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Messaggio concernente l'iniziativa popolare «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace» del 25 maggio 1988

Onorevoli presidenti e consiglieri, Con il presente messaggio vi invitiamo a sottoporre a votazione popolare l'iniziativa popolare «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace», senza controprogetto e con proposta di respingerla.

Il disegno di decreto federale è allegato.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

25 maggio 1988

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In nome del Consiglio federale svizzero: II presidente della Confederazione, Stich II cancelliere della Confederazione, Buser

1988 - 295

Compendio L'iniziativa popolare per la soppressione dell'esercito è stata depositata dal «Gruppo Svizzera senza esercito» il 12 settembre 1986 sotto forma di progetto già elaborato e corredata di 111 300 firme valide.

Essa costituisce, per il suo radicalismo, un caso unico nella storia del diritto svizzero d'iniziativa.

Se fosse approvata, nella Costituzione federale (Cast.) sarebbe sancito il principio «la Svizzera non ha esercito» e soppresso l'attuale articolo sulla difesa.

Contemporaneamente verrebbe emanato un divieto costituzionale di istruire o mantenere forze armate. Qualsiasi accenno a un apparato di difesa dovrebbe essere cancellato dalla Costituzione. Il legislatore e le autorità giudiziarie sarebbero tenute a non interpretare alcuna disposizione in funzione dell'esistenza o della legittimità di un esercito.

Siccome l'articolo della Costituzione che definisce gli scopi della Confederazione (art. 2 Cast.), ossia il sostegno dell'indipendenza della Patria contro lo straniero, il mantenimento della tranquillità e dell'ordine nell'interno, la protezione della libertà e dei diritti dei Confederati e la promozione della loro comune prosperità, non è messo in discussione, i promotori dell'iniziativa vogliono forzare il legislatore, con formulazioni generiche, a portare innanzi una politica globale di pace che rafforzi l'autodeterminazione degli Svizzeri e favorisca la solidarietà tra i popoli.

Com'è noto, gli autori dell'iniziativa non credono che la conseguente votazione popolare permetterà di sopprimere l'esercito. L'iniziativa è per loro piuttosto un'utopia il cui scopo è di mettere in moto un processo di formazione della coscienza inteso a trasformare la società sul piano sociopolitico tramite la critica dell'esercito quale catalizzatore emotivo.

Il messaggio valuta l'iniziativa dapprima alla luce della storia e del diritto internazionale pubblico. Menziona poi brevemente la concezione di base della politica di sicurezza svizzera per soffermarsi invece sulle nuove forme di minaccia e sulle concezioni alternative di difesa, come pure sugli effetti della politica di pace tradizionale della Svizzera e sulla situazione strategica sullo sfondo degli sforzi attuali di disarmo a livello mondiale. Valuta infine le conseguenze economiche di un'eventuale accettazione dell'iniziativa e conclude elencando gli argomenti, riassunti informa di tesi, a favore della reiezione dell'iniziativa senza presentazione di un controprogetto.

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I

Considerazioni formali

II

Tenore

L'iniziativa ha il seguente tenore:

I La Costituzione federale è modificata come segue:

Art. 17 ' La Svizzera non ha esercito.

2 È proibito alla Confederazione, ai Cantoni, ai Comuni ed ai privati d'istruire o mantenere forze armate.

3 La Svizzera svolge una politica globale di pace che rafforza l'autodeterminazione del popolo e promuove la solidarietà tra i popoli.

4 La legislazione federale disciplina l'applicazione del presente articolo.

Art. 18 Nessuna disposizione della presente Costituzione può essere interpretata in modo da presupporre o giustificare l'esistenza di un esercito.

II Gli articoli 13, 15 secondo periodo, 19 a 22, 34ter capoverso 1 lettera d, 42 lettera e, 85 numero 9 e 102 numero 11 della Costituzione federale sono abrogati.

Ili Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come segue:

Art. l cpv. l e 3 Abrogati Art. 6 Abrogato Art. 19 (nuovo) 1 Gli articoli 17 e 18 della Costituzione federale sono attuati entro dieci anni dall'accettazione da parte del popolo e dei Cantoni.

2 Dopo l'accettazione degli articoli 17 e 18 da parte del popolo e dei Cantoni, non verranno più tenute né scuole reclute né corsi di ripetizione, d'istruzione e di complemento.

L'iniziativa è provvista di una clausola di ritiro.

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Riuscita

L'iniziativa popolare «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace» è stata depositata il 12 settembre 1986 in forma di progetto già elabo-

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rato. Con decisione dell'11 novembre 1986, la Cancelleria federale ha costatato che la stessa, corredata di 111 300 firme valide, era riuscita (FF 1986 III 701).

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Validità Unità della forma

Un'iniziativa può rivestire la forma di proposta generale o di progetto già elaborato (art. 121 cpv. 4 Cost.). Le forme miste sono inammissibili (art. 75 cpv.

3 della legge federale sui diritti politici [LDP], RS 161.1).

La presente iniziativa riveste la forma di progetto completamente elaborato.

L'unità della forma è quindi rispettata.

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Unità della materia

Un'iniziativa deve avere per oggetto una sola materia (art. 121 cpv. 3 Cost).

L'unità della materia è rispettata se tra le diverse parti dell'iniziativa esiste un rapporto intrinseco (art. 75 cpv. 2 LDP).

L'iniziativa domanda anzitutto la soppressione dell'esercito svizzero. Tutte le tracce di quest'ultimo devono essere cancellate. Nessuno potrà istruire o mantenere formazioni militari.

L'inziativa esige poi che l'autodeterminazione del popolo sia rafforzata da una «politica globale di pace». Il legislatore federale dovrebbe intervenire, probabilmente con provvedimenti di stampo anche ideologico, per promuovere la «solidarietà tra i popoli». Anche con la soppressione dell'esercito, lo scopo della Confederazione, descritto nell'articolo 2 Cost., sarebbe mantenuto, vale a dire: sostenere l'indipendenza della Patria contro lo straniero, mantenere la tranquillità e l'ordine nell'interno, proteggere la libertà e i diritti dei Confederati e promuovere la loro comune prosperità.

Evidentemente gli autori dell'iniziativa sono persuasi che tale scopo può essere conseguito anche senza difesa nazionale militare, bensì con una «politica globale di pace». Quest'idea radicale mette in dubbio sia esperienze storiche secolari, sia il comportamento attuale della maggior parte dei popoli. La soppressione dell'esercito dovrebbe inoltre essere garantita da una norma vincolante d'interpretazione che rappresenterebbe, nel diritto costituzionale, una novità non priva di difficoltà, visto che la Costituzione medesima presuppone, come ordinamento di base, norme che devono poter essere interpretate e concretate dal legislatore e non quindi inamovibili.

È certo che, dal punto di vista materiale, vi è un rapporto intrinseco tra le diverse esigenze dell'iniziativa e che esse, in sè, risultano coerenti. La condizione formale di validità dell'unità della materia, come esige l'articolo 75 capoverso 2 LDP, è quindi soddisfatta.

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Revisione totale o parziale?

Per uno Stato, il mantenimeno o l'abolizione dell'esercito è incontestabilmente una scelta esistenziale. L'esercito incarna il monopolio del potere statale contro interventi bellici dall'esterno o contro un rovesciamento fomentato dall'interno. È vero che questo strumento di potere può essere denominato altrimenti o, qualora si rinunci all'indipendenza, essere detenuto da terzi. Rimane però il fatto che nessuno Stato può farne a meno. Finora non è ancora stato dimostrato in nessun punto del globo che la difesa nazionale possa essere sostituita da una politica di pace, come domanda l'iniziativa. Tutti i tentativi di questo genere hanno condotto, presto o tardi, all'occupazione e non di rado alla scomparsa dello Stato in causa. Per questa ragione, dal punto di vista costituzionale, la soppressione dell'esercito costituisce una decisione fondamentale che determina le strutture dello Stato.

La dottrina in materia di diritto costituzionale considera che modificazioni così profonde dell'assetto statuale equivalgono a una revisione totale della Costituzione, anche se dal punto di vista formale lo scopo voluto può essere conseguito sopprimendo e modificando soltanto alcuni articoli che formano un tutto unitario. Dal punto di vista sostanziale anche una tematica apparentemente limitata può incidere a tal punto sulle strutture dello Stato da poter essere equiparata a una domanda formale di revisione totale, con conseguente riesame della necessità di una ristrutturazione completa. Se siffatte conclusioni fossero applicate alla presente iniziativa ne risulterebbero delicati problemi di validità.

A tutt'oggi, però, non è mai stata formulata una richiesta così radicale. Non esistono quindi né una prassi né una dottrina sicure in merito.

Tenuto conto della prassi da lungo tempo seguita in materia di iniziative, la quale prescinde scientemente dal porre troppo severi criteri di validità onde non pregiudicare la decisione finale del popolo e dei Cantoni, consideriamo la presente iniziativa alla stregua di una domanda di revisione parziale ricevibile.

