65

Foglio Federale Berna, 17 agosto 1967 Anno L Volume II N° 33 Si pubblica di regola una volta la settimana. Abbonamento annuo fr. 18, con allegata la Raccolta delle leggi federali. -- Rivolgersi alla Tipografia Grassi e Co.

(già Tipo-litografia Cantonale) Bellinzona -- Telefono 092/5 18 71 -- Ccp 65-690

9715 Rapporto del Consiglio federale all'Assemblea federale sull'iniziativa popolare contro l'inforestierimento (Del 29 giugno 1967) Onorevoli signori Presidente e Consiglieri, Il partito democratico del Canton Zurigo, in Zurigo, ha presentato alla Cancelleria federale, il 30 giugno 1965, una domanda d'iniziativa popolare contro l'inforestierimento, sostenuta da 59 164 firme valide. Con decreto del Consiglio federale, del 23 luglio 1965, detta iniziativa è stata poi ricono¬ sciuta riuscita; essa ha il tenore seguente: Testo tedesco (dichiarato autentico) « Die Unterzeichneten stimmberechtigten Schweizer Bürger stellen hiemit, gestütz auf Art. 121 der Bundesverfassung und gemäss Bundesgesetz vom 23. März 1962 über das Verfahren bei Volksbegehren auf Revision der Bundesverfassung folgendes Begehren: . Art. I .

Die Bundesverfassung der Schweizerischen Eidgenossenschaft vom 29. Mai 1874 wird wie folgt ergänzt: Art. 69 quater Der Bestand an ausländischen Niedergelassenen und Aufenthaltern darf insge¬ samt einen Zehntel der Wohnbevölkerung nicht übersteigen.

Um die Ueberfremdungsgefahr abzuwehren, ist · der Bestand an ausländischen Aufenthaltern vom Inkrafttreten dieser Bestimmung an bis zur Erreichung der höchstzulässigen Zahl an Ausländern, unter Wahrung des Gebotes der Men¬ schlichkeit, järhlich um mindestens fünf Prozent zu vermindern. Die Bedürfnisse der Wirtschaft sind dabei angemessen zu berücksichtigen.

Foglio Federale, 1967, Vol. Il

66 Der Bundesrat bestimmt jährlich die auf die Kantone entfallende Verminderung an ausländischen Aufenthaltern. Die von ihm bezeichnete Bundesbehörde hebt nötigenfalls bestehende Aufenthaltsbewilligungen auf.

Art. II Art. 69 quater der Bundesverfassung tritt am 1. Januar des auf die Annahme durch Volk und Stände und den Erwahrungsbeschluss der Bundesversammlung folgenden Jahres in Kraft ».

Testo italiano « Art. I Alla Costituzione federale del 29 maggio 1874 è fatta la seguente aggiunta: Art. 69 quater La quota complessiva dei domiciliati e soggiornanti stranieri non deve oltrepas¬ sare il dieci per cento della popolazione. Per rimediare al pericolo di una sovrap¬ popolazione straniera, la quota dei soggiornanti stranieri verrà ridotta annual¬ mente, coi dovuti riguardi umani, di almeno 5 per cento, finché il numero degli stranieri sarà sceso al massimo ammesso. Si terrà conto in modo adeguato dei bisogni dell'economia. Il Consiglio federale fissa ogni anno per i singoli Cantoni le quote di riduzione dei soggiornanti stranieri. L'ufficio federale da lui designato potrà in caso di necessità annullare permessi di soggiorno vigenti.

Art. II L'art. 69 quater della Costituzione federale entra in vigore il 1° gennaio dell'anno successivo a quello in cui è stato accettato dal popolo e dai Cantoni e convalidato dall'Assemblea federale ».

In merito a questa iniziativa popolare, noi ci pregiamo di farvi, qui di seguito, il nostro rapporto.

I. Evoluzione dell'effettivo degli stranieri e politica d'ammissione 1. Fino alla prima guerra mondiale Con l'avvento, verso metà dell'Ottocento, dell'industrializzazione del Paese e con la conseguente intensa costruzione delle importanti vie di co¬ municazione, il bisogno di manodopera s'accrebbe in modo spiccatissimo.

Le nostre condizioni economiche, relativamente prospere, indussero allora i lavoratori stranieri a venire in Svizzera, ingenerando un afflusso vieppiù in¬ tenso, specie dagli Stati a noi finitimi; per di più il richiamo della nostra favorevole positura geografica e del nostro stabile assetto politico-econo¬ mico, già tradizionalmente molto efficace, divenne quanto mai forte an¬ che per le altre categorie di stranieri. Aggiungasi che la corrente immigrato¬ ria si trovò favorita dai numerosi trattati di domicilio, conchiusi proprio in quel torno di tempo,
i quali prevedevano che i cittadini degli Stati con¬ traenti potessero stabilirsi senz'altro nel nostro Paese per esercitarvi una pro¬ fessione, in virtù del principio, in essi recepito, della piena parificazione

67 dello straniero, quanto al soggiorno ed all'attività lucrativa, con il cittadino svizzero non attinente del Cantone: principio esteso poi, da una prassi lon¬ ganime, anche ai nazionali degli Stati non contraenti e persino agli apolidi.

Qualche ostacolo poteva bensì essere frapposto (dai Cantoni, allora com¬ petenti in materia di stranieri) nell'ambito delle norme di polizia (preven¬ zione criminale o restrizioni verso gl'indigenti), nessuno invece nell'ambito d'una politica d'ammissione come tale.

L'evoluzione così avviata e destinata ad ingenerare un massiccio accre¬ scimento dell'aliquota di stranieri, si tradusse nella progressione numerica seguente: Su 100 residenti erano stranieri nel 1850 1860 1870 ~~

3/Ö

4^6

5/7

1880

1888

1900

1910

.7,4



11,6

14,7

L'incalzante incremento dell'effettivo degli stranieri già allora su¬ scitò profonda inquietudine nel popolo elvetico, tanto che ampie cerchie presero a considerare con grande preoccupazione questo particolare anda¬ mento. Tuttavia, e ciò è caratteristico dell'epoca, la soluzione del grave pro¬ blema veniva cercata unicamente nell'attivazione del processo d'assimila¬ zione e nell'estensione della prassi di naturalizzazione, ma non già nell'ap¬ prestamento di misure d'ostacolo all'immigrazione, negatrici di quella massima della libertà di trasferimento ch'era da tutti ritenuta assolutamente indiscutibile.

Da questo concetto, già nel 1909 era partita la Commissione della ge¬ stione del Consiglio nazionale nel suggerire al Consiglio federale, mediante postulato, di studiare e riferire come si potesse ovviare al pericolo d'inforestierimento mediante l'agevolazione della naturalizzazione. Ed anche il rapporto del Dipartimento politico del 30 maggio 1914, ove quel pericolo era descritto in tutta la sua ormai palese gravità, rimaneva ancorato a questa concezione sicché, tralasciando di proporre qualsiasi argine all'af¬ flusso degli stranieri, propugnava, come misure adeguate a contenere il feno¬ meno, l'incremento dell'assimilazione e lo snellimento della naturalizza¬ zione. Del resto questa soluzione doveva apparire certo come l'unica propo¬ nibile, se il Consiglio federale decideva d'approvare tal quale il rapporto per presentarlo, come suo messaggio, alla sessione parlamentare dell'autunno del 1914. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale era frattanto venuto a troncare l'iter parlamentare del progetto.

2. Dalla prima alla seconda guerra mondiale

1

Gli anni di guerra 1914-1918 crearono una situazione del tutto nuova, per due ragioni: innanzitutto perchè gli stranieri non tardarono a rimpa-

68 triare, ed a decine di migliaia, obbedendo alla chiamata alle armi decretata nelle loro rispettive Nazioni; in secondo luogo perchè, avendo gli Stati bel¬ ligeranti introdotto il controllo su l'entrata e il soggiorno degli stranieri, an¬ che il nostro Paese, dopo un periodo di residuale attaccamento alla vecchia prassi liberale, dovette, verso al fine del periodo bellico, adattarsi al nuovo clima restrittivo e prendere i provvedimenti necessari sia per impedire l'im¬ migrazione agli stranieri indesiderabili, sia^ successivamente, per espellere quelli che s'erano introdotti nel Paese allegando motivi diversi. Il Consiglio federale emanò quindi, il 21 novembre 1917, in virtù dei pieni poteri, l'ordi¬ nanza concernente «la polizia ai confini e il controllo degli stranieri» (RU 33, 1015), la quale era precipuamente intesa a consentire una prima cernita degli immigranti grazie all'istituto del «visto». Poscia i Cantoni stessi furono facoltati, avverandosi determinate premesse, a respingere dall'intero territorio nazionale gli stranieri indesiderabili. Fu pertanto creato, nel quadro del Di¬ partimento di giustizia e polizia, un Ufficio centrale per la polizia degli stranieri, con l'incarico di impartire adeguate direttive e. di decidere circa l'ammissibilità delle persone sospette, le cui domande d'immigrazione do¬ vevano essergli trasmesse. , < Chiuso il periodo bellico, si pose il problema dello smantellamento di questo drastico apparato di controllo. Ma, apparendo immediatamente escluso il puro e semplice ripristino del vecchio regime liberale e, d'altro can¬ to, sembrando inammissibile di sopprimere o di modificare quest'ultimo senza formale abrogazione od emendamento dei vecchi trattati, il Consiglio federale risolse innanzitutto di disdire provvisionalmente, per il 10 aprile 1919, gli accordi di domicilio con l'Italia e la Germania, quello con la Fran¬ cia essendo già stato, da essa stessa, disdetto alcun tempo innanzi; tuttavia i tre accordi erano mantenuti consensualmente in vigore sino a nuovo avviso.

Come provvedimento interinale, nell'attesa della conclusione1 dei rinnovati trattati di domicilio, il Consiglio federale promulgò poscia, il 17 novembre 1919, 1'« ordinanza sul controllo degli stranieri» (RU 35, 1195), mediante la quale procedette ad allentare assai le ferree disposizioni
concernenti il «visto» ed a spostare in certa misura il fulcro del controllo all'interno del Paese.

j · , i Nel frattempo era divenuto evidente che la ristrutturazione dei trattati di domicilio era poco realistica e, per di più, non assolutamente necessaria; le Parti contraenti, infatti, avevano tacitamente ammesso l'istituzione, nella maggior parte degli Stati, di ordinamenti intèrni di polizia degli stranieri, di¬ sciplinanti, mediante l'obbligo del permesso poliziesco, l'entrata, il soggiorno e l'attività lucrativa. Conseguentemente i vecchi trattati di domicilio furono sussunti sotto la generale tacita riserva della determinazione delle condizioni di ammissibilità ad opera del diritto interno. Questa interpretazione li¬ mitativa fu del resto esplicitata, con taluni Stati, in protocolli completivi dei vecchi testi, ed entrò naturalmente, come disposto particolaré, nei nuovi trattati via via conchiusi dopo la guerra. Tutto ciò ebbe come conseguenza

69 che, d'allora in poi, potevano pienamente richiamarsi alle disposizioni dei trattati internazionali solo quegli stranieri i qùali, giusta il pertinente ordi¬ namento interno di polizia, erano stati definitivamente ammessi a risiedere nello Stato.

Veniva data così, nel contempo, anche la base giuridica per impostare * una prassi d'ammissione degli stranieri confacente agli interessi della Na¬ zione. Un primo passo in questa direzione fu fatto con l'ordinanza del 29 novembre 1921 sul «controllo degli stranieri» (RU 37, 923), la quale tutta¬ via, come atto fondato sui pieni poteri, non poteva considerarsi duratura.

Ma per la traduzione dell'ordinamento straordinario in un ordinamento fe¬ derale ordinario occorreva innanzitutto l'addentellato costituzionale. Questo fu apprestato mediante l'articolo 69 ter, inserito nella Costituzione federale grazie alla votazione popolare del 25 ottobre 1925 (RU 42, 1) e compilato in modo da conferire chiaramente alla Confederazione la competenza di legiferare sull'entrata, l'uscita, la dimora e il domicilio degli stranieri. Sul nuovo articolo fu poi costruita, il 26 marzo 1931, (CS 1, 117; RU 1949, 225), la legge federale « concernente la dimora e il domicilio degli stra¬ nieri (LDDS) », entrata in vigore il 1° gennaio 1934 assieme alla sua ordi¬ nanza d'esecuzione (ODDS), modificata di poi (CS 1, 127; RU 1949, 233 -- A II B 3).

La legge era essenzialmente orientata a difendere il Paese dall'inforestierimento mediante il disciplinamento dell'ammissione degli stranieri neo¬ immigrati o comunque non ancora definitivamente accettati. Quest'orienta¬ mento traspare già dal disposto del suo articolo 4, secondo il quale «l'auto¬ rità decide liberamente, nei limiti delle disposizioni della legge e dei trattati' con l'estero, circa la concessione del permesso di dimora o di domicilio e la tolleranza». Quanto al merito, l'articolo 16 LDDS prescrive, alle autorità cui spetta decidere circa l'ammissione, di tener conto « degli interessi morali ed economici del Paese, nonché dell'eccesso della popolazione straniera», cui l'articolo 8 ODDS aggiunge anche la considerazione « della situazione sul mercato del lavoro ». Con ciò la massima fondamentale della dipen¬ denza dell'ammissione! degli stranieri dalla potenzialità di ricezione del Paese, già accennata nell'ordinanza del
29 novembre 1921, riceve una piena conferma ed una completa strutturazione.

Questa impostazione della politica d'immigrazione, ma più ancora il largo esodo degli stranieri dopo la guerra e il pesante marasma economico della grande crisi, hanno avuto come conseguenza, nel periodo fra le due ' guerre mondiali, un forte decremento dell'aliquota di stranieri, scesa, nel 1941, sino al 5,2% della popolazione residente, punto mai raggiunto dal 1 1870: 1910 1914 1920 1930 1941.

