fra l'altro a rafforzare il servizio pubblico e a conferire all'ambito consolare un orientamento più marcato alla clientela. Il DFAE esaminerà in particolare la possibilità di introdurre un'assistenza permanente, sette giorni su sette, 365 giorni all'anno. Il Dipartimento intende in tal modo apportare una maggiore trasparenza sulle prestazioni erogate affinché i media e il pubblico in generale siano meglio informati e sensibilizzati.

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8

Conclusione: esercitare la propria influenza per tutelare gli interessi nazionali

Il mondo di oggi è un mondo di interrelazioni, di distanze che si sono accorciate e di crescenti interdipendenze tra Stati, organizzazioni, operatori economici, gruppi d'interesse e individui. Tematiche politiche che in passato si sviluppavano autonomamente o in contesti chiaramente definiti sono ora reciprocamente legate da molteplici intrecci: la politica ambientale a quella energetica, la politica dello sviluppo a quella del clima, la politica di pace alla problematica dei diritti umani, lo sviluppo economico al progresso scientifico. E oggi, i codici di condotta e sociali omologati nella realtà interna di un Paese trovano in misura crescente applicazione anche nelle relazioni internazionali.

Assistiamo a una crescita di importanza, anche nella formulazione delle politiche di portata internazionale, degli attori privati che affiancano le organizzazioni internazionali e che con esse collaborano. I confini tra politica interna ed estera sono sempre più labili; politica locale, nazionale e globale presentano una sempre più marcata compenetrazione e formano un tessuto di reciproche dipendenze. Per tutelare i propri interessi nazionali in questo contesto globale, ogni Stato deve esercitare la sua influenza e codeterminare le scelte negli ambiti tematici rilevanti. Anche la Svizzera deve quindi inevitabilmente individuare e sfruttare le proprie possibilità di influsso per salvaguardare i suoi interessi di politica estera.

Il presente rapporto ha illustrato in quali settori il nostro Paese può esercitare la sua influenza politica e come ha messo a profitto queste possibilità nello scorso anno.

Nel quadro del suo impegno internazionale la Svizzera ha intrattenuto relazioni con molti Stati e organizzazioni, gestendo inoltre reti di contatti formali e informali. Ha siglato e ampliato numerosi accordi e convenzioni, ha partecipato d'intesa con altri Paesi alla soluzione di problemi e ha espresso le proprie opinioni su molteplici temi in occasione di conferenze internazionali. In tutte queste occasioni è scesa in campo per promuovere gli interessi svizzeri in ambito economico, scientifico, culturale e sociale, ma anche per sostenere in diversi modi i cittadini svizzeri all'estero.

Cura delle relazioni e influenza sono poli interattivi, che implicano un rapporto di dare e avere. Ma tutela degli interessi
e influenza creano anche poli di tensione, poiché una totale autonomia non esiste: chi esprime la propria opinione e intende codeterminare le scelte deve anche attendersi opposizioni. La Svizzera opera in un tessuto sempre più fitto di relazioni e norme, e il peso specifico della componente internazionale nella salvaguardia degli interessi nazionali cresce costantemente. Non deve perciò sorprendere che le questioni della sovranità, della dipendenza e del posto della Svizzera nella governance internazionale siano sempre più al centro di discussioni e anche di contrasti.

Sovranità in un contesto globalizzato La Svizzera non è l'unico Paese che si vede sempre più chiamato a conciliare le contrastanti esigenze di cooperazione internazionale e sovranità nazionale: l'autodeterminazione è un importante tema conduttore della politica estera di molti Stati.

Viste le crescenti esigenze di collaborazione tra Stati e organizzazioni, gli Stati cercano di esercitare un'influenza per tutelare i loro interessi nazionali sul piano internazionale. La sfida consiste appunto nel mettere in sintonia il libero esercizio della volontà nazionale con le esigenze di cooperazione internazionale. Un'impresa particolarmente difficile soprattutto in tempi di crisi. In molti Stati, la politica reagi1145

sce con particolare emotività e ostilità a ogni forma di decisione imposta da terzi soprattutto quando i temi sul tappeto sono la creazione o lo sviluppo di istituzioni e normative internazionali.

Nel recente passato, la collaborazione tra gli Stati sui problemi transfrontalieri è diventata tendenzialmente più difficile a causa dell'acuirsi delle sensibilità nazionali.

Sovente gli Stati non sono disposti ad adeguare più del necessario le loro istituzioni oppure a trasferire loro poteri decisionali ad autorità internazionali. Sintomatiche di questa realtà sono le difficoltà osservabili nei processi di integrazione regionali oppure nelle riforme di organizzazioni come le Nazioni Unite o le Istituzioni di Bretton Woods. Questa tendenza accresce la necessità di fondare sul piano della politica interna gli interessi e le esigenze di politica estera nonché di affermare con più vigore gli interessi nazionali.

Anche per la politica estera svizzera la mediazione tra interno ed estero rappresenta un tema centrale, ma fondamentalmente non sembrano esistere vere alternative a una tutela degli interessi del Paese che passi per la cooperazione internazionale: le soluzioni ai problemi globali devono essere ricercate interloquendo con gli altri e i consessi internazionali offrono piattaforme di discussione a tale scopo. Sul versante della politica estera, la Svizzera ­ proprio come altri Paesi a lei simili ­ si trova oggi dinnanzi alla scelta se praticare la salvaguardia degli interessi nazionali ed esercitare la propria influenza nelle tradizionali forme di relazione interstatali (ossia, essenzialmente da sola e attraverso coalizioni ad hoc con altri Paesi di uguale orientamento) oppure in seno a un'organizzazione, con procedure istituzionali garantite e ben definite, come ad esempio l'Unione europea (UE).

Il fatto che preservazione della sovranità nazionale e influenza internazionale non siano necessariamente incompatibili è dimostrato proprio dal caso dell'UE: tra un numero crescente di Stati membri dell'Unione prevale l'idea che l'influenza esercitata a Bruxelles è ugualmente o perfino maggiormente importante dei processi decisionali nazionali. Nel contempo, tuttavia, nelle sue relazioni esterne l'UE opera badando molto alla propria sovranità: ad esempio, i processi decisionali interni agli Stati membri
vengono accuratamente tutelati dall'influenza che potrebbero esercitare i Paesi non membri . Pertanto non si può certamente affermare che gli Stati membri dell'UE abbiano rinunciato alla loro sovranità. Se da un lato i canali di influenza politica si trasferiscono dalle istituzioni interne a quelle comunitarie, dall'altro l'influenza dell'UE sul piano globale acquista maggiore peso grazie al raggruppamento dei loro interessi e alla possibilità di agire e parlare con una voce comune.

Come questi esempi dimostrano, se ci si limitasse a contrapporre sovranità e indipendenza su un fronte e globalizzazione, cooperazione internazionale e dipendenza sul fronte opposto si perderebbero di vista le vere e reali sfide da cogliere . Cooperazione internazionale non è assolutamente sinonimo di dipendenza e perdita di sovranità. Non bisogna intenderla così, ma percepirla soprattutto come un'opportunità di agire responsabilmente a salvaguardia dei propri interessi. Le istituzioni e convenzioni nate nel solco della globalizzazione hanno moltiplicato le opzioni di codeterminazione delle scelte per i Paesi che intendono agire in tal senso, rendendo disponibile un ampio ventaglio di possibilità di sovranità condivisa o comunemente praticata.

L'influenza è quindi una componente fondamentale della sovranità intesa in un'accezione moderna. La Svizzera, come numerosi altri Paesi, è ora confrontata con il problema di come conciliare questa realtà con le proprie strutture decisionali 1146

interne: a quali livelli devono essere prese le decisioni? e quali decisioni? In quale modo deve essere esercitata un'influenza e con quali vantaggi e svantaggi? In questa problematica la sussidiarietà diventa un aspetto di primo piano, importante anche nell'ottica internazionale.

La tendenza a operare per esercitare la proprio influenza nelle decisioni prese nei centri di potere a livello internazionale prosegue da decenni e non accenna a diminuire. Oggi, la Svizzera può naturalmente decidere autonomamente sull'uno o l'altro tema se adottare soluzioni differenti da quelle degli altri Stati che la circondano. In tal senso essa è libera di mantenere un rigoroso segreto bancario, di vietare la costruzione di minareti o di emanare rigorose norme per il trasporto di bestiame. Ma proprio questi esempi mettono a nudo i limiti pratici delle decisioni autonome. In un contesto di fitti intrecci internazionali come quello attuale, le decisioni autonome che toccano gli interessi di altri, violano norme internazionali oppure si scontrano con una tendenza generale conducono a reazioni o addirittura a misure di ritorsione.

Pertanto, chi agisce autonomamente e senza riguardo agli altri attori in campo deve essere cosciente dei crescenti rischi di perdita di opportunità che tale atteggiamento implica. Nell'odierno tessuto di relazioni interstatali, anche la Svizzera è dunque chiamata a ponderare i vantaggi e gli svantaggi della sua azione politica, i costi e i benefici dei legami contrattuali e istituzionali che decide di stringere o dai quali decide di astenersi.

Sovranità e influenza in Europa La questione della sovranità nazionale e della cooperazione internazionale si pone con maggiore urgenza nel quadro della politica europea. La Svizzera è uno Stato europeo. L'UE e i suoi Stati membri rappresentano di gran lunga i suoi interlocutori più importanti, sia per il loro peso politico ed economico sia per la loro vicinanza geografica e culturale. Le relazioni della Svizzera con l'UE sono strette e contraddistinte da collaborazione ampia, consolidata e reciprocamente proficua. La strada bilaterale che la Confederazione ha scelto per la sua politica europea offre oggi, da un lato, una solida base per lo sviluppo di stretti rapporti economici, politici e sociali; dall'altro, essa consente al Paese di conservare la
sua autonomia sul piano formale e giuridico. In questo contesto, la Svizzera è ancora in grado di negoziare normative che si discostano da quelle dell'UE, ad esempio in materia di politica del commercio estero e monetaria oppure di mercato del lavoro, compiendo nel contempo ulteriori passi verso una crescente presenza e integrazione nel mercato interno europeo. La politica europea è sostenuta dal Parlamento, dai Cantoni e dal popolo, che ha approvato tutte le fasi decisive mediante referendum.

La collaborazione con l'UE appare tuttavia sempre più basata sul recepimento delle vigenti normative comunitarie, allo sviluppo delle quali la Svizzera non ha potuto partecipare a pieno titolo. Inoltre, è osservabile nei confronti di questa «variante bilaterale» un sempre maggiore scetticismo dell'UE, che con crescente insistenza ribadisce la necessità di recepimento integrale e senza eccezioni di sorta dell'acquis comunitario e dei suoi ulteriori sviluppi nei settori regolamentati dagli accordi bilaterali.

I futuri negoziati con l'UE si svolgeranno sulla base di coordinate prestabilite e definite nel rapporto del Consiglio federale in risposta al postulato Markwalder, finalizzate a salvaguardare l'autonomia della Svizzera, ad assicurare agli operatori economici svizzeri l'accesso al mercato interno europeo nel rispetto delle reciproche 1147

sovranità nonché a instaurare una partnership affidabile nella promozione di interessi comuni su scala continentale e globale, segnatamente nella lotta alla povertà, nella tutela della pace e dei diritti umani, nel sostegno dello Stato di diritto e della democrazia nonché nella salvaguardia delle risorse naturali.

Per poter raggiungere questi obiettivi, occorre che gli accordi già esistenti siano attuati con reciproca soddisfazione. Inoltre, per la prossima tornata negoziale degli accordi bilaterali dovrà essere definita una serie di ambiti tematici per i quali esistono interessi comuni. Infine occorrerà escogitare soluzioni per le numerose questioni trasversali e istituzionali inerenti all'interpretazione e al monitoraggio degli accordi nonché alla composizione delle controversie.

Alla luce di queste premesse, l'ulteriore sviluppo degli accordi bilaterali rappresenta un tema centrale per il futuro orientamento della Svizzera in materia di politica europea. In occasione della prossima tornata negoziale, guardando ai risultati che avrà ottenuto, la Svizzera dovrà ancora una volta valutare i costi di opportunità politici ed economici derivanti dall'adozione di norme e accordi istituzionali di carattere autonomo e divergenti da quelli comunitari. Occorrerà quindi tracciare un bilancio in termini di sovranità e di costi economici delle diverse opzioni, valutandole sulla base della salvaguardia degli interessi del Paese e della possibilità di esercitare influenza.

Influenza mediante creazione di valore aggiunto La cooperazione internazionale della Svizzera si spinge anche oltre le strette relazioni con l'UE. Essa si concretizza anche laddove un'azione comune produce valori aggiunti oppure consente di affrontare sfide troppo impegnative per essere vinte da un Paese che agisca da solo. In quest'ottica, tematiche particolarmente importanti per la Svizzera sono la regolamentazione dei mercati finanziari, la politica scientifica e di ricerca internazionale, la politica di armamento e di sicurezza, la lotta alle più diverse forme di criminalità transnazionale, la politica dei diritti umani e l'impegno umanitario, la politica di sviluppo, la politica ambientale e climatica nonché la politica migratoria internazionale.

La Svizzera esercita la sua influenza attraverso la partecipazione ai piani di stabilizzazione
politici ed economici, segnatamente mediante la promozione della pace, la mediazione, gli aiuti umanitari, la cooperazione allo sviluppo o l'impegno a favore dei diritti umani. Scegliendo di attivarsi nei Balcani, nel Caucaso, in Asia centrale, nel Vicino Oriente e nella regione africana dei Grandi laghi, la Svizzera intende anche promuovere i propri interessi e valori e costruire reti di relazioni. Per la salvaguardia degli interessi è di importanza centrale un approccio che non si limiti strettamente alla politica economica e finanziaria. A tale proposito, la Svizzera intrattiene relazioni troppo articolate con altri Paesi e organizzazioni internazionali, e proprio questa molteplicità di rapporti le offre l'opportunità di perfezionare soluzioni equilibrate dove interessi contrapposti vengono a scontrarsi. L'apprezzamento degli Stati Uniti per l'impegno della Svizzera su vari fronti ­ segnatamente il mandato di potenza protettrice in Iran, la mediazione tra Turchia e Armenia e gli sforzi di stabilizzazione nei Balcani ­ è la migliore premessa per poter sviluppare, nel quadro di una visione completa ad ampio raggio della situazione, soluzioni equilibrate a problematiche finanziarie e fiscali. Esempi di questo tipo possono essere trovati praticamente per ogni Paese. Se invece uno Stato riduce le sue relazioni con altri Stati e alle sole questioni controverse, rischia di privarsi di opportunità di esercitare la sua influenza.

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L'influenza può essere esercitata anche nel quadro di organizzazioni internazionali come l'ONU, le Istituzioni di Bretton Woods, l'OMC, l'OCSE, l'OSCE e il Consiglio d'Europa. La Svizzera può esercitare la propria influenza in questi organismi formulando richieste e prendendo iniziative, impegnandosi nella mediazione di soluzioni multilaterali o presentando opportuni progetti di riforma. Grazie all'azione comune con altri Paesi, l'impegno svizzero e anche l'influenza del Paese acquistano maggiore efficacia. La partecipazione della Svizzera al «burden sharing» della comunità internazionale è particolarmente importante: se anche in futuro essa si manterrà modesta nel settore della sicurezza militare per ragioni di politica di neutralità, le aspettative dei nostri vicini europei cresceranno riguardo ai nostri contributi in altri contesti, come l'aiuto umanitario, le iniziative civili di promozione della pace, la cooperazione allo sviluppo e i contributi finanziari alla coesione dell'UE.

La Svizzera, se intende dare effettiva concretezza alla propria influenza, deve quindi condividere pienamente i diritti e gli obblighi nelle organizzazioni e istituzioni alle quali ha scelto di aderire. In questa ottica si inquadrano ad esempio la presidenza semestrale del Consiglio d'Europa, l'impegno di Paese ospitante del vertice della Francofonia 2010 e la prevista candidatura per un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Influenza attraverso la messa in comune di interessi Per poter esercitare influenza, nella sua politica estera la Svizzera deve anche tenere conto dell'evoluzione degli equilibri internazionali. Particolare attenzione deve essere rivolta alle relazioni con il G20 e suoi membri, nonché con altri importanti Stati nei vari contesti regionali. Una linea di condotta coerente con questi attori, alla luce della loro dimensione e rilevanza, è un fattore chiave, poiché la crescita di importanza del G20 non è solo di natura economica, ma ha effetti anche sul versante della politica di sovranità. Le opportunità di influenza possono essere ricercate sul piano bilaterale, ma anche nel quadro di consultazioni tra il G20 e organizzazioni di cui la Svizzera è membro. Importante è quindi che la Svizzera curi con particolare attenzione le relazioni bilaterali con gli attori con crescente peso
sullo scacchiere della politica mondiale. Ed è anche importante che renda noti i suoi interessi, faccia confluire le sue richieste nei processi decisionali internazionali, sfrutti le possibilità di cooperazione e tuteli i propri valori tradizionali e interessi anche in un clima di mutamento dei rapporti di forza politici. Ciò presuppone la capacità di mettere in comune gli interessi, di costruire soluzioni d'assieme e di porre in secondo piano gli aspetti parziali rispetto alla visione d'insieme.

La Svizzera figura tra i principali Paesi del mondo nella tematica centrale affrontato dal G20, la politica finanziaria internazionale. Grazie alla sua posizione prominente negli organismi delegati alla preparazione del vertice G20 ­ FMI, OCSE e Financial Stability Board ­ essa ha potuto esercitare una certa influenza; tuttavia, esiste la necessità (e senza dubbio anche il potenziale) di rafforzare questa influenza in settori cruciali. Rilevanti a tal fine sono l'azione comune e la cooperazione con Paesi di uguale orientamento. A causa del forte sviluppo economico di Stati come la Cina, l'India, il Brasile e il Sudafrica, il peso della Svizzera e anche dell'Europa tende a diminuire nei maggiori consessi della politica internazionale. Esiste perciò il rischio che tradizionali opportunità di codeterminazione vadano perse. Solo mettendo a disposizione le necessarie risorse finanziarie e umane ­ e stringendo le opportune alleanze con Paesi partner ­ la Svizzera potrà assicurarsi in futuro ulteriori opportunità di codeterminazione e di influenza.

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In avvenire, anche sul piano globale la Svizzera sarà sempre più confrontata alla dinamica dell'integrazione europea. In tutte le organizzazioni e aree tematiche rilevanti per la Svizzera, l'UE svolge un ruolo di crescente importanza in qualità di «ambasciatrice» regionale. Una politica autonoma e indipendente dall'Unione è perciò diventata più complessa anche su scala globale. Spesso gli interessi elvetici collimano con quelli dell'UE, ma quando non è il caso diventa impresa ardua difendere autonomamente gli interessi del Paese. La Svizzera può agire autonomamente con successo quasi solo laddove l'Unione non ha una posizione comune o ne ha una non sufficientemente definita; a seguito della dinamica di integrazione europea, ciò accade sempre più raramente e per un numero sempre più ridotto di temi.

Influenza attraverso la collaborazione con attori privati Importante è oggi anche rendersi conto che lo sviluppo delle relazioni internazionali non è più materia di esclusivo dominio degli Stati. Imprese multinazionali, istituzioni scientifiche e organizzazioni non governative sono sempre più organizzati in reti transnazionali e diventano in tal modo attori di primo piano della globalizzazione. Una tendenza, quest'ultima, che le nuove tecnologie hanno accelerato nell'ultimo decennio. Tra Stati e privati si formano nuove entità miste allo scopo di meglio fronteggiare le sfide globali. Il «Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria» ne è un esempio. Liberi professionisti si organizzano in reti transnazionali alternative alle tradizionali strutture statali, e anche in seno ai settori economici si formano spesso forum regionali e globali che svolgono un ruolo importante in questioni come l'autoregolamentazione, lo sviluppo di standard, la formazione e lo scambio di esperienze. La Svizzera, con la sua società civile dinamica e ben organizzata che e il suo mondo professionale specializzato e tipicamente internazionalizzato, è in posizione ideale per assumere un ruolo guida in questo ambito.

Infine, esercitare influenza significa oggi praticare una comunicazione e una gestione della percezione attive, con l'ausilio di tutte le piattaforme tecnicamente disponibili. La cultura politica svizzera non è molto incline ad autocelebrarsi sotto i riflettori della scena mediatica e della
comunicazione: si andrebbe infatti contro la proverbiale modestia svizzera, che offre notoriamente molti vantaggi e di cui si deve andar fieri. Bisogna tuttavia riconoscere che la Svizzera, nel contesto mediatizzato di oggi, non può più difendere adeguatamente i propri interessi materiali senza comunicare con determinazione i suoi obiettivi, le sue decisioni, i suoi orientamenti nonché le convinzioni e i principi sui quali essi si fondano. Oggi, esercitare influenza significa anche comunicare in modo mirato e oggettivo e crearsi ascolto nell'arena mediatica internazionale.

Chi pratica una politica nazionale incentrata sulla tutela globale degli interessi del Paese deve anche saperne indicare realisticamente i limiti. Da un lato, questi ultimi risiedono nella costellazione dei rapporti di forza e istituzionali, ossia nella non appartenenza a UE e NATO, fermo restando che l'eventuale entrata in queste organizzazioni implicherebbe adeguamenti dello strumentario della democrazia, del federalismo e della politica di sicurezza. Dall'altro, tuttavia, i limiti della difesa degli interessi nazionali sono legati anche alle spinte di natura corporativa e protezionistica di taluni settori economici e gruppi di popolazione, che trovano fondamento nei timori della concorrenza internazionale o nella paura che l'impianto di politica interna possa essere minacciato dalle relazioni estere. Quando sono legittimi, ai timori di ripercussioni negative della cooperazione nazionale occorre saper dare risposte convincenti. La Svizzera sarà chiamata nel tempo a operare cambiamenti 1150

anche in settori delicati e si vedrà costretta sempre più a separare gli aspetti essenziali per l'identità del Paese da quelli negoziabili. Ciò impone una definizione univoca dei nostri interessi e una presenza più coerente sulla scena internazionale.

I limiti di una politica fondata su priorità In tempi di accresciuta pressione sulla spesa pubblica e di un tendenziale incremento dei costi della cooperazione internazionale, si moltiplicano gli appelli a fissare priorità fondate su criteri finanziari e a privilegiare questioni nazionali rispetto a quelli internazionale. Queste voci, pur essendo comprensibili e in parte fondate, sovente non tengono conto della realtà degli intrecci globali, delle aspettative che la comunità internazionale ripone in un Paese ricco come il nostro e della necessità di risolvere problemi interni attraverso la cooperazione internazionale, oltre che sottovalutare le enormi difficoltà e i costi politici che l'attuazione di una tale politica implicherebbe.

Sul piano geografico, la priorità riconosciuta all'area europea e ai nostri vicini immediati dell' Europa orientale, dei Balcani occidentali, del Mediterraneo, del Caucaso e dell'Asia centrale procede dalla sostanza delle nostre relazioni con i Paesi di queste regioni. Tuttavia, la Svizzera si distingue da altri Paesi europei simili proprio per la sua estesa e globale rete di relazioni: una peculiarità dovuta da una parte alla neutralità elvetica e all'assenza di legami, fattori che conducono la Svizzera a rappresentare autonomamente i propri interessi; d'altro canto, nel confronto internazionale essa trova fondamento nella grande varietà dei suoi interessi economici e sociali. La Svizzera e i suoi cittadini, malgrado le forti radici europee, si sono da sempre distinti per la loro apertura al mondo. Sarebbe quindi illusorio e poco utile per gli interessi del Paese concentrare la politica estera esclusivamente sull'Europa a svantaggio del contesto globale.

Sul piano tematico la situazione è analoga: da un lato la Svizzera è troppo grande per poter praticare una politica estera di nicchia e quindi concentrarsi su pochi temi, mentre dall'altro la sua peculiarità è rappresentata proprio dalla sua rete di relazioni molto ampia e ramificata. Peraltro, una politica estera concentrata su temi e questioni selezionati andrebbe
a vanificare tutti i vantaggi che un approccio tematico più ampio è in grado di offrire.

La Svizzera ha anche sempre cercato di accordare la priorità a un approccio bilaterale piuttosto che multilaterale, non da ultimo nel quadro della cooperazione allo sviluppo. Tuttavia, nell'ottica della tutela degli interessi di politica estera, questo approccio si rivela poco efficace e viene troppo spesso guidato da particolari interessi nazionali. In tema di efficienza ed efficacia, le istituzioni multilaterali non forniscono certo prestazioni peggiori rispetto alle iniziative bilaterali e aprono inoltre alla Svizzera eccellenti opportunità di influenza. Per poterle sfruttare, la Svizzera dovrà ulteriormente versare i propri contributi alle organizzazioni multilaterali in Europa e nel mondo, anche se i relativi oneri sono in tendenziale aumento.

Inoltre, occorrerà dedicare un'adeguata attenzione alla coerenza della politica estera: come già precedentemente accennato, essa è chiamata a gestire un complesso meccanismo di interessi nazionali da salvaguardare sul piano internazionale. È un compito che presuppone nell'Amministrazione federale una collaborazione interdipartimentale sempre più intensa tra i diversi uffici operanti a livello internazionale. In questo contesto svolgono un ruolo importante l'analisi collegiale dei problemi e la ricerca concertata di soluzioni e priorità. Le istituzioni multilaterali si rivelano 1151

spesso valide piattaforme di discussione nella ricerca di una coerente definizione delle priorità da accordare alle singole problematiche globali.

Per far valere efficacemente i propri interessi nel mondo globalizzato di oggi la Svizzera non può trascurare l'aspetto della coerenza delle sue relazioni estere. Questa azione nel segno della coerenza, basata sui tradizionali valori del Paese, è la migliore premessa per influenzare le condizioni quadro globali e per contribuire alla soluzione dei problemi di portata planetaria.

Una diplomazia che sta cambiando In un contesto di forti trasformazioni è indispensabile adattare gli strumenti di politica estera alle nuove esigenze e ridistribuire le risorse finanziarie destinate alle iniziative in questo settore in funzione dei nuovi compiti e delle nuove sfide da affrontare. In questa ottica, anche la rete di rappresentanze elvetiche deve essere periodicamente verificata e adeguata ai cambiamenti. Le rappresentanze svizzere all'estero svolgono un ruolo chiave nello sviluppo e nella cura di reti di relazioni soprattutto sui nuovi mercati e nelle regioni emergenti. Restando invariate le risorse, ciò significa tuttavia risparmiare tendenzialmente laddove esistono contatti già consolidati e opportunità di sviluppare relazioni politiche stabili attraverso canali diversi da quelli diplomatici. Inoltre, la rete di rappresentanze deve tenere conto anche della crescente domanda di servizi consolari, un'evoluzione tangibile per molte nostre sedi e imputabile in linea di massima a tre particolari fattori: il numero crescente di cittadini svizzeri residenti all'estero, il forte incremento di viaggi turistici e d'affari all'estero e l'innalzamento generale delle aspettative che i cittadini ripongono nell'amministrazione.

In questo contesto, le possibilità che le nuove tecnologie di e-government offrono devono essere sfruttate in modo tale da consentire per quanto possibile l'erogazione di prestazioni in centri di prestazioni. Considerando l'elevato numero di rappresentanze elvetiche (ambasciate, consolati, Swissnex, OSEC e Pro Helvetia), meritano di essere valutate possibili sinergie. Ancor più che in passato, le ambasciate svizzere amministrate dal DFAE dovranno trasformarsi in centri in grado di coordinare le molteplici reti di relazioni internazionali e quindi di
assicurare la coerenza della nostra azione. avvalendosi della collaborazione del personale di altri dipartimenti dell'Amministrazione federale laddove necessario e opportuno.

Di importanza assolutamente centrale sono inoltre gli ultimi sviluppi nel settore della «Internet diplomacy». Oggi, nuovi canali di formazione dell'opinione politica influenzano sempre di più i contenuti e la conduzione della politica estera, come dimostra la crescita tendenziale degli strumenti virtuali anche in questo settore.

Infatti non esiste praticamente: ­

crisi nella quale il coordinamento degli attori, lo scambio di informazioni e l'analisi dei bisogni non avvenga su reti virtuali multilaterali;

­

tema per il quale l'analisi, la formazione dell'opinione e le opzioni di intervento non vengano discusse e definite su piattaforme virtuali dagli «addetti ai lavori»;

­

evento politico che non venga discusso in blog e chat da un largo pubblico.

Naturalmente sarebbe sbagliato pensare che questi nuovi strumenti possano sostituire il contatto personale o la trattativa faccia a faccia, come peraltro sarebbe poco realistico paventare l'imminente scomparsa dei tradizionali ritrovi pubblici come 1152

luogo di formazione dell'opinione politica. Parallelamente stanno però nascendo forme alternative di confronto politico, che meritano di essere considerate e inserite nei processi di formazione delle opinioni sugli argomenti di politica estera. La comunità virtuale della politica estera è in rapida crescita.

Il DFAE, già in passato pioniere a livello internazionale nello sviluppo della e-diplomacy, vanta un pluriennale bagaglio di esperienze sia nella messa a punto di piattaforme comuni dedicate ai processi decisionali in seno all'amministrazione interna, sia nell'attuazione di iniziative di politica estera. Anche in futuro il DFAE dedicherà la massima attenzione allo sviluppo della e-diplomacy, rafforzando il proprio impegno nel settore dei contatti esterni virtuali con reti di specialisti e con il largo pubblico.

In conclusione, occorre constatare che determinati dibattiti in tema di politica estera hanno un certo sapore di passato. Spesso l'azione in politica estera viene vista nella prospettiva del «cambiare le cose o lasciarle come stanno», puntando soprattutto l'occhio sulle eventuali concessioni che una certa scelta ha imposto. Status quo e opposizione a spinte di cambiamento di natura esterna sembrano proporsi a prezzi di saldo, ma rappresentano invece una strada politica a senso unico, e per diversi motivi: storicamente la Svizzera è un Paese con forti intrecci relazionali internazionali, che per secoli si è distinto per la gestione dinamica degli affari interni ed esteri, fedele al motto «adeguamento se necessario, autonomia se possibile». La politica estera si determina sempre nel quadro di una trattativa permanente, in un rapporto di dare e avere, in una strenua difesa dei propri interessi e nell'offerta di concessioni.