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Valutazione dell'iniziativa dal punto di vista storico Esperienze di altri Paesi

I piccoli Stati non possono sottrarsi alle influenze della politica internazionale, né con dichiarazioni di neutralità né con patti, bilaterali o multilaterali, di non aggressione. Così, in pieno ventesimo secolo, Paesi neutrali europei sono stati aggrediti da Grandi Potenze ad onta del diritto internazionale: due volte il Belgio, una volta la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia e i Paesi Bassi. Il cancelliere tedesco von Bethmann-Hollweg giustificò al Reichstag la prima violazione della neutralità belga dichiarando: «Necessità è legge».

Anche in avvenire, questa massima potrebbe essere riproposta da capi di Stato esteri e ben prima che un qualsiasi Paese disarmato abbia il tempo di ricostituire il proprio apparato difensivo.

A titolo d'esempio del comportamento di Stati neutrali vittime di aggressioni si citano costantemente la Norvegia e la Danimarca, invase dalle forze armate 858

tedesche il 9 aprile 1940. Mentre la Danimarca si arrese quasi senza opporre resistenza, i Norvegesi - ancorché con mezzi insufficienti - si difesero con accanimento per poi soccombere definitivamente solo nel giugno 1940. Le forze armate norvegesi furono momentaneamente sostenute da formazioni britanniche, francesi e polacche. La Norvegia e la Danimarca avevano per anni trascurato le loro forze armate al punto di essere non soltanto incapaci di resistere a un aggressore ma anche di procurarsi un aiuto duraturo esterno. Questi due Paesi sarebbero stati in grado, con un migliore apparato di difesa nazionale, di aumentare essenzialmente le loro probabilità di essère risparmiati dalla guerra.

L'atteggiamento della Danimarca è stato spesso presentato come particolarmente esemplare e degno di emulazione. Si afferma che non ci furono perdite umane, feriti e distruzioni. La popolazione si sarebbe accontentata di una resistenza detta passiva (difesa sociale) e sarebbe quindi stata il vincitore morale.

Questa interpretazione trascura aspetti importanti: - numerose cittadine e cittadini danesi pagarono il loro atteggiamento con la vita o con la loro integrità psichica e fisica, - la resistenza danese non fu soltanto passiva ma a volte anche violenta. Tuttavia, né la resistenza violenta tardiva né, soprattutto, la resistenza passiva furono in grado di liberare il Paese dall'occupante tedesco. Questa liberazione sopravvenne soltanto dopo la disfatta del III° Reich sul campo di battaglia, ad opera delle forze armate di altri Paesi.

In seguito alle esperienze della Seconda guerra mondiale, la Norvegia e la Danimarca non hanno affatto soppresso i loro eserciti; al contrario, tenendo conto degli insegnamenti della propria storia e situazione geografica, hanno aderito all'alleanza militare della NATO.

Nel 1940, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania hanno cessato di essere Stati sovrani. In effetti, nel 1939, nel contesto del Patto di non aggressione HitlerStalin che aveva diviso letteralmente in due parti l'Europa dell'Est, queste nazioni baltiche praticamente non armate si erano trovate nell'incapacità di resistere alle pretese sovietiche di conquistare punti d'appoggio militari e di concludere patti internazionali unilaterali.

Alla fine del 1939, la Finlandia dovette tener testa ad analoghe pretese
sovietiche. Contrariamente agli Stati baltici, scelse tuttavia di difendere strenuamente la sua integrità territoriale e la sua sovranità. È vero che i Finlandesi, dopo la guerra dell'inverno 1939-40 che dovettero sostenere da soli contro una potenza militare non impegnata militarmente su alcun altro fronte, furono costretti a concludere una pace poco vantaggiosa. Tuttavia, salvaguardarono la loro indipendenza, ciò che sarebbe stato impossibile senza volontà di difesa.

L'esistenza di un esercito è anche indispensabile per far prevalere il potere dello Stato. Se questo potere non è garantito, conflitti interni, che possono perfino degenerare in guerra civile, minacciano di scoppiare tra gruppi rivali. Il Libano, un tempo piccolo Stato fiorente, soprannominato anche la «Svizzera del vicino Oriente», è un tragico esempio della situazione di un Paese in cui lo Stato non è più in grado d'imporre la sua autorità e il suo monopolio di potere.

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La Svizzera sotto l'occupazione straniera

Anche dopo la disfatta di Marignano le truppe della Vecchia Con federazione avevano una buona reputazione, relativizzata tuttavia dall'insistenza di osservatori stranieri nel far notare che la Svizzera avrebbe potuto affermarsi soltanto se in grado di salvaguardare la propria unità. Ed essa seppe farlo durante più di due secoli e mezzo. Dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese, però, i governi dei tredici vecchi Cantoni e dei territori alleati non poterono più attuare tempestivamente le riforme necessarie per preservare il consenso politico, già scosso da una virulenta agitazione rivoluzionaria pilotata dall'esterno. Indebolita all'interno, la Vecchia Confederazione non fu più in grado, nel 1798, di opporsi all'invasore francese. Così, nella primavera del 1798, nonostante numerosi atti di coraggio di soldati, nonché di donne e uomini della milizia popolare, la Svizzera subì un crollo politico e militare.

Le sofferenze dei quindici anni seguenti sono uniche nella storia svizzera. Il Paese divenne un vero e proprio teatro d'operazioni militari. I Francesi, gli Austriaci e i Russi si battevano sull'Aar, sulla Reuss e sulla Limmat. Un esercito russo attraversò il Gottardo, il Kinzig, il Pragel e il Panixer. La rivolta di alcuni Cantoni non fu appoggiata dai vicini e venne repressa brutalmente. La sollecitudine di Pestalozzi per gli orfani di Stans fu una magra consolazione nella disperazione generale.

Gli eserciti stranieri vivevano delle risorse del Paese. La popolazione impoverita doveva provvedere con denaro e beni naturali al sostentamento degli occupanti. Vi si aggiungevano saccheggi, prese d'ostaggi e altri atti di violenza da parte delle truppe straniere. Parti del Paese subirono perfino l'annessione.

Migliaia di abitazioni furono ridotte in cenere, con il Paese e la popolazione dissanguati fino all'esaurimento. In numerose regioni infieriva la carestia. Gli adolescenti venivano reclutati di forza negli eserciti francesi e inviati sui campi di battaglia dell'Europa. Tra il 1812 e il 1813 migliaia di Svizzeri furono obbligati a partecipare alla campagna di Russia di Napoleone; la maggior parte di loro morirono lontani dalla Patria. Più tardi, la Svizzera fu costretta dagli Alleati a partecipare alla guerra contro la Francia.

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Ricostituzione della Confederazione e riconoscimento della neutralità da parte delle Potenze europee

La Vecchia Confederazione non esisteva più. Le nuove strutture politiche, imposte dalla Francia, erano prive di legittimità. Per questa ragione, nel 1815 i Cantoni decisero di raggrupparsi di nuovo. Nel Patto del 7 agosto di quell'anno dichiararono: I 22 Cantoni sovrani della Svizzera, vale a dire Zurigo, Berna, Sciaffusa, Lucerna, Uri, Svitto, Untervaldo, Glarona, Zugo, Friburgo, Soletta, Basilea, Sciaffusa, Appenzello Interno ed Esterno, San Gallo, Grigioni, Argovia, Turgovia, Ticino, Vaud, Vallese, Neuchâtel e Ginevra costituiscono la presente alleanza per affermare la loro libertà, la loro indipendenza e la loro sicurezza contro tutti gli attacchi di Potenze straniere e per mantenere la tranquillità e l'ordine nell'interno.

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L'affermazione della libertà, dell'indipendenza e della sicurezza contro tutti gli attacchi di potenze straniere è dunque uno dei motivi essenziali della fondazione della Confederazione. Le Costituzioni federali del 1848 e del 1874 sono state emanate «allo scopo di rassodare la lega dei Confederati». Nell'articolo 2 esse definiscono lo scopo della Confederazione: Sostenere l'indipendenza della Patria contro lo straniero, mantenere la tranquillità e l'ordine nell'interno, proteggere la libertà e i diritti dei Confederati, e promuovere la loro comune prosperità.

La soppressione dell'esercito impedirebbe quindi il conseguimento dello scopo costituzionale della Confederazione.

La Svizzera, che nel 1815 aveva di nuovo ottenuto voce indipendente in Europa, voleva anche che il principio della sua neutralità fosse sancito dal diritto internazionale. Questa aspirazione fu realizzata dalla Dichiarazione di Parigi, la quale, firmata il 20 novembre 1815 dalle Potenze europee, segnatamente l'Austria, la Francia, la Gran Bretagna, il Portogallo, la Prussia e la Russia, riconobbe «formalmente e giuridicamente la neutralità perpetua della Svizzera».