14,7

15,4 10,4

8,7 ,

5,2

70 3. Dall'ultima guerra sino al 1960 Il periodo postbellico è caratterizzato da una vivace ripresa di tutta l'economia. Come gli altri Stati, anche la Svizzera, finita la guerra, fu presa .

nel fervido moto di ricostruzione e ricupero; per di più, siccome disponeva di un apparato produttivo intatto, si trovò ben presto sovraccarica di ordinativi esteri. A questo fattore di tensione s'appaio poi l'enfiarsi della domanda interna di beni di consumo, d'abitazioni, di apparecchiature ed impianti industriali, cosicché, in breve lasso di tempo, si giunse a tanto accentuato bisogno di manodopera, da escludere che il mercato indigeno del lavoro potesse soddisfarlo. Le rilevazioni dell'Ufficio federale del lavoro (dal 1949 annuali - febbraio - e biannuali - febbraio e agosto - a contare dal 1955) veni¬ vano mostrando lo spiccato incremento dell'effettivo di manodopera estera controllata, triplicatosi addirittura dal febbraio 1950 al febbraio 1960, col passare, in cifre assolute, da 90 112 unità a 275 291. Dal 1950, l'andamento dell'effettivo di stranieri è stato dunque il seguente: Lavoratori stranieri soggetti a controllo, 1950-1960 (non stagionali, stagionali e frontalieri) 'Anno Effettivo Anno Effettivo a febbraio a febbraio 1950 ...... 90 112 1956 ......

194532 1951 95 393 1957 236 984 1952 . . ... . 132282 1958 ......

261 527 1953 ...... 139379 1959 .......

250794 1954 ...... 149987 1960 275291 1955 166 210 Dei 275 291 lavoratori stranieri controllati, a metà febbraio 1960, ben 214 282, cioè il 78%, erano annuali, mentre solo 27 428, coè il 10%, erano stagionali; i frontalieri risultavano essere 33 578, vale a dire il 12%. , Quest'intensa immigrazione si riflettè ovviamente nell'aumento della po¬ polazione straniera residente, la quale fece registrare il seguente andamento Aliquota degli stranieri sulla popolazione residente, 1941-1960 Anno / Popolazione residente totale di cui stranieri, in cifre assolute e percentuali 1941 · 4 266 000 224 000 5,2 1950 4 715 000 285 000 6,1 1955 (stimato) 5 004 000 340 000 6,8 1960 5 429000 585 000 , 10,8 All'inizio si credette, da tutti, che la congiuntura non avrebbe tardato a normalizzarsi, cosicché il forte contingente di manodopera immigrata si sa-

71 rebbe da solo parallelamente ridotto. Di conseguenza, le autorità si stu¬ diarono di conservare quanto possibile carattere transitorio al soggiorno dei lavoratori stranieri soggetti a controllo e, in quest'ordine d'idee, provvidero innanzitutto a portare da 5 a 10 anni il periodo di presenza condizionante il domicilio, previsto nei testi completivi dei pertinenti accordi del 1948 è 1953 con l'Italia e la Germania, ch'erano appunto i due Stati donde prove¬ niva la quasi totalità dei lavoratori stranieri. Un accordo con l'Au¬ stria, del 1950, portò pure a 10 anni il termine richiesto per l'ammissione de¬ finitiva.

Inoltre furono impartite ai Cantoni, cui spetta ordinariamente di deci¬ dere circa le singole ammissioni di lavoratori, le direttive di approfittare di ogni recessione dell'impiego in un'azienda o in un ramo professionale per adeguarvi l'effettivo degli stranieri alle necessità minime, di frenare il più possibile i cambiamenti di professione o di posto e di allontanare per tempo gli stranieri rivelatisi inadattati alla professione o all'ambiente. Queste mi¬ sure prudenziali furono approvate sia dalla conferenza dei capi dei dicasteri cantonali della polizia e del lavoro, convocata dal Dipartimento federale di giustizia e polizia nella primavera del 1953, sia dalla commissione fede¬ rale del mercato del lavoro, incaricata appunto d'esaminare le questioni fondamentali ed importanti del settore.

Per poter valutare anche a lungo periodo gli effetti del forte afflusso di lavoratori stranieri, furono condotte nel 1952 e 1955 (ottobre) e nel 1959 (febbraio) delle rilevazioni statistiche sulla durata della loro presenza con¬ tinuativa. I. dati raccolti confermarono l'impressione, già tratta da vari ac¬ certamenti, che gran parte degli immigrati lasciassero il nostro Paese dopo pochi anni. Così, nel febbraio del 1959, sull'effettivo totale di 199 000 non stagionali controllati, solo 49 000, vale a dire il 25%, risultavano in Svizzera da più di tre anni e soltanto 22 000 (11%) da più di 5. Da un esame com¬ parato delle tre rilevazioni, si potè inferire (come appare in tabella) che la percentuale degli immigrati attivi, soggiornanti da diversi anni, non era più aumentata a contare dal 1955.

Durata di soggiorno continuo dei lavoratori stranieri controllati (rilevazioni del 1.X.1952,1.X.1955 e 28.11.1959) Rilevazioni del l.X. 1952 l.X. 1955 28.11. 1959 * senza stagionali

Cifre assolute Cifre percentuali Lavoratori Durata del soggiorno Lavoratori Durata del soggiorno contr. in contr. in tutto * oltre 3 anni oltre 5 anni tutto * oltre 3 anni oltre 5 anni 121 000 150 000 199 000

26 000 37 000 49 000

9 000 16 000 22 000

100 100 100

21 25 25

7 11 11

72 Questi risultati giustificano la conclusione, allora comunemente tratta, che il pericolo d'inforestierimento del Paese non fosse incombente; d'altro lato, quest'opinione era suffragata dalle cifre concernenti gli stranieri domi¬ ciliati, le quali si presentavano come segue (i numeri sono in parte stimati) , Popolazione straniera residente, 1910-1960 Anno Tot. stranieri » 1910 552 000 356 000 1930 1941 224 000 1950 285 000 1955 340 000 1960 506 000

Domiciliati 552 000 262 000 180 000 159 000 137000 138 000

In % della popolazione globale Dimoranti* Tot.stranieri Domiciliati Dimoranti 14,7 14,7
--
:-- 6,4 2,3 8,7 94 000 4,2 .

5,2 1,0 44 000 3,4 2,7 6,1 126 000 2,8 6,8 4,0 203 000 2,6 9,5 6,9 368 000

* inclusi i funzionari internazionali ma esclusi gli stagionali.

Era chiaro dunque che, con andamento contrario a quello delle cifre assolute e percentuali concernenti la popolazione straniera residente, la quantità dei domiciliati era venuta, continuamente decrescendo, dal 1910, sino al livello minimo di 134 000 unità, nel 1957, attorno al quale, tranne un lieve successivo aumento (1960)^ appariva pressoché stabilizzata. Se la costante riduzione d'anteguerra poteva essere considerata un effetto diffe¬ rito della prima conflagrazione mondiale e, poscia, della sopravvenuta crisi degli anni trenta, la riduzione successiva dei domiciliati andava invece attri¬ buita ai rimpatri connessi con lo scoppio del secondo conflitto mondiale nonché, da un lato, alla relativa scarsità di stranieri giunti a soddisfare le premesse del domicilio e, dall'altro, alla diminuzione naturale per mortalità del gruppo dei vecchi immigrati. Uno scatto nella diminuzione s'ebbe poi allorché, in virtù della legge federale 29 settembre 1952 sull'acquisto e la perdita della nazionalità, ben 17 000 svizzere di nascita uscirono dal gruppo degli stranieri domiciliati per riassumere la cittadinanza elvetica.

Con queste costatazioni, relativamente rassicuranti, contrastava tutta¬ via la circostanza che il numero degli stranieri con permesso di dimora tem¬ poraneo era venuto, nel dopoguerra, costantemente crescendo; ed ancorché, come già si è accennato, le rilevazioni sulla durata di soggiorno risultassero tali da sopire le inquietudini, pure tornava inevitabile ad ognuno di dover concludere che comunque la quantità dei domiciliati avrebbe pur ripreso a salire qualora l'ipercongiuntura si fosse mantenuta.

Di tale possibile evoluzione demografica, e dei suoi parafenomeni, s'erano del resto già occupati i Dipartimenti di giustizia e polizia e dell'eco-

73 nomia pubblica, nel loro rapporto del marzo 1958, nel quale però, in base ad un'esauriente analisi dell'inforestierimento allora in atto, ad un'attenta pun¬ tualizzazione della politica anticongiunturale e ad un'oculata estrapolazione dello sviluppo futuro, giungevano alla conclusione che la prassi d'ammis¬ sione, precipuamente concresciuta sulle necessità economiche, dovesse an¬ cora essere proseguita tal quale. Il rapporto fu successivamente approvato dal Consiglio federale.

4. Evoluzione a contare dal 1960 La congiuntura, divenuta particolarmente favorevole dopo il 1960, fomentò in tutti i settori un concitato aumento della richiesta di forze lavo¬ rative, poiché, stante l'enfiarsi della domanda di beni e servizi, molti datori di lavoro, trovandosi nell'alternativa di allargare la produzione oppure di abbandonare ai concorrenti vasti mercati conquistati talora con sacrificio, naturalmente tendevano ad uscire da tale stretta col rifornirsi di forza-lavoro all'estero, onde sfruttare al massimo il loro apparato produttivo e, poscia, ampliare le aziende, così da conservare le possibilità di smercio sul piano internazionale.

La situazione era resa ancora più stringente dal persistere di notevoli carenze d'infrastruttura (abitazioni, vie, acquedotti, scuole, ospedali, istituti, ecc.) ereditate dall'anteguerra, la cui correzione, nel fervore produttivi¬ stico, era stata d'anno in anno rinviata sino ad apparire ormai assoluta¬ mente indifferibile. Orbene anche tale completamento infrastrutturale ri¬ chiedeva l'assunzione di operai, ovviamente stranieri, com'è ben ribadito dal fatto che le oltre 710 000 abitazioni, che poi s'ebbero ad approntare dal 1946 al 1966, non sarebbero mai potute essere costruite senza di loro.

L'esercito di lavoratori stranieri ha contribuito ad un rapido aumento del reddito nazionale nel dopoguerra e, conseguentemente, all'elevarsi gene¬ rale del tenore di vita. Parallelamente a tale moto di sviluppo, si realizzava, per molti Svizzeri, la promozione professionale, mentre si trasformava la struttura dei mestieri: i nostri connazionali passavano cioè via via a posti superiori ed alle funzioni di quadri nel settore dei servizi, lasciando i lavori pesanti, sgradevoli, sporchi e meno pagati agli immigrati.

Sotto la spinta di tutti questi vari fattori, s'ebbe, all'inizio degli anni sessanta un vero salto nella tendenza all'aumento dell'immigrazione.

74

Anno 1955 1956 1957 1958 1959 1960

.

.

.

.

.

.'

.

.

.

.

.

.

Lavoratori stranieri soggetti a controllo, 1955-1966 (non stagionali, stagionali e frontalieri) Effettivo Anno in agosto . .

1961 . . .

271 149 . ...

1962 . . . ...

326 065 . ...

.1963 . . . . . .

377 097 . . . .

1964 . . . ., . .

363 391 . . . .

1965 . . . ...

364 778 . ...

1966 . . . ...

435 476 . ...

Effettivo in agosto 548 312 644 706 690 013 720 901 676 328 648 548

Dei 648 548 lavoratori controllati nell'agosto del 1966, 435 979 erano per¬ manenti (il 67,2%), 164 569 erano stagionali (25,4%) e 48 000 (7,4%) fron¬ talieri.

In virtù dello sviluppo descritto, anche la popolazione straniera resi¬ dente riprese a salire, com'è indicato dalla tavola seguente: * Popolazione straniera residente, 1960-1966 Anno 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966

Tot. stranieri * 506 000 610 000 700 000 770 000 808 000 825 000 860 000

Domiciliati 138 000 143 000 161 000 175 000 187 000 202 000 229 000

In % della popolazione globale Dimoranti * Tot. stranieri Domiciliati Dimoranti 6,9 2,6 368 000 . 9,5 8,5 2,6 467 000 11,1 9,6 539 000 12,5 2,9 10,4 13,4 3,0 595 000 10,7 3,2 621 000 13,9 10,6 3,4 623 000 14,0 10,6 3,8 631 000 14,4

* Inclusi i funzionari internazionali ma esclusi gli stagionali.

Da fine 1960 a fine 1966, l'effettivo degli stranieri è dunque cresciuto di 354 000 unità, vale a dire del 70%. In qual grado si sia poi aggravato, nel passato sessennio, il pericolo d'inforestierimento, è rivelato dalla circostanza che il numero dei domiciliati, continuamente decrescente dal 1920 al 1957 indi, in lievissima ripresa sino al 1960, imprende a salire in modo spiccato (cfr. tavole 3 e 4 in allegato).

Con questo gonfiarsi della popolazione straniera, incominciarono a di¬ venire avvertibili anche i concomitanti svantaggi politici ed economici.

Va aggiunto che il moto di rotazione degli stranieri con residenza plurien¬ nale si era, negli ultimi anni, rallentato assai, allungando dunque di tanto la durata media del soggiorno; ne veniva, tenendo conto dell'accentuato aumento d'immigrazione, registrato nel periodo 1950-1962, nonché della forte natalità degli stranieri, che l'aliquota di domiciliati doveva senz'altro, nei prossimi anni, aumentare ulteriormente.

75 Inoltre finì per divenire chiaro che la possibilità d'assumere lavoratori stranieri in numero sempre maggiore non sarebbe rimasta priva di ripercus¬ sioni sulla produttività, del nostro apparato economico. Accadeva infatti che non pochi imprenditori preferissero fomentare la produzione unicamente ampliando 1 azienda ed aumentandone il personale, invece di battere la strada ben più promettente, ed unica percorribile ove si fosse avuta scarsità di manodopera, della progressiva reimpostazione dell'azienda sulla base della preponderanza del capitale, della meccanizzazione e della razionaliz¬ zazione. Ne scendeva che l'impianto e il programma produttivo, in certi set¬ tori, vieppiù soffrivano d'una lentezza di ammodernamento che non si sa¬ rebbe avverata qualora non ci fosse stato un tanto facile ed abbondante af¬ flusso di manodopera straniera.

Il ricorso illimitato agli stranieri si rifletteva-dannosamente anche sulla struttura stéssa del nostro apparato economico, coll'impedire ch'esso si depurasse dei componenti produttivi impostati sulla preponderanza del la¬ voro o caratterizzati da scarsa produttività e mantenentesi in vita, nonostante la loro progressiva obsolescenza, proprio solo grazie al massiccio ricorso alla manodopera immigrata.

Questi parafenomeni negativi, infine, si accentuavano col progressivo scadere del grado di qualificazione dei lavoratori stranieri, giungenti da zone sempre più lontane e risultanti spesso tanto meno preparati quanto più costosi, a cagione delle crescenti spese di reclutamento, formazione e direzione. E se anche, col rimanere in Svizzera più a lungo, essi finivano per adattarsi ai nostri modi di vita, questo vantaggio veniva annullato dal fatto che erano tratti a maggiormente spendere i loro guadagni nel nostro Paese, aumentandone di conseguenza il surriscaldamento economico.