Fare la cosa giusta al momento giusto richiede un buon colpo d'occhio politico. Una qualità che il Consiglio federale intende applicare anche in futuro alla sua politica estera.

1153

Allegato 1

Informazioni complementari concernenti il Consiglio d'Europa (2009­maggio 2010) L'allegato contiene informazioni supplementari sulle principali attività della Svizzera nei singoli settori di competenza del Consiglio d'Europa.

1

Comitato dei ministri

Conformemente all'ordine alfabetico inglese, dal 18 novembre 2009 all'11 maggio 2010 la Svizzera ha assunto per sei mesi la presidenza del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Il mandato svizzero si è concluso con la 120a sessione dei lavori del Comitato, che la presidente, la consigliera federale Micheline Calmy-Rey, ha diretto insieme al nuovo presidente, il ministro degli affari esteri macedone A.

Milososki.

La presidenza ha offerto alla Svizzera l'opportunità di mettere in evidenza il suo attaccamento ai valori e alle norme del Consiglio d'Europa in ambiti come la tutela dei diritti umani, il rispetto dello Stato di diritto e la promozione della democrazia, che fanno parte delle priorità di politica estera del nostro Paese.

Responsabilità e attività supplementari sono state coordinate e svolte dalla presidenza svizzera sull'arco dell'intero semestre del mandato. Quest'ultimo ha implicato un impegno aggiuntivo per tutti gli uffici interessati all'interno e fuori dell'Amministrazione federale.

Per il riassunto e il bilancio vedi il numero 2.2.2 del rapporto sulla politica estera 2010.

Il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha tenuto la sua 119a sessione il 12 maggio 2009 a Madrid, sotto la guida dei presidenti successivi M. A. Moratinos, ministro degli affari esteri spagnolo, e S. Zbogar, suo omologo sloveno. La delegazione svizzera era guidata dalla responsabile del DFAE, la consigliera federale Micheline Calmy-Rey. A questa sessione, convocata eccezionalmente nella capitale spagnola per celebrare il 60° anniversario dell'organizzazione, hanno partecipato 25 ministri e 16 viceministri o segretari di Stato. Principale risultato della presidenza spagnola del Comitato, conclusasi a Madrid, è stata l'adozione di misure volte a decongestionare la Corte europea dei diritti dell'uomo, il cui futuro ha rappresentato un tema centrale dei lavori. Questo tema rientrava negli obiettivi stabiliti dalla Svizzera per il suo periodo di presidenza. La responsabile del DFAE ha annunciato in questa sede la decisione della Svizzera di organizzare una conferenza ad alto livello dedicata proprio al futuro della Corte europea dei diritti dell'uomo.

I ministri hanno accolto con soddisfazione questa iniziativa e deciso di menzionare la conferenza nella dichiarazione finale. Altra questione al
centro dei lavori madrileni è stata l'elezione del nuovo segretario generale del Consiglio d'Europa: la raccomandazione dei candidati per questa carica ­ il segretario generale deve essere eletto dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa tra i nomi proposti dal Comitato dei ministri ­ aveva creato una situazione delicata. Dopo l'esclusione di due dei quattro candidati da parte dei ministri si era aperto un conflitto tra il Comitato dei 1154

ministri e l'Assemblea parlamentare, che in un primo tempo non aveva voluto entrare in materia.

Gli sforzi profusi dalla presidenza slovena, in stretta collaborazione con la presidenza svizzera entrante, nella persona della responsabile del DFAE, hanno consentito di ristabilire un dialogo intenso con l'Assemblea parlamentare, che il 29 settembre 2009 ha finalmente eletto a segretario generale il norvegese T. Jagland con 165 voti, contro gli 80 raccolti dal candidato polacco W. Cimoszewicz.

Il dialogo tra il Comitato dei ministri e l'Assemblea parlamentare ha trovato ulteriore continuità sotto la presidenza elvetica. Le riunioni ad hoc tenutesi il 18 marzo 2010 a Parigi e il 26 aprile 2010 a Strasburgo si sono rivelate molto utili nell'ottica dell'intensificazione dello scambio di informazioni e della fiducia reciproca.

La 120a sessione dei lavori del Comitato, che ha riunito 34 ministri e viceministri degli affari esteri, ha consentito di prendere una serie di decisioni formali su questioni di portata strategica, in particolare inerenti ai temi trattati alla conferenza di Interlaken e alle relazioni con l'Unione europea. Dai lavori è scaturita, su iniziativa svizzera e d'intesa con la presidenza entrante, anche una dichiarazione sulla Bosnia ed Erzegovina, che invita il Paese a conformare la propria costituzione con la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, segnatamente a seguito della sentenza di condanna della Bosnia ed Erzegovina pronunciata a fine 2009 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Sejdic e Finci, esortando altresì le autorità ad avvalersi del sostegno della Commissione di Venezia e offrendo l'appoggio del Consiglio d'Europa per i programmi di riforma.

Il principale successo della presidenza svizzera, che ha meritato il plauso da parte di tutte le delegazioni che si sono espresse, è stato senza dubbio l'adozione all'unanimità della «Dichiarazione di Interlaken» da parte degli Stati membri.

2 2.1

Coesione democratica Diritti dell'uomo

Nell'anno in rassegna, le discussioni sulla riforma del sistema di controllo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) hanno occupato uno spazio di rilievo nelle attività del Comitato direttivo per i diritti dell'uomo (CDDH). Il tema era stato anche al centro della conferenza di Interlaken organizzata dalla Svizzera nel mese di febbraio 2010 nell'ambito del suo mandato di presidenza del Comitato dei ministri. Nella sua seduta primaverile (marzo 2009), il Comitato ha approvato il suo rapporto di attività «Garantire l'efficienza a lungo termine del meccanismo di controllo CEDU», definendo contestualmente la sua presa di posizione finale in merito all'attuazione di determinate misure di sgravio organizzativo previste dal Protocollo n. 14 alla CEDU (introduzione di giudici unici, nuove competenze per i comitati tripartiti) già prima dell'entrata in vigore di tale protocollo69.

Sulla base di questo documento, alla conferenza di Madrid (maggio 2009) i ministri competenti hanno potuto tra l'altro approvare il Protocollo n. 14bis alla CEDU, che contiene le summenzionate misure di sgravio.

69

Il Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo è entrato in vigore il 1° giugno 2010, dopo la sua ratifica a Interlaken da parte della Russia, il 47° e ultimo Stato ancora mancante.

1155

Importante risultato della seduta di novembre 2009 è stata la presa di posizione del CDDH sui temi da inserire nell'ordine del giorno della conferenza di Interlaken, documento che in seguito ha costituito una importante piattaforma per la preparazione della dichiarazione politica poi approvata il 19 febbraio 2010 a Interlaken (cfr.

n. 2.2.1).

Accanto alla discussione sulla riforma, il CDDH ha seguito le attività delle sue commissioni e dei loro rispettivi gruppi di lavoro, segnatamente nei settori dei diritti umani e nelle procedure di asilo (adozione di linee guida commentate sulla tutela dei diritti umani nella procedura di asilo accelerata), dei diritti umani dei militari e della tutela da discriminazioni per motivi sessuali (approvazione di una raccomandazione per ciascun tema con relativo rapporto).

Il Comitato di esperti sulle questioni relative alle minoranze nazionali (DH-MIN), subordinato al CDDH, ha tenuto le sue due riunioni annuali in aprile e novembre 2009. In particolare ha esaminato la questione dell'ammissibilità della raccolta di dati di carattere etnico, studiando le metodiche idonee in questo campo. Il Comitato ha inoltre avviato un'analisi sula ripartizione del sostegno finanziario pubblico alle associazioni di minoranze nazionali, allo scopo di definire «best practices» su questo terreno.

Il Comitato di esperti sull'impunità è un organismo di nuova istituzione, anch'esso subordinato al CDDH. Nel quadro della sua prima riunione, svoltasi dal 9 all'11 settembre 2009, l'attenzione è stata rivolta ai contenuti e alla fattibilità delle linee direttrici del Consiglio d'Europa contro l'impunità in caso di violazioni dei diritti umani. Il Comitato si è pronunciato a favore dell'elaborazione di queste direttive, ma la questione della loro formulazione concreta resta ancora ampiamente da risolvere. Nella sua seconda riunione (4­5 marzo 2010) il Comitato ha avviato i lavori di elaborazione delle direttive.

Nell'anno in esame, il Comitato direttivo per la bioetica (CDBI) ha festeggiato i dieci anni dell'entrata in vigore della Convenzione sulla biomedicina e ha incentrato i suoi lavori sulla preparazione di una conferenza ministeriale, in programma a fine 2010, dedicata alle questioni etiche nell'ambito della ricerca sull'essere umano nei Paesi in sviluppo e in transizione. Il Comitato
ha inoltre approvato la pubblicazione di una guida destinata ai membri di commissioni etiche nazionali per la ricerca, che è stata distribuita nel corso di una consultazione informale in Svizzera. Al fine di assicurare un'operatività più efficiente del CDBI, gli Stati membri ­ tra i quali la Svizzera ­ hanno deciso di aggiornare le metodiche di lavoro del Comitato e di accorciare la durata delle due riunioni annuali.

2.2 2.2.1

Corte europea dei diritti dell'uomo Conferenza di Interlaken sulla riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo

La Svizzera, nel quadro del suo mandato di presidenza del Consiglio d'Europa, ha organizzato il 18 e 19 febbraio 2010 a Interlaken ­ sotto la presidenza congiunta delle responsabili del DFGP e del DFAE ­ una conferenza di alto livello sul futuro della Corte europea dei diritti dell'uomo, confermando quindi il suo proposito dichiarato di inserire la riforma della Corte tra i punti centrali della presidenza

1156

elvetica. Con questa conferenza il nostro Paese ha voluto lanciare un chiaro segnale politico per dare impulso a questo processo di rinnovamento.

La conferenza, nata da un'idea del presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha preso spunto dal cronico sovraccarico di questa struttura, che a lungo termine rischia di compromettere il funzionamento del sistema: a inizio gennaio risultavano pendenti oltre 120 000 ricorsi, con tendenza a un ulteriore aumento. I numerosissimi ricorsi irricevibili e i cronici casi ricorrenti in particolare sono all'origine di seri problemi che spiegano la congestione del sistema.

Il Protocollo n. 14 alla CEDU, approvato a maggio 2004 ed entrato in vigore il 1° giugno 2010, promette qualche miglioramento, dopo che anche l'ultimo Stato aderente, la Russia, ha presentato il suo documento di ratifica a margine della conferenza di Interlaken. Per risolvere i problemi più urgenti, gli stati firmatari della CEDU hanno deciso in occasione del Comitato dei ministri di Madrid, tenutosi il 12 maggio 2009, di anticipare al 1° giugno 2009 l'applicazione di talune disposizioni del Protocollo n. 14.

Con la conferenza di Interlaken la Svizzera ha puntato a tre obiettivi: 1.

il rafforzamento dell'impegno degli Stati firmatari nel rispetto e nell'attuazione dei diritti previsti dalla Convenzione;

2.

l'appoggio politico agli sforzi della Corte volti a migliorare a breve termine la propria efficienza, nel quadro delle vigenti disposizioni;70

3.

l'attivazione di un processo di riforma a medio-lungo termine della Corte europea dei diritti dell'uomo, allo scopo di assicurarne in modo permanente l'efficiente funzionamento.

Questi obiettivi sono stati interamente centrati. La conferenza, alla quale gli Stati membri del Consiglio d'Europa erano in gran parte rappresentati a livello ministeriale, ha approvato per acclamazione, il 19 febbraio 2010, la «Dichiarazione di Interlaken» redatta dalla Svizzera, che rafforza e migliora il sistema di controllo della CEDU. La ratifica del Protocollo N. 14 alla CEDU, annunciata all'immediata vigilia della conferenza dalla Russia, l'ultimo Stato aderente che ancora doveva concludere la procedura di ratifica, ha certamente creato buoni auspici.

La Dichiarazione di Interlaken non si limita a una dichiarazione politica di intenti, ma contiene anche un articolato piano di azione per il miglioramento e la riforma del sistema. Nel suo testo vengono infatti elencate attività concrete, con relativa tempistica, che dovrebbero contribuire a sgravare in permanenza la Corte. Tra l'altro, la dichiarazione rafforza il principio di sussidiarietà: primi responsabili del rispetto e dell'attuazione della CEDU e delle disposizioni della Corte sono gli Stati membri.

Sottolineata è stata altresì l'importanza della rapida e coerente attuazione delle sentenze della Corte, sia nei singoli casi che sul piano generale. Queste e altre misure dovrebbero contribuire a ridurre il numero dei ricorsi.

Il piano d'azione prevede anche il coinvolgimento della Corte stessa, che dovrà contribuire allo sgravio mediante miglioramenti organizzativi e una chiara e coerente giurisprudenza. Il Comitato dei ministri sottoporrà le misure del piano di

70

Ossia senza modifica della CEDU.

1157

azione a un costante monitoraggio, allo scopo di accertare nel tempo l'eventuale necessità di riforme profonde del sistema qualora gli attesi guadagni di efficienza risultassero ancora insufficienti.

2.2.2

La Svizzera dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo

Nel periodo in esame la Corte europea dei diritti dell'uomo ha emanato sette sentenze riguardanti direttamente la Svizzera71, constatando in cinque casi almeno una violazione della CEDU e dichiarando irricevibili due ricorsi presentati al Governo.

Cinque altri casi sono invece stati stralciati dal ruolo, poiché le circostanze portavano alla conclusione che i ricorrenti non intendessero più mantenerli (art. 37 cpv. 1 lett. a CEDU) o che le controversie fossero risolte (art. 37 cpv. 1 lett. b CEDU). La Corte ha dichiarato irricevibili due altri ricorsi.

Caso Shabani (sentenza del 5 novembre 2009): il ricorrente aveva trascorso in Svizzera cinque anni in carcerazione preventiva, prima che il Tribunale penale federale lo condannasse a una pena detentiva di 15 anni per infrazioni qualificate commesse per mestiere contro le leggi in materia di stupefacenti e per aver svolto un ruolo guida in un'organizzazione criminale. Il ricorrente ha fatto valere dinnanzi alla Corte una violazione del diritto di essere giudicato entro un termine ragionevole o di essere posto in libertà durante l'istruttoria (art. 5 par. 1 lett. c e par. 3 CEDU).

Secondo la Corte, l'autorità giudiziaria nazionale, visti i forti sospetti di appartenenza del ricorrente a un'organizzazione criminale nonché il rischio di fuga, ha a giusta ragione escluso la possibilità di porlo in libertà fino all'udienza. Per quanto riguarda la durata del procedimento, la Corte ha rilevato il carattere estremamente complesso del perseguimento della criminalità organizzata nonché la gravità dei reati imputati al ricorrente e ha per questo motivo considerate soddisfatte le esigenze dell'articolo 5 paragrafo 3 CEDU.72 Caso Werz (sentenza del 17 dicembre 2009), ricorso riguardante il diritto a un processo equo e a una sentenza entro un termine ragionevole: il ricorrente aveva denunciato il fatto che documenti del pubblico ministero e del tribunale d'appello bernese non gli fossero stati trasmessi e che, inoltre, il tribunale d'appello bernese gli avesse notificato la sentenza scritta soltanto 15 mesi dopo la pronuncia orale della sentenza, nonostante il termine di 60 giorni previsto dal vigente codice procedurale. La Corte, ribadito il diritto delle parti in causa di prendere posizione in merito a tutte le istanze delle controparti nonché il diritto a
essere giudicati entro un termine ragionevole, ha accertato una violazione dell'articolo 6 CEDU.73 Caso Schlumpf (sentenza dell'8 gennaio 2009): dopo aver deciso di cambiare sesso, dal 2002 la ricorrente ha vissuto da donna la sua vita di tutti i giorni. Nel 2003 aveva iniziato una terapia ormonale e psicologica. Nel mese di novembre 2004 aveva richiesto che la cassa malati si assumesse le spese di un'operazione per cambiare 71

72 73

Dal 2008 l'Ufficio federale di giustizia pubblica rapporti trimestrali sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nei quali sono pubblicate le sentenze e decisioni della Corte in merito a casi riguardanti la Svizzera e una selezione della giurisprudenza relativa ad altri Stati (http://www.bj.admin.ch/bj/de/home/themen/staat_und_buerger/ menschenrechte2/europaeische_menschenrechtskonvention.html).

Nessuna violazione dell'art. 5 par. 3 CEDU.

Violazione dell'art. 6 par. 1 CEDU.

1158

sesso. Con lettera del 29 novembre 2004 la cassa malati aveva respinto tale richiesta.

Prima di prendere visione di tale scritto, il 30 novembre 2004 la ricorrente si era sottoposta all'intervento, richiedendo poi alla cassa malati una decisione formale, che ha poi impugnato dinnanzi al Tribunale federale. Secondo la giurisprudenza, i costi per interventi di cambiamento di sesso possono essere sostenuti dalla cassa malati solo se la diagnosi è confermata, per cui il paziente si deve precedentemente sottoporre per due anni a una terapia ormonale e psicologica. Il ricorso è stato respinto facendo riferimento a tale giurisprudenza, le cui condizioni non erano soddisfatte. La ricorrente ha denuncia dinnanzi alla Corte una violazione degli art. 6 par. 1 e 8 CEDU.

La Corte ha ritenuto che il rifiuto del Tribunale federale delle assicurazioni (TFA) della richiesta di accogliere ulteriori pareri di esperti sia da considerarsi sproporzionato. Secondo la Corte, il TFA ha in tal modo illegittimamente sostituito la propria valutazione a quella di esperti in campo medico. La Corte ha altresì ravvisato che il procedimento non sollevava solo questioni di natura giuridica o tecnica, ragion per cui non sussistevano le condizioni perché il TFA potesse eccezionalmente rifiutarsi di tenere un'udienza pubblica. È stato dunque violato il diritto della ricorrente a un equo processo ai sensi dell'articolo 6 CEDU74. Infine, secondo la Corte, nell'applicare la regola del biennio di attesa il TFA non ha tenuto conto dei progressi compiuti dalla scienza medica intervenuti dopo il 1988 riguardo al fenomeno della transessualità. La decisione basata sulla giurisprudenza del 1998 non ha poi tenuto sufficientemente conto della particolare situazione della ricorrente, che al momento della richiesta di assunzione dei costi aveva già 67 anni; la Corte ha pertanto accertato una violazione dell'articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare)75.

Caso Neulinger e Shuruk (sentenza dell'8 gennaio 2009): la prima ricorrente aveva lasciato Israele con il figlio (secondo ricorrente), violando una decisione di un tribunale israeliano. Dopo il rigetto da parte dei tribunali cantonali della richiesta di rimpatrio del bambino presentata dal padre, il Tribunale federale aveva intimato alla prima ricorrente, con sentenza
del 16 agosto 2007, di provvedere al rientro del figlio entro la fine di settembre 2007. I ricorrenti hanno lamentato che il Tribunale federale non avrebbe tenuto debitamente conto del bene del bambino. La Corte ha stabilito che i ricorrenti, lasciando Israele, hanno violato la Convenzione dell'Aia sul rapimento di minori76, che in questi casi prevede l'immediato rientro del bambino nel Paese di provenienza, a meno che ciò non lo esponga al rischio di grave pregiudizio per la sua incolumità fisica o emotiva. Nella ponderazione dei diversi interessi, da effettuare ai sensi dell'articolo 8 paragrafo 2 CEDU, andava quindi stabilito se il Tribunale federale avesse a ragione negato l'esistenza di una siffatta situazione eccezionale.

La Corte non vi erano elementi per concludere che le autorità israeliane non fossero in grado o non avessero l'intenzione di proteggere i ricorrenti da un eventuale comportamento aggressivo da parte del padre del bambino. La Corte ha altresì ritenuto che, essendosi la ricorrente trasferita volontariamente in Israele, dove ha vissuto sei anni lavorando per la stessa azienda multinazionale per cui ha lavorato in Svizzera, era ragionevole attendersi un suo rientro in Israele con il figlio. Per quanto concerne 74 75 76

Violazione dell'art. 6 par.1 CEDU.

Violazione dell'art. 8 CEDU; la richiesta della Svizzera di un riesame da parte della Grande Camera è stata respinta.

RS 0.211.230.02

1159

il rischio di una condanna penale e dell'eventuale arresto della ricorrente, la Corte ha ravvisato che non vi era alcun motivo di dubitare delle dichiarazioni delle autorità israeliane, che hanno fortemente ridimensionato tale rischio. Inoltre, la sentenza ha sancito che il benessere del bambino sarebbe meglio salvaguardato offrendogli la possibilità di mantenere i contatti con entrambi i genitori.

La Corte ha quindi ritenuto che la decisione impugnata del Tribunale federale non costituisce una violazione dell'articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). La sentenza della Corte è stata nel frattempo revocata dalla Grande Camera.77 Caso Glor (sentenza del 30 aprile 2009): il ricorrente era stato dichiarato inabile al servizio militare per motivi di salute. Tuttavia, essendo il grado d'invalidità inferiore al 40 per cento, non era stato esentato dal pagamento della tassa d'esenzione dall'obbligo militare per persone dichiarate inabili al servizio. Invocando una violazione dell'articolo 8 in combinato disposto con l'articolo 14 CEDU, il ricorrente ha lamentato un trattamento discriminatorio, essendo da un lato stato escluso contro la sua volontà dal servizio militare e, dall'altro, obbligato a pagare una tassa di esenzione.

La Corte ha deciso che le disposizioni dell'articolo 8 CEDU includono anche l'integrità fisica della persona e che una tassa dovuta per inabilità al servizio militare per motivi di salute ricade nella sfera di applicazione del suddetto articolo. Nel merito, la Corte ha indicato un doppio trattamento discriminatorio a carico del ricorrente: da un lato, una disparità di trattamento rispetto a persone con un grado d'invalidità superiore al suo, che sono esentate dal pagamento della tassa d'esenzione; dall'altro, l'impossibilità di evitare il pagamento della tassa tramite il servizio civile, essendo questo riservato a persone che rifiutano di prestare servizio militare per motivi di coscienza. La Corte ha valutato l'esistenza di motivi oggettivi per la suddetta discriminazione sulla base dei seguenti criteri: l'importo della tassa d'esenzione, la durata dell'obbligo di pagamento, la volontà del ricorrente di prestare servizio militare o civile; la mancanza di alternative adatte per persone nella situazione del ricorrente. La Corte non ha ritenuto convincenti
le motivazioni addotte dalla Svizzera e ha stabilito che le autorità elvetiche non hanno tenuto sufficientemente conto della sua situazione personale, violando pertanto l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) in combinato disposto con l'articolo 14 (divieto di discriminazione) CEDU78.

Caso Gsell (sentenza dell'8 ottobre 2009): al ricorrente era stato impedito dalla polizia cantonale grigionese di recarsi a Davos, in qualità di giornalista, al World Economic Forum 2001 e alla contromanifestazione Public Eye on Davos. Dall'esame della Corte è risultata l'assenza sia di una pertinente base legale che giustificasse tale restrizione della libertà d'espressione (art. 10 CEDU), sia di sufficienti motivi per l'applicazione della clausola generale di polizia (art. 36 cpv. 1 della Costituzione federale) di cui le competenti autorità si erano avvalse. Secondo la Corte, il verificarsi dei temuti episodi a Davos era prevedibile: le autorità grigionesi, considerati gli eventi verificatisi a livello internazionale prima del WEF, avrebbero dovuto prevedere la portata delle manifestazioni del movimento antiglobalizzazione, tanto più che nei due anni precedenti dei dimostranti militanti si erano riuniti a 77 78

Cfr. sentenza della Grande Camera della Corte europei dei diritti dell'uomo, Neulinger e Shuruk contro la Svizzera, del 6 luglio 2010.

La richiesta della Svizzera di riesame da parte della Grande Camera è stata respinta.

1160

Davos. La Corte ha quindi accertato una violazione dell'articolo 10 CEDU (libertà di espressione).79 Caso VgT (Verein gegen Tierfabriken Schweiz) N. 2 (sentenza del 30 giugno 2009): la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, adita dalla Svizzera, ha confermato la sentenza della Camera del 4 ottobre 2007 (JB 2007, FF 2008 3886 seg.). Il caso ha riguardato la diffusione di uno spot televisivo sull'allevamento di animali destinati alla macellazione. A seguito del divieto delle autorità competenti di diffondere lo spot, nella sua sentenza del 28 giugno 2001 la Corte aveva constatato la violazione dell'articolo 10 CEDU inerente alla libertà di espressione. Una richiesta di riesame presentata al Tribunale federale al VgT sulla scorta di questa sentenza era stata rigettata, con la motivazione che il ricorrente non aveva dato fondata comprova del suo interesse a mandare in onda lo spot originario.

Nuovamente adita dal VgT, la Corte si è dichiarata competente a esaminare il nuovo ricorso constatando che esso riguardasse un nuovo fatto, ovvero la reiterazione del divieto di messa in onda dello spot dopo la prima sentenza. Confermando la decisione della Camera, anche la Grande Camera ha ravvisato una violazione dell'articolo 10 CEDU. Infatti, il Tribunale federale, oltre ad aver seguito un approccio eccessivamente formalistico, ha sostituito il proprio apprezzamento dell'interesse alla diffusione dello spot a quello del ricorrente nella valutazione dell'interesse a trasmettere lo spot. Nel caso in esame la Corte non ha quindi accertato la presenza di motivi sufficienti e rilevanti sul piano giuridico a giustificazione dell'ingerenza nelle disposizioni in materia di libertà di espressione ai sensi dell'articolo 10 CEDU.

2.3

Parità tra uomo e donna

La Svizzera ha partecipato alla conferenza sull'integrazione di una prospettiva di parità tra i sessi nei processi di bilancio («Gender Budgeting»), tenutasi ad Atene il 5 e 6 maggio 2009 e incentrata sui bilanci pubblici nella loro qualità di elementi chiave per una vera parità tra uomo e donna.

Il 23 settembre 2009, Strasburgo ha ospitato una riunione della Rete informale per l'approccio integrato alla parità uomo-donna («Gender Mainstreaming»), che ha avuto per tema l'approccio integrato alle pari opportunità nell'ambito della protezione sociale. L'esperta svizzera presente ai lavori ha segnalato il rischio di povertà al quale sono esposte le donne dopo un divorzio. Una dichiarazione sull'attuazione concreta della parità tra uomo e donna è stata approvata dal Comitato dei ministri in occasione della sua 119a sessione plenaria del 12 maggio 2009 a Madrid e poi diffusa su larga scala negli Stati membri.

Inoltre, in occasione del loro incontro del 12 giugno 2009 a Tromso, i ministri della giustizia dei Paesi membri del Consiglio d'Europa si sono impegnati ad adottare misure concrete volte a combattere la violenza domestica e a rompere il silenzio che la circonda.80 Una delegazione svizzera formata da rappresentanti dell'Ufficio federale per l'uguaglianza fra donna e uomo, dell'Ufficio federale di giustizia e della Direzione del diritto internazionale pubblico ha partecipato ai lavori e ai negoziati per il pro79 80

Violazione dell'art.10 CEDU.

Risoluzione n. 1 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza domestica.

1161

getto di convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e domestica. Scopo di questo accordo è di proteggere le vittime e di perseguire gli autori delle molestie.

Nel quadro di un evento parallelo organizzato dalla delegazione svizzera presso l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, in occasione della riunione del comitato permanente a Berna, il 19 novembre 2009, l'Ufficio federale per l'uguaglianza fra donna e uomo ha presentato il suo studio intitolato «La violenza nelle relazioni di coppia ­ le sue cause e le misure prese in Svizzera».

2.4

Lotta al razzismo e alla xenofobia

La Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI) ha pubblicato nel 2009 il suo quarto rapporto sulla Svizzera, basato su documentazione scritta e sulla visita di una delegazione (15­19 settembre 2008). Nel loro soggiorno i delegati hanno incontrato rappresentanti di uffici federali e conferenze intercantonali e hanno visitato la città di Zurigo e il Cantone di Neuchâtel. Inoltre hanno condotto di propria iniziativa colloqui con commissioni extraparlamentari ed esponenti di organizzazioni non governative.

Diversamente dai precedenti, il quarto rapporto tratta più in profondità il ruolo che federalismo, sussidiarietà e democrazia diretta svolgono nei processi politici e decisionali. Il rapporto elogia i progressi degli ultimi anni, citando in particolare la nuova legge sugli stranieri, la nuova legge sulla cittadinanza (RS 141.0), gli sforzi spesi nel settore dell'integrazione, le chiare prese di posizione delle autorità contro razzismo, antisemitismo e intolleranza religiosa nonché il proficuo impegno a favore della sensibilizzazione in tema di razzismo e discriminazione da parte del Servizio per la lotta al razzismo (SLR), della Commissione federale contro il razzismo (CFR) e della Commissione federale della migrazione (CFM), malgrado le limitate risorse di personale e finanziarie.

Le proposte di miglioramento formulate riguardano in particolare la sensibilizzazione di agenti di polizia, giudici, avvocati e giuristi in merito all'applicazione della norma penale contro la discriminazione e il monitoraggio a ciclo continuo degli effetti delle misure di integrazione.

Il rapporto è stato inoltrato dal DFI ai servizi competenti, ai Cantoni e alle conferenze intercantonali interessate, con l'invito a valutare le raccomandazioni e a produrre uno sforzo comune ancora più incisivo nella lotta al razzismo e alla xenofobia.