La validità a tutt'oggi di questa dichiarazione, come pure il fatto ch'essa presuppone una volontà d'autodifesa della Svizzera, non possono essere messi in dubbio: 24

La salvaguardia dell'indipendenza dalla Dichiarazione di Parigi in poi

Dal 1815, il principio di politica estera della neutralità armata e perpetua ha permesso al nostro Paese di far fronte alle vicissitudini dei tempi, sia sotto il Patto federale del 1815 sia sotto le Costituzioni federali del 1848 e 1874. Ai pericoli accresciuti occorreva opporre sforzi militari accresciuti. Anche se durante nessuna delle quattro grandi mobilitazioni del 1856, 1870, 1914 e 1939 l'equipaggiamento materiale del nostro esercito aveva raggiunto un livello soddisfacente, ogni volta sia la popolazione civile sia l'esercito diedero prova di una ferma volontà di difesa, che è stata certamente se non la premessa esclusiva, per lo meno una delle condizioni indispensabili che hanno contribuito a risparmiare la Svizzera da attacchi stranieri.

Il nostro sistema militare è stato e viene costantemente osservato e valutato dall'estero in rapporto alla sua efficienza. Ebbene, occorre costantemente mostrare che quanto affermato nel 1912 dal Presidente della Confederazione Ludwig Forrer in un discorso all'imperatore di Germania Guglielmo II in visita nel nostro Paese è vero tuttora: Siamo assolutamente risoluti a difendere da qualsiasi attacco il nostro bene più caro, l'indipendenza, e a salvaguare la nostra neutralità nei confronti di chiunque non la rispetti. Un mezzo indispensabile e adeguato all'uopo è un esercito efficiente e pronto al combattimento. Uno dei compiti più nobili del nostro Stato è di assicurarcelo, ed a tal fine impiegheremo tutte le nostre forze.

Questa dichiarata volontà di resistere della Confederazione convinse definitivamente i responsabili tedeschi del campo politico e militare a rinunciare a una 861

violazione della neutralità svizzera, eventualità che era stata presa in considerazione durante decenni. Anche nel periodo tra le due guerre e durante la Seconda guerra mondiale la Svizzera ottenne lo stesso effetto di dissuasione.

Così, gazie alla nostra risolutezza, i piani d'intervento militare oggi noti di tutti i nostri grandi Stati vicini rimasero allo stadio di semplici studi.

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Tradizione e particolarità del sistema di difesa svizzero

Nessun altro esercito è improntato dal principio di milizia quanto il nostro. La responsabilità per la salvaguardia dell'indipendenza è condivisa dal cittadinosoldato, con il suo impegno personale pluriennale; non si fa capo, in Svizzera, né a mercenari né esclusivamente a soldati di carriera. La massima «la Svizzera non ha esercito, essa è un esercito» descrive una realtà che desta continuamente ammirazione all'estero. La solidarietà corporativa degli inizi della Confederazione, l'«opera comune», si è perpetuata fino ai nostri giorni. Grazie al sistema di milizia, anche il primato della politica sull'esercito è indiscutibile e ovvio.

Un regime militare, come lo conoscono attualmente numerosi Stati, sarebbe inconcepibile da noi. I nostri servizi d'istruzione militare, segnatamente la scuola reclute uguale per tutti, dal soldato semplice al futuro comandante di corpo, sono luoghi d'incontro tra persone di condizioni sociali, lingue, regioni e confessioni diverse. Il servizio militare è pertanto un significativo fattore d'integrazione nazionale. Sarebbe dunque poco realistico parlare di una militarizzazione della nostra società. Al contrario, il sistema di milizia impedisce efficacemente qualsiasi impiego abusivo del potere militare. Il nostro rapporto del 27 giugno 1973 sulla politica di sicurezza della Svizzera (concezione della difesa 73) (FF 1973 II 106) conferma in modo inequivocabile il primato del potere politico.

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La politica svizzera di pace nel segno della tradizione

Dal 1815 la Confederazione non ha più minacciato militarmente né attaccato nessuno dei suoi vicini. Auspica vivere in pace e in libertà e soltanto per questa ragione possiede un esercito.

È pertanto comprensibile che la Svizzera abbia concesso ospitalità a numerose personalità operanti per la pace mondiale e che organizzazioni umanitarie come la Croce Rossa vi siano state create e vi abbiano sede. Così, nel 1891, in occasione del Terzo congresso mondiale della pace a Roma, fu tenuto a battesimo l'Ufficio internazionale della pace che si stabilì a Berna e la cui direzione fu affidata a uno svizzero, Elie Ducommun, al quale succedette, nel 1906, il consigliere di Stato bernese Albert Gobat. Ducommun e Gobat vennero insigniti del premio Nobel per la pace nel 1902. Lo stesso Ufficio internazionale della pace lo ricevette nel 1910. Né questo ufficio, né alcun Congresso mondiale della pace hanno mai richiesto un disarmo unilaterale della Svizzera. Al contrario, la neutralità armata del nostro Paese è stata più volte da loro espressamente qualificata «un bene e una necessità».

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Precursori dell'iniziativa per la soppressione dell'esercito

Per la prima volta dall'esistenza del diritto d'iniziativa ci troviamo di fronte a un'iniziativa intesa a sopprimere l'esercito. È tuttavia già capitato che iniziative . domandassero una diminuzione drastica delle spese militari, con l'obiettivo di ridurre i nostri mezzi di difesa. Tra queste citiamo due delle tre iniziative dette comunemente iniziative Chevallier, dal nome del loro autore. La prima, depositata il 2 dicembre 1954, aveva come scopo di dimezzare le spese militari per il 1955, o al più tardi entro il 1956. I mezzi finanziari così liberati avrebbero dovuto essere devoluti a scopi sociali, per metà in Svizzera e per metà all'estero. La violazione del principio dell'unità della materia, altri vizi di forma e l'inattuabilità pratica per ragioni di tempo indussero il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati, dopo lunghi dibattiti, a dichiarare nulla l'iniziativa.

A questa decisione fecero seguito, il 17 ottobre 1956, due nuove iniziative popolari, di cui una domandava la limitazione delle spese militari a 500 milioni di franchi all'anno e l'altra l'attribuzione di una somma pari almeno a un decimo delle spese militari a fini sociali e culturali. Sei giorni dopo il deposito di queste due iniziative cominciò il sollevamento popolare ungherese che l'invasione delle truppe sovietiche del 5 novembre 1956 represse nel sangue.

Questo avvenimento scatenò un vero ardore di difesa in ampi strati della popolazione svizzera. Nell'intero Paese vennero organizzati spontaneamente corsi per costruire mezzi di lotta anticarro di fortuna. Sotto la pressione delle critiche rivolte al nostro grado d'armamento, dai più ritenuto lacunoso, le Camere approvarono un programma immediato di potenziamento dell'esercito e prolungarono la durata dei servizi d'istruzione. Questi fatti indussero i sette firmatari responsabili a ritirare l'iniziativa. Ancora una volta risultò evidente come la situazione internazionale possa deteriorarsi rapidamente.

La storia di queste iniziative conferma se non altro che la preparazione militare non può essere improvvisata. Chi si arma soltanto quando il pericolo è acuto lo fa certamente troppo tardi. Se un conflitto armato dovesse scoppiare in Europa, anche nelle circostanze più favorevoli non avremmo il tempo di ricuperare quanto omesso di fare in periodo di pace: dovremmo
far fronte alla situazione con il potenziale approntato in tempi normali. Fintantoché non esiste garanzia di una pace mondiale duratura e di un disarmo generalizzato, rimane il fatto che la preparazione della difesa è il prezzo dell'indipendenza.

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Diritto internazionale e neutralità armata L'obbligo della Svizzera di mantenere un esercito

Le origini della neutralità svizzera risalgono all'epoca successiva alle guerre contro il Ducato di Milano. Allora la disfatta di Marignano aveva modificato il modo di pensare dei Confederati. In avvenire avrebbero rinunciato a intervenire sullo scacchiere politico europeo. Nel corso dei secoli che seguirono, la neutralità svizzera andò assumendo la forma attuale. Se all'inizio costituiva una scelta fatta di caso in caso, col passar del tempo si configurò sempre più come atteggiamento politico permanente, poi definitivamente riconosciuto 863

dalle cinque Grandi Potenze europee nella Dichiarazione di Parigi del 1815.

Queste ultime convennero che la neutralità della Svizzera era nell'interesse comune dell'Europa e si impegnarono a rispettarla. Per altro, la convinzione che questa neutralità deve essere armata è da sempre prevalsa in Svizzera e nella comunità degli Stati.

I diritti e i doveri degli Stati neutrali in tempo di guerra furono codificati in occasione della Conferenza di pace dell'Aia nel 1907. Tra i doveri figurano segnatamente quello dell'autodifesa, vale a dire della salvaguardia dell'inviolabilità del territorio nazionale, e il divieto di permettere ai belligeranti di utilizzare questo territorio e lo spazio aereo sovrastante. Questi doveri in tempo di guerra hanno per corollario anche doveri in tempo di pace (le premesse della neutralità permanente), segnatamente l'obbligo di preparare i mezzi necessari per assicurare l'autodifesa e di opporsi alle violazioni della neutralità. Tutto ciò implica l'organizzazione di un esercito e un grado d'armamento adeguato.