L'evoluzione degli anni sessanta indusse sia le autorità sia ampie cer¬ chie economiche e politiche ad un ripensamento del problema. Fin verso il 1959 prevaleva l'opinione, confortata dalle rilevazioni statistiche di quegli anni, che la prassi d'ammissione potesse essere, nonostante l'intensificarsi del¬ la corrente immigratoria, sopportata ancora a lungo, non disegnandosi alcun eccessivo aùmento dei domiciliati nè dei dimoranti pluriennali. Il salto quantitativo segnato dall'immigrazione
negli anni sessanta ed il notevole accrescersi delle istanze di domicilio vennero però di colpo a mostrare che il processo d inforestierimento s'era invece messo in moto e stava ormai avvicinandosi alle soglie dell'insopportabile.

Conseguentemente prese forza l'opinione della necessità di prevenire quel pericolo, orientando l'azione primamente ad ostacolare ogni ulteriore incremento dell effettivo di stranieri e, secondariamente, ad agevolare 1 as¬ similazione degli immigrati di vecchia data inseriti stabilmente nella nostra economia. Tale mutata opinione fu poi suffragata dai lavori della commis¬ sione di studio, istituita nel 1961 dei Dipartimenti dell'economia pubblica e di giustizia e polizia, la quale trattò esaurientemente il problema dei lavo-

76 ratori stranieri, analizzandolo nei suoi aspetti economici, demografici, socio¬ logici e statuali, ed espose poi le proprie conclusioni in un ampio rapporto.

Le organizzazioni mantello dell'economia, mosse ad inquietudine dai vieppiù evidenti svantaggi dell'ipercongiuntura, rivolsero nel gennaio del 1962, d'accordo con il Consiglio federale, un appello agli imprenditori sviz¬ zeri esortandoli a contenere l'effettivo globale della manodopera, a differire i progetti d'ampliamento aziendale ed a promuovere gli investimenti atti a ridurre tanto il fattore forza-lavoro quanto ogni altro fattore di costo del¬ l'incremento della produttività.

L'appello essendo rimasto privo dell'effetto desiderato, il Consiglio fe¬ derale si trovò costretto a prendere direttamente adeguate misure e pertanto emanò, il 1° marzo 1963, un decreto «limitante l'ammissione di lavoratori stranieri (RU 1963, 194) », il quale congelava gli effetti globali (svizzeri e stranieri) delle singole aziende sugli indici massimi da essi toccati nel mese di dicembre dell'anno innanzi. Questo provvedimento, la cui validità era stata limitata ad un solo anno, riuscì ad inflettere alcun poco il moto di cre¬ scita della popolazione allogena ma non già a fermarlo, onde risultò neces¬ sario riprenderne i disposti in più drastica formulazione. Vi si provvide il 21 febbraio del 1964, mediante un nuòvo decreto (RU 1964, 128) il quale ordinava la contrazione degli effettivi aziendali globali al 97% degli indici toccati il 1° marzo 1964. S'ebbe poi, il 9 ottobre 1964, una nuova diminu¬ zione al 95% (RU 1964, 939). Nondimeno lo scopo della stabilizzazione, per tacer di quello della riduzione, apparve subito, per questa via, irraggiun¬ gibile; la ragione di tale carenza risiedeva precipuamente nel fatto che il sistema normativo, così impostato, veniva a colpire gli effettivi aziendali globali e non già gli effettivi stranieri, il che permetteva alle aziende occu¬ panti solo Svizzeri di attirare altri compatrioti ed a quelle donde partivano, di sostituirli, sino al limite concesso, con lavoratori neoimmigrati. V'era in¬ vero anche un'altra cagione, seppure secondaria, ed era il relativamente largo regime d'eccezione, il quale, ancorché avesse acquistato rigore rispetto alla formulazione originaria del 1° marzo 1963, restava tuttavia tale da pre¬
giudicare l'efficacia stessa delle misure adottate. Per di più l'attuazione delle medesime, precipuamente affidata ai Cantoni, risultava difettosa assai, e non solo nei suoi aspetti secondari, bensì proprio in quello fondamentale, e cioè il controllo degli effettivi aziendali globali, rivelatosi pressoché inat¬ tuabile.

Considerato questo stato di cose, il Consiglio federale provvide ad ordinare misure più energiche ed efficaci ed emanò il decreto del 26 feb¬ braio 1965 «che limita e riduce l'effettivo della manodopera straniera (RU 1965, 123) » mediante il quale, spingendosi oltre il disciplinamento dell'effettivo aziendale globale, giungeva a regolare direttamente anche l'effettivo straniero, imponendo alle aziende di ridurlo, entro il 30 giugno 1965, del 5% degli indici riscontrati il 1° marzo 1965. Per, l'edilizia, stante

77 le specialissime condizioni settoriali, era fissato un contingente globale nazionale di 145 000 stagionali. Il nuovo testo definiva poi restritti¬ vamente il regime d'eccezione, consentendolo solo « in casi di emer- · genza manifesta o a salvaguardia degli interessi della ricerca scienti¬ fica», e vegliava a che non ricevesse un'applicazione estensiva, coll'avocare alle autorità dello stato centrale la facoltà di decidere le domande su di esso fondate. L'anno seguente s'ebbe il decreto del 1° marzo 1966 (RU 1966, 496) mediante il quale si ridusse l'effettivo aziendale di stranieri, sino al 31 luglio 1966, d'un ulteriore 3% e poi, al 31 gennaio 1967, del 2%, con un decremento, ! cioè, del 10% rispetto al 1° marzo 1965. Il numero massimo degli stagionali nell'edilizia, scemato di 5000 unità, fu portato a 140 000, mentre venivano liberati dal contingentamento i frontalieri.

Siccome, a contare dal 1960 all'incirca, l'immigrazione incontrollata s'era venuta dimostrando vieppiù svantaggiosa, il Consiglio federale, già il 19 gennaio 1965, aveva provveduto a correggere la situazione promulgando un decreto su «l'assicuratone d'un permesso di dimora per assunzione d'im¬ piego (RU 1965, 62)». Il nuovo provvedimento era inteso ad ottenere che gli stranieri, esenti dall'obbligo del visto, potessero immigrare per lavoro, e ricevere il relativo permesso di dimora, solo qualora fossero in possesso della corrispondente assicurazione; a coloro che ne erano sprovvisti si ne- ^ gava l'ingresso, o, entrati che fossero, il permesso di dimora. In tal modo la corrente immigratoria poteva essere tenuta sotto controllo, segnatamente onde evitare l'entrata di persone prive di mezzi, destinate, in mancanza di un'immediata assunzione d'impiego, a cadere a carico dell'assistenza e ad essere rimpatriate a spese pubbliche. Per di più la disposizione aveva l'effetto di diminuire l'afflusso stesso, in quanto postulava che i datori di lavoro conducessero una certa attività di reclutamento all'estero, il che era a molti di essi precluso.

Grazie alle descritte limitazioni, come anche invero ad una lieve reces¬ sione nell'edilizia, l'indice d'incremento (a contare dal 1963) indi (dal 1965) la quantità assoluta dei lavoratori stranieri ebbero a segnare una notevole flessione. Quest'andamento è chiaramente mostrato dalla tavola 1,
in alle¬ gato, come pure dalla tabella seguente: Lavoratori stranieri soggetti a controllo, 1961-1966 (agosto) Mutamenti rispetto all'anno innanzi non stagionali totale in tutto ' frontalieri stagionali anno , * 75 845 + + 109 766 + 3 070 + 112836 + 33 921 1961 + 73 349 + 94 000 + 2 394 + 96 394 + 20 651 1962 + 36 052 + 43 290 + 2017 + 45 307 + ' 7 238 1963 + 2 330 + 30 888 + 4 957 + 23 601 .+ 28 558 1964 18 873 -- -- -- 40 943 44 573 -- 3 630 -- 22 070 1965 -- 19 666 -- 10 514 -- 30180 + 2 400. -- 27 780 1966

78 La contrazione numerica dei lavoratori stranieri controllati raggiunse pertanto, nell'ultimo biennio, le 72 000 unità, in massima parte però (43 000) stagionali e frontalieri, certo, dal profilo dell'inforestierimento, ben meno importanti dei dimoranti.

Comunque, detta contrazione non risultò sufficiente ad assicurare an¬ che soltanto la stabilizzazione della popolazione straniera residente (domici¬ liati e dimoranti attivi e non attivi), la quale, come si desume dalle statistiche della polizia federale degli stranieri, continuò a crescere: i domiciliati pas¬ sando da 187 000 nel 1964 a 229 000 nel 1966 e i dimoranti, nello stesso periodo, da 621 000 a 631 000. L'accrescimento era dovuto in parte alla mutazione dei permessi stagionali in annuali ed in parte, peraltro netta¬ mente maggiore, all'eccedenza delle nascite.

Siccome però gli svantaggi economici del contingentamento aziendale sinora praticato divenivano vieppiù gravi, l'Esecutivo non potè assumersi la responsabilità, nonostante l'evidente fondatezza politica d'un'ulteriore azio¬ ne, di continuare con lo stesso ritmo, o addirittura con ritmo più intenso, la riduzione degli effettivi controllati. Le necessità generali dell'economia, pur degne di massima considerazione, imponevano piuttosto d'inserire nel proce¬ dimento una specie di pausa per tutta l'annata 1967 e di sostare transitoriamente sulla raggiunta stabilizzazione dell'effettivo totale della popolazione straniera attiva (domiciliati e dimoranti con attività lucrativa).

In quest'intento, dunque, il Consiglio federale si limitò a disporre, mediante decreto del 10 febbraio 1967 (RU 1967, 241), una riduzione aziendale dei non stagionali soggetti a controllo unicamente del 2 per cento, sino a tutto luglio 1967, pur riservandosi, per il periodo 15 ottobre 1967 - 31 gennaio 1968, la possibilità di procedere a una successiva diminu¬ zione qualora la rilevazione statistica, da condurre nell'agosto del 1967, avesse accertato un'evoluzione insoddisfacente. La riduzione degli effettivi aziendali di stagionali, che già l'anno innanzi era stata lasciata cadere per il settore alberghiero-turistico, fu lasciata cadere ovunque. Il contingenta¬ mento generale degli stagionali dell'edilizia fu ancorato alla cifra di 125 000, riscontrata nell'agosto del 1966. Tutte queste agevolazioni avevano
radice nell'ormai raggiunta certezza che gli stagionali, molto meno dei dimoranti influiscono sullo stato d'inforestierimento e sollecitano l'infrastruttura. In¬ fine, per il 1967, il regime d'eccezione fu alcun poco ampliato, pur badan¬ dosi di non allentare troppo la sino allora rigorosissima prassi in materia.

Il sistema del doppio contingentamento si è rivelato assai rigido, tanto che, se si dovesse persistere nel ridurre l'effettivo di stranieri soggetti al con¬ trollo, converrebbe sostituirgli un altro sistema, congegnato in modo da lasciar gradualmente agire sempre meglio le leggi del mercato sulla distribu¬ zione settoriale ed aziendale della forza-lavoro disponibile. Il Consiglio federale ha curato di ben sottolineare, sin dall'inizio, la necessità di questo progressivo ritorno alle forze del mercato. Giusta questa linea, l'effettivo

79 globale delle aziende (manodopera indigena e straniera) che già nel 1966 era stato aumentato del 4%, potè, per il 1967, essere accresciuto d'un ulte¬ riore 6% e potrà, per fine d'anno, essere liberato del tutto.

II. Grado attuale dell'inforestierimento 1. Statistica delia popolazione straniera residente Il censimento è l'unica rilevazione statistica abbracciante la popola¬ zione straniera sia nel suo complesso sia nella sua articolazione. Siccome però il censimento ha luogo solo ogni decennio, la Polizia federale degli stranieri effettua già dal 1964 una rilevazione statistica di fine d'anno, la quale concerne gli stranieri attivi e non attivi, residenti il 31 dicembre in Svizzera, in virtù di un permesso di dimora, di tolleranza ó di domicilio.

Cadono così fuori dall'ambito della rilevazione unicamente gli stagio¬ nali e i frontalieri. L'UFIAML conduce invero anch'esso una sua statistica in febbraio e in agosto, ma rivolgendola unicamente all'accertamento della situazione sul mercato del lavoro. Queste due rilevazioni annuali consen¬ tono solo il riscontro dell'effettivo della mano d'opera straniera soggetta a controllo (e cioè permanenti, stagionali e frontalieri), ma non quello della entità dei domiciliati attivi, liberi ormai dal medesimo. E nemmeno sono ri¬ levati dalla statistica del suddetto Ufficio gli stranieri non attivi (familiari di lavoratori stranieri, redditieri, scolari, ecc.). A cagione della diversità di orientamento delle statistiche della Polizia e dell'UFIAML non si ha dun¬ que un quadro concernente le stesse categorie e non si può, cosi senz'altro, trarre delle conclusioni comparando i risultati. ' Per avere una statistica uniforme degli stranieri, i Dipartimenti federali dell economia e di giustizia e polizia hanno incaricato una commissione peritale d'elaborare un adeguato progetto rispondente sia ai bisogni della polizia degli stranieri sia a quelli della vigilanza sul mercato del lavoro.

Tale progetto è stato allestito, occorrono però ancora vari accertamenti in merito alla sua funzionale attuabilità.

2. Effettivo, a fine 1966, degli stranieri residenti Alla fine del 1966, risiedevano nel nostro Paese circa 860 000 stranieri, di cui 616 000 con permesso di dimora e 229 000 con permesso di domicilio; la presenza di circa 15 000 funzionari internazionali con l°ro
famiglie sfuggendo per contro alla competenza della Polizia degli stranieri. - Dei 616 000 dimoranti, di cui sopra, 432 000 (70 per cento) risultavano profes¬ sionalmente attivi, mentre per i domiciliati risultava impossibile stabilire tale proporzione, esulando essi dal controllo coll'essere equiparati, quanto ad attività professionale, in tutto e per tutto agli Svizzeri. Tuttavia, richia-

80 mandoci al censimento degli abitanti, possiamo dire che dei 229 000 domici¬ liati, circa 117 000, vale a dire il 51 per cento erano professionalmente at¬ tivi. Sull'effettivo totale predetto di 860 000 stranieri residenti, si può dun¬ que stimare che gli attivi fossero 559 000 (65 per cento) e solo 301 000 (35 per cento) professionalmente non attivi.