La CFR ha informato la ECRI sulla situazione attuale della lotta al razzismo nel nostro Paese in vista dell'allestimento del quarto rapporto sulla Svizzera, pubblicato nell'anno in esame. Nel suo comunicato stampa inerente al rapporto ECRI (15 settembre 2009), la CFR ha sottolineato in particolare la mancanza di tutele dalla discriminazione in importanti ambiti della vita civile, come il lavoro e la casa, elogiando inoltre la raccomandazione di intensificare gli sforzi nella lotta antirazzista nel confronto politico e nei media.

1162

2.5

Cooperazione giuridica e diritto penale

Nel quadro del piano di azione 2008­2009, il Comitato europeo di cooperazione giuridica ha incaricato un gruppo di lavoro ­ formato da esperti in ambito di cittadinanza e nel quale è rappresentata anche la Svizzera ­ di formulare una raccomandazione di misure volte a ridurre i casi di bambini apolidi. Il Comitato dei ministri ha adottato questa raccomandazione il 9 dicembre 200981.

Nel periodo in esame, il Comitato d'esperti sul funzionamento delle convenzioni europee ha focalizzato la propria attività sull'aggiornamento della Convenzione europea di estradizione del 1957, elaborando e approvando un progetto di terzo Protocollo addizionale alla suddetta Convenzione unitamente al relativo rapporto esplicativo per il Comitato europeo sui problemi relativi alla criminalità (CDPC).

Questo nuovo strumento dovrebbe consentire di semplificare e accelerare l'estradizione mediante il consenso della persona perseguita.

Il Consiglio d'Europa ha elaborato la Raccomandazione (2004)11 del Comitato dei ministri agli Stati membri inerente alle norme giuridiche, operative e tecniche relative al voto elettronico. La Raccomandazione contiene una clausola che ne prevede la verifica periodica dopo l'introduzione al fine di valutarne gli effetti negli Stati membri e di decidere in merito a eventuali adeguamenti necessari. La certificazione dei sistemi di voto elettronico e lo sviluppo di linee direttrici sull'osservazione delle elezioni per via elettronica sono attualmente allo studio in vista di un eventuale aggiornamento della Raccomandazione (2004)11. Il Consiglio d'Europa ha organizzato il 26 e 27 novembre 2009 una prima riunione dedicata alla certificazione dei sistemi di voto elettronico (programma e link alle presentazioni). All'incontro hanno partecipato rappresentanti della Cancelleria federale e del progetto di voto elettronico del Cantone di Ginevra, che hanno presentato l'approccio ginevrino in questo ambito.

2.6 2.6.1

Media Conferenza ministeriale di Reykjavik

I Ministri responsabili dei media e dei nuovi servizi di comunicazione dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, alcuni esperti ed esponenti della società civile, del mondo giovanile e del mondo degli affari si sono riuniti il 28 e 29 maggio 2009 a Reykjavik per valutare gli sconvolgimenti sociali, culturali e tecnologici intervenuti nel settore dei media e della comunicazione nonché dibattere sulle sfide alla libertà d'espressione poste dai nuovi media o dai servizi affini, quali motori di ricerca, blog, social network o fornitori di servizi Internet. Questa conferenza ministeriale riveste grande importanza poiché ha definito gli indirizzi di lavoro del Consiglio d'Europa nel settore dei media e dei nuovi servizi di comunicazione per i prossimi anni.

Il risultato della Conferenza, che aveva per tema «Un nuovo concetto dei mass media?», è stata l'adozione di una dichiarazione politica globale e di una risoluzione intitolata «Verso un nuovo concetto dei mass media?», abbinata a un piano d'azione nonché di una ulteriore risoluzione sugli sviluppi in materia legislativa contro il

81

CM/Rec(2009)13.

1163

terrorismo negli Stati membri del Consiglio d'Europa e sul loro impatto sulla libertà di espressione e di informazione.

Riguardo al sottotema «Fiducia nel contenuto ­ fiducia nei media?», la Svizzera ha sottolineato l'importanza di un'adeguata regolamentazione dei media per quanto attiene ai nuovi servizi di comunicazione, in particolare Internet. In effetti, la quantità di informazioni veicolate dalla «grande rete» e la sua rapidità di trasmissione non implicano ipso facto una maggiore qualità dei contenuti. È perciò importante prendere le misure appropriate per promuoverne la diversità e il tenore qualitativo, sia su Internet che sui mezzi tradizionali.

La Svizzera, che ha partecipato attivamente sia alla preparazione della conferenza che all'evento stesso, ha insistito sulla necessità di sviluppare, con appropriati mezzi educativi, il senso critico del pubblico nei confronti dei servizi e delle tecnologie di nuova generazione. Con particolare riferimento a Internet, il nostro Paese ha esortato tutte le parti interessate a unirsi per definire comunemente una oculata gestione delle sue risorse, in linea con i bisogni reali degli utenti. Il Consiglio d'Europa, difensore per eccellenza dei valori legati ai diritti umani, è chiamato a svolgere un ruolo chiave in questo settore.

Nelle due giornate che hanno preceduto la conferenza ministeriale, Il Consiglio d'Europa ha organizzato un forum destinato ai giovani, allo scopo di dare ascolto alla voce di coloro che rappresenteranno la futura società dell'informazione e di arricchire il dibattito della conferenza. La Svizzera ha sostenuto la partecipazione a questo forum di un rappresentante della Federazione svizzera delle associazioni giovanili (FSAG).

Il 27 maggio, ossia all'immediata vigilia della conferenza ministeriale, il Consiglio d'Europa ha organizzato a Reykjavik ­ in collaborazione il ministero olandese dell'educazione, della cultura e delle scienze e l'«Institute for Information Law» dell'università di Amsterdam nonché con il sostegno del Ministero islandese dell'educazione, delle scienze e della cultura ­ un convegno intitolato «Le legislazioni antiterrorismo in Europa e le loro conseguenze sulla libertà di espressione e informazione».

Il convegno ha inteso consentire lo scambio delle esperienze fatte dagli Stati membri del Consiglio
d'Europa in tema di impatto delle leggi antiterrorismo e della loro attuazione pratica sulla libertà di espressione e di informazione. In questo ambito, rappresentanti dei media, della società civile, delle autorità nazionali hanno esaminato, insieme a esperti indipendenti, in quale misura gli standard del Consiglio d'Europa inerenti alla libertà di espressione e di comunicazione nel quadro della lotta al terrorismo vengono rispettati nella legislazione e nella prassi europea.

2.6.2

Dialogo europeo sulla governance di Internet (EuroDIG)

La Svizzera ha svolto un ruolo di primo piano nella messa a punto del secondo Dialogo europeo sulla governance di Internet (EuroDIG), organizzato congiuntamente dall'Unione europea di radiodiffusione e dall'Ufficio federale delle comunicazioni, con il sostegno del Consiglio d'Europa. Alla manifestazione, svoltasi a Ginevra il 14 e 15 settembre 2009, hanno partecipato oltre 200 rappresentanti di industria, governi, parlamenti e società civile. EuroDIG è una rete multipartner 1164

aperta al pubblico, creata nel 2008 allo scopo di allestire una piattaforma di scambio a livello paneuropeo dedicata alle sfide connesse con l'uso e la governance di Internet. L'impegno svizzero e del Consiglio d'Europa nello sviluppo di EuroDIG è stato molto apprezzato dai partecipanti. EuroDIG ha accolto favorevolmente la proposta di affidare al Consiglio d'Europa, con riserva di approvazione da parte delle sue istanze dirigenti, la gestione del proprio segretariato, al fine di garantire la continuità della sua azione.

I dibattiti in occasione dell'EuroDig hanno preparato il terreno per i contributi europei al Forum sulla governance di Internet, tenutosi a Sharm El Sheikh (Egitto) dal 15 al 18 novembre 2009. In questa occasione, rendendosi portavoce della presidenza elvetica del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, il consigliere federale Moritz Leuenberger si è pronunciato a favore di un rafforzamento della protezione e del rispetto dei diritti dell'uomo, della supremazia del diritto e della democrazia in Internet. Il Segretariato del Consiglio d'Europa e gli specialisti invitati hanno partecipato a sette manifestazioni organizzate o co-organizzate dal Consiglio e hanno assunto il ruolo di animatori in circa tredici gruppi di lavoro allestiti da altre istanze. All'IGF Il Consiglio d'Europa ha altresì organizzato un forum aperto durante il quale si è dibattuto sui rapporti tra libertà d'espressione e gestione delle risorse critiche in Internet in relazione agli aspetti del diritto internazionale. I rappresentanti della Svizzera hanno fornito un vasto contributo a queste manifestazioni.

2.6.3

Testi chiave adottati dagli organi del Consiglio d'Europa

Il Comitato dei ministri ha adottato, l'11 febbraio 2009, la Dichiarazione sul ruolo dei media comunitari nella promozione della coesione sociale e del dialogo interculturale. Il ruolo dei radiodiffusori comunitari è quello di facilitare in particolare l'accesso all'informazione e ai mezzi d'espressione alle fasce di popolazione sottorappresentate o emarginate, favorendo dunque la loro partecipazione ai processi decisionali.

Inoltre, l'8 luglio 2009 ha adottato la Raccomandazione che mira a proteggere i bambini contro i contenuti e i comportamenti pregiudizievoli e a promuovere la loro partecipazione attiva al nuovo ambiente dell'informazione e della comunicazione.

Essa intende garantire un livello coerente di protezione dei minorenni contro i contenuti pregiudizievoli e di sviluppare le capacità dei bambini nel settore dell'educazione ai media.

Il 27 gennaio 2009 l'Assemblea parlamentare ha adottato la Raccomandazione sui servizi dei media audiovisivi, il 25 giugno 2009 la Raccomandazione sul finanziamento della radiodiffusione di servizio pubblico e il 28 settembre 2009 la Raccomandazione sulla promozione di servizi dei media online e su Internet adeguati ai minorenni.

La Svizzera è rappresentata ad personam in tre nuovi gruppi di lavoro del Comitato direttivo sui media e i nuovi servizi di comunicazione (CDMC), istituiti in occasione della conferenza ministeriale di Reykjavik, ossia il gruppo di specialisti sui nuovi media, presieduto dalla Svizzera, il gruppo consultivo ad hoc sulla gestione dei media di servizio pubblico e il gruppo di specialisti sulla protezione dei diritti affini degli organismi di radiodiffusione. Un esperto svizzero è inoltre stato proposto da

1165

parte del CDMC per la collaborazione in seno al gruppo consultivo sull'Internet transfrontaliero.

Il capo dell'ufficio per gli affari internazionali dell'UFCOM ha fatto parte del comitato direttivo del CDMC sino alla fine del 2009.

2.6.4

Eurimages

Il Comitato direttivo di Eurimages ha dedicato cinque sedute al tema dei contributi a favore delle coproduzioni europee, dei distributori di film e delle sale cinematografiche. La Svizzera ha partecipato a quattro coproduzioni, tre delle quali realizzate dal nostro Paese. Ai produttori svizzeri sono stati attribuiti 205 000 euro. Dal 2006 e dall'adesione svizzera a MEDIA, solo i distributori ottengono sussidi per la distribuzione di film documentari e per la gioventù. Nel 2009 ne ha beneficiato un distributore per un ammontare di 4000 euro.

2.7

Comuni e regioni, cooperazione transfrontaliera

La Svizzera ha partecipato alla 16a conferenza del Consiglio d'Europa per i ministri competenti degli enti locali e regionali, svoltasi a Utrecht il 16 e 17 novembre 2009.

La delegazione è stata guidata dalla consigliera di stato sangallese Kathrin Hilber, accompagnata dai due esponenti della Direzione del diritto internazionale pubblico e dell'Ufficio federale di giustizia.

All'ordine del giorno della conferenza ministeriale, l'apertura alla firma di due protocolli aggiuntivi: il primo protocollo, inerente alle associazioni per la cooperazione euroregionale82, va ad aggiungersi agli altri due già annessi alla Convenzione quadro europea del 21 maggio 198083 sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali e prevede la possibilità, nell'ottica di una promozione e agevolazione della collaborazione transfrontaliera, di costituire «associazioni euroregionali di cooperazione», istituendo le necessarie basi legali. Ai lavori dedicati a questo protocollo sono intervenuti rappresentanti della Confederazione e dei Cantoni. La Svizzera è molto attiva sul versante della cooperazione transfrontaliera e l'adesione a questo nuovo strumento giuridico consentirà di completare il quadro normativo esistente.

Il secondo protocollo aggiuntivo, da annettere alla Carta europea dell'autonomia locale84, riguarda i diritti di cogestione nelle questioni locali e alla conferenza ministeriale ed è stato firmato da 12 Stati85. Il protocollo aggiuntivo intende rafforzare la partecipazione dei cittadini sul piano locale. Prima di un'eventuale firma, la Svizzera dovrà compiere ancora approfonditi chiarimenti riguardo ai riflessi del protocollo sul contesto nazionale.

82 83 84 85

RS 0.131.1 Siglata da sette Stati: Belgio, Francia, Germania, Lituania, Montenegro, Paesi Bassi e Slovenia.

RS 0.102 Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Islanda, Lituania, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Slovenia e Ungheria.

1166

I lavori per una Carta europea delle autonomie regionali sono sfociati in un documento interlocutorio di riferimento, che elenca l'acquis del Consiglio d'Europa in questo specifico settore86. Potrà essere d'aiuto agli Stati orientati a una regionalizzazione senza tuttavia rappresentare un documento impegnativo. I ministri ne hanno soltanto preso conoscenza; è mancato il consenso per andare oltre.

Dal 13 al 15 ottobre 2009 e dal 17 al 19 marzo 2010 si sono svolte a Strasburgo la 17a e 18a sessione plenaria del Congresso dei Comuni e delle regioni d'Europa. La delegazione svizzera, guidata in entrambe le occasioni dal suo presidente Dario Ghisletta, ha partecipato attivamente ai lavori, collaborando inoltre nel corso dell'anno alle attività dei quattro comitati statutari87. Alla 18a sessione, la consigliera di stato sangallese Kathrin Hilber, in rappresentanza della consigliera federale Micheline Calmy-Rey, ha tenuto un discorso sulle priorità della presidenza svizzera del Consiglio d'Europa.

3 3.1

Coesione sociale e qualità di vita Migrazioni

Nel 2009, il Comitato europeo sulle migrazioni (CDMG) si è dedicato all'attuazione del piano di lavoro approvato in occasione dell'8a conferenza dei ministri europei responsabili delle questioni migratorie88, che prevedeva in particolare i due progetti seguenti: ­

sviluppo delle attitudini dei migranti e rafforzamento della coesione sociale;

­

protezione dei diritti umani e della dignità delle persone migranti vulnerabili.

Nell'ambito di questi due progetti sono attualmente realizzati i sottoprogetti e i programmi seguenti: ­

gruppo di esperti «Rivalorizzazione delle attitudini ed esperienze dei migranti»;

­

promozione del benessere dei migranti (programma realizzato in collaborazione con il Comitato direttivo per l'uguaglianza tra donne e uomini, CDEG);

­

migranti vulnerabili anziani;

­

rapporti su politiche praticate da certi Stati in materia di migranti irregolari;

­

progetti di vita di minori non accompagnati;

­

nuovi approcci in materia di integrazione.

Nell'ottobre 2009 si è svolta a Barcellona una conferenza relativa a quest'ultimo sottoprogetto sul tema «Interazione tra i migranti e le società che li ospitano: le lezioni dell'azione politica e della pratica», alla quale la Svizzera ha partecipato.

86 87 88

Cfr. rapporto annuale 2004.

Comitati: questioni istituzionali, cultura e educazione, sviluppo sostenibile, coesione sociale.

Kiev, 4/5 settembre 2008.

1167

3.2

Affari sociali

Il 26 e 27 febbraio 2009 il Consiglio d'Europa ha tenuto a Mosca la sua prima conferenza dei ministri responsabili della coesione sociale. La delegazione svizzera è stata guidata dal consigliere federale Pascal Couchepin. La conferenza, intitolata «Investire nella coesione sociale ­ investire nella stabilità e nel benessere della società», ha offerto essenzialmente l'occasione per lanciare il rapporto della task force di alto livello sulla coesione sociale. La dichiarazione politica adottata al termine della conferenza formula una serie di richieste al Comitato dei ministri e i ministri si impegnano in particolare a sviluppare una politica integrata di coesione sociale, compatibilmente con i rispettivi contesti nazionali.

I ministri europei competenti per le questioni della famiglia, riunitisi il 16 e 17 giugno a Vienna, hanno adottato i principi guida per l'aiuto alle famiglie che desiderano avere figli. La delegazione svizzera è stata diretta dalla consigliera di stato sangallese Kathrin Hilber, presidente della Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali delle opere sociali. I ministri, prendendo atto che nei Paesi europei sono in atto le medesime tendenze ­ deboli tassi di fecondità, accesso tardivo alla maternità, priorità alla conciliabilità tra vita professionale e familiare ­ hanno raccomandato l'attuazione delle norme sulla famiglia emanate dal Consiglio d'Europa e suggerito spunti di riflessione in merito a eventuali attività da sviluppare dal Consiglio d'Europa sul terreno della famiglia e dell'infanzia.

Nel corso dell'anno in rassegna, la Svizzera ha partecipato alle attività del Forum europeo di coordinamento per il piano d'azione del Consiglio d'Europa a favore dei disabili (CAHPAH). Segnatamente, il nostro Paese ha preso parte ai lavori di una commissione di esperti incaricata di sviluppare per gli Stati membri, entro il 2010, degli indicatori che consentano di misurare i progressi nell'attuazione del piano di azione. Diversi di questi Stati sono in vantaggio sulla Svizzera in questo campo.

L'esperienza acquisita grazie alla partecipazione a questa commissione potrà essere utilizzata per la valutazione di misure volte a promuovere l'uguaglianza delle persone disabili, come prevede la legge del 13 dicembre 2002 sui disabili (RS 151.3). La Svizzera, pur non partecipando
attivamente ad altri gruppi di esperti del CAHPAH incaricati di studiare determinati aspetti attuativi del piano di azione, tiene in considerazione le raccomandazioni emanate da questi organi nell'attuazione e nello sviluppo della politica nazionale in materia di uguaglianza.

3.3

Sanità

Il Comitato europeo della sanità (CDSP) si riunisce ormai a scadenza annuale e il suo programma di lavoro è principalmente incentrato sul tema delle cure sanitarie per le persone vulnerabili (in particolare bambini) nonché sulla buona gestione dei sistemi sanitari. Il CDSP ha inoltre avviato una riflessione sul suo ruolo e il suo avvenire in un contesto di limitate risorse finanziarie e di personale. La Svizzera è stata eletta membro del comitato direttivo, con il mandato di esaminare tutte le possibili opzioni per il futuro del CDSP, compresa la possibilità di un eventuale trasferimento delle sue attività all'OMS/Europa.

A seguito dell'abolizione dell'accordo parziale nel settore sociale e della sanità pubblica, il Comitato per la protezione sanitaria dei consumatori si riunisce ora sotto l'egida della Direzione europea della qualità dei medicinali e cura della salute 1168

(DEQM). Il nuovo mandato di questo comitato, adottato l'11 marzo 2009 dai delegati dei ministri, mira ad assicurare la continuità dei lavori relativi ai cosmetici e agli imballaggi alimentari, definendo ambiti di interesse comuni con il settore farmaceutico e assicurando una opportuna complementarietà con i lavori di altre organizzazioni internazionali attive su questo versante.89 La Svizzera ha preso attivamente parte ai lavori del Comitato europeo sulla farmaceutica, che opera in seno alla DEQM dopo il trasferimento delle attività dell'ex accordo parziale nel settore sociale e della sanità pubblica. Sono stati istituiti tre comitati di esperti nei seguenti settori: norme di qualità e di sicurezza relativi alla prassi e alle cure farmaceutiche, classificazione internazionale dei medicamenti ai fini della loro vendita al pubblico; minimizzazione dei rischi per la salute pubblica derivanti dalla contraffazione di medicamenti. Per quanto concerne lo sviluppo di raccomandazioni sulla qualità e la sicurezza della prassi e delle cure farmaceutiche, la Svizzera ha potuto procedere a un utile scambio di informazioni che sono state utilizzate nell'ambito degli attuali progetti di riforma del quadro giuridico generale.

Al tema della contraffazione di medicamenti sono stati dedicati seminari di formazione per i rappresentanti delle autorità nazionali, che si aggiungono ad altre iniziative come una rete di «single points of contact» e una banca dati sui medicamenti illegali in fase di allestimento.

La Svizzera ha altresì partecipato attivamente ai negoziati per l'elaborazione della convenzione sulla contraffazione di prodotti medicinali e su infrazioni affini pericolose per la salute pubblica (Convenzione Medicrime), il cui testo è stato inoltrato al Comitato dei ministri unitamente al rapporto esplicativo. In particolare, il nostro Paese si è impegnato a favore della massima estensione possibile del campo di applicazione della Convenzione, attraverso l'inclusione di dispositivi medici e una definizione di infrazione affine che copre gli atti intenzionali che non hanno per oggetto le contraffazioni, ma che si verificano in contravvenzione dei vigenti sistemi di autorizzazione e certificazione. Infine, la Svizzera ha organizzato il 15 e 16 aprile 2010 una conferenza internazionale incentrata sull'attuazione
pratica di questa Convenzione, nel quadro della presidenza svizzera del Comitato dei ministri.

La Svizzera offre la sua collaborazione alle attività del Comitato direttivo sul trapianto di organi. In particolare ha partecipato alla 11a giornata europea sulla donazione di organi e 5a giornata mondiale sulla donazione di organi, svoltasi a Berlino nel mese di ottobre 2009 ­ nonché ai lavori del Comitato direttivo sulla trasfusione sanguigna.

La Farmacopea europea (Ph.Eur) è un'opera di riferimento per il controllo qualitativo dei medicamenti, degli eccipienti farmaceutici e di taluni dispositivi medici. In particolare essa contempla i principi attivi, i vaccini, i prodotti a base di sangue e le droghe medicinali. La Ph.Eur. costituisce un documento vincolante per i 37 Stati firmatari della Convenzione relativa all'elaborazione di una farmacopea europea90.

Nel 2009 il Consiglio d'Europa a pubblicato gli addenda 6.3, 6.4 e 6.5 alla sesta edizione della Ph.Eur.

Gli Stati firmatari sono tenuti sia a partecipare ai lavori di allestimento della Ph.Eur., che si svolgono a Strasburgo sotto la guida del DEQM, sia ad attuare le norme di qualità approvate nelle loro rispettive legislazioni nazionali. In questo compito sono 89 90

In particolare l'Unione europea e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare.

Unione europea compresa.

1169

affiancati da 23 Stati con lo statuto di osservatori. La Ph.Eur. incide sulla qualità dei medicamenti e delle sostanze medicinali a livello mondiale. Nel 2009 sono stati affidati alla Svizzera 77 mandati in diversi organi della Ph.Eur. A rappresentarla sono stati esperti del mondo industriale, universitario e dell'amministrazione pubblica, che hanno assicurato un impegno pari a sette impieghi annuali a tempo pieno: una realtà che dimostra la stima di cui gode il know-how elvetico nel campo della farmacopea. La Svizzera, la cui industria farmaceutica occupa un posto di vertice a livello mondiale, fornisce un contributo indispensabile allo sviluppo di nuove regolamentazioni sui medicamenti.

La Ph.Eur. deve non solo dettare nuove prescrizioni, ma provvedere a un costante aggiornamento delle monografie esistenti. Un contesto nel quale essa assicura, in funzione dei nuovi sviluppi tecnologici e scientifici, il controllo delle materie prime e delle preparazioni sul mercato mondiale nonché l'individuazione di crimini farmaceutici con l'obiettivo di combatterli.

La standardizzazione qualitativa acquista crescente importanza non soltanto nei settori innovativi e nelle nuove tecnologie come le terapie cellulari e genetiche, ma anche per i medicinali classici e complementari (omeopatia e medicina tradizionale cinese), come dimostra l'aumento delle norme in questi ambiti. Al fine di adempiere il mandato legale e assicurare le conoscenze necessarie in questo campo, la Svizzera ha istituito un nuovo Comitato di esperti di medicamenti e farmaci derivati dalla medicina complementare. Questo comitato, entrato in carica nell'agosto 2009, è deputato a stabilire e verificare le monografie dei medicinali derivanti dalla medicina tradizionale cinese, dall'omeopatia e dalla medicina antroposofica.

Il «Groupe Pompidou», gruppo di cooperazione del Consiglio d'Europa in materia di lotta contro l'abuso e il traffico illegale di stupefacenti, coordina le questioni legate alla politica della droga fra gli Stati membri e intende stabilire un nesso fra politica, scienza e lavoro in questo settore. I forum di discussione pubblici, estranei a ogni influsso giuridico o politico, rivestono grande importanza per ciascun Stato membro poiché rappresentano di fatto uno dei motori di una politica innovativa. La Svizzera ha continuato
ad approfondire l'attività «sfida dipendenza» in relazione agli sviluppi nazionali e partecipa con altri sei Stati membri a uno studio empirico su questo tema. Il «Groupe Pompidou» annovera attualmente 35 Paesi membri ai quali si aggiunge la Commissione europea.

Nel quadro delle piattaforme «terapia e trattamento», la Svizzera ha organizzato una conferenza con esperti rinomati e sul tema dell'etica ha avuto modo di scambiare e condividere esperienze con gli altri Paesi membri.

3.4

Protezione degli animali

Nel dicembre 2009 al plenum del Comitato permanente della Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti (STE 087) sono state presentate per approvazione le raccomandazioni sull'allevamento di varie specie ittiche. L'UE ha rinunciato a un coordinamento, cosicché tutti gli Stati membri hanno avuto modo di deliberare singolarmente. Le raccomandazioni sono state accettate da tutti ad eccezione della Spagna e della Francia. Il rifiuto espresso da questi Paesi è da imputare a questioni procedurali interne all'UE e alle versioni francesi lacunose. L'ufficio del

1170

Comitato fugherà a livello bilaterale le riserve residue. La revisione della raccomandazioni sull'allevamento di bovini è stata conclusa in una forma accettabile per la Svizzera91.

3.5

Ambiente e protezione della natura

Il Consiglio per la Strategia paneuropea per la diversità biologica e paesaggistica (STRA-CO) si è riunito nell'ambito della 5a conferenza sulla biodiversità in Europa che si è tenuta dal 22 al 24 settembre 2009 a Liegi (Belgio)92. Questo incontro era dedicato al rafforzamento paneuropeo delle sinergie per l'attuazione della Convenzione relativa alla varietà biologica e alla messa a punto dei punti essenziali della 10a conferenza degli Stati contraenti della Convenzione sulla diversità biologica che ha avuto luogo nell'ottobre 2010 a Nagoya (Giappone).

Un rappresentante dell'Ufficio federale dell'ambiente ha partecipato ai lavori dei vari gruppi di esperti93 della Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa94.

Gli Stati contraenti si sono riuniti a Berna dal 23 al 26 novembre 2009 per la prima volta non a Strasburgo su invito della Svizzera, precisamente in occasione del 30° anniversario della «Convenzione di Berna», durante la presidenza svizzera del Consiglio d'Europa. L'incontro è stato aperto dal consigliere federale Moritz Leuenberger. La delegazione ha proseguito in particolare i lavori relativi alla protezione di diversi gruppi di specie95 e dell'ambiente naturale in Europa.

La Convenzione europea del paesaggio (STE 176) si prefigge di proteggere, gestire e pianificare i paesaggi urbani, periurbani, culturali e naturali, di integrare i paesaggi nelle politiche settoriali e di rivalutare i paesaggi degradati. La Convenzione è entrata in vigore il 31 marzo 2004 e attualmente annovera 30 Stati contraenti. Sei altri Paesi, fra i quali la Svizzera, hanno firmato la Convenzione, ma non l'hanno ancora ratificata. Sul piano tecnico, Malmö (Svezia) ha ospitato l'8 e il 9 settembre l'ottava riunione dei workshop per l'attuazione della Convenzione, dedicata al tema «Paesaggi e forze determinanti», a cui hanno partecipato circa 250 rappresentanti governativi, esperti e partecipanti di organizzazioni non governative provenienti da più di 30 Stati. Alla sessione plenaria di maggio 2009 del Comitato direttivo del patrimonio culturale e del paesaggio (CDPATEP) il rappresentante svizzero per la Convenzione del paesaggio è stato rieletto vicepresidente per il biennio 2009­2010.

91 92 93

94 95

L'adozione è prevista per la sessione plenaria nell'autunno 2010.

La STRA-CO è attualmente presieduta dalla Svizzera.

Gruppi di esperti: per l'istituzione della Rete Smeraldo delle zone di interesse speciale per la conservazione e Comitato d'esperti per la costituzione della Rete ecologica paneuropea nonché il gruppo di specialisti per il Diploma europeo degli spazi protetti, quest'ultimo sotto l'egida della presidenza.

«Convenzione di Berna» (STE 104).

Piante, invertebrati, anfibi, rettili, uccelli minacciati.

1171

3.6

Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB)

A dispetto della crisi economica globale, anche nel 2009 la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) ha realizzato un utile (107 mio. euro), da ascrivere all'aumento della domanda nell'Europa orientale. Il dibattito sull'attuazione della precedente analisi strategica dell'istituzione ha rivestito una particolare importanza.

Argomenti centrali sono stati il rafforzamento della concentrazione tematica e geografica nonché il miglioramento della governance dell'istituzione. Insieme a Stati di uguale orientamento, la Svizzera si è fortemente adoperata a favore dell'adozione di riforme volte in particolare all'incremento dell'efficienza e allo snellimento della struttura assistenziale europea. Nel 2009 è stato approvato anche il nuovo Piano di sviluppo 2010­2014, che prevede fra l'altro un aumento degli investimenti nell'Europa centrale e sudorientale.

3.7

Centro Nord-Sud

Nel 2009 il Centro europeo per l'interdipendenza e la solidarietà globale (Centro Nord-Sud) ha festeggiato a Lisbona il suo 20° anniversario. Nella cornice dei festeggiamenti si sono tenuti la 42a riunione del Comitato esecutivo del Centro nonché il Forum di Lisbona (12 e 14 novembre 2009).