Differentemente per esempio dalla neutralità della Svezia o della Finlandia, la neutralità permanente e armata della Svizzera è riconosciuta dal diritto internazionale. Nello spazio europeo, solo l'Austria beneficia di uno statuto paragonabile. In effetti, la sua neutralità è stata espressamente instaurata nel 1955 sul modello di quella svizzera.

La soppressione dell'esercito defrauderebbe la Svizzera di una componente essenziale della sua neutralità. Il nostro Paese non potrebbe più contare sul rispetto del suo statuto neutrale da parte degli altri Stati. La soppressione dell'esercito non distruggerebbe soltanto la nostra credibilità politico-strategica ma equivarrebbe anche a sacrificare quella neutralità permanente che è ancorata nel diritto consuetudinario internazionale e riconosciuta dal diritto internazionale scritto.

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Neutralità e autodifesa

Neutralità e apparato militare improntato all'autodifesa sono intrinsecamente connessi. Si condizionano a vicenda nel senso che l'una contribuisce a migliorare l'efficacia dell'altro. Un Paese che, per qualsiasi ragione, rinunci al mantenimento di forze armate per la propria autodifesa corre un rischio incalcolabile anche in caso di neutralità manifestata verso l'esterno o perfino generalmente riconosciuta. La prospettiva che un tal Paese potrebbe essere risparmiato dalla guerra per un periodo di tempo abbastanza lungo non deve illudere poiché dipende dalla stabilità della situazione internazionale. Questa situazione potrebbe però modificarsi da un momento all'altro, talché non vi sarebbe più il tempo di correre ai ripari nemmeno con una soluzione d'emergenza.

Negli ambienti vicini agli autori dell'iniziativa si cita volentieri il caso della Repubblica del Costarica, nell'America centrale, per suffragare la tesi secondo la quale un Paese può, senza rischio, rinunciare alla difesa nazionale armata. Un tale paragone è fallace. Il Costarica, è vero, ha soppresso ufficialmente l'esercito nel 1949, ma mantiene tuttora una forza di sicurezza armata che supera di molto gli effettivi e l'efficacia di una polizia tradizionale. Inoltre il Costarica partecipa a parecchi sistemi di patti regionali per la salvaguardia della sicurez864

za interna ed esterna che disciplinano segnatamente anche l'uso della forza militare da parte di terzi.

L'esempio del Costarica conferma che in definitiva soltanto forze armate, proprie o di terzi, sono in grado di proteggere l'inviolabilità del territorio di uno Stato. La stessa cosa vale persino per gli Stati minuscoli europei come l'Andorra, il Liechtenstein e San Marino che non dispongono di proprie forze armate, ma che, di fatto, per quanto concerne la sicurezza esterna, condividono il destino dei grandi Stati vicini.

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Integrazione dell'esercito nella politica di sicurezza della Svizzera

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La politica svizzera di sicurezza

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La difesa integrata

In quanto compito importante dello Stato, la difesa nazionale poggia su concezioni di principio globali che assegnano anche all'esercito una gerarchia di valori e di mansioni.

Nel 1968 è stato definito il concetto e creata la struttura dell'organizzazione della difesa integrata.

In un eventuale conflitto futuro, le minacce incomberebbero non solo sulle forze armate bensì anche sulla popolazione civile, dacché la guerra sarebbe, per sua natura, totale ed irromperebbe in tutti i campi della vita associata ed individuale. Conseguentemente la difesa non può più rimanere missione esclusiva dell'esercito, bensì va estesa a divenire una difesa integrale, inclusiva anche dei settori civili della vita statuale. In tempi di pericolo essa si eleva a dovere onnicomprensivo e supremo della Confederazione nonché degli enti pubblici in essa riuniti.

(Messaggio del 30 settembre 1968 per un disegno di legge sugli organi direttivi e il consiglio della difesa, FF 1968 II 757).

Nel 1973 è stata formulata per la prima volta una concezione della politica di sicurezza (Rapporto sulla politica di sicurezza 73). In un rapporto intermedio del 1979, la politica di sicurezza è stata riesaminata e valutata in funzione delle nuove forme di minaccia (Rapporto intermedio sulla politica di sicurezza del 3 dicembre 1979, FF 1980 I 355).

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Le due componenti della politica svizzera di sicurezza

La nostra politica di sicurezza comprende da una parte provvedimenti destinati a preservare da pericoli il nostro Stato, il nostro popolo e il nostro territorio e dall'altra provvedimenti per salvaguardare la pace in generale.

Oltre alla neutralità armata, che fa capo a una ridda di mezzi militari e civili per proteggere lo Stato, il popolo e il territorio da attacchi diretti e indiretti, un ampio ventaglio di provvedimenti contribuisce a assicurare attivamente la pace e a risolvere le crisi (Rapporto sulla politica di sicurezza 73, n. 13, 422, 708 e 709).

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Questa seconda componente di vasta portata (Rapporto sulla politica di sicurezza 73, n. 13, 422, 51), che sarà prossimamente oggetto di un rapporto in risposta al postulato Muheim sulla politica di pace e di sicurezza (P 84.348), comprende attualmente le attività seguenti: - buoni uffici - partecipazione a operazioni in favore della salvaguardia della pace e a provvedimenti intesi a suscitare fiducia - partecipazione ad azioni umanitarie - iniziative per attenuare le tensioni - ospitalità a conferenze internazionali della pace e loro protezione militare - ospitalità e sostegno alla Croce Rossa internazionale - aiuto in caso di catastrofi e di situazioni d'emergenza all'estero - ricerche in materia di pace e di polemologia - impegno a favore dei diritti dell'uomo - cooperazione internazionale allo sviluppo.

Cooperando in tal modo alla soluzione di problemi esistenziali che si pongono nel mondo intero compiamo non soltanto il nostro dovere di solidarietà verso la comunità dei popoli, ma contribuiamo essenzialmente anche alla nostra sicurezza a lungo termine. Senza tali attività, che si dovranno per altro rafforzare e ampliare, la nostra politica di pace e di sicurezza sarebbe puramente egoista, a senso unico e a breve termine.

In questa prospettiva la richiesta dell'iniziativa di sviluppare una politica globale di pace sfonda porte aperte, formula ovvie esigenze che non potrebbero essere contestate da nessuno.

I nostri sforzi di autoaffermazione non devono tuttavia limitarsi a siffatte attività. Una valutazione realistica della minaccia ci impone ancor oggi di non trascurare i nostri sforzi principali di protezione a favore di quelli di più ampio respiro. L'esercito, in quanto unico strumento di forza del nostro Stato, mantiene tutta la sua legittimità accanto alle altre componenti della difesa integrata. La sua soppressione farebbe vacillare tutto il nostro sistema di sicurezza, fondato sulla collaborazione di tutte le forze vive della nazione.

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L'esercito

L'esercito, in quanto elemento importante della difesa integrata, si situa chiaramente nel quadro globale della nostra politica di sicurezza.

Definita per la prima volta in maniera esaustiva nel 1966 (Rapporto del Consiglio federale all'Assemblea federale del 6 giugno 1966 sulla concezione della difesa militare, FFit, sunto, 1966 I 714; FFfr, 1966 I 873), la missione strategica dell'esercito è stata ribadita nel rapporto sulla politica di sicurezza 73 e ulteriormente confermata nei rapporti sul concetto direttivo dell'esercito del 1975 e del 1985 (Rapporto del Consiglio federale del 29 settembre 1975 sul concetto direttivo della difesa nazionale militare negli anni '80, FF 1975 II 1647, e Rapporto sul concetto direttivo dell'esercito del 29 maggio 1985, FF 1985 II 518).

La missione strategica dell'esercito è così formulata nel rapporto sulla politica di sicurezza 73 (n. 544): 866

L'esercito contribuisce a evitare la guerra - facendo comprendere a qualsivoglia avversario, già in tempi normali e segnatamente durante la neutralità armata, che volendo aggredire il nostro Paese dovrà contare su perdite elevate in uomini e materiale, su distruzioni, sulla messa fuori uso d'impianti e su un lungo periodo di ostilità; - lasciando intendere a qualsiasi avversario potenziale che non potrà contare sul fatto compiuto di un'occupazione della Svizzera ottenuta con la sorpresa, perché siamo decisi e anche capaci, a tempo debito, di accettare il combattimento e di resistere; - deludendo la speranza di qualsiasi avversario virtuale di giungere agli scopi desiderati (accaparrarsi determinati vantaggi, attraversare il nostro territorio, demoralizzarci e sconfiggerci) in poco tempo e con l'impiego di forze ragionevoli.

Dandosi un'aggressione, l'esercito - difende il territorio svizzero dal confine; - impedisce all'avversario di raggiungere i suoi obiettivi operativi; - conserva almeno una parte del nostro territorio sotto la sovranità della Confederazione.

Qualora le sue forze operative dovessero essere eliminate, l'esercito preseguirebbe la lotta con azioni di guerriglia, allo scopo di rendere impossibile all'avversario la dominazione completa dei territori occupati e di preparare la liberazione.