Nel 1966 l'effettivo globale di stranieri (senza le famiglie dei funzionari internazionali) si distribuiva regionalmente come segue: Zurigo 20%; Vaud 10,8%; Ginevra 9,9%; Berna 9,5%; Argovia 7,7%; Ticino 5,8% e San Gallo 5,6%. In questi sette Cantoni si concentravano ben 587 000 stranieri e cioè, arrotondando, i 7/10 del totale: Rispetto all'entità della popolazione cantonale residente, la sequenza dei Cantoni si ordinava come segue: Gi¬ nevra 31%; Ticino 23%; Vaud 19%; Neuchâtel 17%; Argovia, Sciaffusa e Zurigo 16%; Basilea Campagna, Glarona e Turgovia 15%; Basilea Città e Zugo 14%; Soletta e San Gallo 13%; Appenzello Esterno e Grigioni 12%; i nove rimanenti, ciascuno, il 10%. Si vede che mentre 10 Cantoni restavano sotto la media nazionale del 14,4%, 15 Cantoni la superavano d'assai (cfr.

tavola 2, in appendice).

La composizione dell'effettivo di stranieri secondo le nazionalità dà, per il periodo 1964/1966, il seguente quadro:

Stato d'origine

Effettivi a fine dicembre 1964 1965 assol. in % assol. in%

1966 assol. in %

437 212 113 776 74 311 39417 40 865 87 770

55 14 10 5 5 li

454 657 109 529 77 343 40 754 39 824 88 136

Assieme . . .

Funz. int. . .

793 351 15 000

100

810 243 100 15 000

844 987 100 15 000

Totale

808 351

825 243

859 987

. . .

56 13 10 5 5 11

483 653 107734 78 442 42 312 39 459 93 387

57 13 9 5 5 11

Italia ....

Germania . .

Spagna . . .

Francia .

Austria . . .

Altri . .

Una ripartizione secondo lo stato civile mostra che degli 845 000 titolari d'un permesso rilasciato dalla Polizia degli stranieri, 405 000 (48%) sono coniugati e 440 000 (52%) celibi; fra quest'ultimi 188 000 fanciulli minori di 16 anni.

L'effettivo degli stranieri domiciliati sale, nel 1966, da 202 000 a 229 000, cioè in cifre assolute di 27 000 unità e, in percentuale, del 13,6. Tale nuovo aumento, assai marcato, deriva dal fatto che l'immigrazione degli stranieri

81 attivi aveva registrato un forte incremento nel lasso di tempo 1955-1962, come anche, anzi principalmente, dal fatto che la rotazione degli stranieri è venuta progressivamente rallentandosi. In queste circostanze, l'effettivo dei domiciliati forzatamente si dilata, in quanto, per la Svizzera come per i numerosi altri Stati legati da trattati di domicilio, i cittadini di una Parte contraente, dopo un determinato periodo di presenza, acquistano il diritto all'ammissione definitiva nel Paese, nonché quello di chiamare presso di sé sia la moglie sia i figli minorenni.

Per contro, l'effettivo degli stranieri soggetti a controllo è venuto au¬ mentando solo insensibilmente, il che si rileva dalle cifre assolute, passate da 608 000 unità a 616 000 con un aumento dunque di sole 8000 unità. Sui dimoranti attivi si potè effettuare, rispetto all'anno precedente, una contra¬ zione di circa 5000 unità, la quale è stata però ipercompensata dall'incre¬ mento dei dimoranti non attivi, tradottosi in ben 13 000 unità.

3. Fattori determinanti per l'entità dell'effettivo di stranieri L'entità dell'effettivo di stranieri è determinata dall'immigrazione, dal¬ l'emigrazione, dalla natalità e dalla mortalità, come anche dal mutamentodi nazionalità per matrimonio o naturalizzazione. Per valutare esattamente l'attuale grado d'inforestierimento del Paese, e per poter condurre su di esso un'estrapolazione attendibile, è quindi necessario esaminare più da vicino tutti questi fattori con le loro complesse interazioni.

a. Immigrazione Nel 1966 sono stati ammessi per periodo limitato circa 322 000 stranieri, di cui 132 000 (41%) dimoranti annuali, attivi o non attivi, e 190 000 (59%) stagionali. Rispetto al 1965, l'afflusso dei neoimmigranti, attivi o no, è dun¬ que receduto di circa un 9% (cioè -- 32000 in cifre assolute), più esattamente di circa un 6% (-- 6 300), quanto agli annuali, e d'un buon 12% (-- 25 000) quanto agli stagionali; per i non attivi, considerati a parte, la contrazione risulta di 700 unità, questa categoria avendo registrato circa solo 32 000 neoimmigrati (15 000 familiari di lavoratori, 10 000 studenti e 7 000 persone entrate per cura, per riposo di quiescenza o per altre ragioni).

L'inflettersi dell'immigrazione non ha però affatto condotto, sino alla I fine del 1966, ad una diminuzione dell'effettivo
degli stranieri sottoposti al controllo, in quanto è stato travolto dall'accentuata tendenza alla stabilità dei residenti pluriennali, dalla costante eccedenza di nascite e dalla muta¬ zione dei permessi stagionali in duraturi.

Foglio Federale, 1967, Voi. Il

82 b. Rotazione e distribuzione L'accresciuta sedentarietà degli stranieri e mostrata dalle rilevazioni condotte sui residenti almeno quadriennali. S è visto che se nel 1965, sui 103 922 neoimmigrati maschi non stagionali del 1961, risultavano presenti .

solo 26 416 lavoratori (cioè il 25%), nel 1966, sui 104 327 neoimmigrati del 1962, detta aliquota di presenza era salita ài 28% (cioè a 29 206 unità), se¬ gnando quindi, specie relativamente all'inchiesta speciale sulla durata di soggiorno, condotta nel febbraio del 1959, un notevole incremento, partico¬ larmente intenso nei due ultimi anni.

Prescindendo da questo moto di rotazione per migrazione, si può poi porre in evidenza il continuo moto interno di trasferimento dei lavoratori da categoria a categoria, principalmente da quella degli stagionali a quella degli annuali o addirittura da quella dei dimoranti a quella dei domiciliati.

Occorre nondimeno badare alla ben diversa incidenza di questi due modi di trasferimento sull'effettivo della popolazione straniera residente, il passaggio da stagionale ad annuale lo fà aumentare, poiché gli stagionali non rien¬ trano negli stranieri residenti, mentre il trasferimento da dimorante a domi¬ ciliato lo lascia immutato, ambedue le categorie rientrando già nella popo¬ lazione straniera residente.

Peraltro quest'ultimo moto di trasferimento è di grande implicanza, già dal profilo quantitativo: il numero dei permessi di domicilio rilasciati dai Cantoni è infatti aumentato, dal 1965 al 1966, di 9 881 (43%), essendo passato da 22 829 a 32 710; 17 836 (55%) dei neodomiciliati sono professio¬ nalmente attivi e 14 874 (45%) senza attività lucrativa. Questo moto di tra- sferimento è destinato ad accentuarsi ancora nei prossimi anni, come effetto differito della forte immigrazione successiva al 1955, ed è atto a cagionare, in unione col fattore della natalità, un ulteriore aumento netto dei domici¬ liati.

c. Natalità e mortalità Comparativamente alla popolazione allogena, nella popolazione autoc¬ tona. l'indice di natalità appare notevolmente basso, mentre spiccatamente alto appare quello di mortalità." La differenza deriva essenzialmente dalla diversa struttura, nei due gruppi, della piramide d'età. S'aveva così, nel I960 (mancano dati più recenti), il doppio di bambini ed ultrasessantacinquenni svizzeri
rispetto agli stranieri; questi ultimi risultavano concentrati invece, per i tre quarti almeno, nelle classi attive dai 20 ai 64 anni, mentre gli Svizzeri di quelle classi erano solo il 57%; le classi dai 20 ai 39 anni rag¬ gruppavano infine oltre la metà dell'intero effettivo straniero.

Una tale conformazione della piramide d'età nella popolazione stra¬ niera è palese effetto della massiccia immigrazione giovanile, la quale, nel periodo 1950/60 ha fatto sì che la percentuale dei quarantenni e più sce¬ masse dal 40% 'al 22% mentre quella dei ventenni sino ai trentanovenni

83 salisse dal 40% al 56%. A sua volta questa distribuzione delle classi d'art non poteva restare senza ripercussioni sugli indici di natalità » . , ?

degli stranieri residenti Mentre infatti fino agli anni cinquanta leZrt di stran,en multavano pm numerose delle nascite, a contare da? 1952 H ran P porto si inverte e le nascite prendono a superare le morti t i 1950 le nascite di stranieri toccavano le 2 789 unità, cinque anni doppiano già 4 532, per salire, sino al I960, ad 11 367 indi,.nel 1965 a 29 nn poi scendere, nel 1966, a 28 836 (cfr. tav. 5, in appendice)'. Occorre eTMTM que prevedere, vista la piramide d'età degli stranieri e considerato il Zm che le immigrate madri hanno oggi in media, giusta le rilevazioni statistkhe rimarrà Ä " "" annÌ ^ <*' «U Ä In spiccato contrasto con l'incremento della natalità sta l'anrt * della mortalità degli stranieri, pressoché stabile a contare dal 1950 da. allora le nascite si sono all'incirca decuplicate le morti h I Mentre solo l'irrilevante aumento da 3 014 a 3 963. Ne è'ovviamente venma'un?

netta eccedenza delle nascite, di anno in anno crescente Benché siano nati 80 902 Svizzeri, cioè i, triplo dei nati stranieri tuZvfa Su W denza globale d, nascite, di 53 934 unità, gli stranieri incidono col (24946), , che va imputato alla differente struttura delia piramide d'efà nella popolazione indigena e m quella allogena.

Col tempo, le misure di contenimento e riduzione dell'effettivo «tra niero finiranno anche per normalizzarne la piramidi d'età; La dras ta in,?'

lazione dell immigrazione provocherà infatti l'aumento dell'aliano., a ziani e, qualora sia mantenuta a sufficienza, dovrebbe condurrà !

,,dazione delle due strutture d'età, con parallela nascite fra gli stranieri. Del resto una tale evoluzione già sembrerei! hgnarsi nella contrazione di tale eccedenza da 25 157 unità ncM9« u" 24 946 del 1966, come abbiamo poc'anzi rilevato. ' '

,d. Acquisto della nazionalità per naturalizzazione o matrimonio Tra i fattori che andiamo elencando questo tiene un nostn h* r momento. È bensì vero che nel biennio 1953-54 fu conferita te Z n al,t a elvetica a ben 17 000 stranieri stabiliti nel Paese, ma trattavasi . .

mente (in applicazione della nuova legge sull'acquisto della nazL/r?^ trata in vigore il 29 settembre 1952) di Svizzere di nascita che nri JT l'attuazione della predetta legge, avevano perso la nazionalità ner t monio con straniero e coglievano ora l'opportunità di farsi rKf.

' prescindendo però da questa circostanza, i casi d'acquisto delh ? mtegr,arfa contare da1 1950, sono sempre oscillati fra le modeste cifre diTson*' 4 500. Dal 1960 m poi la situazione è data nello specchietto segumt ®

84 Naturalizzazioni 1960-1966 Anni Nat. ordinaria Nat. in totale Reintegrazione Nat. agevolata 909 1 939 , 134 1960 2 982 898 137 1 937 1961 . 2 972 1 828 137 885 1962 2 850 152 957 2 063 1963 3 172 2 171 125 998 1964 3 294 102 955 2417 1965 3 474 3 187 126 1 145 -1966 * 4 458 * cifre provvisorie Siccome ordinariamente vengono naturalizzati solo gli stranieri da molti anni in Svizzera, questa procedura viene ad alleggerire quasi esclusi¬ vamente la categoria dei domiciliati, in modo peraltro pressoché irrilevante, come si vede dal fatto che, nel periodo contemplato in tabella, quella cate¬ goria è pur sempre passata da 143 000 a 229 000 unità, con un incremento del 60% (86 000 unità).

I casi di naturalizzazione, pur in sé non molto numerosi, sono comun¬ que venuti, dal 1960, notevolmente crescendo: costantemente sotto i 3 000 dal 1960 al 1962, sono passati, nel 1966, a 4 500, con un incremento di circa il 50% rispetto ài predetto triennio. Le cifre di. questi ultimi anni restano nondimeno (sia in assoluto sia in proporzione alla popolazione residente) inferiori a quelle registrate innanzi la prirna guerra mondiale allorché (19101913) la cittadinanza veniva annualmente conferita a ben 4 100-5 700 per¬ sone, ovvero, in percentuale, all'1,1%-1,5% della popolazione allora resi¬ dente (3 753 000 anime). Tenessimo oggigiorno quelle percentuali, dovremmo naturalizzare ogni anno da 6 500 a 9 000 persone!

Oltre alla naturalizzazione conta, qui, anche il matrimonio, di Svizzeri con straniere o di stranieri con Svizzere che non si prevalgono della facoltà concessa dall'articolo 9 della succitata legge. I passaggi di nazionalità, che ne risultano, sono numerosi e molteplici ma, da un lato, concèrnono quasi esclusivamente i rapporti Svizzero-stranieri, in quanto la donna svizzera che sposa lo straniero raramente abbandona la nazionalità, e, dall'altro, ancorché numericamente ingenti (dal 1960 al '65 circa 29 000 straniere han¬ no acquisito la nazionalità elvetica per matrimonio) incidono ben poco sul¬ l'effettivo degli stranieri in Svizzera, trattandosi quasi sempre di donne che prima del matrimonio non risiedevano nel nostro Paese.

4. Valutazione del grado d'inforcstierimento Abbiamo sin qui parlato più volte del pericolo d'«inforestierimento» e, d'ora innanzi, ne parleremo ancor più. Teniamo quindi, ora, a ben definire tale concetto, chiarendo (anche rispetto alla concezione la quale palese-

85 mente sottende l'iniziativa) che esso non è semplicemente una funzione di quantità o un modulo di statistica. D'inforestierimento in queste accezioni quantitative si può certo parlare non appena il numero degli stranieri viene a superare quello, o un'aliquota di quello dei cittadini. Sarebbe però incoe¬ rente, specie per uno Stato, come il nostro, legato da così complessi rapporti culturali ed economici con altre nazioni e tanto restio a valutare le persone secondo lingua razza od origine, mettersi ad additare un pericolo in una mera contingenza statistica: tale riduzione al quantitativo urterebbe la men¬ talità etica ed umanistica, cui gli svizzeri, come altri popoli, si sentono vincolati.