Cinque Paesi hanno aderito al Centro Nord-Sud nel corso del periodo in rassegna: la Francia, l'Italia (per entrambe si tratta di un rientro), la Serbia e due Stati non membri del Consiglio d'Europa, Capo Verde e Marocco. Questo accordo parziale, sottoscritto dalla Svizzera nel 1991, comprende attualmente 22 Stati.

4 4.1

Coesione culturale e pluralismo delle culture Cultura e patrimonio culturale

Nell'anno in esame la Svizzera si è sempre dimostrata attiva in seno al Comitato direttivo della cultura. Delegando degli esperti e apportando un contributo finanziario, essa ha concorso in ampia misura all'elaborazione di una raccomandazione relativa alla politica cinematografica e alla diversità delle forme di espressione culturale, raccomandazione poi adottata in settembre dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Lo strumento giuridico (non vincolante) invita all'adozione di politiche cinematografiche globali che comprendano l'intero processo creativo. La raccomandazione contiene proposte che invitano i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa ad adeguare i loro regimi d'incentivazione all'evoluzione tecnologica e culturale e a ottimizzare l'utilizzo delle risorse al fine di accrescere la diffusione delle opere cinematografiche e di consentire al pubblico di accedervi più facilmente.

Nell'ambito del progetto «città interculturali», il Cantone di Neuchâtel ha organizzato una visita di studio che ha consentito ai rappresentanti delle undici città partner di scoprire la strategia interculturale del Cantone. La visita è stata seguita da una manifestazione pubblica, tenutasi il 27 novembre 2009 nel quadro della presidenza svizzera del Comitato dei ministri, dedicata alla «diversità culturale in Svizzera».

1172

Nel settore del patrimonio culturale, la Svizzera sta dando prova di impegno in seno al Comitato direttivo del patrimonio culturale e del paesaggio. Ha partecipato intensamente ai lavori di controllo del progetto «Rete europea del patrimonio», lo strumento di monitoraggio della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico dell'Europa96 e la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico97.

4.2

Educazione e insegnamento superiore

Per quanto attiene al Comitato direttivo dell'educazione, nell'anno in rassegna i lavori sono stati incentrati sull'elaborazione e l'adozione di un trattato non vincolante sull'educazione alla cittadinanza democratica (ECD) come pure sulla preparazione della prossima conferenza dei ministri europei dell'Educazione nel 2010. Il regolamento ECD riporta in forma sintetica il risultato dei lavori svolti negli ultimi anni dal Comitato in questo settore. Gli esperti svizzeri hanno ricoperto un ruolo rilevante in particolare a seguito delle loro attività di assistenza tecnica in Europa sudorientale. Le attività in parola vertevano soprattutto sull'aggiornamento dei programmi e dei mezzi d'insegnamento ECD in questa regione. Il programma «lingue vive» così come i lavori del centro di Graz rivestono tuttora un'importanza cruciale per lo sviluppo della strategia d'insegnamento delle lingue in Svizzera. A questo proposito, l'anno in esame è stato ampiamente dedicato ai lavori scientifici in vista della prossima grande conferenza sull'insegnamento delle lingue che si svolgerà in Svizzera nel 2010.

Il Comitato direttivo dell'insegnamento superiore e della ricerca (CDESR) ha tenuto nel 2009 la sua 8a seduta plenaria. Il Consiglio d'Europa, attraverso il Comitato, continua a ricoprire un ruolo essenziale nello sviluppo del processo di Bologna, in particolare, grazie alla partecipazione al «Bologna Follow Up Group». Questi contributi si concretano anche nei lavori e nel coordinamento per agevolare la condivisione di esperienze in vista dell'allestimento dei quadri nazionali di qualificazione per le università compatibili con il quadro dello Spazio europeo dell'insegnamento superiore. Il Consiglio d'Europa ritiene importante coordinare i due quadri europei: il quadro per le università e il quadro per l'apprendistato lungo l'intero arco della vita. Il tema dell'assicurazione della qualità, d'importanza fondamentale nel processo di Bologna, ha spinto il CDESR ad adottare la Dichiarazione sull'assicurazione della qualità, la classifica e la tipologia alla luce dei compiti dell'insegnamento superiore. Altri contributi alle attività del processo sono previsti in vista della strategia e dello sviluppo del processo di Bologna oltre il 2010.

Il Comitato ha partecipato alle riflessioni sul ruolo e le funzioni dell'insegnamento
superiore in vista del consolidamento della cultura democratica e del dialogo interculturale con il progetto «Università tra umanesimo e mercato». Le attività promosse termineranno nel 2011 con l'elaborazione delle raccomandazioni. Il CDESR ha deciso di realizzare uno studio di fattibilità sull'elaborazione di uno strumento normativo inerente alla libertà accademica, all'autonomia delle università e al ruolo dei poteri pubblici.

96 97

RS 0.440.4 RS 0.440.5

1173

4.3

Gioventù

Le priorità del settore della gioventù del Consiglio d'Europa per i prossimi tre anni (2010­2012) sono state definite come segue: diritti dell'uomo e democrazia; coesistenza in una società pluralistica e integrazione sociale dei giovani, conformemente alle priorità dell'«Agenda 2020: orientamenti per la politica della gioventù del Consiglio d'Europa per i prossimi dieci anni», documento adottato in occasione della Conferenza dei ministri responsabili della gioventù riunitisi a Kiev nell'ottobre 2008.

Inoltre, nel quadro della strategia 2009­2011 del programma «Costruire un'Europa per e con i bambini», è stato istituito nel 2009 un gruppo consultivo ad hoc sulla partecipazione dei bambini e dei giovani che fa capo alla Direzione della gioventù e dello sport. Ai lavori partecipa un esperto indipendente svizzero. Fra i compiti stabiliti figurano la definizione di linee direttrici sulla partecipazione dei bambini e dei giovani a livello locale, nazionale ed europeo come pure la valutazione della possibilità di aggiornare le raccomandazioni del Comitato dei ministri in proposito o di elaborarne una nuova.

4.4

Sport

Alla fine del 2009, 32 Stati avevano aderito all'Accordo parziale allargato sullo sport (EPAS) e due altri hanno ottenuto lo statuto di osservatori. Nel 2009 la Svizzera ha partecipato attivamente alla realizzazione delle priorità fissate in occasione dell'11a Conferenza dei ministri dello sport del dicembre 2008 negli ambiti dell'autonomia e dell'etica nello sport. La Svizzera ha parimenti preso parte alla terza riunione del Comitato di direzione dell'EPAS che si è svolta a Baku nel maggio 2009 e durante la quale sono stati definiti le priorità di lavoro 2010 e il preventivo 2010 dell'EPAS; è stata preparata anche la prossima seduta dei ministri dello sport, che si terrà nel settembre 2010 a Baku. Infine, la Svizzera ha proposto il tema di una tavola rotonda ­ l'insegnamento dell'educazione fisica a scuola ­ che si è svolta a Parigi in ottobre e alla quale è intervenuta; del pari, su invito delle autorità serbe e dell'EPAS, una delegazione elvetica si è recata a Belgrado in ottobre per assistere a una conferenza dedicata al tema «La lotta contro il razzismo e la violenza per mezzo della diversità nello sport».

Il Comitato permanente incaricato dell'attuazione della Convenzione europea del 19 agosto 1985 sulla violenza e i disordini provocati dagli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente le partite di calcio, concentra le proprie attività sulla lotta contro la violenza in occasione di eventi sportivi. Nel corso del 2009, il Comitato permanente si è riunito due volte. Nel primo incontro a Lisbona, tutti gli Stati membri hanno accettato e poi notificato la raccomandazione sulle proiezioni pubbliche. L'esperienza maturata durante il campionato di calcio EURO 2008 ha consentito alla Svizzera di apportare un contributo fondamentale all'elaborazione di questa raccomandazione. Il Comitato ha anche approvato le raccomandazioni sugli steward e gli strumenti pirotecnici. La Svizzera ha altresì presentato la valutazione delle misure di sicurezza adottate in occasione di EURO 2008. La seconda riunione del Comitato permanente, tenutasi a Strasburgo, si è svolta all'insegna della Coppa del mondo di calcio 2010 in Sudafrica. In quanto Paese partecipante, la Svizzera ha ricevuto dalla FIFA e dalle autorità sudafricane informazioni di prima mano sullo 1174

stato di avanzamento dei preparativi e sulla sicurezza. La Svizzera ha infine compilato come di consuetudine il questionario sui rapporti annuali dei Paesi partecipanti destinato al Comitato permanente.

Nell'ambito dei vari gruppi di lavoro legati alla Convenzione contro il doping, la Svizzera ha portato avanti il suo contributo allo sviluppo del programma mondiale di lotta al doping. Gli standard per le eccezioni a scopo terapeutico sono entrate in vigore il 1° gennaio 2010. Fra l'Agenzia mondiale anti-doping e l'Europa vi sono divergenze in ordine alla protezione dei dati personali. Ciò malgrado, grazie ai lavori e alle proposte di un gruppo di lavoro «Diritto», si è osservato un certo ammorbidimento delle posizioni. All'interno di questo gruppo di lavoro è stata inoltre preparata la posizione dell'Europa riguardo alla prima riunione di esame della Convenzione dell'UNESCO contro il doping. Nel quadro del programma «rispetto degli impegni», la Svizzera ha partecipato, sotto la direzione di uno specialista della fondazione «Antidoping Svizzera», a una visita di valutazione in Germania.

1175

Allegato 2

Rapporto sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo (2007­2011)

(In risposta al postulato «Rapporto periodico sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo» della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale, del 14 agosto 2000)

1176

Compendio I progressi registrati sia sul piano normativo che su quello istituzionale, universale e regionale nel corso degli ultimi 20 anni sono offuscati da diversi fattori politici e sociali. Dalla fine degli anni Novanta l'universalità dei diritti dell'uomo comincia a essere messa in discussione. Le stesse nozioni di libertà d'espressione e di libertà religiosa sono messe in dubbio allo scopo di ridurne la portata. D'altro canto, il ricorso alla tortura da parte di governi occidentali nell'ambito della lotta contro il terrorismo ha circondato di un alone di discredito le loro più ampie azioni di promozione e protezione dei diritti dell'uomo. Inoltre, la crisi alimentare del 2007­ 2008 ha colpito i Paesi e le frange sociali più poveri e vulnerabili. I Paesi in sviluppo hanno fatto ricadere sugli Stati occidentali le principali responsabilità del sottosviluppo economico. La combinazione di queste due onerose tendenze fa sì, fra l'altro, che le norme adottate a livello internazionale non vengano messe in pratica.

Per mancanza di mezzi e di volontà politica, ma anche per mancanza di fiducia reciproca, numerose norme sembrano rimanere, se non lettera morta, perlomeno confinate a una dimensione declamatoria piuttosto che alla loro natura obbligatoria.

La politica estera della Svizzera in materia di diritti dell'uomo è stata definita nel corso degli anni precedenti e comporta tre aspetti prioritari: la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo a carattere imperativo o non suscettibili di deroga in periodo di stato d'emergenza; la protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili; infine il contributo allo sviluppo delle norme e alla loro applicazione nei settori sensibili direttamente colpiti dalla globalizzazione. Secondo il Consiglio federale, le tre priorità indicate mantengono la loro pertinenza sia dal profilo generale della promozione e della protezione dei diritti dell'uomo, sia dal profilo delle attività svolte sinora dalla Svizzera, con il capitale di competenze accumulato e di credibilità acquisita che ciò comporta. Tuttavia il Consiglio federale, pur volendo mantenere la flessibilità necessaria per adeguarsi ai cambiamenti nel contesto internazionale, intende precisare i settori nei quali la Svizzera si impegnerà, in particolare contribuendo allo sviluppo di norme e alla loro applicazione
negli ambiti sensibili direttamente colpiti dalla globalizzazione.

La Confederazione ha promosso diverse iniziative intese a consolidare i diritti dell'uomo a livello normativo. Il ricorso alle società di sicurezza e alle società militari private (PMSC) nei conflitti armati è controverso. Sulla base delle questioni giuridiche sollevate in caso di violazione delle disposizioni del diritto internazionale da parte degli impiegati di queste società, la Svizzera ha lanciato un'iniziativa che ha permesso di elaborare un Codice di condotta per le società del ramo. Una seconda iniziativa, avviata in occasione dei sessant'anni della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, si prefiggeva di elaborare un'Agenda dei diritti dell'uomo per il prossimo decennio. Il documento «Proteggiamo la dignità: un'agenda per i diritti dell'uomo» pubblicato da un gruppo di esperti indipendenti contiene proposte concrete e intende far progredire il rispetto dei diritti umani. In una terza iniziativa,

1177

la Svizzera promuove la presa in considerazione dei diritti dell'uomo, in particolare gli aspetti legati alla lotta contro l'impunità, nella negoziazione e nell'attuazione degli accordi di pace. In seno al Consiglio dei diritti dell'uomo la Confederazione e il Regno del Marocco hanno presentato il progetto di una Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti dell'uomo. L'iniziativa si prefigge di diffondere i diritti dell'uomo attraverso l'educazione e far conoscere questi diritti affinché siano rispettati. La Commissione per l'emancipazione giuridica dei poveri (CLEP), i cui lavori hanno avuto l'appoggio della Svizzera, afferma che l'emancipazione dei poveri attraverso il diritto può essere realizzata sulla base dei seguenti quattro pilastri: accesso alla giustizia e Stato di diritto; diritti di proprietà; diritto del lavoro e diritto di intraprendere.

Esistono determinati meccanismi interni di consultazione e di decisione allo scopo di rafforzare la coerenza fra le attività riguardanti i diritti dell'uomo e le altre attività. Inoltre, l'integrazione graduale della dimensione dei diritti umani (mainstreaming) nella definizione e nell'attuazione delle politiche dell'Amministrazione federale contribuisce a rafforzare la coerenza della nostra politica estera. Il Consiglio federale dispone di diversi strumenti di coordinamento della sua politica estera: dialoghi sui diritti dell'uomo; interventi e contatti politici bilaterali e multilaterali, dichiarazioni del Consiglio federale e misure protocollari o diplomatiche con valore simbolico. A tali strumenti si aggiungono inoltre azioni più dirette: programmi di sostegno, progetti, invio di esperti. Se il ventaglio di strumenti a disposizione non è cambiato in modo considerevole, taluni di essi sono stati perfezionati.

La Svizzera ha stabilito partenariati strategici con diversi istituti universitari e centri di ricerca, in Svizzera e altrove. La decisione del Consiglio federale del luglio 2009 di avviare il progetto pilota «Acquisto di servizi presso un Centro di competenza universitario nel settore dei diritti dell'uomo» costituisce un ambito supplementare di questa estesa cooperazione con attori non statali. Inoltre, il settore privato è un attore e un partner importante della Svizzera in materia di attuazione dei diritti
dell'uomo; si intrecciano strette relazioni di lavoro sia con imprese svizzere che con il settore privato estero. Infine, le ONG attive sia a livello locale che internazionale sono a loro volta importanti partner della Svizzera.

I diritti dell'uomo costituiscono una dimensione rilevante della politica estera della Svizzera. Le priorità fissate rispondono ai bisogni e alle grandi sfide in materia di promozione e protezione dei diritti dell'uomo. La loro formulazione generale permette al Consiglio federale di adeguare rapidamente la sua azione ai mutamenti dell'ambiente politico internazionale e di sfruttare ogni occasione per lanciare o sostenere iniziative specifiche.

1178

Indice 1. Introduzione 2. Contesto internazionale in materia di diritti dell'uomo: sfide e prospettive 2.1 Osservazioni preliminari 2.2 Universalità dei diritti dell'uomo e diversità culturale 2.3 Applicazione delle norme 2.4 Libertà d'espressione 2.5 Diritti economici, sociali e culturali e diritti civili e politici 2.6 Responsabilità multiple 2.7 Le migrazioni 2.8 Orientamento sessuale 2.9 Diritto allo sviluppo e lotta contro la povertà 2.10 Lotta contro il razzismo

1181 1181

3 Le priorità della Svizzera 3.1 Osservazioni preliminari 3.2 Difesa e promozione dei diritti dell'uomo a carattere imperativo 3.2.1 Diritto alla vita 3.2.2 Divieto della tortura 3.3 Gruppi vulnerabili 3.3.1 Diritti delle donne 3.3.2 Diritti dei fanciulli 3.3.3 Minoranze 3.3.4 Razzismo 3.3.5 Migrazioni 3.3.6 Sfollati all'interno del proprio Paese 3.3.7 Difensori dei diritti dell'uomo 3.3.8 Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) 3.4 Ambiti che risentono in modo particolare della globalizzazione 3.4.1 Diritti economici, sociali e culturali 3.4.2 Lotta contro la povertà 3.4.3 Economia e diritti dell'uomo 3.5 Il consolidamento istituzionale

1192

4 Iniziative della Svizzera 4.1 Società di sicurezza e società militari private 4.2 Agenda per i diritti dell'uomo 4.3 Giustizia di transizione 4.4 Educazione e formazione ai diritti dell'uomo 4.5 Diritti di proprietà quali diritti umani e lotta contro l'esclusione dei poveri

1212

1179

5 Efficacia e coerenza: gli strumenti a disposizione 5.1 Meccanismi interni 5.2 Strumenti diplomatici

1216

6 Cooperazione con gli attori non statali

1218

7 Conclusioni

1219

1180

Rapporto 1

Introduzione

Il presente rapporto è il secondo che il Consiglio federale sottopone al Parlamento in risposta al postulato della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale del 14 agosto 2000 (00.3114 ­ Rapporto periodico sulla politica della Svizzera sui diritti dell'uomo), accettato dal Consiglio federale il 13 settembre 2000, secondo il quale: «Il Consiglio federale è incaricato di sottoporre al Parlamento una volta per legislatura un rapporto che renda conto delle misure prese, attuate o che intende prendere per promuovere una politica della Svizzera in materia di diritti dell'uomo efficace e coerente: ­

quali sono gli obiettivi fissati e le misure prese dalla Svizzera in materia di diritti dell'uomo e qual è la valutazione della loro efficacia;

­

come viene tenuto conto dei diritti dell'uomo nelle diverse politiche (in particolare: sviluppo, commercio estero, migrazioni e promozione della pace), come sono trattati i conflitti d'interesse tra diritti dell'uomo e le altre priorità;

­

quali sono le misure messe in atto per rafforzare l'efficacia e la coerenza dell'attività della Svizzera in materia di politica estera e di commercio estero, quali sono le misure che potrebbero rafforzarle;

­

come partecipano o come è possibile far partecipare la società civile, le imprese e gli ambienti scientifici allo sviluppo dei diritti dell'uomo.»

Il rapporto contiene un capitolo che traccia le grandi tendenze in materia di diritti dell'uomo sulla scena internazionale (n. 2); in seguito presenta le priorità e le azioni della Svizzera in materia di diritti dell'uomo (n. 3) e le principali iniziative della Svizzera dopo il rapporto del 2006 (n. 4). Enumera gli strumenti a disposizione del Consiglio federale (n. 5) e illustra le varie modalità di cooperazione con gli attori non statali (n. 6), prima di trarre alcune conclusioni (n. 7).

2 2.1

Contesto internazionale in materia di diritti dell'uomo: sfide e prospettive Osservazioni preliminari

Le speranze suscitate dalla Conferenza mondiale sui diritti dell'uomo di Vienna nel 1993 che ribadiva l'universalità, l'interdipendenza e l'indivisibilità dei diritti dell'uomo sono state concretizzate in un primo tempo mediante l'elaborazione e l'adozione di strumenti di promozione e di protezione dei diritti umani. La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006), la Convenzione internazionale sulla protezione di ogni persona dalle sparizioni forzate (2007), i due Protocolli facoltativi alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (2000)98 e la 98

La Svizzera ha ratificato il Protocollo facoltativo relativo alla partecipazione di fanciulli a conflitti armati il 26 giugno 2002 e il Protocollo facoltativo concernente la vendita di fanciulli, la prostituzione infantile e la pedopornografia il 19 settembre 2006.

1181

Dichiarazione sui diritti dei popoli autoctoni (2007) rappresentano soltanto alcuni degli importanti successi nel consolidamento dell'architettura normativa universale.

Sul piano istituzionale, la costituzione dell'Alto Commissariato per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite nel 1993 e del Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra nel 2006, su iniziativa in particolare della Svizzera, costituiscono due anelli fondamentali per la promozione e la difesa dei diritti umani nel mondo.

Questo ampliamento normativo è stato accompagnato da un rafforzamento degli strumenti di controllo e di monitoraggio: il Protocollo facoltativo alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (1999)99, il Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura (2002)100, il Protocollo facoltativo al Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (2009)101 e gli attuali negoziati sul Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del fanciullo, consolidano e amplificano le possibilità date alle vittime di violazioni di ricorrere dinanzi a un'istanza di controllo e di riparazione, giudiziaria o non giudiziaria, o intesa a prevenire le violazioni.

A livello regionale, il Consiglio d'Europa e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) hanno fornito importanti elementi nella costruzione e nel rafforzamento delle istituzioni democratiche rispettose dei diritti umani sul nostro continente e in particolare negli ex Stati dell'Europa centrale e orientale.

L'OSCE, nella sua dimensione umana, ha concentrato i suoi lavori sulla libertà dei media, sulla lotta contro il razzismo e a favore della libertà religiosa. Un altro importante settore d'attività dell'OSCE riguarda i diritti delle minoranze. I conflitti che hanno scosso parti del continente europeo negli anni Novanta in effetti hanno spesso avuto come causa delle tensioni etniche o etnico-religiose. La competenza dell'OSCE nel settore della sicurezza unita a questa constatazione l'ha spinta a privilegiare un approccio consistente nell'identificare e nel cercare di risolvere il più presto possibile le tensioni etniche e etnico-religiose, in particolare con l'istituzione di un Alto Commissario per le minoranze nazionali.

Sul piano normativo, il Consiglio d'Europa ha adottato
strumenti importanti come la Convenzione sulla cibercriminalità (2001)102, il Protocollo 13 relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza (2002)103 e il Protocollo 14 il quale emenda il sistema di controllo della Convenzione (2004)104.

Altrove, sempre a livello regionale, l'Unione africana si è dotata di una Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli (1998); l'ASEAN (Associazione delle Nazioni dell'Asia sudorientale) ha istituito nel 2009 una Commissione intergovernativa per i diritti dell'uomo, embrione potenziale di una Corte regionale autonoma; la Lega degli Stati arabi, infine, ha riveduto la sua Carta araba dei diritti dell'uomo nel 2004, apportando alcuni miglioramenti alla versione precedente ma omettendo di dare la possibilità ai cittadini vittime di violazioni dei diritti dell'uomo di presentare comunicazioni o di sporgere denuncia presso una Corte sovrastatale indipendente.

Queste iniziative regionali rimangono al di sotto degli standard stabiliti in particolare 99 100 101 102

Ratificato dalla Svizzera il 29 settembre 2008.

Ratificato dalla Svizzera il 24 settembre 2009.

Non ratificato dalla Svizzera.

La Svizzera ha firmato la Convenzione sulla cibercriminalità il 23 novembre 2001; il 13 marzo 2009 il Consiglio federale ha avviato una consultazione sulla sua approvazione e attuazione.

103 Ratificato dalla Svizzera il 3 maggio 2002.

104 Ratificato dalla Svizzera il 25 aprile 2006.

1182

dal Consiglio d'Europa, ma possono contribuire a porre le basi per la costruzione di un edificio normativo e istituzionale regionale.

Questi progressi, sia sul piano normativo che sul piano istituzionale, universale e regionale, sono tuttavia offuscati da diversi fattori politici e sociali. Dalla fine degli anni Novanta, il rafforzamento politico dell'Organizzazione della conferenza islamica (OCI) e del Movimento dei non allineati (NAM) è coinciso con l'emergere di una messa in discussione dell'universalità dei diritti dell'uomo. Tramite i valori islamici e sotto l'apparenza della diffamazione delle religioni (ovvero l'islamofobia), la libertà d'espressione ma anche la libertà di religione sono rimesse in causa.

La lotta contro il terrorismo avviata dagli Stati occidentali ha contribuito a rafforzare le posizioni dell'OCI. I disaccordi fra il mondo islamico e il mondo occidentale provocati in particolare dagli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti hanno alimentato pratiche discriminatorie nei confronti dei musulmani. Il mancato rispetto da parte di un certo numero di governi occidentali dei diritti elementari delle persone arrestate nell'ambito di questa lotta ha gettato un alone di discredito sulle loro azioni di promozione e di protezione dei diritti dell'uomo: essi sono accusati di applicare doppi standard; di additare le mancanze degli altri non rispettando i diritti delle persone sotto la loro giurisdizione, in particolare quelli dei cittadini stranieri, di ignorare l'aiuto internazionale indispensabile allo sviluppo economico e sociale, necessario anche a instaurare lo Stato di diritto, il buon governo e istituzioni statali, amministrative e giudiziarie.

Su questa dimensione «culturale» si inserisce la dimensione macroeconomica. La crisi alimentare del 2007­2008 ha colpito i Paesi e le frange sociali più poveri e vulnerabili. Le cause strutturali sono complesse, e vanno dalle questioni climatiche a un aumento della domanda di cereali, da una produzione di agrocarburanti diventata redditizia in seguito all'aumento del prezzo del petrolio, alla riduzione del suolo arabile. A tutto questo si è ancora aggiunta la crisi finanziaria che ha provocato un aumento dei prezzi delle materie prime, diventate beni rifugio. La speculazione sui prezzi delle derrate alimentari di base ha fatto
piombare numerosi Paesi in uno stato di crisi che è sfociato in sollevamenti e instabilità politiche. Fra i fattori all'origine della sottoalimentazione si trovano in particolare la ripartizione disuguale delle risorse, le ingiustizie sociali, l'esclusione politica o economica, la discriminazione, i prezzi inaccessibili degli alimenti per i poveri e la loro produzione insufficiente. I Paesi in sviluppo hanno rinfacciato ai Paesi industrializzati di non considerare in modo adeguato i problemi urgenti di una popolazione crescente e povera e di far ricadere su di essi le principali responsabilità del sottosviluppo economico.

Il mancato rispetto degli impegni internazionali in materia di aiuto pubblico allo sviluppo, ma anche la dimensione delle politiche migratorie restrittive applicate dai Paesi economicamente avanzati contribuiscono a scavare un fossato sempre più ampio, in generale, fra i Paesi che traggono profitto dalla globalizzazione e quelli che ne subiscono le conseguenze negative. Dal profilo dei diritti dell'uomo, la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie è entrata in vigore nel 2003. Benché sia stata ratificata soltanto da una quarantina di Stati, con la significativa esclusione di tutti gli Stati destinatari fra cui la Svizzera, essa focalizza su di sé il dibattito tanto sulle discriminazioni dei cittadini stranieri nei Paesi che accolgono i flussi migratori, quanto sulle loro politiche migratorie restrittive. La lotta legittima contro la pratica ignobile della tratta e del traffico di esseri umani contribuisce a complicare il problema in materia di migrazione e di protezione dei diritti umani. In effetti, gli stru1183

menti pertinenti, in particolare il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini e il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria105 riconoscono che le cause strutturali quali la povertà, il sottosviluppo e la mancanza di opportunità rendono gli individui, in particolare donne e fanciulli, vulnerabili al traffico di esseri umani e alla tratta delle persone. Tuttavia, la dimensione repressiva del diritto penale prevale a livello internazionale sugli aspetti di migrazione e di protezione delle vittime. È dunque importante non porre sullo stesso piano le politiche migratorie e la lotta contro il traffico di esseri umani e la tratta delle persone. Analogamente, a livello internazionale emergono divergenze fondamentali per quanto riguarda l'applicazione dei diritti dell'uomo nella lotta contro la criminalità e in particolare nella politica internazionale della droga. Taluni gruppi di Paesi si oppongono al fatto che la necessità dell'applicazione dei diritti umani sia menzionata nelle situazioni di lotta contro il traffico di stupefacenti o contro diverse forme di criminalità imputabili al crimine organizzato, ostacolando la cooperazione interstatale in materia.

Queste divergenze di fondo fanno riapparire le pratiche di un tempo che reclamavano l'aiuto pubblico allo sviluppo motivandolo con la separazione dei diritti economici, sociali e culturali e dei diritti civili e politici e ponendo in secondo piano la garanzia delle libertà individuali. Questa separazione, corretta a Vienna nel 1993, riappare con forza nei forum multilaterali, seppure in termini che hanno abbandonato la retorica dell'indipendenza dei popoli a favore di un discorso che reclama una parte della torta della globalizzazione. La combinazione di queste due tendenze onerose ­ rafforzamento dell'architettura normativa da un lato, divisione sul piano dell'approccio dall'altra ­ ha quale effetto perverso un deficit di attuazione delle norme adottate sul piano internazionale. In mancanza di mezzi e di volontà politica, ma anche di fiducia reciproca, numerose norme sembrano rimanere, se non lettera morta, perlomeno confinate a una dimensione declamatoria piuttosto che alla loro natura obbligatoria.

2.2

Universalità dei diritti dell'uomo e diversità culturale

In virtù della sua unità, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo evoca il principio dell'indissociabilità e dell'interdipendenza dei diritti. Tuttavia, le tensioni ideologiche del dopoguerra hanno fatto sì che i due grandi pilastri del diritto internazionale dei diritti umani, i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali, seguissero strade e sviluppi diversi. Se questa dicotomia era accettata senza troppe difficoltà durante gli anni in cui ci si confrontava a un mondo ideologicamente bipolare, la disgregazione di quest'ultimo ha permesso un riavvicinamento fra questi due pilastri. La speranza nata dalla dissoluzione dei blocchi ha dapprima indotto a credere che i valori della democrazia e il benessere sarebbero diventati una realtà per tutti. La comunità internazionale riunita a Vienna nel 1993 ha ribadito l'universalità, l'indissociabilità e l'interdipendenza di tutti i diritti dell'uomo. Questa congiunzione fra i diritti politici e i diritti economici e sociali assume il proprio senso completo se considerata globalmente. Il libero esercizio dei diritti civili e politici rende possibile la partecipazione di tutti i cittadini all'elaborazione e al 105

Ratificato dalla Svizzera il 27 ottobre 2006.