Nella misura consentitagli dai suoi compiti principali, l'esercito da man forte alle autorità civili: - nei settori del rifornimento, delle trasmissioni, del servizio sanitario, della protezione AC, dei trasporti, del servizio veterinario, ecc.: - nella protezione della popolazione, particolarmente rinforzando la protezione civile con truppe di protezione antiaerea; - in caso di attacchi massicci, a mano armata, contro l'ordine pubblico, nella misura in cui non dovessero bastare le forze usuali di polizia.

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Aiuto e soccorsi militari in caso di catastrofe

La nostra politica di sicurezza è impostata sulle minacce di guerra o di analoghe ostilità contro il nostro Paese. I mezzi della difesa integrata sono però a disposizione anche per far fronte a catastrofi di altro tipo.

Per tali evenienze sono previsti in particolare stati maggiori di crisi ai tre livelli della sovranità politica ed un esercizio ed impiego coordinati delle infrastrutture esistenti. Si pensi ad esempio ai servizi coordinati, in ampia misura già esistenti e ben organizzati, nel campo delle cure mediche, della protezione AC, dell'approvvigionamento con beni vitali, dei trasporti, delle trasmissioni, dell'allarme, del servizio meteorologico e delle valanghe, del servizio veterinario e delle requisizioni. In tutti questi campi profittiamo della struttura federalistica della Confederazione e dello spirito di milizia fortemente radicato nella popolazione. Ciò che parecchi secoli fa cominciò sotto forma di solidarietà corporativa per far fronte a catastrofi naturali, e che è divenuto una necessità nell'era dei mezzi di distruzione di massa, si è attualmente esteso a un ampio ventaglio di avvenimenti catastrofici indotti dalla natura o dalla civiltà. I servizi coordinati rientrano nei tre campi della difesa integrata: l'esercito, la protezione civile e l'approvvigionamento economico del Paese.

Se, come vogliono gli autori dell'iniziativa, l'esercito fosse abolito, la nostra capacità di far fronte a catastrofi si troverebbe sensibilmente indebolita, 867

quanto meno fino alla sua sostituzione con un corpo professionale di salvataggio ben dotato e pronto permanentemente ad intervenire.

In ogni tempo l'esercito ha dato prova di efficienza nel far fronte a catastrofi.

Elenchiamo qui appresso alcuni esempi di siffatte azioni della truppa a favore della popolazione civile: - nel 1951 i militari hanno prestato un aiuto efficace alle popolazioni delle vallate alpine colpite dalle valanghe; - nel 1979 la truppa è stata impiegata in operazioni coordinate per mitigare i danni della siccità che aveva colpito tutto il Paese; - nel 1985, in occasione della catastrofe del reattore di Cernobyl, specialisti militari (segnatamente specialisti AC) hanno fornito preziosi servizi; - nel 1987 più di 10500 militari sono stati impiegati per soccorrere la popolazione civile duramente colpita dal maltempo; - a diverse riprese specialisti di salvataggio appartenenti all'esercito e disponibili in permanenza sono stati impiegati in parecchie regioni del globo colpite da terremoti (Italia, Jemen, Turchia, Messico, ecc.).

In questo contesto occorre menzionare pure il considerevole aiuto dell'esercito a favore della popolazione di montagna (riparazione di sentieri, trasporti ecc.)

o a favore di andicappati (campi di vacanze, trasporti).

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Forme di minaccia attuali e future

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La minaccia nucleare e convenzionale

Dalla fine della Seconda guerra mondiale due gruppi di Potenze si contrappongono sullo scacchiere europeo. Entrambi dispongono di importanti arsenali di mezzi di distruzione di massa il cui impiego, concepibile in certe condizioni, è annoverato come possibile mezzo di dissuasione. Geograficamente, il nostro Paese si trova nel raggio potenziale di questi arsenali militari; anche senza essere coinvolto in una guerra, esso si troverebbe dunque inevitabilmente colpito dagli effetti transfrontalieri di un eventuale scontro nucleare fra i due blocchi.

L'immane e, in ultima analisi, imprevedibile potere distruttivo degli ordigni bellici nucleari potrebbe inoltre mettere in forse l'esistenza dell'intero globo.

Questa prospettiva catastrofica, congiuntamente all'esistente squilibrio delle forze nel settore militare, è invero la ragione principale per cui, dal 1945 in poi, non si è più fatto ricorso all'impiego di armi atomiche. D'altro canto, anche lo scoppio di una guerra convenzionale fra i due blocchi ha potuto essere evitato proprio perché un conflitto di tal genere avrebbe rischiato di tramutarsi ben presto in una guerra nucleare generalizzata. L'intesa nucleare ha pertanto contribuito in modo decisivo a far sì che l'Europa, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e nonostante le tensioni tuttora esistenti, sia stata risparmiata da nuovi conflitti armati internazionali. Il rischio di un conflitto nucleare o di una guerra convenzionale non si trova però definitivamente scongiurato. Nello stesso arco di tempo, più di 150 conflitti convenzionali sono scoppiati, e in parte perdurano ancora, fuori del continente europeo.

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Quali insegnamenti se ne possono trarre per la Svizzera? Si può forse dedurne che il nostro esercito, prettamente convenzionale, abbia perso la sua ragion d'essere quale elemento garante di pace?

È vero il contrario. Inverosimile, infatti, non è solo lo scontro nucleare onnidistruttivo, dove non vi sarebbero vincitori, ma anche l'impiego limitato di armi nucleari da parte delle Grandi Potenze, poiché incompatibile con le finalità «razionali» della guerra, in particolare lo sfruttamento, a fini militari od economici, del territorio conquistato. Quanto più stabile è l'equilibrio nucleare, tanto più prospettabile, caso mai, è un conflitto con armi convenzionali, al di sotto, dunque, della soglia nucleare. La nostra strategia di dissuasione serba così intatta la sua legittimità. Non da ultimo, è un fattore di stabilità all'interno dell'Europa.

Uno sguardo alla cartina del continente europeo mostra che l'Austria e la Svizzera formano un baluardo neutrale tra la Repubblica federale di Germania e l'Italia, nonché un corridoio neutrale tra l'Est e l'Ovest.

Orbene, è interesse vitale di ciascuno dei due blocchi che tale corridoio rimanga saldamente nelle mani dei due piccoli Stati neutrali. Ognuno dei due blocchi è interessato che l'altro non se ne impossessi con un attacco di sorpresa, sconvolgendo la situazione strategica a proprio profitto e dunque a detrimento dell'altro. Se tale ipotesi dovesse nondimeno verificarsi, il pericolo di uno scontro militare diretto si troverebbe accresciuto. Tale scontro non soltanto avverrebbe all'interno e attraverso i territori dei due Stati neutrali, ma potrebbe anche tramutarsi in conflitto nucleare. La Svizzera può contribuire a prevenire questo pericolo con un sufficiente potenziale di difesa militare.

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Foglio federale. 71° anno. Voi. I

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Vi è quindi una stretta connessione tra un forte apparato difensivo convenzionale e il pericolo atomico: quanto è più forte la difesa convenzionale, tanto più esigua è la possibilità che la Svizzera diventi teatro di uno scontro nucleare. Si aggiunga che, nel nostro Paese, la protezione civile è stata sviluppata a tal punto da reggere a qualsiasi confronto con il resto del mondo occidentale. Già oggi, il grado di protezione della popolazione civile dagli effetti accessori dell'impiego di armi nucleari, dentro o fuori dei nostri confini, è elevatissimo e ciò vale d'altronde anche riguardo alle ricadute di un eventuale impiego massiccio di armi chimiche.

Chi afferma che il nostro esercito metterebbe a repentaglio tutto quanto pretende di proteggere misconosce l'effetto dissuasivo del nostro apparato difensivo e la sua capacità di contenere e respingere anche grosse formazioni offensive. L'efficienza operativa dell'esercito svizzero è una garanzia per la tutela e la sopravvivenza di gran parte della popolazione nonché per l'esistenza medesima della Svizzera in quanto Stato e nazione.

Lo stesso discorso vale anche riguardo all'affermazione secondo cui la difesa integrata nulla può contro le armi nucleari tanto più che, anche se parte della popolazione riuscisse a sopravvivere nei rifugi, la vita non sarebbe più degna d'essere vissuta. Questo modo di ragionare assolutizzante non tiene conto del fatto che l'entità di un'eventuale aggressione contro il nostro Paese non può essere quantificata in anticipo e che è meglio approntare un sistema di difesa sufficiente, improntato a scenari verosimili e ampiamente fronteggiabili con i mezzi a disposizione. Se si rinuncia persino a questa protezione relativa, si ridurrebbe la Svizzera a trastullo indifeso delle Grandi potenze.

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Guerra indiretta

Quanto più esigua si fa la prospettiva di un conflitto nucleare o convenzionale in Europa, tanto più aumenta la minaccia della guerra indiretta, dallo spionaggio e dalla pressione politica fino all'impiego della violenza (attentati terroristici, atti di sabotaggio), ancorché sempre sotto la soglia delle ostilità aperte.