Ciascun popolo, nondimeno, è-tenuto, oltre all'indipendenza giuridica, a salvaguardare, con beneficio dell'intera comunità umana, anche quel re¬ taggio spirituale, culturale e politico che gli venga da una storia pluriseco¬ lare, da un'esperienza democratica, da una saggezza politica e via via sino alle tradizioni della lingua e del folclore. La Svizzera non può certo fare eccezione.

Orbene, l'inforestierimento demografico, statistico, può tradursi, sul piano dell'effettiva incidenza nel tessuto' nazionale, in due realtà: o in una massa inerte di stranieri, aliena dall'assimilarsi, estranea alle costanti sto¬ riche e politiche ed alle istituzioni del Paese,'anzi ad esse indifferente, oppure in un elemento dinamico, apportatore attivo di concezioni allotrie che viep¬ più s'impongono fino a minacciare di mutare gradualmente l'atteggiamento di una gran parte della popolazione verso lo Stato, la sua storia e i suoi orientamenti.

Ambedue queste possibilità comportano uno svantaggio: la prima, quello ' della secessione degli stranieri in un ambiente conchiuso, impartecipe, per¬ sino avverso ai nostri costumi ed ordinamenti, coi conseguenti pericoli che già ebbimo modo di chiaramente sperimentare durante la guerra del '14 e più ancora negli anni di tensione dell'anteguerra e dell'ultimo conflitto mondiale; la seconda, quello di un graduale ed insensibile instaurarsi di una situazione sovvertita che, in certe condizioni, può rivelarsi altrettanto gra¬ vida di pericoli.

Abbiamo qui descritto queste due possibilità senza volerne affatto trarre riscontri indebiti. Notiamo poi che, oltre all'inforestierimento demo¬
grafico, è pensabile un inforestierimento economico, specie laddove l'ele¬ mento straniero, cumulandosi in manodopera, personale di concetto, dire¬ zione, investimenti, ecc., raggiunge tale importanza da rendere un intero settore dipendente dall'estero, oppure da porre, di fatto o di diritto, in mano straniera la conduzione di numerose aziende o di singoli gruppi industriali.

Sviluppi come quelli qui innanzi accennati celano in sè una carica di¬ sgregatrice la quale, appena avvertibile in tempi politicamente ed economi¬ camente sereni, arrischia invece di tradursi pienamente in atto col passare

86 degli anni e, specialmente, coll'insorgere di condizioni politiche turbate. Ed è proprio per stornare o fronteggiare tale rischio che vengono prese delle misure contro l'inforestierimento. Ma giova qui rinviare all'esposto conte¬ nuto nel rapporto della Commissione di studi sul problema dei lavoratori stranieri, ove il tema è trattato, in generale e nei suoi singoli aspetti, con particolare completezza (parte III: aspetti demografici,, sociali e politici).

Nell'esaminare il problema nella sua interezza non dobbiamo comunque tralasciare la costatazione che un'ingiustificata jugulazione delle correnti immigratorie contrasterebbe con gli sforzi verso una maggiore unità in Europa, e segnatamente con le tendenze politico-economiche all'integra¬ zione, esplicantesi nel quadro della comunità economica europea.

Elaborandosi l'articolo 69 ter Cost, sulla dimora e il domicilio degli, stranieri, accettato in votazione popolare il 25 ottobre 1925, e poi la relativa legge del 26 marzo 1931, il concetto di inforestierimento non era stato trat¬ tato particolarmente. Tuttavia, dal pertinente messaggio del 2 giugno 1924, come anche dall'articolo 16 della legge citata, che impone alle autorità di polizia di commisurare le decisioni di accettazione all'« eccesso di popola¬ zione straniera », si può chiaramente trarre l'indicazione che le misure di difesa non devono essere rinviate al punto in cui l'influsso straniero si sia già fatto tale da pregiudicare la particolarità della vita svizzera, nella sua totalità o in suoi singoli aspetti, poiché allora quelle misure arrischierebbero di risultare tardive. Le autorità non devono dunque attendere, per interve¬ nire, che l'inforestierimento già sia concretato in una situazione caratte¬ rizzata, ma devono provvedere tempestivamente non appena esso si presenti come una minaccia, per tutto il paese o per talune regioni.

In tale contesto dobbiamo riconoscere che sussiste oggi, per la Svizzera, un pericolo d'inforestierimento. Come già abbiamo spiegato, tale pericolo non, consente però un giudizio puramente quantitativo, in quanto l'info¬ restierimento diviene un problema non per il numero degli stranieri immi¬ grati, bensì per il complesso gioco, positivo o negativo, di diversi fattori qualitativi, come la provenienza e, in connessione con essa, l'assimilabilità
(prescindendo qui dalla questione della ricettività degli autoctoni e della disponibilità degli stranieri). Ne viene che occorre distinguere tra straniero e straniero secondo l'incidenza sul processo d'inforestierimento.

E tale incidenza, com'è chiaro, risulterà più o meno notevole secondo la durata della dimora: minima per i frontalieri, che rimpatriano ogni sera, un po' .più forte sè pur sempre esigua per gli stagionali, che scarsi contatti hanno con la popolazione, essa sarà forte assai per quei dimoranti, i quali vivono nel nostro Paese, con i familiari, da un tempo assai lungo senz'essere ancora assimilati. Proprio quest'ultimo gruppo è l'agente preponderante dell'inforestierimento.

L'incidenza sul processo d'inforestierimento, oltre che dalla durata di presenza, dipende anche dalla posizione professionale e sociale degli stra-

87 nieri; quelli, per esempio, con professioni indipendenti, funzioni direttive o attività culturali conteranno ben più dei lavoratori manuali. Se ne trae che il pericolo d'inforestierimento non è così grande come innanzi la prima guerra mondiale, allorché gli stranieri occupavano precipuamente le posi¬ zioni di dirigenti e titolari d'aziende, mentre oggigiorno si concentrano nelle professioni subordinate nonché nei lavori sdegnati dagli Svizzeri.

Importa infine assai anche l'origine dello straniero, con la correlativa idoneità all'assimilazione: cittadini di Paesi remoti, dagli usi e costumi lon¬ tanissimi dai nostri e poco o nulla aperti ai nostri problemi, saranno difficili da -assimilare e conseguentemente peseranno nel processo d'inforestieri¬ mento.

D'altro canto occorre pur notare che buona parte degli stranieri resi¬ denti (nel 1960, ben 64 787) sono nati in Svizzera, sono qui cresciuti, vi han frequentato le scuole ed imparato un mestiere: sono dunque fortemente assimilati, totalmente, anzi, quando per di più siano di madre nata svizzera (e oggi lo sono in numero da 25 000 a 30 000).

Ma anche una certa aliquota di domiciliati adulti può venir ritenuta assimilata, ancorché continui a figurare, nelle rilevazioni demografiche, sotto la voce «stranieri». Tale aliquota dovrebbe andar crescendo, poiché il gruppo degli adulti domiciliati da oltre 10 anni diviene vieppiù numeroso, se non che, entro detto gruppo, il grado d'assimilabilità risulta molto vario e non va comunque sopravvalutato.

L'idoneità e. la disposizione all'assimilazione sono difficilmente accer¬ tabili per i dimoranti, moltissimi dei quali vivono senza contatto alcuno con gli autoctoni, sia durante il lavoro sia nel tempo libero. Nondimeno anche in questa categoria è dato trovare persone che non contribuiscono affatto all'inforestierimento; tali sono, ad esempio, i circa 20 000 studenti stranieri, rimpatrianti al termine del curricolo di studio, o i 20 000 stranieri anziani che trascorrono in Svizzera il periodo di quiescenza, oppure i 15 000 funzio¬ nari internazionali, coi loro familiari. Resta dunque un gruppo di 576 000 stranieri soggetti a controllo, i quali contano in pieno per la valutazione del grado d'inforestierimento. È un gruppo che si rinnova continuamente -- il 75% con cadenza da 1 a 5 anni e il 25% con cadenza
più lenta --, formato di persone in gran parte inidonee o indifferenti all'assimilazione ed immi¬ grate già con l'idea di rimanere da noi a lavorare solo per un periodo deter¬ minato.

Riassumendo, possiamo dire che sugli 860 000 stranieri censiti a fine 1966, circa 120 000/150 000, inclusi i domiciliati assimilati, possono essere stralciati come inoperanti per l'inforestierimento. Ma anche così, il gruppo dei non assimilati o dei difficilmente assimilabili permane ingente e pone al nostro Paese ardui problemi. Segnatamente considerando il fatto, cui già s'è accennato, che anche la composizione di detto gruppo suscita qualche inquie¬ tudine. Se ancora negli anni cinquanta si poteva riscontrare che il gruppo

88 dei domiciliati -- stante la celere rotazione dei dimoranti e l'esigua nata¬ lità -- rimaneva costantemente straordinariamente basso, oggi dobbiamo per contro constatare che l'aumentata sedentarietà, con la crescente ecce¬ denza annua di nascite, cagiona una tale pressione che l'effettivo degli stranieri, ancorché la corrente immigratoria receda, tende a crescere. Il gruppo dei dimoranti di vecchia data è venuto crescendo anch'esso ed anche l'aumento netto dei domiciliati va accentuandosi.

Da quest'andamento si può inferire che il prossimo futuro vedrà dap¬ prima crescere il numero degli stranieri parzialmente assimilati e, poscia, progressivamente aumentare il grado medio di assimilabilità. Ciò, purché si riesca a stabilizzare l'effettivo globale degli stranieri. , Va però aggiunto che il pericolo d'inforestierimento varia da regione a regione, secondo le condizioni ambientali e strutturali nonché secondo la entità e la funzionalità della presenza straniera. Ad esempio, dove si riscon¬ tra un'insignificante stanziamento allogeno, quei pochi stranieri non pos¬ sono ovviamente essere considerati un pericolo; oppure dove l'industrializ¬ zazione è tanto progredita da rendere preminenti gl'interessi dello sviluppo economico, gli stranieri, anche numerosi, non possono certo essere ritenuti una minaccia, bensì vanno apprezzati come un fattore irrinunciabile di pro¬ gresso.

Si deve dunque concludere che ancorché non si possa negare un tal qual pericolo d'inforestierimento, non sussiste però alcun motivo d'eccessiva inquietudine né alcuna ragione di prospettare, calpestando i bisogni della economia, drastiche misure quali quelle proposte dagli iniziatori. Per contro, come spiegammo alla commissione allargata del Consiglio Nazionale per gli affari esteri, nel nostro rapporto del 9 febbraio 1965 sul contenimento della sovrappopolazione straniera, occorrerà mettere in opera adeguati provvedi¬ menti per stabilizzare l'effettivo straniero e successivamente, salvaguardate le necessità economiche, per gradualmente ridurlo.

III. L'iniziativa contro rinforestierimento Fondandosi sullo stato attuale d'inforestierimento, i fautori dell'inizia¬ tiva esigono che l'effettivo dei domiciliati e dimoranti stranieri non superi un decimo della popolazione residente. Per attuare questo scopo, l'effettivo dei dimoranti dovrebbe essere ridotto annualmente, coi dovuti riguardi umani e tenendo adeguatamente conto delle esigenze economiche, di almeno il 5 per cento. La competenza di stabilire la quota annua di riduzione, per ogni singolo Cantone, dovrebbe essere attribuita al Consiglio federale men¬ tre ad un ufficio federale spetterebbe, all'occorrenza, di annullare permessi di dimora già rilasciati. Infine, il nuovo articolo costituzionale dovrebbe en¬ trare in vigore il primo gennaio dell'anno successivo all'accettazione.

89 L'iniziativa, come già accennammo, considera dunque il problema dell'inforestierimento una questione prettamente statistica. A questo giudizio siamo giunti dopo aver accertato che gli iniziatori intendono combattere il pericolo dell'inforestierimento con misure unilateralmente volte ad una riduzione schematica dell'effettivo della manodopera estera. Simile proce¬ dimento non tiene però conto della complessità del problema e condurrebbe; per di più, a notevoli squilibri politici ed economici. Conseguentemente, la iniziativa costituisce uno strumento inefficace, anzi controproducente, ai fini d'una soluzione soddisfacente del problema posto dalla sovrappopola¬ zione straniera.

1. Effettivo massimo degli stranieri Allorché la Costituzione o la legislazione federale rinviano all'ef¬ fettivo della popolazione residente, per il calcolo della stessa sono determi¬ nanti i risultati dei censimenti federali, svolti di regola ogni dieci anni ed omologati dalle Camere con uno speciale decreto federale. Quel rinvio è segnatamente fatto per la determinazione del numero dei deputati al Consi¬ glio Nazionale (art. 72 Cost.) e la ripartizione dei proventi dall'imposizione delle bevande distillate (art. 32 bis, cpv. 8, Cost); lo si ritrova inoltre per la legislazione su la Banca nazionale, i sussidi alla scuola primaria, i viaggiatori di commercio, ecc.

I risultati dell'ultimo censimento federale del 1960, omologato con decreto federale del 21 settembre 1961 (FF 1961, 1303) sono ormai superati e, sino a quando saranno disponibili i dati del prossimo censimento, occor¬ rerà valersi di complementi e valutazioni. Ci fonderemo quindi, qui di se¬ guito, sui dati rilevati dalla polizia degli stranieri che, contrariamente ai censimenti, non comprendono però l'effettivo degli stagionali.

La popolazione residente (svizzeri e stranieri) è stata valutata, alla fine del 1966, a 5 954 000 abitanti. La quota degli stranieri ammontava à 860 000 unità, ovvero al 14,4 per cento, e si articolava come segue (le cifre sono ar¬ rotondate): 229 000 616 000

domiciliati dimoranti (esclusi gli stagionali)

845 000 15000

in totale, più funzionari di uffici internazionali e di amministrazioni estere (familiari compresi)

860 000

popolazione residente estera complessiva (senza stagionali né frontalieri)

Se, conformemente al desiderio dei promotori dell'iniziativa, la popo¬ lazione allogena residente fosse ridotta a un decimo al massimo della popola¬ zione complessiva, l'effettivo degli stranieri, determinante per la riduzione,

90 dovrebbe essere diminuito di 260 000 unità (cioè da 860 000 a 600 000), e cioè di circa il 30 per cento. A tale riguardo, va rilevato che la defalcazione può unicamente essere operata tra i dimoranti. Infatti, un inseverimento delle norme legali sul domicilio, conferenti ora allo straniero definitiva¬ mente ammesso il diritto incondizionato di risiedere in Svizzera a tempo in¬ determinato, sarebbe impensabile, non foss'altro se non per le sue implica¬ zioni rispetto alla reciprocità di trattamento concessa agli svizzeri dell'estero.

D'altronde, gli iniziatori non chiedono alcuna riduzione dell'effettivo degli stranieri domiciliati.