1184

controllo dell'attuazione delle politiche sociali ed economiche; dà inoltre la possibilità ai cittadini di pronunciarsi su tali politiche. A sua volta, il fatto di usufruire dei diritti economici e sociali agevola l'esercizio dei diritti civili e politici, permettendo una migliore integrazione degli individui nella società e dunque nella partecipazione alla vita politica.

Oggi due grandi tendenze si affrontano. Da un lato, il mondo sta diventando multipolare e l'emergere di nuove potenze economiche provoca l'emergere di nuove visioni della società e del mondo. Questa tendenza può pesare sulla nozione stessa dell'universalità dei diritti dell'uomo. Inversamente, il fenomeno sempre più rapido e potente della globalizzazione provoca una certa uniformazione degli stili di vita, dei codici d'abbigliamento e dell'alimentazione. Questa uniformazione rischierebbe di minacciare la diversità culturale. Tuttavia l'universalità dei diritti dell'uomo e la diversità culturale non sono reciprocamente esclusivi. La Conferenza di Vienna del 1993 ha definito i contorni di questa dicotomia affermando che «benché debba essere tenuto presente il valore delle particolari e differenziate condizioni storiche, culturali e religiose, è obbligo degli Sati, tenendo conto dei propri sistemi politici, economici e culturali, promuovere e tutelare tutti i diritti umani e le libertà fondamentali»106. Inoltre, la Dichiarazione universale sulla diversità culturale adottata nel 2001 dall'UNESCO statuisce che nessuno può invocare la diversità culturale per violare i diritti dell'uomo garantiti dal diritto internazionale né per limitarne la portata107. Sotto l'apparenza della protezione e della promozione della diversità culturale, vengono tuttavia alla luce iniziative che vanno in questo senso. I timori suscitati nelle popolazioni e/o nelle autorità politiche di un'invasione culturale, sia da parte dei valori occidentali in alcune regioni del mondo, sia da parte dell'Islam in altri Paesi favoriscono l'incremento di riflessi identitari difensivi. Questa diversità è tuttavia garantita dalla libera circolazione delle idee e dunque dall'esercizio delle libertà d'opinione, d'espressione, di religione e di coscienza.

La Svizzera continuerà a impegnarsi nella difesa dell'universalità dei diritti dell'uomo. Questi ultimi riguardano ognuno
nella sua dignità di essere umano. Il nostro Collegio rimane tuttavia cosciente che l'universalità dei diritti dell'uomo può essere erroneamente interpretata come una via verso l'uniformazione delle culture.

La Svizzera lavorerà dunque sul precetto secondo il quale le libertà consacrate nel diritto internazionale dei diritti dell'uomo sono garanti della moltiplicazione delle idee e dei concetti e di conseguenza della diversità. In questo senso la sua partecipazione attiva all'Alleanza delle civiltà108 rimane prioritaria.

2.3

Applicazione delle norme

I progressi normativi degli ultimi anni sono stati seguiti solo parzialmente da progressi nell'attuazione delle norme. Le discriminazioni di diversa natura persistono nei confronti dei più vulnerabili che spesso, inoltre, sono vittime di discriminazioni 106 107 108

Dichiarazione e Programma d'azione di Vienna, art. 5.

Dichiarazione universale sulla diversità culturale, art. 4.

L'Alleanza delle civiltà, istituita nel 2005 dalla Turchia e dalla Spagna sotto l'égida delle Nazioni Unite, si è posta l'obiettivo di analizzare le radici della polarizzazione fra culture e società, in particolare occidentali e islamiche, alfine di combatterne le divisioni, i pregiudizi e le incomprensioni (cfr. anche 09.052, rapporto sulla politica estera 2009, del 2 sett. 2009).

1185

multiple. Numerosi Paesi continuano a vivere situazioni intollerabili in materia di non rispetto dei diritti fondamentali.

Si osserva un notevole divario fra l'esistenza delle norme e la loro applicazione.

Oggi l'architettura normativa è vasta e copre una buona parte delle discriminazioni, benché esistano indubbiamente ancora nicchie da colmare. I gruppi vulnerabili come i fanciulli, le donne, le minoranze, i disabili sono coperti da strumenti legali. Il genocidio, i crimini contro l'umanità e il razzismo sono condannati e possono essere oggetto di perseguimenti penali. Le vittime di nuove forme di schiavitù e di lavoro forzato possono fare appello a convenzioni internazionali. Il nostro Collegio ritiene che gli strumenti esistano, ma che non siano utilizzati correttamente o al massimo della loro capacità; possono essere ancora apportate correzioni. Ad esempio, se tutti gli organi del sistema delle Nazioni Unite potessero adempiere il loro mandato in modo esaustivo, questo consentirebbe di attuare politiche di sviluppo che a loro volta contribuirebbero a realizzare i diritti economici e sociali. In un mondo in cui circa un miliardo di persone è sottoalimentato, lo sradicamento della povertà deve superare lo stadio delle buone intenzioni; taluni suggeriscono addirittura di renderlo un obbligo giuridicamente vincolante.

La Svizzera continuerà a impegnarsi al fine di applicare le norme internazionali dei diritti dell'uomo sia a livello nazionale che internazionale. A livello nazionale, la Confederazione, i Cantoni e i Comuni agiscono ognuno nella propria sfera di competenza. L'Esame periodico universale (EPU) del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, nell'ambito del quale la Svizzera è stata esaminata l'8 maggio 2008109, ha permesso di avviare un dialogo globale sull'attuazione dei diritti dell'uomo in Svizzera fra le autorità federali e i rappresentanti della società civile.

Invece, l'intensità del dialogo con i Cantoni nell'ambito dell'EPU rimane al disotto delle attese. Essi sono competenti per un ampio numero di settori che toccano direttamente il godimento dei diritti dell'uomo (salute, polizia, educazione), ma sinora è stato difficile avviare un contatto regolare e seguito. Questo sembra essere dovuto essenzialmente a un certo divario fra le discussioni nei forum multilaterali
come le Nazioni Unite e le preoccupazioni concrete dei Cantoni nell'attuazione, d'altronde nella maggior parte dei casi efficace, delle loro rispettive politiche. La Confederazione intende proseguire gli sforzi intesi ad accrescere lo scambio d'informazioni con i Cantoni in materia di diritti dell'uomo e a renderlo più regolare.

Sul piano internazionale, la Svizzera continuerà a sostenere i diversi meccanismi di vigilanza, sia convenzionali che istituzionali (ONU, OSCE, Consiglio d'Europa).

Inoltre, attraverso i vari meccanismi bilaterali (dialoghi, contatti, cooperazione allo sviluppo), la Svizzera contribuirà in modo concreto ad attuare gli obblighi giuridici e gli impegni politici degli Stati partner.

2.4

Libertà d'espressione

La libertà d'espressione è una componente essenziale di ogni società rispettosa dei diritti fondamentali. Uno dei pilastri della democrazia, la libertà d'espressione, permette lo scambio delle informazioni e delle idee, ma anche la critica delle autorità al potere. Sia il diritto internazionale che le legislazioni nazionali autorizzano restrizioni all'esercizio di questo diritto, restrizioni che devono essere fissate dalla 109

Cfr. documenti delle Nazioni Unite A/HRC/WG.6/2/CHE/ 1, 2, e 3; A/HRC/8/41.

1186

legge ed essere necessarie per garantire il rispetto dei diritti e della reputazione altrui, la salvaguardia della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità o della moralità pubbliche. La libertà d'espressione come è esercitata nel mondo occidentale può ferire dei sentimenti in altre parti del mondo. Le tensioni fra il mondo occidentale e il mondo islamico sono state riaccese in seno alle Nazioni Unite da una risoluzione dell'Organizzazione della Conferenza islamica sulla diffamazione delle religioni che intende limitare la libertà d'espressione per proteggere la religione (islamica) in quanto tale. Inoltre, questa risoluzione ha incidenze nel quadro della lotta contro il razzismo a livello delle forme contemporanee di razzismo.

Per la Svizzera non è la religione in quanto tale che deve essere protetta, ma l'esercizio non discriminatorio ­ da parte degli individui o di gruppi di individui ­ dell'insieme dei loro diritti dell'uomo. In seno alle Nazioni Unite, la Svizzera figura fra gli attori più attivi nel settore delle libertà religiosa e della libertà d'espressione.

La Svizzera è convinta che la libertà d'espressione costituisca una delle libertà più fondamentali, pur convenendo che l'odio razziale e religioso debbano essere combattuti dalla legge (art. 20 Patto II). Nell'ambito della cooperazione con il Consiglio d'Europa, la Svizzera ha finanziato la traduzione in tedesco del manuale sulla questione dell'incitamento all'odio. Questa dimensione è costantemente ribadita dalla Svizzera e lo sarà anche in futuro, sia nei forum internazionali che nelle relazioni bilaterali.

2.5

Diritti economici, sociali e culturali e diritti civili e politici

Come menzionato all'inizio di questo capitolo, il riconoscimento dell'interdipendenza di tutti i diritti ha avuto ripercussioni importanti nelle relazioni internazionali.

Gli accordi di libero scambio, la cooperazione allo sviluppo, le relazioni commerciali sono oggi percepiti e utilizzati come strumenti che possono contribuire a promuovere i diritti dell'uomo. Clausole di rispetto dei diritti fondamentali, la cui intensità varia, possono essere parte integrante di accordi commerciali. La cooperazione allo sviluppo è passata nel corso degli anni da un aiuto tecnico a un sostegno al buon governo, all'instaurazione dello Stato di diritto e al rispetto dei diritti dell'uomo. I dialoghi bilaterali, inizialmente incentrati principalmente sulla promozione dei diritti civili e politici, integrano in modo crescente questioni riguardanti i diritti economici e sociali.

Tuttavia, occorre constatare che da qualche tempo nei forum multilaterali l'interdipendenza e l'indivisibilità dei diritti sembrano essere rimesse in discussione.

Spaccature fra Paesi industrializzati e Paesi in sviluppo, che non sono mai interamente scomparse, riemergono sotto forme più complesse mentre si tessono nuove solidarietà. Condotta principalmente dall'Organizzazione della conferenza islamica (OCI) e dal Movimento dei non allineati (NAM), la «fronda» anti occidentale cambia secondo le circostanze: gruppo africano, Paesi asiatici, Cina, Iran, Pakistan, l'asse Cuba-Venezuela-Bolivia-Nicaragua (sempre meno sulla stessa lunghezza d'onda con il resto dell'America Latina), le potenze emergenti India e Brasile si alleano ad hoc, su temi e preoccupazioni comuni, senza per questo costituire, ad eccezione dell'OCI e in misura minore dei Paesi africani, un blocco solido e organico. Vecchi riflessi di epoche passate riemergono regolarmente, anche se gli attori non sono più necessariamente gli stessi. Sotto il pretesto della difesa identitaria, della morale, della lotta contro il razzismo, diversi Stati spingono per limitare le 1187

libertà iscritte nella Carta dei diritti dell'uomo110. Inoltre, invocando con regolarità il diritto allo sviluppo, questi stessi Stati considerano in modo prioritario la realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali, che provocherebbero automaticamente il fiorire dei diritti civili e politici. Che questo seguito logico sia legato alle velleità di limitare i diritti civili e politici è evidente. Vi è tuttavia il rischio che i Paesi industrializzati, per difendere sul piano universale la garanzia del libero esercizio delle libertà acquisite, giungano a dimenticare la promozione e la protezione dei diritti economici, sociali e culturali, provocando così nei fatti una nuova separazione di questi due pilastri.

Il nostro Collegio sostiene la nozione dell'indivisibilità e dell'interdipendenza dei diritti dell'uomo. Con la sua azione, sia sul piano multilaterale che bilaterale, la Svizzera si adopera per proteggere e promuovere l'insieme dei diritti dell'uomo.

2.6

Responsabilità multiple

Un'altra importante sfida in materia di diritti dell'uomo sarà la definizione delle responsabilità dei diversi attori. Attualmente, il diritto internazionale dei diritti umani attribuisce unicamente agli Stati la responsabilità di rispettare, proteggere e attuare i diritti dell'uomo. Oggi, lo Stato ha trasferito numerose delle sue competenze tradizionali ad altri attori, in particolare all'economia privata. L'educazione, il sistema ospedaliero, i trasporti pubblici, la distribuzione dell'acqua, dell'elettricità e addirittura la sicurezza sono servizi forniti sempre più spesso da attori privati, sotto il mandato delle autorità nazionali o locali. Grandi conglomerati economici hanno il potere d'influire sulle politiche statali come non era mai avvenuto in precedenza.

L'istituzione del Global Compact, sotto l'egida dell'ex Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, ha dato un notevole impulso alla presa di coscienza del ruolo e delle responsabilità del settore privato nell'ambito dei diritti dell'uomo. Le imprese che vi aderiscono si impegnano a rispettare dieci princìpi legati ai diritti dell'uomo, al diritto del lavoro, alla protezione dell'ambiente e alla lotta contro la corruzione. Altri strumenti volontari sono presenti in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro, all'Organizzazione per la cooperazione economica in Europa, all'Organizzazione mondiale del commercio. Tutti si prefiggono di sensibilizzare il mondo dell'economia affinché analizzi le sue azioni anche dal profilo dei diritti dell'uomo, e all'occorrenza, possa prevenire possibili conseguenze nefaste per il loro godimento.

In seguito ai lavori del Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per l'economia e i diritti dell'uomo, si riconosce che gli attori non statali hanno la responsabilità di prendere in considerazione i diritti degli individui nell'esercizio delle loro attività. L'inosservanza di questa responsabilità ha conseguenze morali, sociali e a volte anche giuridiche. A questo stadio si tratta di determinare se si può di conseguenza parlare di un sistema di responsabilità giuridiche.

La questione si pone anche per le organizzazioni internazionali. La Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite si occupa in effetti della problematica della responsabilità che incombe a un'organizzazione internazionale in seguito a un fatto illecito da essa commesso. La questione può essere posta anche in termini di 110

La Carta dei diritti dell'uomo comprende la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e i suoi Protocolli facoltativi.

1188

negligenza e di non azione, che potrebbero avere come conseguenza, ad esempio, il massacro di civili in un determinato contesto.

Il sostegno della Svizzera ai lavori del Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per l'economia e i diritti dell'uomo e il nostro impegno in materia di rispetto del diritto internazionale da parte delle società di sicurezza e delle società militari private dimostrano l'importanza che il nostro Collegio assegna alla problematica della condivisione delle responsabilità. Questo impegno sarà portato avanti sia a livello concettuale che a livello dei contatti con il mondo dell'economia.

2.7

Le migrazioni

Le migrazioni internazionali sono diventate un elemento fondamentale della globalizzazione. Oggi il numero di migranti internazionali si situa attorno a 200 milioni, ossia circa il 3 per cento della popolazione mondiale. Fra di essi, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati contava, alla fine del 2007, 67 milioni di sfollati forzati, di cui 16 milioni di rifugiati. Quasi tutti i Paesi sono interessati dalla migrazione, come Paese d'origine, di transito o d'accoglienza, o addirittura nelle tre situazioni contemporaneamente. Il numero di persone costrette a lasciare il loro Paese d'origine per motivi che non rientrano nella definizione legale di rifugiato e che non sono neppure migranti economici volontari dovrebbe aumentare. Questi «nuovi» movimenti di popolazione, i cui primi segnali si profilano già, saranno probabilmente costituiti da persone che hanno bisogno di protezione, poiché fuggono da una catastrofe ambientale, dal tracollo del loro Stato o in seguito alla perdita delle possibilità di sussistenza. La sfida per la Svizzera consisterà nell'adeguarsi alle evoluzioni che potrebbero delinearsi a livello internazionale o regionale, ad esempio allo sviluppo di un quadro normativo multilaterale sulla protezione sussidiaria fondato sui bisogni e sul rispetto dei diritti fondamentali di questi gruppi vulnerabili.

Sul piano del diritto internazionale lo strumento principale in materia, ossia la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie sembra piuttosto bloccare la situazione invece di contribuire a risolverla. Adottata nel 1990 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, sono stati necessari 13 anni per raccogliere le 20 ratifiche necessarie alla sua entrata in vigore; ad oggi (aprile 2010) unicamente 42 Stati vi hanno aderito, di cui nessuno Stato destinatario. Lo «spirito» della Convenzione va nel senso auspicato di una protezione dei diritti fondamentali dei lavoratori migranti. La mancanza di distinzione fra lavoratori migranti regolari e migranti in situazione irregolare costituisce l'ostacolo principale alla sua adozione da parte degli Stati destinatari, compresa la Svizzera. Inoltre, secondo il nostro Consiglio, questa Convenzione non costituisce uno strumento adeguato per lottare contro il fenomeno
della migrazione irregolare, in particolare contro le attività criminali che l'accompagnano, fra le quali la tratta e il traffico di esseri umani.

La Svizzera intende proseguire i lavori che ha contribuito ad avviare nell'ambito del Forum mondiale sulla migrazione e lo sviluppo e del Dialogo ad alto livello sulla migrazione internazionale e lo sviluppo.

1189

2.8

Orientamento sessuale

I due patti internazionali dei diritti dell'uomo vietano ogni forma di discriminazione.

Queste disposizioni generali sono state successivamente affinate e precisate con trattati volti a proteggere i diversi gruppi vulnerabili. Le trasformazioni graduali e continue della società sono state il primo catalizzatore dello sviluppo di questa ricca architettura normativa. Queste evoluzioni hanno permesso di fare affiorare le rimostranze dei vari gruppi sociali e il riconoscimento da parte della società delle loro rivendicazioni, poi tradotte nei testi di legge. Fra i movimenti sociali più importanti nel corso degli ultimi due decenni, per lo meno nel mondo occidentale, troviamo la libertà di manifestare e di vivere la propria sessualità in modo aperto, senza discriminazioni. Benché non esista una convenzione internazionale per la protezione delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei transessuali (LGBT), il dibattito sulla discriminazione nei loro confronti e sui loro diritti ha acquisito visibilità negli ultimi anni. La lotta contro la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere è in effetti sempre più discussa in seno ai forum internazionali; essa si prefigge una protezione più efficace delle persone contro questo tipo di discriminazione. Registrando l'emergere del bisogno di un quadro normativo adeguato, un gruppo di esperti di diverse origini professionali e culturali ha elaborato nel 2006, in seguito a ricerche, consultazioni e dibattiti, i Princìpi di Yogyakarta sull'applicazione della legislazione internazionale dei diritti dell'uomo in materia di orientamento sessuale e di identità di genere. Questi princìpi trattano dell'applicazione del diritto internazionale dei diritti umani in materia di orientamento sessuale e di identità di genere per la protezione e per il divieto assoluto della discriminazione contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Un altro progresso dev'essere rilevato in seno alle Nazioni Unite dove, nell'ambito dell'Assemblea generale, nel dicembre 2008 oltre un terzo dei Paesi membri, fra cui la Svizzera, ha sostenuto la Dichiarazione sui diritti dell'uomo, l'orientamento sessuale e l'identità di genere. Essa invita gli Stati a impegnarsi per la protezione dei diritti dell'uomo di tutti, senza distinzioni fondate sull'orientamento
sessuale e l'identità di genere. Dal canto suo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha adottato nella primavera 2010 le Raccomandazioni sulle misure intese a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere. Questo testo rappresenta il primo strumento elaborato dal Comitato dei Ministri dedicato specificamente a questo tipo di discriminazione. Tuttavia, questo approccio è vivamente respinto dall'Organizzazione della Conferenza islamica, da numerosi Paesi africani e da Paesi europei come la Federazione di Russia o taluni Stati baltici, contrari all'introduzione di nozioni senza fondamento legale e alla singolarizzazione di talune persone sulla base dei loro interessi e comportamenti sessuali. Un orientamento diverso da quello eterosessuale è considerato come una scelta deliberata di vita che esce dal quadro delle libertà individuali. Numerosi fra questi Paesi considerano peraltro le relazioni omosessuali come un delitto punibile penalmente.

Il nostro Collegio intende rafforzare il suo impegno a livello internazionale nell'ambito della promozione e della protezione dei LGBT.

1190

2.9

Diritto allo sviluppo e lotta contro la povertà

La Dichiarazione sul diritto allo sviluppo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1986 è l'unico strumento, non vincolante, che riconosce una dimensione individuale e collettiva al diritto allo sviluppo; la summenzionata Conferenza di Vienna del 1993 ribadisce questa dimensione individuale. I Paesi in sviluppo si prefiggono di elaborare uno strumento internazionale vincolante in materia, che imporrebbe agli Stati industrializzati di consacrare una percentuale del loro prodotto interno lordo alla cooperazione alla sviluppo, senza legarla però alla promozione e alla protezione dei diritti dell'uomo. I Paesi industrializzati rifiutano tuttavia di avviare negoziati su un tale strumento vincolante. A questo stadio, essi sono d'accordo di sottoscrivere impegni politici nell'ambito di «Linee guida» intese ad attuare in modo pratico tale diritto. Se il principio di un negoziato dovesse essere acquisito nonostante tutto, la Svizzera vi difenderà un'opzione intesa a salvaguardare la dimensione individuale del diritto allo sviluppo, collegandolo a tutti i diritti dell'uomo, siano essi civili, politici, economici, sociali o culturali.

Il sostegno alle popolazioni nel bisogno e la lotta contro la povertà figurano fra gli obiettivi della nostra politica estera come sono definiti dalla Costituzione federale.

Convinto che «non vi è sviluppo senza sicurezza, non vi è sicurezza senza sviluppo, e non può esservi né sicurezza né sviluppo se i diritti dell'uomo non sono rispettati»111 il nostro Collegio continuerà a operare a favore delle popolazioni più sfavorite.

2.10

Lotta contro il razzismo

Il tema della lotta contro il razzismo è diventato sempre più politicizzato dopo la Conferenza mondiale sul razzismo di Durban del 2001. Non tutti i Paesi occidentali hanno sottoscritto la Dichiarazione e programma d'azione di Durban, né il suo Documento successivo adottato a Ginevra nel 2009, nonostante i buoni risultati di quest'ultimo. Diversi Paesi in sviluppo ne fanno un'arma diretta unicamente contro i Paesi industrializzati. In tal modo la comunità internazionale rimane divisa mentre il razzismo, per essere combattuto con successo, dev'esserlo unendo gli sforzi di tutti.

Oggi la lotta contro il razzismo non si limita più unicamente a dare le stesse libertà e gli stessi diritti a ogni individuo, indipendentemente dalla razza, dal colore, dall'ascendenza o dall'origine nazionale o etnica. La dimensione delle discriminazioni multiple e la questione dell'incitamento all'odio, come si riflette nei recenti tentativi intesi a limitare la libertà d'espressione, vengono ad aggiungersi alla lotta contro le discriminazioni più classiche. La comunità internazionale oggi è confrontata a un compito la cui complessità si è allargata. Attraverso la questione delle discriminazioni multiple, i Paesi occidentali e dell'America Latina in particolare cercano di introdurre la nozione di non discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, la quale si aggiungerebbe così alla lista dei divieti riconosciuti nel diritto internazionale che sono le discriminazioni basate sulla razza, il colore, l'ascendenza e l'origine nazionale o etnica. All'opposto, diversi Paesi, sotto la condotta dell'Organizzazione della Conferenza islamica, fanno della lotta legittima contro l'odio razziale e religioso uno strumento politico inteso a limitare la libertà d'espressione.

111

Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite Dans une liberté plus grande; développement, sécurité et droits de l'homme pour tous, 2005.

1191

3 3.1

Le priorità della Svizzera Osservazioni preliminari

Il rispetto dei diritti dell'uomo figura fra i cinque obiettivi principali della politica estera della Svizzera, come sono definiti nell'articolo 54 capoverso 2 della Costituzione federale. Pertanto, i diritti dell'uomo sono fattori da prendere in considerazione in tutte le attività della Svizzera all'estero. La Costituzione federale contiene un catalogo dei diritti dell'uomo e precisa, inoltre, che la Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale, ciò che, di conseguenza, implica il rispetto dei loro obblighi in materia di diritti dell'uomo (art. 5 cpv. 4 Cost).

La politica estera della Svizzera in materia di diritti dell'uomo è stata definita nel corso degli anni112 e comporta tre aspetti prioritari: la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo a carattere imperativo o non suscettibili di deroga in periodo di stato d'emergenza, la protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili; infine, il contributo allo sviluppo delle norme e alla loro applicazione nei settori sensibili direttamente toccati dalla globalizzazione.

Questi tre grandi assi comprendono aspetti più specifici come il diritto alla vita e il divieto della tortura per il primo gruppo; la protezione dei diritti delle donne, dei fanciulli, delle minoranze, degli sfollati nel proprio Paese, dei difensori dei diritti dell'uomo, delle lesbiche, dei gay, bisessuali e transessuali (LGBT) per la seconda priorità. Il terzo asse, invece, evolve parallelamente al processo di globalizzazione e riguarda diversi temi: il legame fra economia e diritti dell'uomo, la responsabilità delle imprese, la povertà, la stigmatizzazione, l'esclusione e i diritti dell'uomo.

Secondo il nostro Collegio, le tre priorità indicate conservano la loro pertinenza sia dal profilo generale della promozione e della protezione dei diritti dell'uomo, sia nell'ambito delle attività svolte sinora dalla Svizzera, con il capitale di competenze accumulato e di credibilità acquisita che ciò comporta. Tuttavia, pur volendo mantenere la flessibilità necessaria per adeguarsi ai cambiamenti nel contesto internazionale o all'emergere di nuove tematiche, intendiamo precisare i settori nei quali la Svizzera si impegnerà, in particolare per il contributo allo sviluppo di norme e alla loro applicazione nei settori sensibili direttamente colpiti dalla globalizzazione.

3.2

Difesa e promozione dei diritti dell'uomo a carattere imperativo

Questi diritti fanno parte delle priorità della Svizzera considerato il loro carattere assoluto (cfr. anche art. 4 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici113). Essi rappresentano una soglia al disotto della quale la comunità internazionale non può avventurarsi. La validità dei princìpi stessi dei diritti dell'uomo ne dipende.

112

Rapporto del 2 giugno 1982 sulla politica svizzera dei diritti dell'uomo, FF 1982 II 713.

Rapporto del 16 febbraio 2000 sulla politica svizzera dei diritti dell'uomo, FF 2000 2312.

Rapporto del 31 maggio 2006 sulla politica estera svizzera dei diritti dell'uomo (2003­2007), FF 2006 5599.

Messaggio del 15 giugno 2007 concernente la prosecuzione delle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo, FF 2007 4339.

113 La Svizzera ha aderito al patto il 18 giugno 1992.

1192

Per questo motivo la Svizzera si è impegnata in passato e intende impegnarsi in futuro per promuovere e tutelare questi diritti.

3.2.1

Diritto alla vita

Il diritto alla vita è il primo e il più fondamentale di tutti i diritti dell'uomo. La Svizzera condanna ogni forma di esecuzione arbitraria, sommaria o extragiudiziaria e contribuisce agli sforzi volti ad abolire la pena di morte in tutto il mondo.

L'impegno a favore dell'abolizione della pena di morte a livello mondiale costituisce una priorità della nostra politica estera in materia di diritti dell'uomo. A questo proposito la Svizzera ha sostenuto l'organizzazione del Quarto Congresso mondiale contro la pena di morte che si è tenuto a Ginevra dal 24 al 26 febbraio 2010.

L'obiettivo del Congresso, al quale hanno partecipato oltre 1500 persone fra cui i rappresentanti di governi e della società civile, giornalisti, giudici e avvocati, era di elaborare strategie d'azione efficaci a favore dell'abolizione della pena di morte.

Sul piano bilaterale, l'abolizione della pena di morte è trattata nell'ambito dei dialoghi sui diritti dell'uomo con la Cina, Cuba, il Vietnam o l'Iran. Contatti bilaterali relativi a casi specifici hanno luogo ad hoc, quando dei casi di esecuzione previsti vengono a conoscenza delle nostre autorità. Questi contatti, oltre ai Paesi summenzionati, si svolgono fra l'altro anche negli Stati Uniti, in Thailandia, in Bielorussia e in Mongolia. La Svizzera, in effetti, vuole mantenere il dialogo con i Paesi che praticano ancora la pena capitale: pur sollecitando la grazia per un condannato e ribadendo il suo appello per una moratoria universale, è necessario vegliare affinché le norme minime del diritto internazionale, che vietano in particolare le esecuzioni di minorenni o di donne incinte, siano rispettate. Nell'ambito della Presidenza svizzera del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, la Svizzera ha avviato scambi con l'unico Stato europeo che si oppone all'abolizione della pena di morte e che per questo motivo rimane escluso dal Consiglio d'Europa, ossia la Bielorussia.

La Confederazione partecipa anche a diverse iniziative internazionali. Vi è quella lanciata dalla Spagna affinché una Commissione internazionale contro la pena di morte possa realizzare una moratoria universale entro il 2015, prima tappa verso un'abolizione totale, in ogni circostanza, della pena di morte. Vi è poi l'iniziativa che promuove la ratifica universale del Secondo Protocollo facoltativo al
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, volto ad abolire la pena di te114). Infine, la Svizzera sostiene anche una risoluzione su una moratoria relativa alla pena capitale in seno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il diritto alla vita non dev'essere tuttavia interpretato unicamente nella sua dimensione penale. I conflitti armati, le situazioni di violenza e di sconvolgimenti interni, la povertà o l'esclusione sono altrettanti fattori che pesano considerevolmente sulle possibilità e le opportunità di sopravvivenza di milioni di essere umani. La Svizzera, attraverso le sue attività di aiuto umanitario e di cooperazione allo sviluppo, risponde in una fase iniziale ai bisogni di prima necessità delle popolazioni colpite e più a lungo termine contribuisce al loro sviluppo economico e sociale. Il sostegno della Svizzera e le iniziative che preconizzano il diritto all'acqua e il diritto all'alimentazione devono essere inseriti in una politica di sviluppo e dei diritti dell'uomo che 114

La Svizzera ha aderito al Secondo Protocollo il 16 giugno 1994.