Questa strategia indiretta può servire sia a fomentare conflitti interni violenti sia ad imporre finalità egemoniche esterne. Si possono immaginare situazioni in cui le nostre forze di polizia non sarebbero certamente sufficienti per proteggere la popolazione e i più importanti impianti nazionali. In caso di azioni violente su grande scala, costituenti una grave minaccia per l'ordine costituzionale del Paese, soltanto l'esercito è in grado di dar man forte alla polizia nell'adempimento dei suoi compiti e di assicurare le funzioni vitali dello Stato.

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Minacce non militari

Nessuno può contestare che oggi, oltre ai conflitti armati, vi sono anche minacce e pericoli d'altro genere di cui alcuni di estensione mondiale che si configurano come vera e propria sfida all'umanità: fanatismo e odio, epidemie, catastrofi antropogene o naturali, ecc.

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Di fronte a tali minacce esistenziali taluni ritengono che il presunto pericolo di un'aggressione militare sia divenuto irrilevante.

Ma si tratta di una conclusione errata. Le minacce suddette permangono tutte attuali: sarebbe da irresponsabili concentrarsi sulle une soprassedendo alle altre, banalizzando per esempio quelle militari rispetto a quelle ecologiche. Le minacce non si disinnescano a vicenda. A tutte dobbiamo opporci con la massima determinazione.

Chi crede di intravedere anzitutto la minaccia futura nelle ricadute del divario economico tra Nord e Sud non può, a maggior ragione, soccombere al sofisma secondo cui basterebbe sopprimere l'esercito per rimuovere le cause del problema. Anche se la spesa globale oggi devoluta al settore militare fosse integralmente impiegata per l'aiuto allo sviluppo (possibilità questa che appare irrealistica già sin d'ora), lo squilibrio economico nel mondo non potrebbe essere eliminato. Per un certo tempo potremmo invero devolvere più fondi all'aiuto allo sviluppo, ma pregiudicheremmo nel contempo il fondamento su cui poggia questa importante attività della Confederazione.

Non possiamo chiudere gli occhi sulla molteplicità e sulla sempre diversa intensità dei pericoli che mettono in forse l'esistenza del nostro Stato e della nostra società. Non si può assolutizzare una minaccia, prescindendo da tutte le altre.

Non a caso l'articolo costituzionale che definisce gli scopi della Confederazione poggia sul presupposto che soltanto un Paese libero e indipendente è in grado di promuovere la comune prosperità dei suoi cittadini. Ciò vale anche per la possibilità di aiutare efficacemente gli altri.

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Concezioni di difesa alternative I dati del problema

Gli autori dell'iniziativa vorrebbero sopprimere l'esercito conservando però una Svizzera indipendente e libera. Non si potrebbe interpretare altrimenti il mandato conferito al legislatore di svolgere una politica globale di pace che rafforzi l'autodeterminazione del popolo.

Si tratta quindi di esaminare se, al posto di quello strumento di potere che è l'esercito, vi siano concezioni o strumenti alternativi che consentano alla Confederazione di garantire l'esistenza dello Stato e l'indipendenza della patria contro lo straniero ai sensi dello scopo definito dalla Costituzione.

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Difesa sociale

Si parla qualche volta delle possibilità di una «difesa sociale». Semplificando si può dire che quest'ultima - contrariamente alla difesa militare - non cerca in primo luogo di difendere territori, bensì piuttosto i valori sociali, i diritti dell'uomo, la qualità della vita, i valori democratici, ecc. Lo scopo non è di opporsi all'occupazione del Paese ma d'impedire all'aggressore di accedere alle istituzioni politiche, sociali ed economiche e di trarre profitto dalle risorse del 871

Paese. Tra le forme pratiche che può assumere la difesa sociale si citano per esempio le manifestazioni, gli scioperi, le occupazioni, l'agitazione, la resistenza passiva, la disobbedienza civica, l'isolamento dell'occupante o, inversamente, l'influenza su di esso. Qualcuno raccomanda pure il sabotaggio. Ne consegue chiaramente che la frontiera tra la violenza e la non violenza è fluttuante.

Il successo della difesa sociale consisterebbe nell'indurre l'occupante a lasciare il Paese. Un tale risultato non è però mai stato ottenuto in tal modo: altri fattori hanno sempre svolto un ruolo decisivo (intervento militare di terzi, pressione dell'opinione pubblica mondiale, ecc.).

Volendo sostituire la difesa sociale alla difesa militare si abbandona il popolo fin dall'inizio, nella buona e nella cattiva sorte, all'occupante straniero senza aver tentato anzitutto di utilizzare la carta, verosimilmente vincente, di una difesa accuratamente preparata.

Una difesa sociale su grande scala esigerebbe inoltre una direzione energica e centralizzata e un enorme spirito di sacrificio. Il rimprovero di una militarizzazione della popolazione non sarebbe allora molto lungi dall'essere giustificato.

Inoltre, se si tiene conto degli esempi passati e attuali, si è obbligati ad ammettere che la difesa sociale da sola non ha alcuna probabilità di successo contro una Potenza di occupazione.

La resistenza civile o militare in un territorio occupato è invece altra cosa. Il rapporto sulla politica di sicurezza 73 (n. 426) indica a questo proposito che perfino l'occupazione di parti del nostro Paese non deve spegnere qualsiasi resistenza da parte nostra. Quest'ultima non può tuttavia essere organizzata in anticipo e non «potrà mai sostituirsi alla ferma volontà e alla capacità di opporsi a un'invasione; all'uopo il suo potenziale di dissuasione è troppo basso, poiché produce i suoi effetti soltanto ad occupazione avvenuta».

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Le ricerche in materia di polemologia e di pace

Anche queste aspettative vengono a volte gonfiate in modo utopico nella discussione, segnatamente quando si fanno dubbi paragoni con il costo della difesa militare cercando di destare l'impressione che investimenti più cospicui nella ricerca polemologica già permetterebbero di garantire la pace. Non v'è dubbio che occorre indagare maggiormente sulle cause dei conflitti e sviluppare provvedimenti atti a salvaguardare la pace. Sono mezzi però che non possono sostituirsi all'esercito.

La Confederazione ha creato al politecnico di Zurigo un istituto di ricerche in materia di politica di sicurezza e di polemologia. Sostiene inoltre i progetti di ricerche in questo campo del Fondo nazionale. Per altro, anche nei settori specifici dei Dipartimenti si affidano a specialisti esterni analoghi mandati di ricerca concernenti anzitutto i buoni uffici, i controlli in materia d'armamento e le procedure di verifica.

A tutt'oggi, i risultati di queste ricerche - anche sul piano internazionale - non hanno permesso di concludere che sia possibile rinunciare all'esercito in quanto strumento per assicurare la pace.

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La sicurezza a spese altrui

La massima ben nota «Ogni Paese ha un esercito: il suo o quello di una potenza straniera» esprime che la soppressione dell'esercito creerebbe un vuoto militare che presto o tardi sarebbe colmato da terzi.

Non è sicuramente nelle intenzioni degli autori dell'iniziativa far sì che, abolito l'esercito, la difesa del nostro Paese sia assunta da forze armate straniere, il che presto o tardi potrebbe nondimeno verificarsi. D'altronde, il testo dell'iniziativa vieterebbe alla Svizzera di concludere volontariamente un'alleanza politica volta ad ottenere una protezione militare.

Evidentemente la soppressione dell'esercito comporterebbe anche l'abbandono della nostra neutralità, forgiatasi durante secoli e riconosciuta dal diritto internazionale nel 1815. Le esperienze fatte finora mostrano che un tale passo porterebbe presto o tardi alla sudditanza e alla dipendenza.

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Desiderio ardente di pace e sforzi di disarmo

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II pacifismo, causa di guerra

L'aspirazione alla pace e alla fraternità tra i popoli per eliminare il flagello della guerra è un vecchio sogno dell'umanità. In tutte le epoche insigni pensatori si sono arrabattati per risolvere questo problema.

È naturale che in questo campo i pareri divergano fortemente. Le concezioni differiscono talvolta fino a escludersi a vicenda. Si dissente non solo sui mezzi, ma anche sullo scopo medesimo, come indica anche la molteplicità dei concetti usati.

Non è quindi sorprendente che sempre di nuovo si propugnino soluzioni la cui inadeguatezza è già stata dimostrata dall'esperienza storica. Molti nostri concittadini si ricordano ancora delle tragiche conseguenze della politica detta dell'«appeasement» degli anni 30. Dopo gli orrori della Prima guerra mondiale, che era stata scatenata con avventatezza, un comprensibile desiderio di pace si era diffuso nel globo. Ci furono riconciliazioni impressionanti al tavolo delle trattative. Le condizioni cambiarono tuttavia radicalmente con l'avvento delle dittature nazista e fascista. Sotto la spinta di un pacifismo militante che chiedeva la pace a qualsiasi prezzo si accondiscese a una serie funesta di concessioni laddove invece sarebbe stato necessario dar prova di fermezza applicando sanzioni contro chiare violazioni del diritto. La cosiddetta «Pace per il nostro tempo», dichiarata a Monaco nel 1938, ebbe l'effetto di scatenare entro un anno la Seconda guerra mondiale, dopo aver già sacrificato uno Stato indipendente.