Il numero dei dimoranti stranieri ammontava, alla fine del 1966, a 616 000 persone. Con la riduzione chiesta di 260 000 stranieri (ovvero quasi del 42 per cento), l'effettivo suddetto scemerebbe a 356 000 unità.

Uniformemente applicata ai singoli Cantoni, la defalcazione prevista sa¬ rebbe, ad esempio, di 51 000 unità nel Canton Zurigo (da 120 000 a 69 000), di 29 000 nel Canton Vaud (da 69 000 a 40 000) e di 12 000 nel Cantone Ticino (da 28 000 a 16 000).

La questione circa la quota di stranieri, tollerabile nelle nostre condi¬ zioni, non può essere risolta una volta per sempre e senza tener conto della situazione politica ed economica. Infatti, è ovvio che in periodi d'alta con¬ giuntura possa essere tollerato un numero di stranieri più elevato di quello generalmente ammesso in tempi di crisi, di guerra o comunque politica¬ mente malsicuri. Nel 1925, ad esempio (quando fu accettato l'articolo 69 ter della Costituzione federale), l'aliquota degli stranieri, rispetto alla po¬ polazione residente, ammontava a circa l'8-9%, mentre i provvedimenti con¬ tro l'inforestierimento del 1963 furono introdotti nel momento in cui la quota suddetta era del 13%; la tensione poi tra indigeni e stranieri sorse sol¬ tanto alla fine del 1964 o all'inizio del 1965, e cioè quando gli stranieri ven¬ nero a toccare quasi il 14% della popolazione. Conseguentemente, la promul¬ gazione di una norma costituzionale, intesa a stabilire definitivamente l'aliquota degli stranieri, risulterebbe eccessivamente rigida e irrazionale.

Quanto meno agevole risulta determinare, per un periodo plurien¬ nale, la quota degli stranieri rispetto alla popolazione complessiva, tanto più arduo torna stabilire
definitivamente il limite massimo dei lavora¬ tori stranieri. Il gruppo di studio, nel suo rapporto sui problemi dei lavoratori esteri (pag. Ili), ha bensì valutato a 500 000 dimoranti e domi¬ ciliati il fabbisogno di manodopera estera, suscettivo di assicurare, sino al 1970, un'evoluzione soddisfacente della nostra economia, a condizione che il prodotto nazionale netto aumenti parallelamente del 4% l'anno e la produttività'del 3%. Nondimeno, come già esponemmo nel nostro rapporto del 9 febbraio 1965 Valla commissione ampliata del Consiglio nazionale per gli affari esteri, sulla limitazione e la riduzione della manodopera stra1

FF 1965 I, 238.

91 niera, il suddetto gruppo di studio aveva espresso una riserva: i periti erano stati infatti del parere che una tale limitazione della manodopera avrebbe rallentato notevolmente l'incremento del benessere generale. Il gruppo si era inoltre fondato sull'effettivo del mese di dicembre 1960.

rilevato durante l'ultimo censimento, comprendente circa 80 000 stagionali, e, per gli anni 1961 e 1962 aveva fatto ricorso a sue valutazioni integrative.

Frattanto però, la riduzione della manodopera estera, da esso suggerita, non solo è restata lettera morta ma, per contro, è stato registrato un aumento considerevole, dovuto all'incremento degli investimenti e del consumo, nonché all'afflusso di capitali stranieri. Questa opposta evoluzione ha indubbiamente provocato un aumento del fabbisogno minimo della manodopera estera, rispetto alle previsioni degli anni 1961 e 1962. Le prece¬ denti valutazioni del gruppo di studio, tenuto conto delle mutate condizioni economiche, sono quindi da ritenere superate.

Una riduzione imperativa dell'aliquota degli stranieri al 10%, indi¬ pendentemente dalla situazione economica, causerebbe gravi turbamenti, suscettivi di pregiudicare i datori di lavoro. Come lo dimostra la tavola seguente, le difficoltà maggiori insorgerebbero proprio perchè la defalca¬ zione può essere unicamente attuata tra gli stranieri attivi.

Persone esercitanti un'attività lucrativa dipendente (comprese le mogli esplicanti pure un'attività) Mogli e figli che non svolgono attività lucrativa Alunni e studenti Redditieri e ospiti permanenti delle case di cura . . . . .

Persone esercitanti un'attività lucrativa indipendente ....

432 000 140 000 20 000 20 000 4 000

Funzionari di organizzazioni internazionali (compresi i congiunti)

616 000 15 000 631 000

La diminuzione del numero degli studenti stranieri che, a studi com¬ piuti, ritornano normalmente in patria, non potrebbe ovviamente essere giu¬ stificata dal pericolo d'inforestierimento e neppure da altre ragioni. A sua volta, la riduzione degli stranieri di professione indipendente risulterebbe numericamente quasi impercettibile, tanto più che, per questa categoria, il numero degli immigrati, negli ultimi anni, è apparso assai esiguo. Non en¬ trano inoltre in considerazione i funzionari di organizzazioni internazionali e amministrazioni estere poiché a tali enti con sede nel nostro paese deve essere pur concesso il personale occorrente. E nemmeno una falcidia sul nùmero dei redditieri, che trascorrono in Svizzera la vecchiaia, o degli ospiti permanenti delle case di cura può ovviamente entrare in linea di conto, trattandosi di persone poco o non affatto determinanti per l'infore-

92 sperimento; senza contare poi l'enorme pregiudizio che ne verrebbe alla nostra reputazione di paese ospitale. Rimane pertanto un'unica possibilità, ovvero la riduzione delle persone attive e dei loro congiunti. Per questa categoria, dev'essere però tenuto conto (come d'altronde osserveremo nel numero 2) che i familiari possono unicamente venir inclusi nella diminu¬ zione qualora, simultaneamente, i capifamiglia espatrino o siano tenuti ad abbandonare il nostro paese.

2. Riduzione all'effettivo tollerabile L'iniziativa prevede una riduzione annua di almeno il 5%, ma non sta¬ bilisce alcun termine entro il quale il numero dei domiciliati e dimoranti stranieri debba essere diminuito al 10% della popolazione residente. Giusta l'articolo II dell'iniziativa, l'aggiunta costituzionale entrerebbe in vigore il 1° gennaio dell'anno successivo a quello d'accettazione, ovvero, al più pre¬ sto, il 1° gennaio 1969. Manifestamente, gli iniziatori intendevano rilevare che il loro scopo poteva essere conseguito solo con una drastica riduzione, donde quella loro quota minima di defalcazione del 5%. Tale saggio non consentirebbe tuttavia di raggiungere la riduzione auspicata entro un ter¬ mine ragionevole, poiché la defalcazione operata verrebbe via via annullata dall'aumento annuo dei domiciliati.

Per attuare lo scopo degli iniziatori entro cinque anni, tenuto conto che annualmente circa 25 000 stranieri ottengono il permesso di domicilio, l'effettivo dei dimoranti dovrebbe diminuire, ogni anno, di 71 000 unità in media ciò che equivarrebbe a saggi di riduzione del 14 al 19%, secondo l'annata. La defalcazione inciderebbe prevalentemente (forse addirittura per i due terzi) sui dimoranti annuali attivi, il cui numero verrebbe così a scemare di 259 000 o del 60%, per ridursi a 173 000 unità. Siffatta flessione della forza-lavoro potrebbe essere compensata solo parzialmente dai nuovi domiciliati stranieri. Infatti, il numero di quest'ultimi s'accrescerebbe, durante il periodo suddetto, di 123 000 unità, di cui, approssimativamente, solo la metà attive, cosicché, concludendo, l'economia nazionale dovrebbe rinunciare, entro un lustro, a quasi 200 000 lavoratori stranieri (cfr. tav. 7/1, in appendice).

Assumendo invece come base un periodo decennale, l'effettivo dei di¬ moranti dovrebbe annualmente scemare, in media,
di 43 000 unità, o del 914% secondo l'annata. La defalcazione netta dei lavoratori stranieri ammon¬ terebbe nondimeno a 190 000 unità, non bastando l'aumento dei domiciliati attivi per compensare la diminuzione dei dimoranti annuali attivi (cfr. 7/2 in appendice).

È difficile dire se potranno ancora essere osservati i principi umani¬ tari, con una siffatta drastica riduzione. Il problema non può essere ri¬ solto, ad esempio, mediante un irrigidimento delle prescrizioni di ammis-

93 sione e segnatamente con l'introduzione di un periodo di attesa più lungo per l'immigrazione dei familiari. Infatti, tale misura inciderebbe soltanto su un'esigua parte dei congiunti, essendo state, per prendere il 1966, soltanto 5 000 le mogli non attive che nell'ambito del trasferimento vero e proprio hanno raggiunto il nostro paese, mentre altre 12 000, il cui marito era già occupato in Svizzera, poterono invece immigrare a scopo d'impiego. L'in¬ troduzione di un termine di attesa per i familiari attivi causerebbe pertanto essenzialmente solo un differimento dell'immigrazione, ma non un'efficiente defalcazione numèrica degli stranieri. Una riduzione dell'effettivo allogeno è in effetti soltanto attuabile se anche i dimoranti attivi subiscono una dimi¬ nuzione corrispondente. Conseguentemente, assai limitate appaiono, in questo quadro, le possibilità di adeguatamente tenere in considerazione le esigenze economiche, talché le riserve espresse nell'iniziativa vanno senz'al¬ tro ritenute lettera morta.

L'economia ha fruito, nell'ultimo ventennio, di uno sviluppo tale che non può ormai più funzionare senza l'apporto della manodopera stra¬ niera. In media, infatti, l'aliquota degli stranieri attivi rispetto al numero complessivo delle persone attive supera presentemente il 25%. Nell'industria nell'artigianato e nel settore alberghiero, tale aliquota assume propor¬ zioni ancora più elevate. Nel settembre del 1965, tra la manodopera dell'in¬ dustria e dell'artigianato, allora sottoposta alla legislazione federale sulle fabbriche, si contavano 467 000 lavoratori svizzeri e ben 284 000 stranieri, cosicché l'aliquota toccava addirittura il 38%.

Nel 1965 (i dati corrispondenti del 1966 non sono ancora disponibili), l'incidenza degli stranieri, nei sottoindicati settori industriali, era la seguente: Aliquota degli stranieri in % degli operai di fabbrica Alimentari e voluttuari 37 Tessili 50 Abbigliamento 61 Legno 38 Carta 36 Stampa e affini 23 Chimica 21 Terre e pietre 50 Metalmeccanica e apparecchiature 38 Orologeria 23 I dati attenenti alle aziende dell'artigianato si riferiscono solo alla manodopera estera sottoposta a controllo. Si può tuttavia asserire che d'estate l'aliquota degli stranieri ammonta, per l'edilizia, al 60% circa e, per l'industria alberghiera, al 50%. 1 La considerevole incidenza degli stranieri non è unicamente dovuta all'espansione industriale e artigianale, bensì anche al trasferimento degli

94 svizzeri in posti più elevati o nelle aziende di servizi. Il numero degli operai svizzeri di fabbrica, ad esempio, è scemato da 506 000 nel 1960 a 467 000 nel 1965. L'esempio classico è costituito dall'industria tessile, in cui l'ali¬ quota degli stranieri, in un periodo quinquennale, aumentò dal 36 al 50%, ancorché l'effettivo totale diminuisse di 4 700 unità; in altri termini, 7 500 stranieri sono stati assunti per sostituire i 12 200 svizzeri partenti.

. Conformemente all'iniziativa, l'effettivo attuale degli stranieri attivi dovrebbe subire una contrazione del 35%; siffatta aliquota rappresenta, nei principali rami economici, un quinto sino a un ottavo della manodopera complessiva (svizzeri e stranieri), nè potrebbe venir compensata con trasfor¬ mazioni strutturali e causerebbe quindi considerevoli diminuzioni della produzione. Conseguentemente, le aziende non sarebbero sovente più. in grado di produrre a prezzi rimunerativi e si vedrebbero costrette a rinun¬ ciare alla loro attività, ciò che significherebbe il licenziamento anche del personale indigeno.

L'esistenza dell'industria alberghiera, ad esempio, è legata ad un nu¬ mero determinato di lavoratori, in quanto, in questo settore, non si possono ridurre le prestazioni al disotto di una determinata soglia, pena non già l'assottigliarsi, bensì il completo cessare delle correnti turistiche. L'industria tessile, a sua volta, dovrebbe, ove siffatta contrazione fosse attuata, rinun¬ ciare all'esercizio a più turni e difficilmente potrebbe ancora sussistere. La defalcazione non porrebbe però unicamente problemi di quantità ma addi¬ rittura di funzionalità: la manodopera straniera essendo infatti, anziché uniformemente ripartita per settori ed aziende, in buona parte concentrata nei rami professionali evitati dagli svizzeri, gli stranieri finiscono per occu¬ pare, in molti casi, posizione chiave (come, ad esempio, nella sbavatura dei ·pezzi di fonderia o nella galvanoplastica) cosicché la loro riduzione, col pregiudicare intere fasi lavorative, paralizzerebbe tutta la produzione. Nel¬ l'abbigliamento, il lavoro altamente qualificato dei creatori di moda indigeni non gioverebbe affatto, se venisse a mancare la manodopera estera, forte¬ mente concentrata nelle sartorie e stirerie. Anche le fabbriche di conserve, durante la stagione, occupano
quasi esclusivamente straniere, come d'al¬ tronde l'industria degli imballaggi, tanto che, se quèlla manodopera venisse a mancare, sarebbero pregiudicati e l'utilizzazione del raccolto e lo smercio dei prodotti.

La regressione eccessiva degli stranieri avrebbe inoltre gravi conse¬ guenze, poiché essi non solo sono occupati in massa in talune grandi aziende, ma anche, singolarmente o in gruppi esigui, in quasi tutte le aziende subor¬ dinate, che tuttavia adempiono compiti importanti. Orbene, a cagione della struttura fortemente imbricata della nostra economia, l'eliminazione di una sola azienda marginale può pregiudicare il buon andamento di tutto un gruppo di altre imprese.

,

95 Particolarmente gravi sarebbero poi le ripercussioni nelle zone rurali, le cui aziende isolate, a cagione dell'esodo della manodopera indigena, tanto
più strettamente dipendono dall'apporto dei lavoratori stranieri e tanto più
soffrirebbero di una loro regressione eccessiva. Questa circostanza è partico¬ larmente preoccupante in quanto le aziende suddette offrono sovente agli svizzeri valide possibilità di formazione e di occupazione e, non di rado, costituiscono, come unica fonte fiscale considerevole, la base finanziaria di un Comune. E pure ai prestatori d'opera svizzeri, segnatamente a quelli an¬ ziani o poco efficienti e pertanto difficilmente trasferibili,1 l'occupazione, ove fossero chiuse talune aziende, verrebbe a mancare, anche nei centri indu¬ striali.