1193

supera gli aspetti di protezione delle libertà individuali per raggiungere una visione più globale e inclusiva dei diritti dell'uomo. Questa visione inclusiva fa dei diritti dell'uomo un programma a lungo termine che contiene elementi di protezione immediata, attuati nella forma dei contatti e dell'aiuto d'emergenza menzionati in precedenza, ma anche elementi di sviluppo sociale ed economico individuale che avranno ripercussioni positive sull'insieme della collettività.

Il genocidio è una forma particolarmente grave di violazione del diritto alla vita. La Svizzera si associa alle attività del Forum internazionale sull'olocausto; sostiene le attività del Rappresentate speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi e partecipa all'allestimento di strumenti di depistaggio precoce e di prevenzione dei genocidi. Nel settore della prevenzione del genocidio e altre atrocità di massa, la Svizzera conduce un processo multilaterale attraverso forum regionali per la prevenzione del genocidio organizzati congiuntamente con l'Argentina e la Tanzania. Uno dei suoi obiettivi sarebbe di giungere alla realizzazione di punti focali in seno ai governi e all'istituzione di meccanismi di prevenzione di prossimità. Infine, oltre ottanta governi hanno partecipato alla formazione intensiva che la Svizzera promuove nell'ambito del programma Engaging Governments in Genocide Prevention, diretto dalla George Mason University.

3.2.2

Divieto della tortura

Il divieto della tortura non può ammettere alcuna deroga. Ogni persona ha il diritto inalienabile di non essere sottoposta alla tortura o ad altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La lotta contro il terrorismo non intacca minimamente la validità di questo divieto assoluto.

La Svizzera pone in particolare l'accento sulla prevenzione: in occasione dei suoi contatti bilaterali essa tratta questioni di prevenzione per far sì che gli Stati siano più numerosi ad aderire al quadro legale esistente, in particolare al Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura. La Svizzera ha ratificato nel settembre 2009 questo strumento che istituisce un meccanismo internazionale e un meccanismo nazionale di vigilanza. L'impegno internazionale della Svizzera in materia di lotta contro la tortura è completato a livello interno dall'istituzione della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura, operativa dall'inizio del 2010. La Confederazione si impegna anche per la trasparenza dell'informazione per quanto riguarda i luoghi di detenzione. A questo proposito sostiene, dalla sua istituzione all'inizio degli anni Ottanta, il Relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del Consiglio dei diritti dell'uomo mettendo a disposizione una persona che partecipa alle ricerche e alle visite sul terreno. I rappresentanti della Svizzera nei Paesi visitati assicurano il controllo delle raccomandazioni risultanti dalla visita del Relatore speciale. Le nostre delegazioni presso il Consiglio dei diritti dell'uomo e l'Assemblea generale hanno lo stesso compito per quanto riguarda le risoluzioni di questi due organi.

A livello internazionale la Svizzera si impegna affinché i torturatori siano perseguiti e le vittime abbiano diritto a riparazioni e a indennizzi. Il DFAE contribuisce a sottolineare la portata concreta del divieto della tortura presso i responsabili, pubblicando e traducendo manuali rivolti alle autorità d'istruzione e d'esecuzione delle pene, organizzando formazioni e partecipando attivamente a riunioni d'informazione rivolte ai rappresentanti di governi o a parlamentari esteri.

1194

Negli ultimi anni la lotta contro la tortura è stata confrontata a sfide considerevoli. In precedenza appannaggio dei regimi dittatoriali, il ricorso alla tortura e ad altre pene e trattamenti inumani o degradanti è stato purtroppo osservato anche in democrazie avanzate. Nell'ambito della lotta contro il terrorismo, deroghe non trascurabili ai princìpi di integrità fisica e psichica dei prigionieri sono state avallate addirittura dalle più alte sfere politiche. Questo, oltre che un'intensificazione della lotta contro queste pratiche, ha provocato un'importante perdita di credibilità del mondo occidentale in materia di promozione e protezione dei diritti dell'uomo. La Svizzera, oltre a sostenere le risoluzioni delle Nazioni Unite pertinenti, sfrutta gli strumenti bilaterali per far conoscere la sua preoccupazione per l'uso della tortura presentando casi concreti di tortura.

Per quanto riguarda la società civile, un'importante cooperazione, legata a un sostegno finanziario, con l'Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) e l'Associazione per la prevenzione della tortura (APT), due organizzazioni non governative basate a Ginevra, permette di promuovere la lotta contro la tortura nel mondo sotto diversi aspetti. L'OMCT concentra le sue attività in particolare sul sostegno legale e l'assistenza sociale alle vittime, la protezione delle donne e dei difensori dei diritti dell'uomo. Le attività dell'APT riguardano la formazione, la consulenza giuridica, lo sviluppo di strumenti pratici e di perorazione a favore dei meccanismi di prevenzione. Questi due approcci complementari completano le attività diplomatiche e politiche della Svizzera, sia nei forum multilaterali che nel corso dei suoi contatti bilaterali.

3.3

Gruppi vulnerabili

La comunità internazionale ha accordato particolare attenzione ai gruppi vulnerabili nello sviluppo delle norme internazionali dei diritti dell'uomo. I fanciulli, le minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, come pure le donne sono stati oggetto di un'attenzione particolare da parte della comunità internazionale sia sul piano universale che su quello regionale. La difesa e la promozione di questi diritti costituiscono una forma di continuità logica alla difesa dei diritti con carattere imperativo. In effetti, dopo aver garantito il rispetto di un nucleo di diritti fondamentali per ogni individuo, è necessario proteggere i più deboli garantendo loro una protezione accresciuta affinché la società possa svilupparsi in modo equo.

L'impegno della Svizzera in materia è costante e sarà portato avanti. I diritti del fanciullo, delle donne e delle minoranze continueranno a far parte del ventaglio dei temi prioritari. Inoltre, il nostro Collegio intende rafforzare il suo impegno per proteggere i difensori dei diritti dell'uomo, per tutelare i civili nei conflitti armati e per lottare contro le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere.

3.3.1

Diritti delle donne

Sul piano normativo la Svizzera ha ratificato nel settembre 2008 il Protocollo facoltativo alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. Questo protocollo conferisce ai privati che affermano di essere vittime di una violazione la possibilità di presentare ricorsi individuali al Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti della donna.

1195

Quest'ultimo è inoltre abilitato a indagare sui casi gravi di discriminazione. Questa ratifica rafforza gli strumenti nazionali intesi a eliminare le discriminazioni sulla base del genere.

La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU sulle donne, la pace e la sicurezza («1325») è stata adottata all'unanimità il 31 ottobre 2000. È la prima risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU che menziona esplicitamente gli effetti dei conflitti armati subìti dalle donne e dalle giovani e sottolinea l'importanza della partecipazione delle donne al processo di pace. Nel giugno 2008 il Consiglio di sicurezza ha riconosciuto nella sua risoluzione 1820 (della quale la Svizzera è coautore) che la violenza sessuale contro i civili come tattica di guerra può minacciare la pace e la sicurezza del mondo; inoltre, la sua risoluzione 1888 (Svizzera coautore) del settembre 2009 istituisce una Rappresentante speciale del Segretario generale in questa materia.

L'impegno bilaterale e multilaterale della Svizzera in linea con gli obiettivi della risoluzione «1325» si concretizza con attività incentrate sulla parità dei sessi e con il sostegno a progetti e ad attività specificamente dedicati all'attuazione delle esigenze di questa risoluzione. Si traduce anche con l'invio in missione di esperti dei due sessi e con misure interne in materia di reclutamento del personale, di formazione e di promozione della parità fra donne e uomini. Al fine di rafforzare questo impegno e di meglio coordinarne i diversi aspetti, la Svizzera ha elaborato un Piano nazionale d'azione per l'attuazione della risoluzione 1325 (PNA 1325), che costituisce un documento di base per la politica svizzera di promozione della pace. Il PNA 1325 definisce obiettivi, orientamenti di principio e un catalogo di misure per il periodo 2007­2009; il PNA riveduto sarà disponibile alla fine del 2010. Il PNA 1325 deve contribuire a far sì che si consideri la dimensione di genere in tutti i settori della politica di pace e in ogni misura concreta presa a favore della promozione della pace. Prendere in considerazione la dimensione di genere significa prestare attenzione al modo diverso in cui donne e uomini sono colpiti dai conflitti armati e ai diversi ruoli che essi svolgono in questi conflitti e nella loro risoluzione. L'approccio integrato della
dimensione genere (gender mainstreaming) designa dunque qui la presa in considerazione della dimensione di genere in ogni tappa del lavoro di promozione della pace, dall'analisi delle situazioni all'attuazione delle misure concrete, passando per l'elaborazione delle politiche.

A livello regionale gli Stati membri del Consiglio d'Europa elaborano attualmente un progetto di Convenzione per prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. La Svizzera si impegna affinché la convenzione copra gli aspetti delle «3P», ossia la prevenzione, la protezione e i perseguimenti.

Inoltre la Svizzera vi difende una definizione ampia della donna che include anche le giovani.

3.3.2

Diritti dei fanciulli

Fra i gruppi più vulnerabili, quello dei fanciulli richiede un'attenzione particolare: infatti gli abusi possono essere multiformi e le facoltà dei bambini di far valere i loro diritti sono limitate. La Svizzera è particolarmente attiva nel settore specifico dei diritti dei bambini nei conflitti armati. Questo impegno ha dato i suoi frutti in seno al Consiglio di sicurezza a partire dal 2005 con la risoluzione 1612, che istituisce un meccanismo di rapporto e di monitoraggio e un Gruppo di lavoro sui bambini e i 1196

conflitti armati. Nell'ambito del rafforzamento del meccanismo di vigilanza, la risoluzione 1882 del Consiglio di sicurezza estende l'elenco delle parti a conflitti armati che reclutano o utilizzano fanciulli alle parti che, in violazione del diritto internazionale applicabile, si dedicano sistematicamente a omicidi e a mutilazione di bambini o a stupri e altri atti di violenza sessuale contro i fanciulli. Questa protezione accresciuta ora deve essere soprattutto applicata sul terreno; tuttavia, il suo riconoscimento giuridico e politico costituisce un passo nella buona direzione.

La Svizzera assiste sia a livello diplomatico che mettendo a disposizione un responsabile della comunicazione l'Ufficio della Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati. Questo sostegno di personale permette contatti ancora più stretti con l'Ufficio della Rappresentante speciale. Il mandato affidato all'Ufficio è di far riconoscere che la protezione, i diritti e il benessere dei bambini colpiti dai conflitti armati occupano un posto prioritario nell'ordine del giorno mondiale. Per conseguire questo obiettivo è indispensabile mobilitare la volontà politica e l'opinione pubblica internazionali.

La Svizzera considera il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) come il principale partner onusiano per la promozione e la protezione dei diritti del fanciullo nel mondo, anche in caso di conflitti armati o di catastrofi naturali, e gli accorda contributi generali annuali. La Svizzera attribuisce un'importanza particolare agli sforzi dell'UNICEF sia a livello globale che sul terreno affinché i diritti delle bambine e dei bambini coinvolti in conflitti armati siano rispettati e tutelati. A tale proposito sono state poste le basi per un dialogo sistematico con l'UNICEF in questo settore che dovrebbe consentire alla Svizzera di sostenere in modo ancor più mirato il lavoro di questa organizzazione, sia a livello politico sia operativo. L'impegno finanziario è accompagnato da una partecipazione attiva ai lavori del Consiglio d'amministrazione dell'organizzazione; questo permette alla Svizzera di contribuire alla definizione delle priorità, delle politiche e delle strategie dell'UNICEF. Inoltre, la Svizzera promuove programmi specifici dell'UNICEF in taluni Paesi,
come ad esempio in Pakistan nel settore della protezione dei bambini contro la violenza, gli abusi e lo sfruttamento o nel Tagikistan e in Bosnia ed Erzegovina nel settore della giustizia giovanile.

La Svizzera sostiene e collabora con l'Istituto internazionale dei diritti del bambino (IDE) di Sion che realizza diversi programmi di sensibilizzazione e formazione incentrati sui diritti del fanciullo. Inoltre, la Svizzera accorda un sostegno finanziario e una stretta collaborazione operativa a opere assistenziali svizzere come, ad esempio, Terre des hommes o Enfants du monde che realizzano programmi a favore dei bambini in diverse regioni del mondo; o ancora la Fondazione svizzera per la protezione dell'infanzia (FSPE) che da anni si impegna con successo per i diritti dei bambini e contro ogni forma di violenza nei loro confronti; e ECPAT Switzerland (End Child Prostitution, Child Pornography and Trafficking of Children for Sexual Purposes) che ha lanciato due iniziative per reprimere lo sfruttamento sessuale dei bambini all'estero da parte dei turisti. La prima consiste in un codice di condotta inteso a impegnare le imprese turistiche nel sensibilizzare i turisti e i partner turistici quali alberghi o partner locali al fine di prevenire il turismo sessuale. La seconda iniziativa consiste in un modulo svizzero per l'annuncio di sospetti di turismo sessuale che coinvolgono minori. Il modulo, disponibile sul sito Internet dell'Ufficio federale di polizia, permette di segnalare fatti osservati che potrebbero indicare che una persona ha commesso abusi su bambini all'estero.

1197

In complemento alle attività summenzionate la Svizzera appoggia una nuova iniziativa lanciata dall'organizzazione non governativa Geneva Call che opera per la protezione dei bambini nei conflitti armati. Questa nuova iniziativa si prefigge di far rispettare le norme internazionali umanitarie e dei diritti dell'uomo da parte dei gruppi armati non statali. Con un Atto d'impegno questi ultimi s'impegnano a non reclutare bambini soldati nei loro ranghi. Questo nuovo progetto presenta un duplice interesse: coinvolge, da un lato, gli attori non governativi che spesso non sono presi in considerazione nei forum intergovernativi; d'altro canto opera in modo preventivo sulla «domanda» dei bambini soldato, completando altre iniziative che si concentrano sul loro ritiro dai ranghi militari per reintegrare la vita civile.

Per quanto riguarda l'aspetto normativo la Svizzera ha sostenuto il Brasile nell'elaborazione da parte delle Nazioni Unite delle Linee guida in materia di accoglienza eterofamiliare, strumento che si prefigge di assicurare che i bambini non siano sottratti alla custodia dei familiari se ciò non è strettamente necessario e di garantire che, in caso di custodia extraparentale, quest'ultima sia fornita in condizioni adeguate e rispondenti ai bisogni e agli interessi del bambino.

Su iniziativa di varie ONG, sostenute da Slovenia e Slovacchia, le Nazioni Unite esaminano la possibilità di elaborare un Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del fanciullo per istituire un sistema di denuncia individuale sull'esempio delle principali convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo. La Svizzera partecipa a questi negoziati. Prima di poter prendere una posizione definitiva devono essere chiarite determinate questioni di fondo, come ad esempio sapere chi può intervenire a nome dei bambini vittime di violazioni dei loro diritti.

3.3.3

Minoranze

Gli sforzi internazionali del nostro Paese nel settore della protezione delle minoranze si fondano sulla convinzione che il rispetto del principio di non discriminazione e l'uguaglianza dei diritti, la protezione e la promozione dell'identità culturale, religiosa e linguistica delle persone appartenenti a minoranze nazionali e la loro partecipazione alla vita politica e sociale favoriscano la stabilità e la prosperità all'interno di uno Stato e contribuiscano in modo non trascurabile a prevenire i conflitti. La Confederazione sostiene i processi di trasformazione dei conflitti a livello politicodiplomatico e nella società civile fornendo competenze tecniche, metodologiche o finanziarie.

La protezione e lo sviluppo dell'identità di gruppo e dei suoi membri presi individualmente devono essere tutelati e promossi. Le differenti identità possono includere ogni tipo di aspetti quali la lingua, la religione o le pratiche culturali. La lingua e la religione sono criteri di discriminazione protetti da numerosi trattati ai quali la Svizzera è parte, come il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici che vieta la discriminazione ma richiede anche dagli Stati misure positive per preservare le lingue e le religioni minoritarie.

Il diritto alla non discriminazione è solidamente sancito nei princìpi di diritto internazionale, tuttavia questo fenomeno persiste. In certi casi le abitudini discriminatorie sono così profondamente radicate nelle nostre norme sociali e culturali che non sono neppure rimesse in discussione. In questo ambito la Confederazione, tramite i programmi della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) contribuisce a garantire un migliore accesso dei bambini Rom al sistema scolastico regolare nonché 1198

all'accesso delle minoranze alle strutture prescolastiche e all'insegnamento secondario e superiore. Nei Balcani, la DSC sostiene la rappresentanza dei Rom nei media.

Oltre al fatto che le nuove reti radiotelevisive locali che sono apparse negli ultimi anni nei Paesi della regione danno una voce alla minoranza dei Rom, esse rappresentano una catena di trasmissione essenziale per l'affermazione dell'identità di questa minoranza. Proteggere le minoranze significa far valere i loro diritti e sviluppare la cittadinanza attiva. A tale scopo la Svizzera sostiene diverse iniziative per far sì che i poteri pubblici rispettino e proteggano i diritti delle comunità minoritarie: in primo piano vi figura la partecipazione al dibattito democratico. Essa sostiene anche diversi programmi per promuovere il buon governo, la democratizzazione e l'integrazione sociale delle minoranze. Un'altra componente delle nostre attività in questa regione è la dimensione di prevenzione dei conflitti. I nostri esperti hanno accompagnato diverse tavole rotonde che si sono svolte in taluni Paesi della regione; il loro obiettivo era di affrontare le questioni concrete legate al «convivere» e alle questioni di discriminazione. Troppe minoranze sono ancora escluse dai processi politici. Il miglioramento del quadro legale per la protezione delle minoranze deve essere pertanto imperativamente integrato nei nostri sforzi.

La Svizzera è inoltre impegnata nel rafforzare le norme internazionali esistenti per la protezione delle minoranze in diversi forum dove si svolge il dibattito in questa materia, in particolare in seno al Consiglio d'Europa e all'OSCE.

3.3.4

Razzismo

La lotta contro il razzismo rappresenta una priorità per la Svizzera. La Conferenza d'esame di Durban che si è svolta a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009 ha permesso l'adozione consensuale da parte di 182 Stati di un Documento finale sull'attuazione della Dichiarazione e programma d'azione di Durban del 2001. La Svizzera ha contribuito attivamente al processo preparatorio al fine di difendervi la sua concezione della lotta contro il razzismo. Nella sua qualità di membro del Gruppo di amici della Presidenza ha sostenuto gli sforzi di quest'ultima nel corso dei negoziati sfociati nell'adozione del documento finale. La Svizzera valuta positivamente il risultato della Conferenza. La Dichiarazione finale rispetta le linee guida fissate dal nostro Collegio nel maggio 2008. Si tratta di un documento equilibrato che, pur coprendo temi delicati, è stato adottato per consenso; sottolinea il ruolo centrale della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale115 e si concentra sulle misure per attuare le norme esistenti. La libertà d'espressione, che favorisce la molteplicità delle idee e dei pensieri, nella Convenzione è presentata come un mezzo essenziale di lotta contro le discriminazioni. Questo testo riconosce inoltre la necessità di prendere misure per lottare efficacemente contro la discriminazione verso le donne, i bambini e le forme multiple e aggravate di discriminazioni nonché il razzismo nei confronti degli immigrati, dei richiedenti l'asilo e dei rifugiati.

La Svizzera prosegue il suo impegno nella lotta contro il razzismo. Nell'ambito del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, un Comitato ad hoc è incaricato di elaborare norme complementari alla Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Benché la comunità internazionale riconosca che la lotta contro il razzismo necessita di sforzi supplementari, i mezzi 115

La Svizzera ha aderito alla Convenzione il 29 novembre 1994.

1199

per pervenire a tale fine sono aspramente contestati. Nonostante il riconoscimento, ribadito durante la Conferenza d'esame di Durban a Ginevra nell'aprile 2009, del fatto che la libertà d'espressione è un mezzo essenziale di lotta contro le discriminazioni, un numero considerevole di delegazioni cerca sempre di limitarla, in particolare sostenendo la nozione di «diffamazione delle religioni» nell'ambito dei lavori del Comitato ad hoc.

3.3.5

Migrazioni

Sulla scia della globalizzazione sono aumentati sia il volume sia l'importanza politica, economica e sociale della migrazione. Gli Stati si sono resi conto che una politica della migrazione innovatrice e imperniata sul partenariato permette di accrescere il potenziale positivo della migrazione e di ridurne gli aspetti negativi.

Il fenomeno migratorio pone gli Stati e la società di fronte a sfide enormi: milioni di persone ogni anno sono vittime di trafficanti di esseri umani e di passatori. Inoltre gli spostamenti delle persone sono diventati molto complessi: persone che fuggono da conflitti armati si ritrovano con gruppi che cercano di sfuggire alla miseria e alla fame. La pressione migratoria cresce non solo sui Paesi industrializzati, ma anche su quelli in sviluppo senza che questi ultimi abbiano le capacità o i mezzi di fronteggiarli. Numerosi Paesi in sviluppo devono affrontare il problema della fuga di cervelli e della conseguente perdita di sapere a causa della partenza in massa di uomini e donne che hanno ricevuto una formazione solida. Inoltre, molti Stati industrializzati fanno fatica a integrare gli stranieri.

Nel nostro mondo globalizzato sono indispensabili strumenti internazionali, il dialogo e la cooperazione. Nel quadro del dialogo internazionale sulla migrazione, la Svizzera s'impegna in quanto membro del comitato di direzione del Forum mondiale sulle migrazioni e lo sviluppo (Global Forum on Migration and Development, GFMD), una piattaforma informale di portata internazionale che favorisce gli scambi e la collaborazione tra gli Stati e gli altri operatori nel settore della migrazione e dello sviluppo. Il primo GFMD si è svolto nel luglio 2007 a Bruxelles, il secondo nell'ottobre 2008 nelle Filippine, il terzo ad Atene nel 2009 e il successivo nel 2010 in Messico. La Svizzera ha inoltre contribuito in maniera significativa al primo Dialogo ad alto livello sulla migrazione internazionale e lo sviluppo nel quadro dell'Assemblea generale dell'ONU e si è impegnata affinché la questione della migrazione fosse introdotta nell'agenda dell'ONU; d'altronde, l'organizzazione nel 2011 di un dialogo informale e nel 2013 di un altro dialogo ad alto livello (ministeriale) sulla migrazione e sullo sviluppo si devono in parte all'impegno della Svizzera nell'Assemblea generale.

Con il nuovo
concetto di partenariati migratori, la Svizzera ha realizzato uno strumento flessibile e innovativo. Un partenariato migratorio riflette gli interessi specifici degli operatori sul posto: il suo contenuto è flessibile e varia da un Paese all'altro. Stabilendo un partenariato migratorio, la Svizzera cerca di garantire una politica migratoria coerente che tenga conto degli interessi di tutti i partner e favorisca gli aspetti positivi della migrazione, pur offrendo soluzioni alle sfide che questa suscita. Sono stati firmati dei Memorandum d'intesa, che costituiscono la base formale per un partenariato della migrazione, con la Bosnia ed Erzegovina, la Serbia e il Kosovo. Attualmente sono in corso negoziati con la Nigeria per un accordo analogo.

1200

La lotta contro la tratta di esseri umani è un obiettivo dichiarato del Consiglio federale. La Svizzera condanna la tratta di esseri umani e la considera una grave violazione dei diritti dell'uomo. Il protocollo addizionale alla Convenzione dell'ONU contro la criminalità organizzata (Protocollo di Palermo), che la Svizzera ha ratificato il 27 ottobre 2006, costituisce il quadro normativo che dev'essere applicato sul piano internazionale. La Svizzera si impegna a favore di un'azione coordinata e consolidata tra le autorità svizzere e gli operatori di Stati terzi considerati importanti dal punto di vista della politica interna. A livello internazionale, la Svizzera sostiene svariati progetti attuati nei Paesi di provenienza e di transito delle vittime della tratta di esseri umani, di cui la Svizzera è a conoscenza (in particolare la Romania, il Brasile e la Nigeria). Al fine di proteggere le vittime, la Svizzera prende contatto con i governi e gli operatori nei Paesi d'origine. Inoltre ha iniziato a integrare questa dimensione nei dialoghi sui diritti dell'uomo.

Tre quarti dei dieci e più milioni di rifugiati nel mondo vivono in Africa, in America Latina, in Asia e in Medio Oriente ­ spesso in Paesi in sviluppo le cui capacità non bastano per accogliere un numero elevato di rifugiati e garantire loro una protezione efficace. Confrontata a questa realtà, la Svizzera ha adottato recentemente la strategia per la protezione dei rifugiati nella regione d'origine Protezione nella regione.

Grazie a questo programma, contribuisce a far trovare rapidamente ai rifugiati una protezione efficace nella regione d'origine e sostiene i Paesi di primo asilo negli sforzi per accordare loro la protezione necessaria. L'attuazione concreta di un programma di questo tipo è già stata avviata nello Yemen, un Paese di destinazione e transito importante per i rifugiati e il flusso migratorio nella regione del Corno d'Africa. Attualmente in Siria è in corso d'elaborazione un programma a favore dei rifugiati provenienti dall'Iraq.

3.3.6

Sfollati all'interno del proprio Paese

Sfollamenti forzati, stupri, torture, esecuzioni sommarie, massacri coinvolgono milioni di civili vittime della violenza e della guerra. Il principio fondamentale della distinzione tra civili e combattenti e tra strutture civili e obiettivi militari spesso è rimesso in causa con un impatto non di rado drammatico sulle popolazioni civili.

D'altronde, il ricorso ad azioni contrarie al diritto internazionale pubblico, come gli attacchi deliberati contro la popolazione civile, spesso rientra nelle strategie utilizzate dagli avversari più deboli sul piano militare. Di fronte a questi sviluppi, la protezione dei civili nei conflitti armati è diventata un motivo di costante preoccupazione per la comunità internazionale, confrontata a una doppia sfida: da una parte convincere gli Stati e i gruppi armati non statali a rispettare meglio il diritto internazionale durante i conflitti armati, dall'altra fornire sul campo risposte operative adeguate ai diritti e alle esigenze dei civili.

Sin dall'inizio dell'incarico, la Svizzera sostiene il Rappresentante del Segretario generale dell'ONU per i diritti umani degli sfollati interni nel dialogo con i governi e le organizzazioni internazionali o regionali affinché siano applicati i Princìpi direttivi riguardanti il trasferimento di persone all'interno del proprio Paese. La Svizzera mette due esperti a disposizione del Responsabile e lo sostiene nella realizzazione di progetti concreti in Colombia e nella regione dei Grandi Laghi, imperniati sulla ricerca di alternative stabili al trasferimento e sulla protezione degli sfollati.

1201

L'iniziativa Sfollati e promozione della pace si concentra sui nessi tra la problematica degli sfollati e quella della costruzione della pace. In realtà, la mancata risoluzione della questione degli sfollati può causare instabilità e dunque mettere in difficoltà tanto il processo quanto gli sforzi per instaurare la pace. D'altra parte, non è possibile trovare una soluzione duratura ai trasferimenti ­ in particolare il rientro degli sfollati ­ fino a quando non verranno risolte questioni quali la sicurezza, l'accesso ai servizi di base, la restituzione dei beni, la ricostruzione, la riconciliazione e il rispetto dello Stato di diritto. In questa prospettiva, gli sfollati partecipano in prima persona alla costruzione della pace e non possono più essere considerati un «problema umanitario». La Colombia è stata il primo Paese in cui la Svizzera ha sostenuto un progetto pilota che ha permesso di avviare misure concrete, ad esempio a favore del coinvolgimento degli sfollati nel processo di giustizia di transizione e della diffusione di proposte di costruzione della pace provenienti da comunità di sfollati. In Africa, la Svizzera ha sostenuto il Segretariato della Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi Laghi (CIRGL) in un progetto il cui obiettivo principale era consolidare strutture e capacità. Adottando il Protocollo sulla protezione e sull'assistenza agli sfollati all'interno del proprio Paese, gli Stati che partecipano alla CIRGL sono stati i primi ad accettare una disposizione legale che esige dagli Stati firmatari che si conformino ai Princìpi direttivi riguardanti il trasferimento di persone all'interno del proprio Paese. Il protocollo della CIRGL contribuisce a un processo più vasto condotto dall'Unione Africana per rispondere alla questione del trasferimento forzato su tutto il continente, che ha portato, nell'ottobre 2009, all'adozione di una Convenzione dell'Unione Africana sugli sfollati interni.

L'attuazione del protocollo e la sua trasposizione nelle leggi nazionali tuttavia sono lente: insieme alle Nazioni Unite e ad altri Paesi donatori, la Svizzera contribuisce a questi sforzi sostenendo riunioni e atelier tecnici regionali.

Inoltre, il DFAE ha partecipato all'elaborazione di una Guida sull'integrazione degli sfollati interni nel processo di pace redatta da un gruppo di
esperti di mediazione, diritti dell'uomo e questioni umanitarie. La pubblicazione mostra che persone incaricate di svolgere una mediazione possono includere negli accordi di pace argomenti rilevanti per gli sfollati.