Nelle sue memorie, Churchill spiega come questa catastrofe dell'umanità avrebbe potuto essere evitata dando prova di maggior fermezza al momento giusto. In Svizzera il .mutamento d'opinione si verificò appena in tempo. Anche se non si riuscì a colmare tutte le lacune del nostro sistema di difesa, che fino allora era stato molto trascurato, il Paese intero diede prova di una volontà di sacrificio che contribuì in ampia misura alla salvaguardia della pace e dell'indipendenza nel cuore di un'Europa in fiamme.

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Chi si ricorda di questi avvenimenti è conscio delle conseguenze fatali di un pacifismo utopico. Soltanto un Paese che possiede un adeguato peso militare, che gli permetta di non ridursi a semplice trastullo di interessi esteri o di violenti conflitti interni, può portare innanzi una politica di pace, insomma una politica indipendente.

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Sforzi di disarmo

L'idea del disarmo scaturisce dal profondo desiderio dei popoli di rinunciare a risolvere i conflitti con mezzi militari. La speranza di assicurare la pace in questo modo è un vecchio sogno dell'umanità. Dopo due guerre mondiali disastrose e nella prospettiva della minaccia apocalittica di una guerra nucleare questa esigenza ha acquisito maggiore intensità. Lo slogan «La pace senza armi» ne è un'espressione eloquente.

Nel dicembre 1987 Unione Sovietica e Stati Uniti hanno firmato un trattato che dovrebbe condurre allo smantellamento in Europa di tutti i missili nucleari da crociera teleguidati e di tutti i missili di medio raggio a media e breve gittata, stazionati al suolo, americani e sovietici. Per la prima volta, gli arsenali nucleari delle due Superpotenze non saranno semplicemente limitati, bensì ridotti in maniera controllabile, anche se in misura modesta (meno del 5%). Il dialogo in materia di disarmo tra le due Superpotenze è quindi entrato in una nuova fase.

Noi consideriamo positiva questa evoluzione. Approviamo qualsiasi misura intesa a stabilire, tra i blocchi militari, un equilibrio fondato su un livello d'armamento più basso, come pure tutti i provvedimenti che contribuiscano a migliorare durevolmente le relazioni Est/Ovest.

Siffatta evoluzione non deve però soppiantare la spassionata valutazione della realtà. In materia di truppe e di armamento si è ancor lungi dall'aver conseguito un livello generalmente equilibrato e puramente difensivo. Anche se fosse non solo perseguito ma anche gradatamente attuato, questo obiettivo esigerebbe un lungo processo durante il quale sarebbero possibili nuovi scontri e persino nuovi riarmi. Un piccolo Stato come il nostro non sarebbe in grado di far fronte al deteriorarsi della situazione se, fiducioso dei primi passi intrapresi dalle Grandi potenze nel campo del disarmo, avesse unilateralmente rinunciato al proprio apparato difensivo.

In questo contesto occorre accennare anche a un altro dato di fatto che spesso viene purtroppo dimenticato: l'armamento e le forze armate non sono la causa bensì la conseguenza della mancanza di pace nel mondo. L'eliminazione delle armi è lungi dall'essere sufficiente a instaurare la pace. In un mondo in cui esistono tensioni, in cui la spietatezza trionfa sulla debolezza, in cui conflitti latenti minacciano di
scoppiare e in cui i diritti dell'uomo sono calpestati persino un disarmo generale costituirebbe, in ultima analisi, una semplice terapia limitata ai sintomi.

Per contro, una limitazione dell'armamento e un disarmo progressivo ed equilibrato sono sensati e necessari. Hanno però probabilità di successo soltanto a condizione di essere abbinati a possibilità di verifica, controllo e attuazione ef874

ficaci. Non permettono invero di instaurare una pace universale ma almeno di creare migliori premesse per la soluzione pacifica dei conflitti e per una miglior salvaguardia della pace tra gli Stati. La «pace positiva», imperniata sullo spirito d'intesa, di giustizia e di riconciliazione è in definitiva un problema spirituale, non materiale, e va quindi ricercata con altri mezzi.

Le forze armate di un Paese, se unicamente destinate all'autodifesa e organizzate in funzione di quest'ultima, non minacciano nessuno. Sono anzi un elemento di stabilità e quindi un presupposto essenziale della pace; le forze armate difensive di un piccolo Stato neutrale come la Svizzera sono quindi le ultime che si dovrebbero ridurre.

Non fu per presunzione, bensì per realismo temprato dalla storia se il consigliere federale Motta, alla Conferenza di Ginevra sul disarmo del 1932, fece notare che la Svizzera possedeva un esercito di milizia meramente difensivo e aggiunse: Si la Société des Nations a choisi Genève pour siège, c'est quelle a senti combien la neutralité suisse, instrument et engagement de paix, se conciliait avec les fins supérieures de la vie internationale. Pour le Suisse qui a vraiment compris le sens et la vocation de son Etat, les mots patrie et humanité rendent deux sons en pleine harmonie.

(G. Motta, Testimonia Temporum 1932-1936, p. 190, Bellinzona, Istituto editoriale ticinese 1936).

Lo Stato che, compro vatamente, ricorra alle armi soltanto in caso di legittima difesa non minaccia nessuno e certamente contribuisce alla pace più di quello che, a priori, si privi di difesa invitando così l'avversario a usare la forza.

Il noto irenologo norvegese Johan Galtung ha studiato dettagliatamente e criticamente la politica di sicurezza della Svizzera giungendo a un giudizio positivo. In una tabella che paragona tra loro i Paesi europei riguardo alla rilevanza per la sicurezza, la Svizzera figura in testa. «Organizzata militarmente soltanto a scopi difensivi e prima fra tutti per quanto riguarda la protezione civile, la Svizzera è molto vicina all'ideale della pura difesa senza minaccia dell'avversario». Galtung critica i pacifisti svizzeri. Secondo lui, avrebbero mal compreso la dottrina di sicurezza e il ruolo della Svizzera in materia di politica estera e sottovalutato la situazione europea nel settore della sicurezza, situazione che renderebbe necessaria una difesa armata credibile (Johan Galtung: Es gibt Alternativen, vier Wege zum Frieden und Sicherheit, Westdeutscher Verlag, Opladen 1984, pag. 203 ss - Provinzialismus - Kritik Johan Galtungs an der Schweizer Friedensbewegung, NZZ 19.3.84).

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Conseguenze della soppressione dell'esercito per l'economia del Paese

Lo scopo principale dell'esercito, e quindi la sua giustificazione, è la difesa nazionale. L'esercito può però svolgere questa missione soltanto se è ben equipaggiato e istruito e a condizione di poter contare su una infrastruttura civile. La premessa è dunque, oltre a un'amministrazione razionale, anche un'industria efficiente. Sono questi i criteri che consentono di dedurre le ripercussioni sulla nostra economia di un'eventuale soppressione dell'esercito.

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Posti di lavoro

Presso la Confederazione, circa 20 500 persone in totale si occupano della difesa nazionale militare, di cui quasi 20 000 al servizio del Dipartimento militare federale (circa 5 000 nelle aziende militari d'armamento) e oltre 500 al servizio di uffici di altri Dipartimenti (p. es. Ufficio dell'assicurazione militare).

Nei Cantoni che, come è noto, adempiono pure compiti militari in virtù della sovranità militare cantonale, i posti di lavoro assegnati alla difesa militare sono valutati a un migliaio in totale.

Questi impieghi sono in gran parte distribuiti sull'insieme del Paese: solo un quinto a Berna, mentre otto su dieci si trovano fuori della capitale federale.

Diverse aziende del Dipartimento militare federale sono annoverate tra i datori di lavoro più importanti della loro regione. Così, per esempio, la fabbrica di munizioni di Altdorf, con più di mille posti di lavoro, è la seconda azienda industriale del Canton Uri.

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L'esercito in quanto datore di lavoro

Nel corso degli ultimi anni la media delle ordinazioni di materiale, costruzioni e acquisti da parte del Dipartimento federale militare è stata di circa 3 miliardi di franchi all'anno.

L'economia indigena ne beneficia nella misura di oltre l'80 per cento, pari a una somma di circa 2,5 miliardi di franchi. Le ordinazioni sono ripartite su tutta la Svizzera e tutti i Cantoni ne profittano. Una parte considerevole è assegnata alle regioni di montagna e a quelle marginali economicamente deboli. In caso di ordinazioni importanti, per esempio come per il carro armato Leopard, gli imprenditori generali hanno l'obbligo contrattuale di distribuire una certa percentuale di lavori nelle diverse regioni linguistiche.

Le ordinazioni dell'esercito hanno un'importanza che va oltre il mero valore statistico anche perché comportano molti lavori altrimenti difficilmente assegnabili a livello regionale o a gruppi socialmente sfavoriti. Si pensi per esempio alle ordinazioni militari di lavoro a domicilio che ancora attualmente assicurano l'esistenza di circa 2000 persone.