La riduzione degli stranieri esige profonde trasformazioni dell'impianto economico. Come già accennammo nel precitato rapporto del 9 febbraio 1965 alla commissione ampliata del Consiglio nazionale per gli affari esteri, non tutti gli stranieri non qualificati.o semiqualificati possono essere sosti¬ tuiti con apparecchiature adeguate. Qualora non intendessimo rinun¬ ciare alle attività che essi svolgono, dovremmo ammettere "un effet¬ tivo minimo corrispondente di manodopera estera, a meno che gli stessi compiti venissero nuovamente assunti da operai indigeni. La sostituzione de¬ gli svizzeri agli stranièri implica però una rivalutazione di taluni lavori meno ambiti e poco importanti dal profilo sociale, nonché un riadeguamento dei salari. Dovrebbe essere parimente seguita una politica intesa ad una mi¬ gliore preparazione delle nuove leve alla situazione venutasi a creare con la diminuzione degli stranieri. Inoltre, l'economia dovrebbe sforzarsi, me¬ diante l'incremento della meccanizzazione, della razionalizzazione e del¬ l'automazione, di soddisfare le stesse esigenze con un numero inferiore di , lavoratori.. Dovremmo parimente esaminare l'opportunità di mantenere taluni settori produttivi, ad alta concentrazione di manodopera e pertanto strettamente vincolati al continuo apporto di lavoratori stranieri, per incre¬ mentare contemporaneamente i settori ad alta concentrazione di capitali, esigenti un minimo di forze lavorative. Ciò equivale ad avviare un'evolu¬ zione che postula una modificazione strutturale della nostra economia.

Comunque siffatte modificazioni richiedono un periodo di tempo adeguato affinchè siano evitate gravi conseguenze.

3. Svolgimento della riduzione Le prescrizioni sullo svolgimento della riduzione degli stranieri, di cui all'articolo
I dell'aggiunta costituzionale proposta, non sono sufficiente¬ mente ponderate. Gli iniziatori propongono infatti una misura estremamente incisiva, senza avere chiare nozioni circa la realizzazione delle loro proposte.

Giusta l'iniziativa, il Consiglio federale deve stabilire annualmente, per i singoli Cantoni, le quote di riduzione dei dimoranti esteri; rimane però insoluta la questione della ripartizione tra i diversi Cantoni. A tale riguardo,

96 va osservato che da un Cantone all'altro non varia unicamente la quota degli stranieri (domiciliati e dimoranti) rispetto alla popolazione residente (dal 4% nel Canton Uri al 31% nel Cantone di Ginevra), ma anche la quota dei dimoranti (l'unica categoria suscettiva d'essere ridotta) rispetto al numero complessivo degli stranieri (dal 57% nel Canton Ticino all'81% nel Canton Argovia). Quello che conta sarebbe proprio di provvedere a ri¬ durre i dimoranti nei Cantoni in modo da arrivare a far sì che l'effettivo globale degli stranieri non eccedesse, nella media nazionale, un decimo della popolazione residente. Occorrerebbe inoltre tener conto che, durante il pe¬ riodo di contrazione, varia tanto il numero degli Svizzeri, quanto quello dei domiciliati, ciò che influisce sulle quote di riduzione, sulle quali influisce del pari la libertà dei domiciliati di trasferirsi da un Cantone all'altro, e di far conseguentemente variare assai il numero degli stranieri nei singoli Cantoni. Analogo effetto ha lo spostamento interno degli Svizzeri durante il periodo di riduzione, valutabile anch'esso solo in minima parte. Queste circostanze provocano insomma, nei Cantoni, mutamenti demografici su¬ scettivi, a loro volta, di modificare i fattori determinanti per il calcolo della quota di riduzione degli stranieri.

Inoltre gli iniziatori non si esprimono circa la questione a sapere se la riduzione debba essere limitata ai Cantoni in cui gli stranieri, superano il 10% della popolazione residente oppure se debba essere estesa a tutti i Cantoni. Nel primo caso, essa colpirebbe 16 Cantoni, con un effettivo complessivo di 507000 dimoranti, di cui 260000, ovvero più della metà, dovrebbero essere rinviati, e non toccherebbe i Cantoni di Berna, Lucerna, Uri, Svitto, Soprasselva, Sottoselva, Friburgo, Appenzello Interno e Vallese, tenuti per altro a non consentire alcun aumento degli effettivi stranieri du¬ rante il periodo di contrazione, affinchè, nella media nazionale, non sia superato il limite del 10%.

Qualora invece la riduzione fosse eseguita in tutti i Cantoni, quelli pre¬ sentanti un effettivo di stranieri superiore al 10% verrebbero meno colpiti.

Tuttavia, anche in questo caso, la diminuzione dei dimoranti ammonterebbe nondimeno a 53 000 nel Cantone di Zurigo, a 15 000 nel Cantone Ticino, a 28 000 nel Cantone
di Vaud e a 26 000 nel Cantone di Ginevra, semprèchè la contrazione fosse attuata proporzionalmente al numero complessivo degli strànieri. Questi quattro Cantoni dovrebbero quindi sopportare circa la metà della defalcazione, la quale poi, tradotta in percentuali, significherebbe che nei Cantoni di Zurigo, Vaud e Ginevra la riduzione sarebbe del 40% e nel Canton Ticino perfino del 55% circa. Di fronte a queste cifre è ovvia¬ mente superfluo indugiare a dimostrare quali catastrofiche conseguenze ne verrebbero ai Cantoni, pur se si cercasse, in fase applicativa, di rendere il sistema molto meno rigoroso.

.' / 1 Secondo il tenore dell'iniziativa, spetta al Consiglio federale di stabilire ogni anno le quote di riduzione per i singoli Cantoni; un ufficio federale da

97 esso designato potrà, in caso di necessità, annullare i permessi di dimora vigenti. Tutto ciò presuppone nondimeno che i Cantoni, con procedura di preavviso, abbiano a sottoporre ogni decisione all'autorità federale compe¬ tente. Siffatto controllo centralizzato (analogo a quello istituito durante l'ultima guerra in virtù dei poteri straordinari) non potrebbe tecnicamente essere realizzato entro un congruo termine, poiché la Confederazione e i Cantoni non dispongono del personale suppletivo necessario, che d'altronde, restando immutata la presente situazione, difficilmente potrebbe essere re¬ clutato.

Infine, siccome l'evoluzione economica dei singoli Cantoni è diversa, la scelta del sistema di riduzione e la determinazione delle quote non costitui¬ rebbero unicamente una questione tecnica, ma solleverebbero anche gravi problemi politici ed economici. Infatti, la determinazione d'un limite mas¬ simo degli stranieri per Cantone potrebbe forzare gravemente, in taluni di essi, la struttura economica e, in altri, frenare lo sviluppo in modo econo¬ micamente irragionevole.

Per le considerazioni esposte, la determinazione di quote di riduzione per i singoli Cantoni non appare attuabile.

IV. Politica futura riguardo agli stranieri Ancorché le esigenze poste dagli iniziatori debbano essere ricusate, il Governo federale, considerando il grado attuale d'inforestierimento, non può rimanere inattivo ma deve dar opera ad apprestare quegli adeguati provvedimenti di difesa, i quali però non solo colliminino con i massimi principi politici, bensì anche salvaguardino gli interessi dell'economia, strut¬ turalmente legata alla presenza d'un nutrito contingente di manodopera estera. Di conseguenza, il problema dell'inforestierimento non può unica¬ mente essere risolto mediante misure limitative e restrittive ma dev'essere soprattutto affrontato mediante un'efficace procedura d'assimilazione di quegli stranieri che soggiornano, in modo duraturo, nel nostro paese.

1. Politica d'ammissione e di riduzione Avantutto dovrà essere evitato ogni ulteriore aumento dell'effettivo degli stranieri. Questa misura s'impone per ragioni politiche poiché un aumento della manodopera accrescevo stato di dipendenza dai lavoratori stranieri e, nello stesso tempo, dagli eventi politici ed economici dell'estero. Un nuovo aumento dei lavoratori stranieri non sarebbe però tollerabile nemmeno per motivi economici, in quanto necessiterebbe investimenti suppletivi per i posti di lavoro, le attrezzature di ricezione, le infrastrutture, ecc. Tale sforzo sarebbe poi reso particolarmente gravoso dal fatto che occorrono Foglio Federale, 1967, Voi. Il

98 diversi anni prima che l'aliquota suppletiva dei neoimmigrati produca un aumento d'offerta rispondente al provocato incremento della domanda. Per di più è presumibile che, anche senza un aumento dell'immigrazione, le infrastrutture, già oberate, verranno ulteriormente sollecitate, semplicemente a cagione del progressivo assuefarsi degli stranieri alle nostre condizioni e del loro passare a più alti livelli di vita.

Nè dobbiamo tenere lo sguardo fisso alla situazione economica del momento: essa potrebbe infatti cambiare in un lasso di tempo relativamente breve per dar luogo ad una recessione. Orbene, di fronte ad una riduzione dell'occupazione noi, da un lato, avremmo le mani legate rispetto ai lavora¬ tori stranieri domiciliati, ai quali, stante la loro posizione giuridica, non po¬ trebbe essere fatto alcun obbligo di rimpatrio, e, d'altro lato, non avremmo maggiore possibilità d'azione nemmeno rispetto ai lavoratori stranieri con¬ trollati, in quanto questi possono bensì essere obbligati a rimpatriare, ma solo se vi siano lavoratori indigeni disoccupati atti a prenderne il posto, il che, considerata la ben diversa formazione professionale, non sarà sovente il caso. Ne viene che potrebbe accadere di dover continuare ad occupare degli stranieri anche quando vi fossero degli svizzeri disoccupati: donde certo non poche tensioni.

Comunque, anche qualora l'effettivo globale degli stranieri attivi (dimo¬ ranti e domiciliati) dovesse stabilizzarsi, la popolazione allogena residente aumenterebbe nondimeno (cfr. tav. 8, in appendice) di circa 66 000 unità a cagione dell'eccedenza delle nascite. Ma non sarebbe logico voler compen¬ sare tale aumento contraendo l'effettivo degli stranieri attivi e privando così il Paese di quella preziosa forza-lavoro che gli sarà, per lunghi anni ·ancora, ben necessaria. Una rigida politica di riduzione apporterebbe -- come è spiegato più sopra -- gravi svantaggi economici e finirebbe per ledere anche gli interessi degli stessi lavoratori nonché degli enti pubblici, specie nelle aree economicamente meno sviluppate.

Ipotizzando raggiunta la stabilizzazione degli effettivi globali (dimo¬ ranti e domiciliati) dei lavoratori stranieri, occorre notare ancora quanto segue: I lavoratori mutanti la dimora in domicilio, se escono dal gruppo dei dimoranti attivi, non contano però,
tranne ove espatrino, ai fini di una con¬ creta contrazione degli effettivi, dacché rimangono pur sempre a dispo¬ sizione della nostra economia. Conseguentemente, per evitare che i vuoti da loro lasciati nel gruppo dei dimoranti vengano colmati da neoimmigrati, bisogna provvedere a restringere via via quel gruppo, coll'imputare l'au¬ mento annuo netto dei domiciliati attivi in riduzione del numero dei lavora¬ tori stranieri controllati. Detto aumento annuo netto, permanendo le condi¬ zioni attuali, s'aggirerà, nel prossimo quinquiennio, su una media di 13 000 unità. Da questa costatazione discende la necessità di continuare i provvedi-

99 menti intesi a limitare e ridurre gli effettivi di lavoratori stranieri control¬ lati. Noi ci sforzeremo però di dare all'ordinamento attuale (DCF del 26 febbraio 1965, del 1° marzo 1966 e del 10 febbraio 1967) una reimposta¬ zione più consona ad un'economia di mercato.

Inoltre le misure restrittive, applicate da qualche tempo, resteranno in vigore. Tra esse vanno annoverate innanzitutto le direttive date nel 1964, dal Dipartimento di giustizia e polizia, per l'ammissionne di lavoratori pro¬ venienti da Paesi remoti, le quali, di massima, precludono l'immigrazione dai Paesi extraeuropei mentre, dai Paesi europei più lontani, la permettono solo per i lavoratori qualificati. È risultata in merito determinante la consi¬ derazione del fatto che trattasi di persone formate in ambienti caratterizzati da condizioni economiche, sociali e culturali del tutto divergenti dalle no¬ stre, onde è sembrato di dover andar cauti prima di aprir loro la via di un inserimento nella nostra vita associata, il quale non potrebbe attuarsi senza sollevare gravissimi problemi.

Così pure andrà mantenuto in vigore il decreto del 19 gennaio 1965, concernente l'assicurazione del permesso di dimora ed inteso a iugulare l'im¬ migrazione incontrollata. Rinunciamo invece a prolungare il termine d'at¬ tesa per l'arrivo dei familiari, poiché questa misura non sarebbe comunque funzionale, data l'esiguità della sua incidenza numerica: senza contare che la soluzione del problema dell'inforestierimento non sarà mai da noi cer¬ cata in una direzione così divergente dai dettami dell'umanità e della socia¬ lità.

Qualora, con queste misure, non si riuscisse a contrastare sufficiente¬ mente il pericolo dell'inforestierimento, noi ci riserveremo espressamente, secondo l'evoluzione economica e giusta gli imperativi politici, di prendere provvedimenti più ampi, intesi magari a conseguire la stabilizzazione o la riduzione dell'intera popolazione allogena residente.

L'addentellato costituzionale per la stabilizzazione dell'effettivo globale degli stranieri attivi, od anche per gli scopi più ampi testé accennati, è già offerto dall'articolo 69 ter Cost., il che rende superflua ogni apposita modifi¬ cazione costituzionale.

2. Assimilazione c naturalizzazione Per assimilazione s'intende l'adeguamento al nostro sistema di vita, al nostro modo
di pensare e ai nostri usi e costumi. Il processo di assimila¬ zione, investendo dall'interno l'intera personalità, esige un periodo di tempo considerevole. L'assimilazione è promossa mediante la tolleranza, l'egua¬ glianza delle possibilità economiche e le affinità culturali. Essa è per contro avversata o resa difficile dalla discriminazione, le eccessive discrepanze cul¬ turali, i complessi di superiorità nonché dal timore che lo straniero possa costituire una minaccia per la vita privata della popolazione indigena. E

100 nemmeno sono favorevoli all'assimilazione una quantità troppo elevata o una rotazione eccessiva degli stranieri.