Infine, la Confederazione, e in particolare il Dipartimento federale degli affari esteri, ha adottato nel 2009 una Strategia per la protezione della popolazione civile nei conflitti armati (2009­2012) sviluppata contemporaneamente all'azione della Svizzera in seno al Consiglio di sicurezza a favore della protezione dei civili nei conflitti armati. Per mezzo di questa Strategia, la Svizzera intende affermare la propria volontà di rispondere meglio alle sfide della protezione dei civili nei conflitti armati, di rafforzare l'efficacia della propria azione multilaterale e bilaterale nonché di consolidare la propria posizione internazionale sulla questione e influenzare ulteriormente il dibattito, in particolare nel quadro delle Nazioni Unite. La Strategia è stata avviata nel 2009 realizzando svariati progetti concreti in ambiti prioritari (accesso umanitario, gruppi vulnerabili, formazione ecc.) e in due Paesi pilota (Sudan e Colombia).

1202

3.3.7

Difensori dei diritti dell'uomo

I difensori dei diritti dell'uomo assumono un ruolo importante nella protezione di queste norme, nella soluzione pacifica di conflitti e nel consolidamento dello Stato di diritto. In molti Paesi la loro attività è ostacolata da restrizioni alla libertà di associazione, di riunione e di espressione; a volte succede anche che vengano minacciati il loro diritto alla vita e la loro integrità fisica e che le loro attività vengano criminalizzate.

Nel 1998 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti. Anche se non vincolante, questa dichiarazione rappresenta oggi il testo di riferimento sul piano universale per la protezione dei difensori dei diritti dell'uomo. Da qualche tempo all'interno delle Nazioni Unite e in particolare del Consiglio dei diritti dell'uomo, si registrano tentativi di ridurne la portata dando definizioni restrittive al concetto stesso di difensore dei diritti umani. La Svizzera si oppone a questi tentativi: infatti una definizione restrittiva aprirebbe le porte a misure che riducono il margine di manovra delle persone che svolgono attività in difesa dei diritti umani e che improvvisamente non rientrerebbero più in questa definizione. La Confederazione propugna che i difensori dei diritti dell'uomo siano definiti dalle attività che svolgono; si può dunque trattare di qualsiasi persona o gruppo di persone che si occupa della promozione dei diritti dell'uomo. Tuttavia bisogna constatare che i diritti di espressione, di riunione e di associazione sanciti dalla Carta dei diritti dell'uomo restano lettera morta in svariati contesti. È indispensabile ribadire e consolidare più attivamente e con l'impegno all'interno di ambiti internazionali la protezione dei difensori dei diritti dell'uomo.

In seno al Consiglio d'Europa, il ruolo del Commissario dei diritti dell'uomo è stato rafforzato dalla Dichiarazione del Comitato dei Ministri sull'azione del Consiglio d'Europa relativa al miglioramento della protezione dei difensori dei diritti umani e alla promozione delle loro attività. La sua adozione nel febbraio 2008 sottolinea il fermo impegno degli Stati membri del Consiglio d'Europa a
garantire una protezione efficace ai difensori dei diritti dell'uomo e alle loro attività, in particolare nelle situazioni di rischio. La dichiarazione chiede del resto che gli organi e le istituzioni del Consiglio d'Europa prestino molta attenzione alle questioni che riguardano i difensori dei diritti dell'uomo e al loro lavoro.

Sul piano interno, il nostro Collegio intende proseguire il lavoro di definizione di Linee guida a favore dei difensori dei diritti dell'uomo fissando anche obiettivi e mezzi concreti per raggiungerli. La Svizzera si impegna infatti a favore dei difensori dei diritti dell'uomo e interviene sul piano politico presso i Paesi le cui autorità li ostacolano, parlando della loro situazione durante le visite bilaterali e proponendo di farli patrocinare da personalità svizzere. A questo proposito nel 2007 il Dipartimento federale degli affari esteri ha lanciato, insieme all'Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT), il progetto «difendere i difensori». L'obiettivo del progetto è svolgere campagne per far proteggere i difensori dei diritti dell'uomo da personalità svizzere che assumono la funzione di padrino o madrina. In questo modo è possibile, da una parte, attirare l'attenzione sul lavoro e sulle attività dei difensori dei diritti dell'uomo e, dall'altra, proteggere, grazie alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, queste persone dalle persecuzioni. A tale scopo, personalità del mondo della cultura, della politica e dell'economia sono state associate ognuna a un difensore.

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L'OMCT, che mantiene stretti contatti con i difensori patrocinati, può chiedere al padrino o alla madrina di intervenire concretamente in favore del proprio «pupillo», in particolare se ne sono minacciate la vita o l'integrità fisica. Una dozzina di azioni concrete sono state svolte nel quadro del patrocinio, l'ultima (marzo 2010) era una missione nell'Est della Repubblica democratica del Congo portata avanti da due padrini. Lo scopo della missione era documentare i rischi assunti dai difensori dei diritti dell'uomo, in genere donne, con il loro impegno a favore delle vittime di violenze sessuali.

Inoltre la Svizzera finanzia i corsi del Servizio internazionale dei diritti dell'uomo (ONG con sede a Ginevra) organizzati per i difensori provenienti da tutto il mondo.

Infatti è importante che questi conoscano e comprendano i meccanismi multilaterali, in particolare quelli dell'ONU, per diffondere il più efficacemente possibile il loro messaggio.

3.3.8

Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT)

Ancor oggi in tutto il mondo le discriminazioni contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) sono numerose. In alcuni Paesi, ogni forma di convivenza, di associazione o di riunione è esclusa; la discriminazione ha luogo sul posto di lavoro, nell'ambito dell'educazione. Non è raro che queste persone rischino di essere imprigionate, torturate o giustiziate. In questo ambito sul piano internazionale sono stati fatti progressi incoraggianti, ma ancora molto resta da fare. Per questa ragione il nostro Consiglio vuole proteggere le persone LGBT dalle discriminazioni e violazioni dei diritti dell'uomo e difenderne la libertà a livello internazionale.

Per la Svizzera si tratta innanzitutto di partecipare, con interventi e raccomandazioni, al lavoro di sensibilizzazione e ai dibattiti per avvicinare le opinioni divergenti.

Inoltre, il nostro Paese vuole continuare a sollevare la questione dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere nei contatti con determinati Stati. I nostri rappresentanti nelle ambasciate seguono la situazione e l'attualità nelle relative sedi e il nostro Paese, nel quadro dei dialoghi sui diritti dell'uomo o in quello delle relazioni diplomatiche, attira l'attenzione degli interlocutori sulle questioni della discriminazione nei confronti delle persone LGBT. Queste problematiche possono essere collegate a nuovi testi di legge, a divieti di manifestare o a limitazioni della libertà di espressione ma anche, tra l'altro, a questioni connesse alla criminalizzazione dell'omosessualità o ai crimini di odio comuni in determinati contesti. Nelle cerchie multilaterali, la Svizzera continuerà a impegnarsi affinché le misure per sradicare la discriminazione nei confronti delle persone LGBT siano integrate negli ordinamenti legali esistenti, sia a livello globale sia in Europa dove questo tipo di discriminazione è ancora molto presente. La Svizzera, con più di 60 altri Stati, è coautrice di due dichiarazioni interregionali adottate nel plenum dell'Assemblea generale e del Consiglio dei diritti dell'uomo, il cui scopo è porre termine alla discriminazione in base all'orientamento sessuale. Inoltre sosteniamo presso il Comitato delle ONG dell'ONU a New York le domande di statuto consultivo (presenza presso l'ONU e partecipazione ai relativi lavori) delle ONG di LBGT svizzere o con sede in Svizzera.

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3.4

Ambiti che risentono in modo particolare della globalizzazione

L'incessante avanzata della globalizzazione implica un'attenzione costante allo sviluppo di norme che devono accompagnare questo processo. Per questa ragione, il nostro Collegio considera attuale e pertinente l'obiettivo di contribuire allo sviluppo delle norme e alla loro applicazione nei settori toccati dalla globalizzazione. Formulato in maniera generale, l'obiettivo lascia un margine di manovra sufficiente per individuare opportunità politiche, svolgere iniziative specifiche e adattare in maniera rapida l'attribuzione delle risorse.

La Dichiarazione del Millennio, adottata dai capi di Stato e dai governi nel 2000, considera «che la sfida fondamentale che abbiamo oggi di fronte sia quella di garantire che la globalizzazione diventi una forza positiva per tutti i popoli del pianeta»116. L'intensificazione dei legami di interdipendenza fra gli Stati, le attività e i sistemi politici deve essere accompagnata da uno sviluppo normativo adeguato.

Le regole del commercio, quelle della proprietà intellettuale, le norme in ambito ambientale, i regolamenti e il controllo dei mercati finanziari, ad esempio, sono solo singoli aspetti dell'esigenza di inquadrare la globalizzazione affinché i benefici vengano ridistribuiti nel modo più equo possibile. I diritti dell'uomo rientrano in questo contesto. La globalizzazione comporta una circolazione più rapida delle idee e dei valori, tra i quali i diritti dell'uomo, con rivendicazioni sempre più importanti in nome delle libertà individuali e della protezione dei diritti fondamentali. Come menzionato, questi sviluppi sociali hanno permesso l'espandersi dell'architettura normativa relativa ai diritti dell'uomo. La volontà politica di attuarli in modo completo e integrale, invece, presenta ancora lacune.

Per rafforzare questa volontà politica è d'importanza fondamentale circoscrivere in maniera chiara un problema specifico. La Svizzera è attiva, tra l'altro, in settori come quello delle società di sicurezza e delle società militari private, quello della giustizia di transizione, quello dell'educazione e quello della formazione ai diritti dell'uomo. Queste differenti iniziative hanno permesso ogni volta di discutere di una problematica specifica con effetti sul rispetto dei diritti fondamentali, di risvegliare le coscienze, di coinvolgere gli attori principali
direttamente interessati, di stabilire insieme programmi di lavoro o di elaborare strumenti normativi flessibili. Le esperienze raccolte nel passato e la credibilità raggiunta dalla Svizzera incitano il nostro Collegio a proseguire un impegno prioritario in particolare negli ambiti seguenti: economia e diritti dell'uomo, società di sicurezza e militari private, promozione dei diritti economici, sociali e culturali che sono in pieno sviluppo, con un particolare accento sulla lotta contro la povertà, il diritto al cibo, all'acqua e alla salute.

Durante gli ultimi anni la Svizzera ha effettuato un lavoro importante di chiarimento sulla nozione e sulla portata del termine «diritto di proprietà» riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, al fine di assicurare a chi vive in povertà e nell'irregolarità l'accesso alla proprietà sui beni materiali e fondiari ed evitare dunque ogni espropriazione arbitraria. Si è constatato che non era opportuno lanciare un'iniziativa diplomatica per far conoscere il diritto di proprietà come un diritto umano a livello internazionale, ma che per contro era utile promuovere questa tematica connessa con altri diritti dell'uomo, come ad esempio il diritto al cibo la cui concretizzazione dipende dall'accesso alla terra e da una normativa efficace e traspa116

Art. 5

1205

rente sul diritto fondiario. Poiché l'argomento del diritto di proprietà è importante e pertinente per la realizzazione di numerosi diritti dell'uomo, è giustificato continuarne la promozione in maniera trasversale.

3.4.1

Diritti economici, sociali e culturali

Secondo l'articolo 2 della legge federale del 19 dicembre 2003 su misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo, la Confederazione contribuisce a «rafforzare i diritti dell'uomo, promuovendo i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di persone o gruppi di persone». La Svizzera riconosce dunque esplicitamente l'indivisibilità dei diritti dell'uomo, come dichiarati alla Conferenza di Vienna nel 1993.

I diritti economici, sociali e culturali sono i diritti dell'uomo che meritano maggiormente di essere sviluppati. Come indicato nella risposta al postulato sulla promozione della democrazia e dei diritti dell'uomo con gli Stati terzi partner della Svizzera117, il nostro Collegio è deciso a sostenere il potenziale di sviluppo di questi diritti, sia nel quadro dei programmi bilaterali di lotta contro la povertà, di democratizzazione, di rispetto dei princìpi dello Stato di diritto o della promozione della pace, sia nell'ambito delle procedure multilaterali.

Anche se la Svizzera contribuisce con la politica estera alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali, tra l'altro con i programmi di sviluppo, la sua posizione nella costruzione della normativa riguardante questi diritti resta prudente. Il nostro Collegio ritiene che gli obblighi internazionali assunti con l'adozione del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali dell'ONU (Patto I)118 siano di carattere programmatico (salvo eccezioni come ad esempio l'articolo 8 sul diritto di costituire sindacati) e che per loro natura abbiano bisogno dell'intervento del legislatore per essere messi in atto. Questo punto di vista trova conferma in particolare nell'articolo 41 della Costituzione federale svizzera, il quale contiene obiettivi sociali e non diritti fondamentali e può appoggiarsi indirettamente sulla posizione del Parlamento svizzero che fino ad oggi si è mostrato riservato sulla questione dell'adozione di convenzioni che riguardano argomenti connessi, come nel caso del rifiuto di aderire alla Carta sociale europea nel dicembre 2004. A tale proposito è necessario comunque segnalare che il nostro Collegio ha accettato, il 24 febbraio 2010, il postulato della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati che chiede di presentare un rapporto sulla
compatibilità della riveduta Carta sociale europea con l'ordinamento giuridico svizzero e sull'opportunità di firmarla e ratificarla al più presto119. Il protocollo facoltativo al Patto I è stato adottato nel dicembre 2008 dall'Assemblea generale. Questo strumento permette ai singoli che ritengono di essere vittime di una violazione di uno dei diritti enunciati nel Patto di trasmettere una comunicazione al Comitato dei diritti economici e sociali. Durante i negoziati e di fronte alle posizioni estreme difese nel gruppo di lavoro (rifiuto totale dello strumento da una parte e giustiziabilità completa di tutti i diritti che derivano dal Patto I dell'ONU dall'altra), la Svizzera, considerando la 117

06.3617 ­ Postulato: Promuovere la democrazia e i diritti umani con gli Stati terzi partner della Svizzera.

118 La Svizzera ha aderito al Patto I il 18 giugno 1992.

119 10.3004 ­ Postulato: Compatibilità della riveduta Carta sociale europea con l'ordinamento giuridico svizzero.

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situazione giuridica elvetica, ha adottato una posizione di compromesso raccomandando, con una clausola di «opting out», una limitazione del campo d'applicazione del protocollo facoltativo e più precisamente delle competenze dell'organo di controllo autorizzato. Questo approccio avrebbe permesso agli Stati parte al protocollo di definire i diritti del Patto I dell'ONU che sarebbero sottoposti alla nuova procedura di comunicazione individuale. Nonostante l'opposizione di un ampio gruppo di Paesi, si è tuttavia imposta la soluzione del campo d'applicazione completo del protocollo facoltativo durante l'ultimo giro di negoziati nel 2008.

3.4.2

Lotta contro la povertà

L'interazione tra cooperazione allo sviluppo e rispetto dei diritti dell'uomo è molto serrata. La povertà comporta il mancato soddisfacimento dei bisogni fondamentali, come sono definiti nelle convenzioni internazionali e riconosciuti nell'impegno della maggior parte degli Stati. La povertà dunque rappresenta una violazione dei diritti dell'uomo. Questa realtà rende la promozione dei diritti umani dei più poveri e la difesa dei diritti dell'uomo un fulcro importante dell'azione della cooperazione internazionale. La cooperazione allo sviluppo riconosce l'importanza e l'utilità della difesa dei diritti dell'uomo e offre un modo di combattere la povertà lottando contro l'esclusione sociale, politica ed economica e promuovendo la giustizia sociale. La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) ne tengono conto per mezzo della cooperazione economica e di un approccio incentrato sui diritti dell'uomo. In altre parole, curano la pianificazione, la realizzazione e l'analisi di strategie, programmi e progetti di sviluppo fondati sul rispetto dei diritti dell'uomo. A tale scopo si concentrano sia sull'approccio settoriale, che si inserisce nelle attività di promozione del buon governo nei Paesi partner, sia sull'approccio trasversale, che integra i diritti dell'uomo nell'ideazione, nell'attuazione e nel sostegno alle relative politiche e strategie, per quel che riguarda la SECO in modo particolare con progetti mirati nel settore della promozione commerciale allo sviluppo.

Il sottosviluppo e la povertà si presentano sotto molteplici aspetti: fame, malattie, disoccupazione, insicurezza economica, mancato accesso all'acqua potabile e all'educazione. Ma la discriminazione in base al sesso, all'età, alla lingua, all'origine etnica o alla religione è frequente anch'essa e sfocia nell'esclusione, nell'umiliazione e nell'impossibilità di difendersi, nell'insicurezza e nella paura di violenze fisiche. La lotta contro la povertà passa dunque necessariamente per due strade: riconoscere i diritti dei più poveri e rafforzare il loro ruolo di cittadini attivi; il sostegno alle autorità dello Stato per far rispettare e salvaguardare meglio i diritti dell'uomo, che si tratti di formazione scolastica, di accesso alle cure mediche, di partecipazione al dibattito democratico
o di approvvigionamento di acqua potabile.

La Svizzera appoggia l'obiettivo della riduzione della povertà con una politica incentrata su tre pilastri: l'aiuto alle persone che si trovano in situazioni di conflitto e di emergenza, la crescita che comporta la riduzione del numero di poveri, una globalizzazione socialmente ed ecologicamente sostenibile. Per il primo pilastro la Svizzera è attiva nel settore dell'aiuto e della prevenzione contro le catastrofi, come in Bolivia e nel Bangladesh dove l'aiuto umanitario coopera in modo stretto con le autorità locali, o in situazioni di conflitto, come in Nepal e nella Regione dei Grandi Laghi. L'approccio che sostiene una crescita con riduzione del numero di persone 1207

povere, il secondo pilastro, corrisponde addirittura alle basi della politica di cooperazione allo sviluppo del nostro Paese. Secondo il contesto, ad esempio instabile nel Niger o stabile in Tanzania, oppure in una terra ricca di materie prime come la Repubblica democratica del Congo o priva di queste risorse come il Burkina Faso, gli strumenti e i partner vengono adeguati in conseguenza. Le autorità governative, le ONG, il settore privato, le organizzazioni internazionali sono attori con i quali la Svizzera opera regolarmente per l'attuazione della propria politica. Il terzo e ultimo pilastro si sviluppa intorno alla convinzione che ogni politica di riduzione della povertà per essere duratura ha bisogno di essere sostenibile in termini ecologici e sociali. La globalizzazione offre opportunità che devono essere colte. In questo ambito la SECO è particolarmente attiva con programmi sostanziali svolti in collaborazione con l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Questi programmi hanno come obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro e dunque di attuare i princìpi fondamentali dell'OIL nelle piccole e medie imprese; sono realizzati in Perù, in Sudafrica, nel Ghana, in Indonesia, in Vietnam, nel Laos, in India e in Cina.

In collaborazione con la Banca mondiale la SECO sostiene un programma globale di ricerca ed analisi sullo sviluppo del mercato del lavoro.

Oltre alla considerazione sistematica dei diritti dell'uomo nel contesto delle normali attività di cooperazione allo sviluppo, la DSC integra elementi specifici connessi ai diritti dell'uomo nei programmi attuati in determinati Paesi. Sul terreno, sostiene progetti e programmi di promozione dei diritti civili e politici, in particolare mediante l'accesso alla giustizia, la democratizzazione e l'apertura dei media. Si concentra su questioni di questo tipo in Paesi molto diversi come il Perù, la Bolivia, il Ruanda, il Niger, il Bangladesh e il Vietnam e in alcune regioni sensibili: i Balcani, il Sudafrica, l'Asia centrale ed il Medio Oriente. L'obiettivo di queste componenti è trarre vantaggio dalla rete di contatti costituita nel quadro delle attività di cooperazione allo sviluppo per formulare rivendicazioni nel settore dei diritti dell'uomo, connettere saldamente le attività di cooperazione allo sviluppo ai diritti umani (ad esempio
rifacendosi alle raccomandazioni formulate nel quadro dei meccanismi internazionali di difesa dei diritti dell'uomo) o integrare elementi di difesa dei diritti umani nei programmi di cooperazione allo sviluppo.

In termini di sviluppo normativo, la Confederazione intende impegnarsi soprattutto nei settori del diritto al cibo, del diritto all'acqua e del diritto alla salute.

Oggi si stima che più di un miliardo di persone soffrano cronicamente la fame: quasi tutte vivono in Paesi in sviluppo. Questa constatazione è tanto più impressionante perché non si tratta del risultato di una fatalità. In realtà, secondo le stime della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) il pianeta produce cibo a sufficienza per 12 miliardi di abitanti. Il diritto all'alimentazione è uno dei diritti umani più fondamentali: le persone colpite dal flagello della fame non possono esercitare correttamente numerosi altri diritti umani. Il diritto al cibo è sancito in numerose convenzioni ratificate dalla Svizzera: la principale è il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali che cita il diritto al cibo nel quadro di un diritto a un livello di vita sufficiente in cui rientra anche il diritto a un'abitazione e a vestiti decorosi. La Confederazione è attiva su questo fronte sia con misure pratiche sul terreno sia in ambito multilaterale, in particolare nel Consiglio dei diritti dell'uomo, dove la Svizzera sostiene il mandato del Relatore sul diritto all'alimentazione, i cui lavori analizzano le recenti crisi alimentari e finanziarie nell'ottica dei diritti umani. La Svizzera si impegna per consolidare le istituzioni che si battono per rendere prioritario questo diritto, in particolare la FAO.

1208

In tale contesto, sembra sempre più chiaro che l'investimento in una ricerca agricola performante è una delle chiavi del successo per tutte le regioni del mondo e più in particolare per le zone nelle quali la popolazione soffre di malnutrizione, spesso causata dal mancato accesso a cibo adeguato. Questa problematica è connessa alla povertà e all'aumento della popolazione nelle stesse regioni e necessita di importanti investimenti a favore della produzione agricola nonché di un trasferimento di conoscenze.

La Svizzera ha sostenuto l'istituzione del mandato dell'esperta indipendente per l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici presso il Consiglio dei diritti dell'uomo. Il mandato permette di esaminare la questione degli impegni connessi ai diritti umani che riguardano l'accesso all'acqua potabile e all'igiene sanitaria. La Svizzera riconosce il diritto all'acqua e ai servizi igienici quali diritti derivanti dal Patto dell'ONU relativo ai diritti economici, sociali e culturali. Quale riserva d'acqua dell'Europa, il nostro Paese sostiene la gestione integrata delle acque e l'accesso non discriminato a questa risorsa vitale, in particolare per chi vive in povertà. L'accesso all'acqua e ai servizi igienici è in realtà essenziale per la realizzazione del diritto alla salute e al cibo. Riconoscere il diritto all'acqua e all'igiene sanitaria costituisce una priorità per la Svizzera che continuerà a impegnarsi nella sua realizzazione, in particolare per mezzo della cooperazione allo sviluppo.

Il diritto alla salute è una questione tanto politica quanto pratica. Per milioni di persone il pieno godimento è ancora una realtà lontana, soprattutto per i più poveri. I costi della salute sono troppo elevati per moltissimi, anche nei Paesi industrializzati, nonostante l'adozione di politiche e programmi sanitari accessibili. La salute, intesa quale «diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire»120, è un diritto umano fondamentale indispensabile al godimento di altri diritti umani. Vi rientra un'ampia gamma di fattori socioeconomici che vanno dalle condizioni che permettono agli individui di vivere in salute fino ai fattori che la determinano quali il cibo, l'alloggio, l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici, a condizioni
di lavoro igieniche e esenti da rischi e a un ambiente sano. Il diritto alla salute presuppone che i poteri pubblici realizzino condizioni tali affinché ognuno possa godere del miglior stato di salute possibile. Sotto l'egida del DFAE, un'importante pubblicazione sul diritto alla salute121 ha permesso di circoscriverne la complessità: l'accesso alle cure senza discriminazioni, l'accesso ai farmaci e alla medicina di base, la lotta contro l'Aids/HIV, il commercio e la sanità, la malaria, il ruolo dei governi e degli attori non statali sono solo alcuni degli argomenti trattati. La Confederazione, in base alle riflessioni e alle conclusioni di questa pubblicazione, intende continuare nell'impegno a favore del diritto alla salute, i cui diversi elementi coprono in parte altri diritti prioritari quali l'accesso all'acqua, favorendo in tal modo le sinergie tematiche e un uso più efficace delle risorse.

120 121

Art. 12 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali.

Swiss Human Rights Books; Realizing the Right to Health, 2009.

1209

3.4.3

Economia e diritti dell'uomo

L'economia e le imprese contribuiscono, grazie al loro dinamismo, alla crescita e alla ricchezza della popolazione. Svariati attori privati sono attivi in diversi settori che contribuiscono alla realizzazione dei diritti dell'uomo, come la stampa, i media elettronici, i liberi professionisti come medici e giuristi o ancora nel settore dei trasporti. A causa della globalizzazione dell'economia, un numero crescente di Stati e di aziende transnazionali s'interroga sull'impatto esercitato da questa presenza sulla società locale, in particolare nei Paesi in sviluppo e in quelli in transizione le cui strutture statali sono deboli o in Paesi che sono in difficoltà. Gli Stati sono tenuti a garantire il godimento dei diritti dell'uomo. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nonostante si rivolga agli Stati, precisa che tutti gli organi della società sono tenuti a far progredire e riconoscere questi diritti. Le aziende assumono dunque un ruolo nella protezione dei diritti dell'uomo. In particolare sono confrontate a esigenze sociali ed ecologiche crescenti da parte della società; non rispettarle, ad esempio facendo ricorso al lavoro dei bambini, può nuocere all'immagine e alla reputazione della ditta. Inoltre, le aziende investono spesso in Paesi nei quali la situazione dei diritti dell'uomo è preoccupante o in regioni in conflitto: il loro impegno a favore dei diritti dell'uomo può contribuire alla stabilità politica, a una gestione seria dei rischi e alla realizzazione di condizioni di produzione e d'investimento ideali.

Per un Paese come la Svizzera, che dipende dagli scambi economici internazionali, la stabilità e la qualità delle condizioni quadro offerte all'economia sono essenziali.

Dunque è nel nostro interesse impegnarci per uno sviluppo sostenibile, per la pace e la stabilità, per un buon governo e per il rispetto dei diritti dell'uomo nel mondo. A tale scopo, la Svizzera incoraggia il dialogo tra l'economia, la politica e la società civile, in particolare attraverso piattaforme di comunicazione e di formazione; inoltre affronta la questione dei diritti dell'uomo e dell'economia con altri Paesi, favorisce e sostiene lo sviluppo di strumenti atti a integrare il rispetto dei diritti dell'uomo nelle prassi e nelle operazioni aziendali, fornisce consulenza alle aziende e analizza i rischi
politici.

La Confederazione s'impegna a livello mondiale per avviare e portare avanti iniziative quali il patto mondiale dell'ONU (Global Compact) o le Linee guida per le multinazionali dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE). La Svizzera sostiene d'altronde i lavori del Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, le società transnazionali e altre imprese commerciali sia sul piano politico sia su quello finanziario mettendo a disposizione un consulente. In particolare si è adoperata per farne conoscere su larga scala il quadro di riferimento sulla responsabilità delle imprese. I lavori del Rappresentante, riconosciuti dagli Stati, dalle imprese e dalla società civile, mettono in luce il fatto che il chiarimento da parte di un'azienda dei doveri di precauzione (due diligence) in fatto di rispetto dei diritti dell'uomo diviene sempre più spesso una condizione preliminare al successo e al riconoscimento sociale (social licence to operate). Il Rappresentante definisce i tre princìpi seguenti: lo Stato deve proteggere gli individui dalle violazioni commesse dalle imprese le quali, a loro volta, sono tenute a rispettare i diritti dell'uomo; per i casi di violazione devono essere previsti compensazioni e rimedi. La Confederazione continuerà ad associarsi allo sviluppo di questo quadro normativo per il quale constata l'esistenza di un sostegno internazionale sufficientemente ampio.

1210

Poiché la Svizzera partecipa ai Princìpi volontari per la sicurezza e i diritti dell'uomo (Voluntary Principles on Security and Human Rights), un'iniziativa internazionale che raggruppa una mezza dozzina di Stati, una quindicina di aziende petrolifere e minerarie e una decina di importanti ONG, sarà possibile sviluppare nuove sinergie; inoltre la prevenzione di potenziali conflitti nel settore dello sfruttamento e del commercio di materie prime rappresenterà una priorità.

La Confederazione continuerà a lavorare al miglioramento delle pratiche di gestione d'impresa per quel che riguarda il rispetto dei diritti dell'uomo e a far riconoscere la responsabilità specifica delle aziende nelle regioni in conflitto. In realtà, gli attori privati possono anch'essi ricoprire un ruolo importante in queste regioni: possono, intenzionalmente o meno, favorire od ostacolare la promozione della pace. Il DFAE prepara, con rappresentanti del settore privato e altri partner scientifici, metodi e strumenti atti a ridurre l'influenza nefasta dell'attività economica sui conflitti e a trasformarla, se del caso, in influssi costruttivi.

3.5

Il consolidamento istituzionale

A queste priorità tematiche si aggiunge il consolidamento delle istituzioni internazionali di promozione e protezione dei diritti dell'uomo.

L'istituzione del Consiglio dei diritti dell'uomo presso le Nazioni Unite a Ginevra, a seguito di un'iniziativa lanciata dalla Svizzera, costituisce una tappa importante nel consolidamento degli strumenti multilaterali. Nel sistema delle Nazioni Unite il Consiglio beneficia di uno statuto gerarchico più elevato di quello dell'ex Commissione dei diritti dell'uomo, si riunisce in pratica nel corso dell'intero anno e ha introdotto l'esame periodico universale che obbliga tutti gli Stati a sottoporsi a un esame della situazione dei diritti dell'uomo all'interno delle proprie frontiere. In tal modo contribuisce a incentrare maggiormente l'attenzione di diverse autorità nazionali e di altri organi della società sulle questioni che riguardano i diritti dell'uomo.