I 2,5 miliardi di franchi di ordinazioni annue di cui beneficia il Paese corrispondono, tenendo conto dell'usuale cifra d'affari dell'industria che è di 100 000 franchi per posto di lavoro, a circa 25 000 uomini/anno.

Bisogna inoltre tener conto anche delle spese di cui profittano la popolazione, il commercio e l'artigianato locali durante l'acquartieramento della truppa. Si è accertato che un reggimento di fanteria durante un corso di ripetizione spende circa da 0,5 a 1 milione di franchi per beni e servizi. Siccome la truppa è spesso acquartierata in regioni economicamente sfavorite, questa spesa ha un'importanza che non va sottovalutata.

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Conseguenze economiche

In caso di soppressione dell'esercito, a breve termine andrebbero persi circa 21 500 impieghi nelle amministrazioni cantonali e federali e in pochi anni decine di migliaia di altri salariati ne sarebbero toccati. Ma non è tutto. Bisogna infatti tener conto delle perdite di reddito che accuserebbero il piccolo commercio e il settore turistico i quali, direttamente o indirettamente, profittano oggi dei 13 milioni di giorni di servizio che il nostro esercito prevede ogni anno per l'istruzione.

Senza dubbio, la scomparsa delle spese per l'esercito causerebbe grossi problemi all'economia svizzera. Dal canto loro, le difficoltà che ne risulterebbero per l'industria, il commercio e l'artigianato potrebbero causare, se non altro temporaneamente, un aumento della disoccupazione. Durante una fase transitoria più o meno lunga l'ente pubblico dovrebbe intervenire nell'economia con programmi dirigistici di sostegno e di creazione di posti di lavoro che comporterebbero una spesa di parecchi miliardi di franchi. È molto probabile che le somme risparmiate con la soppressione dell'esercito sarebbero in gran parte assorbite per finanziare i provvedimenti di promozione dell'impiego, segnatamente nelle regioni che già ora devono far fronte continuamente a difficoltà economiche.

La supposizione che le somme oggi destinate al settore militare potrebbero essere utilizzate immediatamente e senza problemi ad altri fini, per esempio per incrementare l'aiuto allo sviluppo, potenziare le opere sociali ecc., è quindi un ragionamento fallace.

Per quanto concerne le ripercussioni tecnologiche occorre inoltre considerare che la produzione di armamenti complessi permette spesso d'acquisire un «know-how» nel campo dei materiali e dei processi di produzione che può essere impiegato anche nella produzione di beni civili. Come Paese esportatore, la Svizzera deve necessariamente tenere il passo in posizione d'avanguardia nella concorrenza internazionale in materia di tecnologia.

Una rinuncia costituzionale all'esercito farebbe della Svizzera non soltanto un paese indifeso e con grossi problemi economici: ne scuoterebbe anche la credibilità di Stato neutrale, autonomo e stabile.

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Riassunto

L'iniziativa è ricevibile e deve essere dunque sottoposta a consultazione popolare. L'estremismo delle sue esigenze rappresenta però una rottura fondamentale con le nostre tradizioni e con la concezione che il popolo svizzero ha delle proprie istituzioni. La rinuncia a uno strumento di potere nelle mani dello Stato creerebbe un vuoto pericoloso che arrischierebbe di essere colmato da altri a più o meno breve scadenza. Non potrebbero più essere garantite né l'indipendenza del Paese, né l'integrità del territorio, né la protezione della popolazione da attacchi stranieri.

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62 L'iniziativa misconosce tutti gli insegnamenti della storia mondiale e svizzera.

Non è affatto possibile far progredire l'ideale di una vera pace universale disarmando un popolo che ha rinunciato da secoli ad attaccare altri Stati. Al contrario, la pace è possibile soltanto laddove si è in grado di tener testa alla violenza incontrollata.

63 La soppressione dell'esercito è incompatibile con gli obblighi della neutralità armata e permanente che il diritto internazionale ci impone. Di fatto, essa equivarrebbe all'abbandono di una neutralità ancorata nel diritto consuetudinario internazionale e sancita dai trattati internazionali. L'atteggiamento degli Stati limitrofi nei nostri confronti potrebbe modificarsi rapidamente e spiacevolmente.

64 L'esercito costituisce il pilastro più saldo della nostra politica di sicurezza; l'esistenza di una difesa nazionale militare credibile ci ha permesso di salvaguardare la pace nell'indipendenza. La soppressione dell'esercito pregiudicherebbe in modo irresponsabile la sicurezza dello Stato. Il diritto dei cittadini alla pace, alla libertà e all'indipendenza non potrebbe più essere garantito.

Non si può nemmeno speculare che, in caso di imminente minaccia di aggressione, si possa far tempestivamente rinascere dal nulla una difesa nazionale insufficiente. L'organizzazione di un esercito credibile richiede molto tempo.

65 Le nuove forme di minaccia non sminuiscono il valore della strategia dissuasiva.

La necessità di premunirsi meglio contro i pericoli ecologici non esclude, nemmeno in futuro, l'eventualità di conflitti armati. Cosiddette concezioni di difesa alternativa non offriranno mai la stessa sicurezza della difesa nazionale militare.

66 La politica di pace è sempre stata Io scopo dichiarato della nostra politica estera. Il presupposto è però una sicurezza calcolabile, che non sarebbe possibile senza esercito. I nostri vicini devono avere la certezza che nessun pericolo diretto o indiretto li minacci a partire dal nostro territorio. Questa garanzia è il solo fondamento che ci permetta di far valere in modo credibile le componenti d'ampio respiro della nostra politica di sicurezza (buoni uffici, partecipazione a provvedimenti atti ad assicurare la pace, ricerche nel campo della pace e della polemologia, negoziati concernenti il controllo degli armamenti, cooperazione allo sviluppo, ecc.).

878

Perché mai proprio la Svizzera che durante secoli ha dimostrato che ricorrerebbe alle armi soltanto per legittima difesa dovrebbe sopprimere il proprio esercito mentre tutti gli altri Stati considerano indispensabili forze armate difensive? Nessuno ne trarrebbe giovamento e nessun altro Paese sarebbe pronto a seguirne l'esempio.

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Soltanto una politica di sicurezza globale, indissolubilmente legata a un esercito credibile, permette il libero sviluppo dell'individuo e della società nel grembo protettivo dello Stato.

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Anche le conseguenze indirette di un'abolizione dell'esercito sarebbero gravose. I posti di lavoro soppressi potrebbero essere sostituiti soltanto difficilmente. La diminuzione del grado di sicurezza avrebbe gravi ripercussioni su branche importanti dell'economia.

69

L'iniziativa ha già fatto scalpore all'estero e indotto osservatori poco abituati alle particolarità dei nostri diritti politici a concludere che la volontà di difesa della Svizzera, tradizionalmente molto apprezzata, è venuta meno. V'è da sperare che popolo e Cantoni respingano l'iniziativa con un chiaro responso.

1804

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Decreto federale Disegno concernente l'iniziativa «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace» del

L'Assemblea federale della Confederazione Svizzera, esaminata l'iniziativa popolare, depositata il 12 settembre 1986, «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace»1); visto il messaggio del Consiglio federale del 25 maggio 19882), decreta:

Art. l 1 L'iniziativa popolare «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace» è sottoposta al voto del popolo e dei Cantoni.

2

L'iniziativa ha il tenore seguente:

I La Costituzione federale è modificata come segue:

Art. 17 1 La Svizzera non ha esercito.

2 È proibito alla Confederazione, ai Cantoni, ai Comuni ed ai privati d'istruire o mantenere forze armate.

3 La Svizzera svolge una politica globale di pace che rafforza l'autodeterminazione del popolo e promuove la solidarietà tra i popoli.

4 La legislazione federale disciplina l'applicazione del presente articolo.

Art. 18 Nessuna disposizione della presente Costituzione può essere interpretata in modo da presupporre o giustificare l'esistenza di un esercito.

II Gli articoli 13, 15 secondo periodo, 19 a 22, 34ter capoverso 1 lettera d, 42 lettera e, 85 numero 9 e 102 numero 11 della Costituzione federale sono abrogati.

"FF 1986 III 836 >FF 1988 II 854

2

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Iniziativa per una Svizzera senza esercito III Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come segue:

Art. i cpv. lei Abrogati Art. 6 Abrogato Art. 19 (nuovo) 1 Gli articoli 17 e 18 della Costituzione federale sono attuati entro dieci anni dalPaccettazione da parte del popolo e dei Cantoni.

2 Dopo l'accettazione degli articoli 17 e 18 da parte del popolo e dei Cantoni, non verranno più tenute né scuole reclute né corsi di ripetizione, d'istruzione e di complemento.

Art. 2 L'Assemblea federale raccomanda al popolo e ai Cantoni di respingere l'iniziativa.

1805

881

Schweizerisches Bundesarchiv, Digitale Amtsdruckschriften Archives fédérales suisses, Publications officielles numérisées Archivio federale svizzero, Pubblicazioni ufficiali digitali

Messaggio concernente l'iniziativa popolare «per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace» del 25 maggio 1988

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1988

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21.06.1988

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