Ovviamente, l'assimilazione degli stranieri non può configurarsi princi¬ palmente come un compito delle autorità; essa incombe infatti maggior¬ mente, oltre che alla scuola, anche all'iniziativa privata, ovvero segnata¬ mente ai datori di lavoro, alle associazioni professionali, alle società e altre organizzazioni e, non da ultimo, ad ogni singolo collaboratore, sul posto di lavoro, e ad ogni coinquilino o vicino, nel luogo di residenza. Spetta preci¬ puamente a tutte queste persone cogliere gli spunti offerti dalle diverse situazioni per condurre gli stranieri, tenendo conto dei loro problemi, pensieri e interessi, a familiarizzarsi con i nostri idiomi, usi e costumi e soprattutto con il nostro modo di agire, come anche ad accostarsi alle nostre istituzioni politiche, alle nostre finalità e alle nostre convinzioni. In altri termini, occorre promuovere la loro formazione civica e consolidare i rapporti umani. Rispetto agli stranieri idonei e risoluti ad assimilarsi, sog¬ giornanti stabilmente da noi, dobbiamo quindi abbandonare ogni atteggia¬ mento prevalentemente difensivo, per agevolare loro l'adeguamento al no¬ stro modo di vivere e di pensare. D'altronde, la stampa, la radio e la televi¬ sione svolgono, a tale riguardo, una notevole attività d'informazione che si è già rivelata efficace. In questo modo, saremo in grado di evitare che gli stranieri, cristallizzandosi in gruppi allogeni più o meno chiusi, possano costituire, come elemento estraneo, un aggravio per la nostra comunità.

Per quanto concerne in particolare i figli degli stranieri, gli sforzi intesi al promuovimento dell'assimilazione devono essere volti alla loro integra¬ zione nelle scuole pubbliche. A tale riguardo, dovrebbero essere tenuti corsi speciali di preparazione e, all'occorrenza, corsi linguistici completivi per il corpo insegnante indigeno. L'assimilazione dei figli di stranieri, attraverso la scuola, presuppone tuttavia.l'adattamento dei genitori alle nostre condi¬ zioni, affinchè i bambini non siano, tra casa e scuola, stressati da uno scarto ambientale che finirebbe per rinviare l'assimilazione alla terza generazione.

L'assimilazione può tuttavia anche essere promossa direttamente dal¬ l'autorità,
in special modo mediante l'attribuzione agli stranieri con lunga residenza, di una valida posizione giuridica quanto alle misure di polizia e af mercato del lavoro. In quest'ordine di idee, già ora provvediamo a che, dopo 5 anni, venga concesso ai lavoratori, provenienti dai principali paesi di reclutamento, il prolungamento del permesso di dimora per lo stesso posto di lavoro, il rilascio dell'autorizzazione di cambiare posto o di svolgere, in modo non indipendente, un'altra professione ed, infine, l'eventuale proroga biennale della dimora. Scorso detto termine, questi lavoratori sono inoltre ammessi a beneficiare del «servizio pubblico di collocamento e possono af¬ filiarsi alle nostre casse d'assicurazione contro la disoccupazione. '

101 Con la progressione del processo d'assimilazione, va infine considerata la possibilità di naturalizzare gli stranieri idonei. A tale riguardo, dev'essere però rilevato che l'istituto della naturalizzazione non deve essere immiserito a mero strumento della riduzione statistica del numero degli stranieri. An¬ che in questo contesto, dunque, all'acquisto della cittadinanza svizzera dovranno essere poste condizioni severe.

Il gruppo dei virtuali candidati alla naturalizzazione non può essere valutato, ancorché esso sia presumibilmente più numeroso di quello degli stranieri naturalizzati mediante la procedura ordinaria, ammontante, negli ultimi anni, a 2000-3000 persone. Il numero relativamente modesto delle naturalizzazioni ordinarie è precipuamente dovuto a due ragioni: la ca¬ renza d'interesse da parte degli stranieri e la riservatezza delle nostre auto-, rità.

Da un canto, l'interesse degli stranieri alla naturalizzazione è dunque minore delle normali previsioni. Tale carenza'è segnatamente dovuta alla posizione giuridica dei domiciliati esteri che, prescindendo dai diritti civici, non si scosta essenzialmente dalla nostra. Infatti, lo straniero è economica¬ mente parificato, pur non dovendo assumere determinati doveri (servizio militare), ai cittadini svizzeri. Tenuto conto che nella nostra epoca i vantaggi e gli svantaggi sono avantutto ponderati dal profilo economico, si dovrebbe inferire che, anche in futuro, l'interesse alla naturalizzazione non assumerà importanza considerevole..

Tornerebbe invece inammissibile imporre la cittadinanza svizzera agli stranieri o conferirgliela senza il loro assenso, specialmente in quanto l'intro¬ duzione di una tale forma di naturalizzazione revocherebbe in dubbio, anzi sacrificherebbe, la tradizionale struttura giuridica e le caratteristiche cultu¬ rali del nostro paese. Senza contare poi ch'essa s'avvererebbe comunque problematica; infatti, per quanto concerne segnatamente l'acquisizione della cittadinanza svizzera con la nascita, dev'essere osservato che la rotazione sussiste anche tra i domiciliati cosicché, quand'anche s'applicasse lo «jus soli» unicamente ai figli nati in Svizzera dai domiciliati, accadrebbe pur sempre, che numerosi stranieri, dopo aver acquisito ' la cittadinanza svizzera, verrebbero riportati all'estero, in giovanissima età e
senza essersi pertanto in nulla adeguati alle nostre condizioni. Presentandosi poi tempi economicamente o politicamente difficili, questi, cittadini della primissima infanzia prevedibilmente ritornerebbero, per buona parte, nel nostro paese, dove, non essendo stati sufficientemente assimilati, è agevole presumere che verrebbero considerati, dalla popolazione indigena, come elementi estranei.

Va però detto, dall'altro canto, che la naturalizzazione, in diversi Can¬ toni e Comuni, è caratterizzata da un'eccessiva prudenza, la quale suggeri¬ sce modalità procedurali defatiganti e complesse. Inoltre, le tasse di natu¬ ralizzazione risultano sovente troppo elevate, avantutto poiché, considerata

102 la nostra evoluzione sul piano sociale, non possono ormai più assumere il ruolo di un adeguato contributo per un eventuale onere assistenziale.

Finora, due sole categorie di stranieri hanno prevalentemente dimo¬ strato un vivo interesse per la naturalizzazione: gli stranieri nati e cresciuti in Svizzera e quelli sposati a una cittadina svizzera. Questi due gruppi, in fatti, rappresentano, da qualche tempo, più del 65% delle naturalizzazioni.

Già nel messaggio del Consiglio federale all'Assemblea federale del 9 agosto 19511, a sostegno di un disegno di legge sull'acquisto e la perdita della cit¬ tadinanza svizzera, rilevammo che lo straniero giunto nel nostro paese a una certa età, quando cioè il suo carattere è pienamente definito, si assimila molto più difficilmente dei suoi figli, quivi allevati, istruiti o professional¬ mente formati. Per seguire una politica di naturalizzazione ragionevole e rispondente allo scopo perseguito, dobbiamo quindi promuovere avantutto la naturalizzazione dei figli degli immigrati. Fondandoci su queste con¬ siderazioni e sulle rallegranti esperienze ottenute con l'allentamento della prassi di naturalizzazione per i figli di madre svizzera di nascita, il Dipar¬ timento federale di giustizia e polizia, all'inizio del 1965, sottopose ai Can¬ toni, nell'usuale procedura di consultazione, oltre a talune questioni concer¬ nenti l'allargamento dell'istituto e la diminuzione delle tasse di nazionalizza¬ zione, anche l'introduzione della seguente disposizione nella legge sulla cittadinanza: « Agli stranieri che, dopo il sesto anno di età, hanno vissuto almeno 10 anni in Svizzera, può essere agevolata la naturalizzazione, se essi abitano in Svizzera e presentano la domanda innanzi il compimento del 22.mo anno di età.

· Essi acquistano la cittadinanza del Cantone e del Comune, nei quali, al momento del conferimento, vivono ininterrottamente da almeno ·due anni».

Ove questa disposizione fosse inserita nel testo legislativo, ciò che pre¬ suppone una revisione della Costituzione, s'otterrebbe il duplice risultato della qualità nella quantità. Infatti, da una parte, la modificazione proposta s'applicherebbe a una categoria di stranieri ordinariamente di rapida assimilabilità, sui quali si potrebbe operare una selezione, individuale, spet¬ tando all'autorità, nei singoli casi,
la verificazione dell'idoneità; d'altra parte, ogni anno, moltissimi giovani stranieri potrebbero facilmente acqui¬ sire la cittadinanza svizzera, semprechè siano cresciuti nel nostro paese ed abbiano trascorso in Svizzera gli anni d'insegnamento decisivi per lo sviluppo e la formazione. Lo straniero stesso si sentirebbe più attratto verso la naturalizzazione, essendo la suddetta procedura più semplice ed anche gratuita. I Comuni non sarebbero inoltre più gravati d'oneri assi1

FF 1951, 893.

103 stenziali, poiché la Confederazione, analogamente all'ordinamento vigente sulle agevolezze concernenti la naturalizzazione, assumerebbe la metà delle spese, durante un decennio. Sarebbero tutelati anche gli interessi dei Can¬ toni, dovendo quest'ultimi essere consultati prima di risolvere circa la na¬ turalizzazione agevolata.

Nonostante questi vantaggi, i Cantoni, specialmente quelli popolosi e con forti percentuali di stranieri, quando non si sono espressi con molta cautela; hanno rifiutato l'innovazione proposta, adducendo principalmente motivi di natura federalistica. Essi temono infatti che la procedura di natu¬ ralizzazione, così avocata all'autorità centrale, venga a costituire una nuova violazione della sovranità cantonale e dell'autonomia comunale. Come che sia, gli sforzi intesi a trovare una soluzione confacente devono assidua¬ mente essere continuati.

V. Considerazioni finali 1. A cagione del forte aumento degli stranieri, è insorto, durante gli ultimi anni, un grave pericolo d'inforestierimento. Ancorché degli 860 000 stranieri circa, residenti in Svizzera alla fine del 1966, approssimativamente da 120 000 a 150 000 possano essere stralciati come inoperanti nell'inforestierimento, il numero dei residenti esteri non assimilati o difficilmente assimi¬ labili permane molto elevato. Il pericolo d'inforestierimento, nonostante i provvedimenti finora presi, sussiste dunque tuttavia.

2. La riduzione dell'effettivo degli stranieri, dimoranti e domiciliati, al limite massimo del 10% della popolazione residente, chiesta dai pro¬ motori dell'iniziativa, come anche la diminuzione annua dei dimoranti d'almeno il 5%, necessaria all'attuazione di detto scopo, appaiono economi¬ camente intollerabili. Infatti, l'unica defalcazione numericamente impor¬ tante potrebbe essere solo quella operata sulla categoria dei lavoratori sotto¬ posti a controllo e sui loro congiunti (coll'avvertenza che i concetti umanitari e sociali escludono che questi ultimi possano essere respinti se, simultaneamente, il nostro paese non rinuncia all'apporto dei capifamiglia).

L'iniziativa avrebbe dunque come conseguenza che, complessivamente, circa 260 000 stranieri controllati, di cui ben 200 000 attivi, dovrebbero essere fatti rimpatriare, il che si tradurrebbe, nell'immediato futuro, in una defalcazione annua pari a 30 000-50 000 dimoranti, esercitanti attività lucrativa. Ciò provocherebbe inevitabilmente gravi perturbazioni economiche.

3. La contrazione postulata dagli iniziatori dev'essere essenzialmente considerata come eccessiva, nonché incurante delle realtà umane, politiche ed economiche. Per contro, proprio ragioni politiche ed economiche determi¬ nano l'impostazione delle misure, necessarie anche in futuro, per dominare

104 il permanente pericolo d'inforestierimento. Noi cureremo, poi, di tenere dette misure costantemente in consonanza con l'evolvere della situazione e prevediamo sin d'ora, secondo gli effetti ch'esse esplicheranno, di orientarle non solo ad impedire ogni ulteriore crescita degli effettivi di lavoratori stra¬ nieri, bensì anche a conseguire la stabilizzazione o la riduzione di tutta la popolazione allogena residente.

4. Siccome, infine, il numero degli stranieri con lunga residenza verrà ancora aumentando, a cagione dell'accresciuta sedentarietà e dell'elevata eccedenza di nascite, occorrerà, quale, secondo orientamento di lotta contro l'inforestierimento, promuoverne l'assimilazione nonché agevolare la natu¬ ralizzazione dei bambini nati e cresciuti in Svizzera.

5. Soltanto la coordinazione funzionale dei due sistemi di difesa (la jugulazione delle correnti immigratorie, da una parte, e l'incremento del¬ l'assimilazione e della naturalizzazione agevolata, dall'altra) potrà con¬ sentirci di contrastare efficacemente il pericolo d'inforestierimento.

Per le ragioni che abbiamo esposto, vi proponiamo di sottoporre l'ini¬ ziativa popolare contro l'inforestierimento al voto del popolo e dei Cantoni, senza alcun controprogetto, raccomandando di respingerla. Alleghiamo al presente rapporto un corrispondente disegno di decreto federale. ' Vogliate gradire, onorevoli signori Presidente e Consiglieri, l'espres¬ sione della nostra alta considerazione.

Berna, 29 giugno 1967.

In nome del Consiglio federale svizzero,

'

11 Presidente della Confederazione: Bonvin Il Cancelliere della Confederazione: ' Ch. Oser

Schweizerisches Bundesarchiv, Digitale Amtsdruckschriften Archives fédérales suisses, Publications officielles numérisées Archivio federale svizzero, Pubblicazioni ufficiali digitali

Rapporto del Consiglio federale all`Assemblea federale sull`iniziativa popolare contro l`inforestierimento (Del 29 giugno 1967)

In

Bundesblatt

Dans

Feuille fédérale

In

Foglio federale

Jahr

1967

Année Anno Band

2

Volume Volume Heft

33

Cahier Numero Geschäftsnummer

9715

Numéro d'objet Numero dell'oggetto Datum

17.08.1967

Date Data Seite

65-104

Page Pagina Ref. No

10 155 963

Das Dokument wurde durch das Schweizerische Bundesarchiv digitalisiert.

Le document a été digitalisé par les. Archives Fédérales Suisses.

Il documento è stato digitalizzato dell'Archivio federale svizzero.