Nonostante questi progressi, il Consiglio non è esente da critiche. Il suo lavoro è tuttora improntato a una «logica dei blocchi» che contrappone i Paesi industrializzati a quelli in sviluppo, in particolare i Paesi africani e quelli musulmani. Tali tensioni vengono alla luce soprattutto durante l'analisi della situazione in ogni Paese: il numero di procedure speciali geografiche sta diminuendo, la convocazione di sessioni speciali entro termini molto brevi è spesso irta di ostacoli diplomatici e il Consiglio tende a focalizzare la propria attenzione sulla situazione in Medio Oriente, a scapito di altre gravi situazioni di violazione dei diritti dell'uomo. La mole di lavoro del Consiglio, che tra sessioni ordinarie, sessioni speciali e vari gruppi di lavoro è in riunione per circa 40 settimane all'anno, e la ripetizione di numerosi argomenti trattati a ogni sessione rendono più difficile condurre dibattiti di fondo in base a un dialogo e a uno scambio aperti. Entro il 2011 il Consiglio dei diritti dell'uomo deve esaminare se le sue attività e il suo funzionamento sono ancora adeguati, mentre nello stesso anno l'Assemblea generale deve riconsiderarne lo statuto e la composizione. La Svizzera vi contribuisce sia agevolando i negoziati, ad esempio ospitando il seminario di Montreux il 20 aprile 2010, sia in modo sostanziale, avanzando proposte sull'approccio flessibile Paese per Paese e sul consolidamento
dell'Ufficio del presidente del Consiglio, oppure incitando e promuovendo il dialogo transregionale. Il sostegno della Confederazione ai lavori dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, alle varie procedure speciali del 1211

Consiglio dei diritti dell'uomo, alla presidenza e al Consiglio consultivo di quest'ultimo fanno parte dell'impegno della Svizzera per consolidare le istituzioni.

A livello regionale la Svizzera promuove il consolidamento della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. L'entrata in vigore del Protocollo 14 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo può essere ritenuto una conseguenza della convocazione da parte della Svizzera della Conferenza ministeriale di Interlaken (il 18 e il 19 febbraio 2010), durante la sua presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. La Federazione Russa è stato l'ultimo Paese membro del Consiglio d'Europa a ratificare il Protocollo 14 nel gennaio 2010, poco prima della Conferenza ministeriale. Tale decisione della Duma russa è anch'essa il risultato degli interventi della Svizzera nel quadro delle consultazioni sui diritti dell'uomo con la Russia. La Conferenza ha adottato una Dichiarazione politica che comprende un ambizioso piano d'azione. Il documento prevede in particolare di raggiungere un equilibrio tra le nuove richieste e i casi trattati e di ridurre il numero degli affari davanti alla Corte.

Si tratta anche di garantire una migliore esecuzione delle decisioni della Corte da parte degli Stati membri e dunque di assicurare che questa esecuzione sia controllata con l'efficacia voluta dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Inoltre, la Svizzera contribuisce agli sforzi di riforma del Consiglio d'Europa per incentrarne di nuovo le attività sulle competenze tradizionali quali la promozione dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto.

Per quel che riguarda l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), la Svizzera sostiene l'autonomia dell'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo (UIDDU), dell'Alto Commissario per le minoranze nazionali, del Rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media e del Rappresentante speciale per la lotta contro la tratta di esseri umani. Inoltre, la Svizzera si impegna affinché l'OSCE ed i suoi organi attivi nella «dimensione umana» summenzionata possano profilarsi nei rispettivi settori di eccellenza.

4 4.1

Iniziative della Svizzera Società di sicurezza e società militari private

Da qualche anno nei conflitti si è fatto ricorso sempre più frequentemente a società di sicurezza e società militari private (PMSC). Questo sviluppo è controverso: le Convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli aggiuntivi, fondamento delle regole del diritto internazionale applicabile ai conflitti armati, non attribuiscono loro nessun ruolo particolare. Sulla base delle questioni giuridiche sollevate in caso di violazione delle disposizioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale relativo ai diritti dell'uomo da parte di impiegati di queste società private, la Svizzera ha lanciato un'iniziativa che ha permesso di elaborare un Codice di condotta per le società del settore.

Dal 2005 il DFAE cerca di ottenere che le società militari e di sicurezza private rispettino meglio il diritto internazionale umanitario e i diritti dell'uomo nelle zone di conflitto; con il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ha lanciato un'iniziativa intergovernativa a questo proposito. Dopo un impegno intenso e consultazioni preliminari che hanno coinvolto anche la società civile e il settore interessato, l'incontro finale tra i diciassette Paesi più direttamente interessati si è svolto nel settembre 2008 a Montreux, dove è stato adottato il Documento sulle società di sicurezza e le società militari private. Questo testo chiarisce e riafferma gli obblighi 1212

che il diritto internazionale impone agli Stati che si servono di società militari e di sicurezza private in situazioni di conflitto armato. Secondo le disposizioni vigenti, i Paesi non possono sottrarsi agli obblighi di diritto internazionale umanitario ricorrendo a imprese private, ma devono prendere le misure necessarie per impedire che le PMSC violino queste norme e i diritti dell'uomo, applicando le misure repressive necessarie: si assumono cioè direttamente la responsabilità delle azioni delle PMSC che hanno ingaggiato.

Il DFAE, in cooperazione con l'Accademia di diritto umanitario internazionale e di diritti umani (Académie de droit international humanitaire et de droits humains, ADH) di Ginevra e il Centro di Ginevra per il controllo democratico delle forze armate (DCAF), ha invitato le società e le associazioni interessate a un dialogo internazionale per l'adozione di un Codice di condotta mondiale nel settore. Dopo una serie di workshop e una conferenza internazionale a Nyon (nel giugno 2009), è stato elaborato un progetto posto in consultazione agli inizi del 2010 presso le società direttamente interessate. Il Codice di condotta proporrà alle PMSC, ai loro clienti, agli Stati, alla società civile e ad altri operatori interessati indicazioni sulle modalità dei servizi forniti conformemente alle norme internazionali dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario. Fissare standard elevati per le PMSC sia per il reclutamento e la formazione del personale sia per i servizi forniti contribuirà a prevenire eventuali violazioni del diritto internazionale. Poiché però non è possibile escludere del tutto la possibilità di violazioni, il Codice di condotta contemplerà anche un meccanismo di denuncia e risarcimento. I negoziati in corso prevedono anche di istituire un organo di sorveglianza del rispetto del Codice di condotta. Si tratterà quindi di farvi aderire volontariamente le società e i governi direttamente interessati per permetterne l'applicazione.

4.2

Agenda per i diritti dell'uomo

Constatando il fossato che separa le norme internazionali dalla realtà sul campo, la Svizzera ha inteso contribuire alle celebrazioni per il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo lanciando un'iniziativa per elaborare un'Agenda dei diritti dell'uomo per il prossimo decennio. Un gruppo di eminenti personalità ha ricevuto il compito di individuare, studiare e precisare gli argomenti specifici nell'ambito dei diritti dell'uomo e di proporre un'agenda per il prossimo decennio. Il documento pubblicato dal gruppo Proteggere la dignità: un'agenda per i diritti umani contiene proposte concrete e, con i progetti di ricerca che l'accompagnano, intende far progredire il rispetto dei diritti dell'uomo nel mondo. Il gruppo di esperti ha potuto contare su una totale libertà nell'elaborazione del testo. L'autonomia intellettuale era in effetti la migliore garanzia per un'agenda dei diritti umani non vincolata agli interessi di un determinato Paese, bensì in grado di presentare un programma per una protezione più salda dei diritti dell'uomo. Il gruppo si è concentrato sulle grandi sfide seguenti: la disparità tra il riconoscimento della dignità umana e l'effettivo rispetto dei diritti dell'uomo, la lotta contro la povertà, l'accesso alla giustizia e il rispetto dello Stato di diritto, il riconoscimento delle responsabilità condivise, la costituzione di un fondo globale per i sistemi nazionali di protezione dei diritti umani e infine l'istituzione di una Corte mondiale dei diritti dell'uomo.

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Nonostante il lavoro del gruppo sia stato svolto nella più ampia autonomia, le conclusioni e i progetti di ricerca cui è giunto si allineano in gran parte all'analisi e alle priorità della Svizzera in fatto di promozione e protezione dei diritti dell'uomo per i prossimi anni.

4.3

Giustizia di transizione

La riparazione delle violazioni dei diritti umani perpetrate durante un conflitto costituisce un fattore capitale per stabilire una pace duratura, fondata sull'assenza di impunità, sulla giustizia e sulla riabilitazione delle vittime. La Svizzera incoraggia il rispetto dei diritti umani, in particolare gli elementi connessi alla lotta contro l'impunità, nei negoziati e nell'applicazione degli accordi di pace. Gli esperti svizzeri accompagnano e consigliano i vari gruppi di interesse nella concretizzazione degli accordi di pace in Nepal o nella definizione di misure di riparazione in Guatemala. Nel Burundi e in Colombia gli attori nazionali hanno chiesto alla Svizzera di aiutarli a definire una strategia di rielaborazione del passato. In quest'ultimo Paese la Svizzera segue i lavori della Commissione nazionale di riparazione e riconciliazione, in particolare del Gruppo di memoria storica, garantendo la trasmissione delle nozioni e il sostegno nella formulazione e nella realizzazione di proposte di politiche pubbliche contro l'impunità.

In Nepal la Svizzera sostiene un progetto per aiutare le persone che hanno subito ferite fisiche o psicologiche a superare il trauma; nella ex Jugoslavia offre invece appoggio a tre centri indipendenti di difesa dei diritti umani (a Belgrado, a Sarajevo e a Zagabria) per costituire una banca di dati in grado di determinare il numero esatto delle vittime della guerra sul territorio dell'ex Jugoslavia; in Guatemala alcuni Svizzeri collaborano nella Commissione internazionale contro l'impunità; nel quadro del dialogo tra l'Armenia e la Turchia la Confederazione ha suggerito alle parti, su loro richiesta, come rielaborare il passato, condividendo esperienza e sapere sulla costituzione e sul lavoro di commissioni per la verità e la riconciliazione e di commissioni di storici. Inoltre la Svizzera è stata l'artefice principale dell'introduzione di una disposizione per l'allestimento di un meccanismo che permetta di rielaborare il passato del Kosovo e di iniziative di giustizia di transizione nel Regolamento sullo statuto del Kosovo presentato nel marzo 2007 dall'Inviato speciale delle Nazioni Unite Martti Ahtisaari. La Confederazione segue attivamente l'attuazione di questa disposizione.

Sul piano multilaterale, nel settembre 2008 la Svizzera ha deposto una risoluzione
presso il Consiglio dei diritti dell'uomo intitolata Diritti dell'uomo e giustizia di transizione, con la quale chiede all'Alto Commissariato di elaborare uno studio sui diritti dell'uomo e sulla giustizia di transizione che includa, tra l'altro, un inventario degli aspetti che riguardano i diritti dell'uomo nei recenti accordi di pace. La pubblicazione dello studio ha fornito le basi per una seconda risoluzione che sottolinea tra l'altro che gli accordi di pace approvati dall'ONU non possono in alcun caso promettere amnistie in caso di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e violazioni flagranti dei diritti dell'uomo.

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4.4

Educazione e formazione ai diritti dell'uomo

Nel settembre 2007, in occasione della sesta sessione del Consiglio dei diritti dell'uomo, la Svizzera e il Regno del Marocco hanno introdotto una risoluzione che chiede l'elaborazione di una Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e sulla formazione ai diritti dell'uomo al fine di concretizzare l'obiettivo di promuovere questi ambiti come definito nella risoluzione 60/251 dell'Assemblea generale.

Con il passare del tempo, ai due inizianti si sono aggiunte altre cinque delegazioni provenienti da tutti i gruppi regionali (Costa Rica, Italia, Filippine, Senegal e Slovenia) che hanno costituito il Polo educazione e formazione ai diritti dell'uomo nel Consiglio dei diritti dell'uomo. Questa dimensione «transregionale» dell'iniziativa è importante perché contribuisce a instaurare un clima di fiducia in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo, spesso stretto in una logica dei blocchi che mina il dialogo e la ricerca di soluzioni durature e sostenute da un ampio consenso.

L'iniziativa intende contribuire alla diffusione dei diritti dell'uomo per mezzo dell'educazione scolastica e la formazione di diverse corporazioni di mestieri (in particolare corpo di polizia, giudici, secondini, personale ospedaliero, insegnanti) e sottolinea in questo modo l'importanza di far conoscere i diritti perché siano rispettati. Nel marzo 2010, il Comitato consultivo del Consiglio dei diritti dell'uomo ha presentato il progetto di Dichiarazione, inteso come complemento ai vari testi e programmi già in corso, in particolare il Programma mondiale per l'educazione ai diritti dell'uomo dell'UNESCO e dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo. Se attualmente numerose convenzioni internazionali menzionano l'importanza dell'educazione ai diritti dell'uomo, nessuno di questi strumenti tuttavia ne sottolinea la dimensione, l'importanza e la portata. Il progetto di Dichiarazione costituisce un appello ai Paesi e un punto di riferimento per tutti gli organi della società. I diritti dell'uomo devono essere diffusi, conosciuti e appresi grazie a programmi a lungo termine. Un obiettivo essenziale della Dichiarazione è rendere generale l'educazione ai diritti dell'uomo e favorirne l'apprendimento da parte di ognuno, perché una buona conoscenza di questi diritti contribuirà a renderli una realtà vissuta quotidianamente.

4.5

Diritti di proprietà quali diritti umani e lotta contro l'esclusione dei poveri

La Svizzera ha sostenuto i lavori della Commissione per l'emancipazione giuridica dei poveri (Commission on Legal Empowerment of the Poor, CLEP). Nel suo rapporto, pubblicato nel 2008, la CLEP afferma che 4 miliardi di persone vivono al di fuori di ogni sistema legale, in condizioni di esclusione e precarietà. La Commissione sostiene che i poveri sono in grado di consolidare la propria situazione se si garantisce loro accesso alla giustizia e opportunità economiche. Secondo la Commissione, l'emancipazione dei poveri per mezzo del diritto può essere realizzata solo con un cambiamento sistematico che provveda a sbloccare il potenziale civico ed economico dei poveri. Questo cambiamento deve essere imperniato sui quattro pilastri seguenti: accesso alla giustizia e Stato di diritto, diritti di proprietà, diritto al lavoro e diritto d'impresa. La Svizzera e il Guatemala hanno garantito il seguito dei lavori della CLEP in seno all'ONU introducendo presso l'Assemblea generale nel 2008 e in seguito nel 2009 due risoluzioni sull'argomento del «legal empowerment».

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Queste risoluzioni sono state sostenute da un numero considerevole di Paesi sia del Sud che del Nord.

La Svizzera invece ha rinunciato a un'iniziativa incentrata unicamente sul diritto di proprietà. Tuttavia, convinta che il progresso economico, sociale e politico poggi tra l'altro sul buon funzionamento di un sistema di proprietà trasparente e non discriminatorio, non esclude di esaminare nei prossimi anni la possibilità di dare un nuovo slancio a questa iniziativa. La protezione della proprietà in realtà è strettamente connessa ad altre questioni politiche: problemi di restituzione di beni materiali e fondiari di rifugiati e sfollati in caso di ritorno, ripristino della giustizia e della pace dopo un conflitto internazionale o interno, lotta contro la discriminazione delle donne, che ad esempio detengono solo il 10 per cento dei beni del mondo nonostante costituiscano la metà della popolazione.

5 5.1

Efficacia e coerenza: gli strumenti a disposizione Meccanismi interni

Affinché la dimensione dei diritti dell'uomo sia sistematicamente integrata in tutti i processi decisionali della politica estera, il nostro Collegio intende curare la trasparenza dei meccanismi interni d'informazione, consultazione e decisione nonché la qualità della formazione, dell'informazione e della sensibilizzazione del personale federale dal punto di vista della protezione dei diritti dell'uomo. D'altronde il nostro Collegio deve garantire anche la coerenza nella politica economica, sociale, ambientale e dei diritti dell'uomo. In determinati casi sorgono conflitti d'interesse: in tali situazioni, definiamo e ponderiamo gli interessi in gioco caso per caso. Inoltre, al momento della revisione di atti legislativi, provvediamo affinché il rispetto dei diritti dell'uomo sia esplicitamente affermato in tutti i settori della politica svizzera e siano previste procedure di controllo. La revisione e l'entrata in vigore nel dicembre 2008 dell'ordinanza sul materiale bellico, ad esempio, hanno permesso di fissare criteri per l'autorizzazione di affari con l'estero: non è dunque possibile fornire materiale bellico «se il Paese destinatario viola in modo grave e sistematico i diritti umani».

Su questa base il 25 marzo 2009 il nostro Collegio ha deciso di non più autorizzare la vendita di materiale bellico all'Arabia Saudita, all'Egitto e al Pakistan. Al momento della conclusione di accordi bilaterali con i Paesi partner, il Consiglio federale applica la clausola di condizionalità nella politica estera, resa più flessibile nell'aprile 2003, che incoraggia il dialogo politico per migliorare il rispetto e la protezione dei diritti dell'uomo nonché i programmi che sostengono attivamente la realizzazione di questi diritti e il buon governo nei Paesi partner. L'applicazione della condizionalità in maniera flessibile e dinamica presuppone un miglior coordinamento tra uffici prima, durante e dopo la negoziazione di accordi con Paesi terzi.

Esiste un determinato numero di meccanismi interni di consultazione e decisione per migliorare la coerenza tra le attività che riguardano i diritti dell'uomo e le altre. In particolare bisogna segnalare il gruppo interdipartimentale «Politica internazionale dei diritti dell'uomo», che riunisce tutti i dipartimenti interessati. Questo gruppo serve sia al coordinamento
operativo di azioni concrete, sia allo scambio di informazioni. Inoltre la graduale integrazione della dimensione dei diritti dell'uomo (mainstreaming) nella definizione e nell'attuazione delle politiche dell'Amministrazione federale deve contribuire a migliorare la coerenza della nostra politica estera. A tal fine l'articolo 35 capoverso 2 della Costituzione federale (RS 101) sostiene la pro1216

mozione e il rispetto dei diritti dell'uomo all'interno dell'Amministrazione federale.

Il DFAE, in quanto coordinatore, si impegna con gli uffici interessati a migliorare la coerenza della politica estera della Svizzera, sia a livello interno sia nei forum multilaterali e a livello bilaterale.

Per contro, ogni ponderazione degli interessi politici deve lasciare il posto agli imperativi del diritto internazionale che, in particolare con le convenzioni sui diritti dell'uomo e sul diritto internazionale consuetudinario, impone agli Stati vincoli che non riguardano solo le violazioni dei diritti umani perpetrate sul rispettivo territorio.

Il Paese che sostiene attività di cui sa che favoriscono le violazioni dei diritti umani da parte di un altro Stato se ne rende corresponsabile. Di conseguenza, il nostro Collegio prende tutte le disposizioni del caso affinché le attività di politica estera non favoriscano violazioni dei diritti dell'uomo in un altro Stato. Oltre a questi imperativi, il nostro Collegio sostiene per quanto possibile le opzioni che corrispondono meglio agli obiettivi del diritto internazionale, cioè anche dei diritti dell'uomo.

5.2

Strumenti diplomatici

Il Consiglio federale dispone di diversi strumenti di coordinamento della politica estera, menzionati in modo particolareggiato nei vari rapporti di cui sopra. Questa panoplia, lo ricordiamo, ingloba strumenti diplomatici, come il dialogo sui diritti dell'uomo, gli interventi e i contatti politici bilaterali e multilaterali, le dichiarazioni del Consiglio federale e le misure protocollari o diplomatiche di valore simbolico.

Vi si aggiungono inoltre azioni più dirette: programmi di sostegno, progetti, invio di esperti. Inoltre, il Consiglio federale dispone di strumenti giuridici come i contributi ai processi di codificazione e di sviluppo dei diritti dell'uomo, l'adesione a convenzioni, le procedure di denuncia interstatale e individuale previste nelle convenzioni.

La gamma di strumenti a disposizione non è stata modificata in maniera considerevole, ma alcuni strumenti sono stati perfezionati.

Il dialogo sui diritti dell'uomo ricopre un ruolo importante nella politica estera. Si tratta di incontri formali con determinati Paesi su questioni che riguardano i diritti dell'uomo, cioè attività a lungo respiro il cui scopo è sostenere lo Stato interlocutore in un processo di riforma. In concreto, gli scambi hanno luogo a livello governativo su argomenti quali il divieto della pena di morte e della tortura, la libertà di religione e di credo ecc. Un dialogo sui diritti dell'uomo può iniziare quando i due Paesi sono convinti che la loro applicazione sia una condizione determinante per il buon funzionamento dello Stato e della società. L'obiettivo principale è migliorare la situazione dei diritti dell'uomo nei Paesi partner a medio e a lungo termine. Obiettivi specifici adeguati al contesto devono inoltre essere fissati per ogni dialogo, come ad esempio la liberazione di prigionieri politici non violenti, la promozione della cooperazione in seno all'ONU e insieme a questa organizzazione, il consolidamento della società civile, la ratifica di trattati internazionali sui diritti dell'uomo e il rispetto degli obblighi assunti. Devono essere adeguati alla situazione concreta, riallacciarsi alle priorità definite precedentemente e, se possibile, non essere solo in massimo grado pertinenti, ma anche misurabili. È importante che le parti al dialogo definiscano i diritti dell'uomo come un disegno comune che deve
essere messo in atto. I dialoghi sono valutati a intervalli regolari, tra l'altro in base agli sviluppi della situazione dei diritti dell'uomo, alla disponibilità del Paese partner a discutere di ogni argomento, all'accesso esteso a ministeri e cerchie pertinenti (accesso che non 1217

sarebbe garantito senza il dialogo), ai contatti con le personalità che possono influenzare il processo di riforma. Quale strumento della politica dei diritti dell'uomo, servono essenzialmente a migliorare il rispetto dei diritti dell'uomo nei Paesi partner. Dal punto di vista della politica estera globale, ci si aspetta dal dialogo sui diritti dell'uomo che crei un plusvalore nelle relazioni bilaterali con i Paesi partner e rafforzi la posizione della Svizzera quale attore sulla scena politica internazionale. In genere, completano gli incontri politici progetti concreti (ad esempio progetti comuni, scambi tra esperti) che si iscrivono nei settori tematici prioritari del dialogo e danno ai processi un importante valore aggiunto.

Al momento attuale (aprile 2010), la Svizzera conduce dialoghi con l'Iran, la Cina, il Tagikistan e il Vietnam; svolge consultazioni e mantiene una sezione sui diritti dell'uomo nel dialogo politico con Cuba. Un dialogo sui diritti dell'uomo a livello locale è in corso con l'Indonesia. Recentemente (nella primavera 2010) hanno avuto luogo negoziati esplorativi al fine di ampliare la serie al continente africano (Ghana, Nigeria o Senegal). Strumento utilizzato sin dagli anni Novanta, il dialogo è stato affinato e completato in base alle esperienze raccolte e alle valutazioni effettuate. Il Dipartimento federale degli affari esteri ha dunque potuto elaborare piani a medio termine per quadrienni (2004­2007 e 2009­2012) allo scopo di stabilire direttive per l'uso del dialogo sui diritti dell'uomo e dare una definizione chiara di questo strumento.

Anche lo strumento dei contatti è stato esaminato e valutato: ne è risultata una sistematizzazione del processo in modo da garantire maggiore coerenza ed efficacia.

Il controllo effettuato su differenti attività permette alla Confederazione di migliorare l'efficacia del processo di sostegno grazie a una sistematizzazione di quest'ultimo e a una migliore distribuzione delle risorse disponibili.

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Cooperazione con gli attori non statali

Gli Stati sono tenuti a rispettare gli obblighi previsti nel diritto internazionale dei diritti dell'uomo, a promuoverli e ad attuarli. In genere, comunque, si ritiene che gli altri organi della società debbano agire in conformità alle relative disposizioni e garantirne l'applicazione. La globalizzazione, il potere e le crescenti competenze delle imprese private, lo scambio immediato su larga scala delle informazioni e della capacità della società civile di mobilitarsi: tutti questi fattori contribuiscono ad attribuire un ruolo anche ad altri attori, oltre agli Stati, nell'ambito dei diritti dell'uomo. Nel suo impegno in favore dello sviluppo delle norme e della loro applicazione, il nostro Collegio può far capo a una vasta rete di attori non statali.

Le competenze e le nuove idee sviluppate nei centri di ricerca permettono alla Svizzera di accrescere la propria influenza internazionale nella promozione dei diritti dell'uomo. In particolare, la Svizzera ha stabilito partenariati strategici con diversi istituti universitari e think tank, in Svizzera e altrove. L'Accademia internazionale di diritto umanitario e di diritti umani (ADH) di Ginevra e il Centro di Ginevra per il controllo democratico delle forze armate (DCAF), l'Università di Berna, la Brookings Institution a Washington, il Program on Humanitarian Policy and Conflict Research di Harvard o ancora l'Istituto danese per i diritti dell'uomo a Copenaghen sono solo alcuni esempi che illustrano l'importanza accordata alla cooperazione con gli istituti di ricerca. La decisione, presa dal nostro Collegio nel luglio 2009, di avviare un progetto pilota per l'acquisto di servizi da un centro di compe1218

tenza universitario specializzato in diritti umani costituisce un aspetto supplementare di questa estesa cooperazione con attori non statali. Con la realizzazione di un Centro di competenza le capacità di analisi e di consulenza a disposizione delle autorità pubbliche federali, cantonali e comunali, ma anche del settore privato, verranno ampliate.

Gli attori economici, soprattutto quelli che vantano un certo prestigio internazionale, sono sempre più consapevoli della propria responsabilità sociale quando investono all'estero. Il settore privato è un attore e un partner importante della Svizzera quando si tratta di attuare i diritti dell'uomo. Sia con imprese svizzere sia con il settore privato estero vengono intessute strette relazioni di lavoro. L'iniziativa sulle società di sicurezza e le società militari private poggia sulla cooperazione e l'impegno di queste stesse imprese, senza le quali non sarebbe possibile realizzarla.

Le ONG sia locali sia internazionali sono anch'esse partner importanti della Svizzera. Sono possibili diversi tipi di cooperazione, dal sostegno finanziario a programmi ritenuti prioritari. Sono numerose le ONG che ricevono un sostegno dalla Confederazione sia per la formazione giovanile in Svizzera (Fondazione Educazione e Sviluppo, Berna), per i difensori dei diritti dell'uomo di svariati Paesi nel mondo (International Service for Human Rights; Geneva for Human Rights, Ginevra), nel settore dell'informazione al pubblico svizzero (Menschenrechte Schweiz, Berna) o dell'advocacy (The International Commission of Jurists, Ginevra; l'OMCT e l'APT per la lotta contro la tortura, Ginevra). Parallelamente i media, gli ordini degli avvocati, i sindacati e le autorità religiose assumono un ruolo importante nella realizzazione dei diritti dell'uomo, nella formazione dell'opinione pubblica, nell'informazione della popolazione e nell'assistenza alle vittime. Nei Paesi del Sud e dell'Est queste organizzazioni spesso sono partner della cooperazione svizzera allo sviluppo.

Il nostro Collegio le sostiene finanziariamente nei limiti delle sue capacità budgetarie e mantiene un dialogo regolare con le ONG nazionali e internazionali che hanno la loro sede o sono rappresentate in Svizzera. Inoltre, la Svizzera sostiene le richieste di statuto consultivo depositate presso il Comitato delle ONG
dell'ONU a New York da ONG svizzere o con sede in Svizzera.

Per concludere, la Svizzera finanzia diversi programmi, fondi e progetti di organizzazioni internazionali che corrispondono alle priorità della nostra politica estera dei diritti dell'uomo. L'appoggio spesso assume la forma di un sostegno finanziario o di una consulenza di esperti. Tra i partner più importanti figurano l'Alto Commissariato per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, il Commissario per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l'UNICEF, il Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite.

La Svizzera sostiene inoltre le procedure speciali del Consiglio mettendo a disposizione la consulenza di esperti direttamente presso il mandatario o presso l'Alto Commissariato a Ginevra o a New York.

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Conclusioni

L'impegno della Svizzera in materia di diritti dell'uomo si basa sulla convinzione che il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo ovunque nel mondo corrisponde agli interessi della Svizzera. I valori sanciti dalla Costituzione federale, come la solidarietà verso i più deboli, il rispetto del prossimo e l'equità, le responsabilità nei confronti delle generazioni future e il principio secondo cui «libero è soltanto chi 1219

usa della sua libertà» incitano il nostro Collegio a impegnarsi con decisione nella promozione e nella protezione dei diritti umani che costituiscono una dimensione importante della politica estera della Svizzera. La ricerca permanente di un equilibrio con gli altri obiettivi della politica estera è sostenuta da meccanismi che permettono al nostro Collegio di prendere decisioni politiche, a volte difficili, con cognizione di causa e sempre nell'interesse generale della Svizzera.

Le priorità fissate in passato e illustrate nel presente rapporto restano attuali. La loro pertinenza corrisponde alle esigenze e alle grandi sfide di promozione e protezione dei diritti dell'uomo. La loro formulazione generale ci permette di adeguare rapidamente la nostra azione ai cambiamenti nella politica internazionale e di cogliere ogni occasione per lanciare o sostenere iniziative specifiche.

Il nostro Collegio ha ritenuto necessario definire alcuni orientamenti fondamentali per permettere di concentrare le risorse disponibili. Questi punti principali emergono essenzialmente dalle esperienze degli ultimi anni. La Svizzera è stata in grado di distinguersi in alcuni campi specifici e innovativi e intende proseguire su questa base il proprio impegno a favore dei diritti umani, un orientamento che non pregiudica l'impegno globale a favore della promozione e della protezione di questi diritti.

La reputazione dei nostri sforzi in questo ambito è solida. Numerosi Paesi e ONG considerano la Svizzera una delle nazioni più coerenti nelle sue prese di posizione espresse in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo e all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La recente rielezione in questo Consiglio è una manifestazione concreta di questa considerazione. La coerenza della nostra politica e la credibilità che ne deriva sono elementi essenziali dell'impegno della Svizzera nella promozione e protezione dei diritti dell'uomo.

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